LUDWIG VAN BEETHOVEN WEBITE

(in italiano)


JOHN O'SHEA

PROFILI MEDICI DI GRANDI COMPOSITORI

LA MALATTIA E LA MORTE
LUDWIG VAN BEETHOVEN



 


La musica di Beethoven ha la rara capacità di innalzare e ingentilire lo spirito umano. La maggior parte delle sue composizioni evoca un ideale eroico dell'umanità e la lotta trionfante dell'individuo contro le avversità e l'oppressione - un tema molto sentito nell'Europa di Napoleone Bonaparte e che per Beethoven aveva anche un significato personale, dato che la sordità lo aveva reso invalido ancora giovane.
Molti trovano difficile associare la bellezza e la filantropia espresse dalla musica di Beethoven con ciò che sanno del suo creatore. L'immagine popolare di Beethoven è quella di un misantropo scarmigliato, con un carattere collerico, che evitava la compagnia degli altri uomini e metteva tutte le questioni personali in secondo piano rispetto alla creazione della sua musica. In questa descrizione c'è del vero, ma non è del tutto esatta. Molte delle difficoltà nei comportamenti sociali di Beethoven nascevano da due fattori: un'infanzia svantaggiata e la malattia cronica. A 28 anni aveva già subito una grave perdita di udito, che incideva sull'opinione che aveva di sé e sul suo futuro professionale e artistico. La sua vita fu resa infelice anche da una irriducibile diarrea e da dolori addominali. La crisi che Beethoven visse ad Heiligenstadt nel 1802 avrebbe ossessionato la sua vita, rendendolo quell'essere solitario che ci è familiare.
Per capire l'origine dei problemi di Beethoven, dobbiamo ritornare agli anni della sua formazione. Era nato a Bonn nel 1770, secondogenito di Johann van Beethoven, tenore di corte, un tipo piuttosto ubriacone e spreco ne (non si conosce la data di nascita di Ludwig, ma si sa che fu battezzato il 17 dicembre). Non era una famiglia felice e certamente non era adatta a un bambino geniale (27, pp. 32, 39-50, 18, I). L'idolo di Beethoven era il nonno, un vecchio signore distinto che era stato maestro di cappella: di qui l'ambizione, inseguita tutta la vita, di ottenere quell'incarico ed emulare l'illustre nonno, di cui portava sempre con sé il ritratto (27, pp. 25-7, 32-3). Beethoven amava la madre, Maria Magdalena, che però non ricambiava il suo affetto. La sua vita con Johann era difficile e lei dedicava ben poco tempo al piccolo Ludwig.
Sembra che la prima educazione di Beethoven sia stata modesta, né lui si fece onore. A scuola familiarizzava poco con gli altri bambini, i voti erano bassi, l'aspetto sporco e trasandato. Mostrò precocemente il suo talento, ma la sua educazione musicale fu discontinua e influenzata dal rapporto distruttivo con il padre, il quale fu il suo primo maestro e ne riconobbe la straordinaria attitudine artistica. Era orgoglioso di averlo messo al mondo, ma anche irritato perché il ragazzo sottolineava la sua mediocrità; probabilmente lo picchiava spesso. Certamente il padre scoraggiò la capacità di improvvisare di Beethoven - il primo indizio di un talento eccezionale. Johann era anche un gran ciarlatano: cercò di guadagnare quattrini con il figlio prodigio, spacciandolo come più giovane di due anni di quanto non fosse in realtà (18, 27). Per fortuna, a occuparsi più tardi dell'educazione di Beethoven fu Christian Gottlob Neefe, l'organista di corte, che incoraggiò il ragazzo e gli insegnò molte cose (27, p. 53).
Quando Beethoven lasciò Bonn per Vienna, nel 1792, era già un musicista e un abile pianista, molto ricercato nei salotti. Czerny parlava delle «esecuzioni titaniche» di Beethoven e giustificava la frequente rottura delle corde durante i concerti come l'inevitabile conseguenza del fatto che il compositore chiedeva ai primitivi pianoforti dell'epoca assai più di quanto essi non potessero dare. Raccontava anche che gli ascoltatori si commuovevano fino alle lacrime ascoltando le sue improvvisazioni. I primi anni viennesi furono perciò anni di successo e di fascino per il giovane pianista.
Già le sue prime composizioni, i trii per pianoforte, ricevettero critiche molto favorevoli. A quell'epoca era dunque un giovane uomo giustamente fiducioso, con un grande futuro davanti a sé. Curava molto il suo aspetto, si vestiva con ricercatezza e si sforzava di acquisire le buone maniere. Sebbene fosse piccolo (circa 165 centimetri) e di carnagione scura, con la faccia leggermente butterata, non era affatto considerato poco attraente. La sua impulsività naturale, il suo temperamento e la mancanza di una buona educazione mettevano a nudo, in società, la sua vera natura. Eppure, nel complesso, era un personaggio ricercato e assolutamente non goffo (18).
La leggenda della verginità di Beethoven fu messa in circolazione da Schindler, il confidente degli ultimi anni e suo primo biografo. Sappiamo però da Ries e da alcuni coetanei che, nei suoi primi anni a Vienna, Beethoven visse con gusto una vita di società e di avventure. L'impulsività, l'ambivalenza e un modo di vivere disordinato e stravagante lo tennero lontano dalle relazioni durature con le donne, ma non era affatto un misogino: amava la compagnia delle dame e ne apprezzava la bellezza. Relazioni più platoniche con le sue ammiratrici durarono molti anni (9, p. 55; 27, p. 365).
Le prime crisi arrivarono improvvise proprio quando il successo sembrava assicurato. La sordità e i dolori addominali resero dolorosa la vita di Beethoven e ostacolarono le sue relazioni sociali. Nel giro di pochi anni dal primo apparire di questi disturbi, l'aspetto fisico di Beethoven era cambiato. Chi lo vedeva ora, ne parlava come di un «originale uomo delle caverne» o di una «scimmia» tanto era brutto. Trascurava a tal punto il suo aspetto e i suoi abiti che un giorno che si era perso in città venne imprigionato come vagabondo (27, pp. 357-9). Tracciamo ora l'evoluzione delle malattie del compositore e analizziamone gli effetti sulla sua vita.


Malattia respiratoria

Beethoven soffriva di asma. Ci sono frequenti riferimenti a un'infezione respiratoria che lo afflisse per tutta la sua vita e molte allusioni al suo" torace debole". Non dobbiamo necessariamente concludere che il compositore avesse la tubercolosi, come hanno fatto molti biografi, sebbene si dicesse che ne erano morte sia la madre sia la sorellina. Nell'Ottocento la tubercolosi veniva diagnosticata molto spesso, ma non si facevano autopsie per confermare la diagnosi. Si diceva anche che il padre avesse la sifilide ma, di nuovo, le prove sono tutt'altro che conclusive (la voce che Beethoven avesse una sifilide congenita è stata smentita: il suo teschio non presentava i segni caratteristici di questa malattia). Il dottor Davies sostiene che Johann Beethoven morì di insufficienza cardiaca con congestione venosa periferica (35).


Pancreatite cronica

La successiva malattia, nell'anamnesi di Beethoven, è quel disturbo intestinale al quale alludeva con il termine di "colica". Esso gli causava forti dolori al centro dell'addome ed era spesso accompagnato da diarrea. Nel 1812 la malattia confinò Beethoven a letto e gli causò disidratazione e prostrazione. Il male aumentò di frequenza e di gravità a mano a mano che Beethoven invecchiava. Il primo attacco risale al 1801, quando il compositore aveva 31 anni. A questi attacchi si associava l'anoressia e di conseguenza, quando aveva le "coliche", Beethoven mangiava poco e in modo irregolare. All'inizio beveva molto per lenire questi dolori addominali, ma più tardi scoprì che l'alcool esacerbava il male. Non esiste nessun accenno alla diarrea sanguigna né a un melena
[sintomo di emorragia nella parte superiore dell'intestino] (9, p. 221).
Per questi dolori ricorrenti si è ipotizzava una colite spastica. Ma questa diagnosi è poco verosimile, perche la colite spastlca non provoca ne disidratazione né prostrazione. L'autopsia di Beethoven offre una spiegazione plausibile della malattia. Si scoprì che «il pancreas era [...] duro e sodo, con il dotto escretore largo quanto una penna d'oca». Questo suggerisce una pancreatite cronica. Beethoven non soffriva di calcoli biliari e il suo intestino, esaminato a occhio nudo, era presumibilmente normale. I medici che fecero l'autopsia notarono che l'intestino era «molto dilatato dall'aria», ma non c'erano prove di una stenosi che avesse causato un'ostruzione parziale dell'intestino, né fu notata qualche anomalia della mucosa [cambiamenti nella parete intestinale] che suggerisse malattie infiammatorie dell'intestino. In realtà, secondo Sherlock, nelle autopsie dei cirrotici si trova spesso un intestino dilatato dall'aria. La causa dell'epatite è stata probabilmente l'alcool; in più, la dilatazione dei dotti pancreatici suggerisce con forza una pancreatite indotta dall'alcool (32).
La vita di Beethoven fu ben presto segnata dallo stress. La colica ne è un sintomo - infatti comparve quando cominciò a diventare sordo. La sua promettente carriera era in pericolo e, secondo quanto scrisse nel testamento del 1802, cominciò a isolarsi, per tenere nascosti i suoi dolori. È probabile perciò che in quell'epoca bevesse molto - e la colica che cominciava a tormentarlo gli procurava forse una scusa socialmente accettabile.
Già Thayer, uno dei primi biografi di Beethoven, aveva avuto il forte sospetto che il musicista avesse un problema con l'alcool. Thayer era un bostoniano venuto in Europa per scrivere la vita dell'eroe della sua adolescenza. Si racconta che, venendo a conoscenza di alcuni dettagli sul modo di vivere eccentrico di Beethoven, cominciò ad avere dolori alla testa psicosomatici. La verità sul compositore non quadrava con il modello eroico proposto dal suo amico Schindler, il suo primo biografo, che aveva distrutto molti dei "quaderni di conversazione". Il vero Beethoven era nascosto dietro una cortina di fumo accuratamente costruita per i posteri dal suo ambizioso amico. Si dice che Thayer abbia scoperto aspetti della condotta di Beethoven così allarmanti che non li pubblicò, perché voleva scoraggiarne a tutti i costi un'ulteriore diffusione (27, pp. 10-2).
Gli attuali studi su Beethoven rivelano un uomo che suscita pietà, non disprezzo. Lavorando duramente, era riuscito a lasciarsi alle spalle un'infanziadifficile, nella quale i genitori lo avevano amato ben poco, e a costruirsi un mondo di successi e di riconoscimenti. Nel momento cruciale della sua carriera, sopraggiunse la sordità e minacciò di portargli via questo successo. Era demoralizzato e disilluso e passò attraverso una crisi spirituale che quasi mandò in pezzi la sua salute mentale. Prese in considerazione l'idea del suicidio. Beethoven uscì da questa crisi dedicandosi completamente alla composizione, facendone lo strumento che gli avrebbe permesso di esprimere i suoi impulsi benevoli e umanitari. Sublimò tutto in musica e la sua vita privata fu segnata dal disordine emotivo e da un crescente isolamento (12, pp. 38-9).


Beethoven e l'alcool

Thayer ebbe il forte sospetto che la causa dei problemi fisici e del comportamento eccentrico di Beethoven fosse l'alcool. Si mise perciò ad annotare coscienziosamente il costo degli acquisti di vino di Beethoven e constatò un consumo di alcool decisamente alto - uno schema di comportamento che, a lungo termine, produce danni mortali agli organi.
Andreas Wawruch [Il nome di battesimo di Wawruch è indicato in modi diversi nella letteratura, come Andreas Ignaz o Anton Johann.], che visitò Beethoven durante la sua ultima malattia, scrisse un resoconto dettagliato della sua storia medica [riprodotto in APPENDICE 2, documento 2]; questo documento porta la data del 20 maggio 1827, pochi mesi dopo la morte del compositore. Wawruch pensava che fosse stato l'alcool a causare la malattia di Beethoven, insieme con il cibo scadente, che ne avrebbe inasprito gli effetti patologici sull'organismo. Questo riferimento a un concomitante problema di alimentazione dimostra l'acutezza di Wawruch come medico.
Wawruch ci dice che Beethoven cominciò a bere apparentemente per controllare i diffusi sintomi addominali che assomigliavano a quelli di una colite spastica. Fa risalire il consumo di alcool e i dolori addominali all'epoca in cui si svilupparono la sordità e il tinnito - intorno ai trent'anni. Da quel momento Beethoven bevve moltissimo per ventisei anni. Non era necessariamente ubriaco o smodato: chi consuma grandi quantità di alcool distribuite sulle 24 ore può sviluppare la cirrosi senza ubriacarsi in maniera evidente. Wawruch ci dice anche che Beethoven ebbe un attacco di epatite quasi fatale sette anni prima della sua morte. Nonostante il consiglio dei medici, non ridusse la quantità di alcool, negando energicamente che si trattasse di un problema. La testimonianza di Wawruch mette i problemi digestivi di Beethoven in relazione con la sordità.
Beethoven ebbe poi, per sette anni, ricorrenti attacchi di dolori addominali, inaspriti dall'alcool. Questo fatto suggerisce una pancreatite cronica, confermata dall'autopsia. Ebbe anche periodici attacchi di epatite e di ittero, ma si rifiutò di smettere di bere. Anche Schindler, il devoto difensore della reputazione postuma del compositore, ammette che la causa della malattia di Beethoven era l'alcool. Nella sua biografia del 1840 accenna alla passione di Beethoven per il punch e i vini adulterati, ma con tatto insinua che la morte fu causata dalla cattiva qualità dei vini: «Tra i vini preferiva la varietà ungherese Ofen. Purtroppo gli piaceva tantissimo il vino adulterato, che danneggiò il suo intestino debole. In questo caso non servì a niente metterlo in guardia. Il nostro maestro amava anche un buon bicchiere di birra alla sera [...] E anche nei suoi ultimi anni visitava le osterie e i caffè».
Il segretario di Beethoven, Karl Holz, annotò che il suo datore di lavoro «beveva una grande quantità di vino a tavola, ma era in grado di reggerlo e in allegra compagnia qualche volta si ubriacava». Più tardi gli amici notarono in lui un paradossale declino nella capacità di tollerare l'alcool. Morì di insufficienza epatica dovuta a cirrosi. La malattia era durata almeno cinque anni. Per parecchi mesi, prima di morire, tenne fasciato l'addome, gonfio per un'ascite cronica. Il consumo di alcool di Beethoven restò alto negli ultimi cinque anni di vita. Nell'ultima fase della malattia, uno dei medici gli prescrisse come palliativo un punch alcoolico ghiacciato, ma glielo si dovette togliere, perché ne abusava (9, p. 224; 27, pp. 358-9, 394).


La sordità

La più nota malattia di Beethoven è la sordità, la cui origine è ancora controversa. Dal punto di vista psicologico essa fu devastante per il compositore che, nel testamento di Heiligenstadt, raccontò diffusamente la sua frustrazione, la sua infelicità e la sua paranoia (v. APPENDICE 2). Nonostante le ovvie esagerazioni, questa è la lettera di Beethoven più toccante e personale. Inoltre illumina alcuni dei paradossi del suo carattere. Il testamento è indirizzato ai due fratelli, per i quali Beethoven manifesta grande attaccamento. Tuttavia il nome del fratello Johann non è registrato nel testamento: c'è uno spazio nel testo lasciato minacciosamente bianco per tre volte. Questa omissione è la prova tangibile dell'ambivalenza di Beethoven verso molti dei suoi intimi. Non approvava il matrimonio del fratello - alludeva alla cognata come alla" Regina della notte" - e a partire da quel momento trovò intollerabile rivolgersi al fratello con il suo nome di battesimo (18).
Beethoven scrisse le sue ultime volontà nel momento più nero della sua depressione - o subito dopo. Aveva pensato di suicidarsi, ma poi decise che il senso della sua vita sarebbe stato affidato all'arte. Scrisse:

[...] da sei anni mi ha colpito un grave malanno peggiorato per colpa di medici incompetenti [...] sono stato presto obbligato ad appartarmi, a trascorrere la mia vita in solitudine. [...] Come potevo, ahimè, confessare la debolezza di un senso, che in me dovrebbe essere più raffinato che negli altri uomini e che in me un tempo raggiungeva un grado di perfezione massima [...]. Con gioia vado incontro alla Morte - se essa venisse prima che io abbia avuta la possibilità di sviluppare tutte le mie qualità artistiche, allora, malgrado la durezza del mio destino, giungerebbe troppo presto [...]. Addio, non dimenticatemi del tutto. (18)
Nonostante un tono leggermente eccessivo e teatrale, il testamento offre un quadro sintetico della condizione di Beethoven e della direzione che la sua vita avrebbe preso. La sua sensibilità e il suo orgoglio lo avrebbero isolato dalla società; l'arte e la creatività sarebbero diventate sempre più lo scopo della sua vita.
In una lettera del 1801 all'amico Franz Gerhard Wegeler, Beethoven stesso offre un'ottima descrizione clinica della sua sordità già grave: «[...] mi debbo mettere vicinissimo all'orchestra per comprendere ciò che l'attore dice e [...] i suoni acuti degli strumenti e delle voci, se sto un po'lontano, non li sento affatto. [...] Inoltre, talvolta odo amala pena chi parla piano. Odo i suoni ma non distinguo le parole; mentre, invece, se appena uno grida mi è addirittura impossibile sopportarlo [...]» (17, I, p. 68).
La sordità di Beethoven cominciò dall'orecchio sinistro e poco dopo colpì anche il destro. La sordità peggiorò progressivamente, accompagnata dal tinnito - la sensazione di qualcosa che squilla o, piuttosto, ruggisce nelle orecchie. La malattia di Beethoven era cominciata poco prima dei suoi ventotto anni. A trentanove il continuo ronzare del tinnito lo aveva portato sull'orlo del suicidio: «[...] poco è mancato che non ponessi fine alla mia vita. La mia arte, soltanto essa mi ha trattenuto». La lettera di Beethoven a Wegeler indica che la sua sordità, intorno al 1800, era già profonda. Ci sarebbe 'stata un'evoluzione della malattia, ma il grosso della patologia a quell'epoca era già ben definito.
Entro il 1815 Beethoven era ormai sordo come una campana. I quaderni di conversazione iniziano verso il 1817 . Grazie a Dio, quando divenne completamente sordo il tinnito cessò. Beethoven non aveva vertigini né sintomi attribuibili alla labirintite: per questo la sindrome di Ménière (una causa molto comune di sordità e vertigine) è una diagnosi improbabile (11, 18; 27). Beethoven ridusse le sue esibizioni al pianoforte parallelamente al peggiorare della sordità. Il grande violinista Louis Spohr assistette alla prova del Trio in re maggiore a casa di Beethoven e, nella sua autobiografia, la descrive in termini che mostrano molto bene le condizioni ormai pietose del compositore.
Non fu un'esperienza piacevole. Innanzitutto, il pianoforte era terribilmente scordato - ma questo in fin dei conti non disturbava Beethoven, dal momento che non poteva sentirlo. Inoltre, della brillante tecnica un tempo così ammirata, era rimasto poco o niente. Nei passaggi da suonare forte il povero sordo martellava i tasti, pasticciando interi gruppi di note. Se non si seguiva la partitura, si perdeva tutto il senso della melodia. Ero profondamente toccato dalla tragedia di tutto ciò - la malinconia di Beethoven non era un mistero per me. (9, p. 100)
La scienza medica non ha espresso il verdetto finale sulla causa della sordità di Beethoven. Il mondo medico è diviso tra due ipotesi: che la sordità fosse dovuta a un danno diretto al nervo acustico, che causa sordità neurosensoriale, o all'ispessimento e alla fissazione degli ossicini, le tre ossa che conducono il suono attraverso l'orecchio medio (otosclerosi). Il referto dell'autopsia descrive in dettaglio l'orecchio e il cervello di Beethoven ma, sorprendentemente, gli ossicini non vengono menzionati. Johann Wagner, il medico che fece l'autopsia, mise da parte gli ossicini e la parte petrosa delle ossa temporali per esaminarli successivamente, ma le ossa andarono perse. Il corpo di Beethoven venne esumato due volte, nel 1863 e nel 1888, ma non si trovarono le ossa mancanti. Senza di esse, non si può escludere l'otosclerosi dalla diagnosi differenziata della malattia di Beethoven (14).
Ecco la descrizione che, nell'autopsia, è stata fatta dell'orecchio e del cervello:

L'orecchio esterno era largo e formato in maniera regolare; la fossetta scafoidea, ma soprattutto la conca, era ampia e grossa il doppio del solito; i diversi angoli e le sinuosità erano molto accentuati. Il canale acustico esterno era coperto da sottili scaglie, soprattutto in prossimità del timpano, che ne veniva nascosto. La tromba di Eustachio non era molto ispessita, ma il suo rivestimento mucoso era gonfio e in qualche misura contratto intorno alla parte ossea della tromba. Di fronte alla sua cavità e in direzione delle tonsille si potevano osservare alcune cicatrici che formavano delle fossette. Le principali cellule del processo mastoideo, che era largo e non segnato da nessuna incisura, erano solcate da una membrana mucovascolare. Tutta la sostanza della parte petrosa dell'osso temporale mostrava un grado simile di vascolarità, attraversato com'era da vasi di notevole dimensione, soprattutto nella regione della coclea, mentre la parte membranosa della lamina spirale dell'orecchio appariva leggermente arrossata.
I nervi facciali avevano un ispessimento inusuale; i nervi acustici, invece, erano raggrinziti e privi della loro guaina; le arterie che li accompagnavano erano dilatate fino alle dimensioni di un pennino da calligrafia, e cartilaginee. Il nervo acustico sinistro, di gran lunga il più ispessito, parte da tre strie acustiche grigiastre molto sottili, mentre il destro parte da una stria decisamente bianca dalla sostanza del quarto ventricolo, che in quel punto era molto più consistente e vascolare che in altre parti. Le circonvoluzioni del cervello erano piene di acqua e straordinariamente bianche; apparivano molto più profonde, larghe e numerose del solito. La volta cranica mostrava dappertutto una grande densità e un ispessimento di poco più di un centimetro. (14, 25, 33)


Le possibilità diagnostiche

L'otosclerosi è la causa di sordità più comune in un uomo di ventotto anni, ma la perdita dell'udito alle alte frequenze descritta da Beethoven non è quella caratteristica della malattia e rende la diagnosi molto incerta. L'otosclerosi cocleare [***] è rara in un paziente così giovane. Molti casi di sordità sfidano ancora le spiegazioni mediche e anche con i moderni metodi diagnostici è possibile che non si trovi nessuna causa per la malattia di Beethoven, se fosse vivo oggi.
Johann Wagner, nei documenti relativi all'autopsia, identificava i nervi acustici: la sua descrizione indica chiaramente che li considerava implicati nel processo patologico che aveva causato la sordità di Beethoven. L'aspetto delle arterie acustiche sembra più tipico dell'aterosclerosi (indurimento delle arterie) che della endoarterite obliterante, che si sarebbe vista in una malattia cronica infiammatoria come la sifilide, sebbene soltanto l'esame al microscopio avrebbe potuto confermarla.
La perdita di udito di Beethoven fluttuava, come sarebbe stato tipico della sifilide, secondo la testimonianza di Wawruch. All'inizio Beethoven notò alcune remissioni dei sintomi, ma tre anni dopo era chiaro che la malattia era permanente, progressiva e grave. La sordità fu preceduta da un episodio febbrile che il compositore e i suoi primi biografi chiamarono" tifo" - probabilmente una meningite dovuta a sifilide secondaria. Nella letteratura medica sono descritti almeno tre casi di sordità simile (20, 21) e una sordità neurosensoriale che progredisce rapidamente è una complicazione rara ma largamente riconosciuta della sifilide secondaria (30). È stato ben documentato come la neurosifilide abbia uno sviluppo assolutamente imprevedibile. Non si può escludere che Beethoven fosse stato contagiato dalla sifilide é che la malattia si fosse "bruciata" a unostadio iniziale, senza causare danni neurologici più pro fondi; ma non c'è nessuna prova medica storica che Beethoven avesse una neurosifilide parenchimale o una tabe dorsale [Un tipo di neurosifilide che colpisce il midollo spinale e gli occhi].
La relazione sull'autopsia del cervello è davvero frettolosa e non se ne può dedurre nessuna affermazione definitiva sulla presenza di una malattia organica della corteccia cerebrale. Nella storia medica di Beethoven non c'è nessuna annotazione sulla ricorrente eruzione cutanea dovuta alla sifilide secondaria. Chi ne soffre, ha un tipico esantema periodico, rosso e chiazzato.
La patologia dell'otosclerosi non era stata ancora completamente chiarita all'inizio dell'Ottocento ed esistono solamente prove aneddotiche che i patologi esaminassero gli ossicini. E le loro scoperte, se mai ce ne fossero state, non sono registrate. L'otosclerosi è dovuta alla fissazione degli ossicini (le ossa dell'orecchio medio) da parte di tessuti fibrosi e anche all'alterazione nella forma delle ossa della staffa. Causa sordità profonda e tinnito.
La descrizione del meato acustico esterno con le sue" scaglie" fa pensare a una otite membranosa esterna [Infiammazione dell'orecchio esterno (canale acustico)] Beethoven aveva perciò ragione quando diceva che «medici incapaci» avevano aggravato la sua sordità: nelle sue orecchie vennero introdotti molti farmaci e apparecchi meccanici. Essi causarono un'otite esterna che concorse alla perdita di udito per una quindicina di decibel. Rimedi sistemici potrebbero aver peggiorato la sordità di Beethoven e contribuito alla componente neurosensoriale della sua perdita di udito. Sebbene non esista nessuna spiegazione definitiva della sordità di Beethoven, l'autore è favorevole all'ipotesi dell'otosclerosi. Molti specialisti tedeschi dell'orecchio tengono ancora in considerazione la diagnosi di sifilide ed effettivamente la sordità da sifilide era abbastanza comune all'inizio dell'Ottocento. Tuttavia è improbabile che la sifilide possa aver prodotto un danno neurologico isolato senza intaccare più profondamente il benessere fisico di Beethoven. La sifilide è una tipica malattia plurisistemica.
I caratteri atipici dell'otosclerosi di Beethoven vengono spiegati con una malattia iatrogena (cioè causata dai suoi stessi medici) e da un possibile coinvolgimento della coclea. Che i medici di Beethoven abbiano peggiorato la sua perdita di udito risulta evidente dall'autopsia e dalla letteratura biografica contemporanea (v. APPENDICE 2).
Anche rare malattie del tessuto connettivo, come la poliartrite nodosa, Possono causare sordità, così come altre malattie autoimmuni. Ne parla Davies nel suo recente articolo sulla sordità di Beethoven (35).


La malattia finale

Beethoven morì di una insufficienza epatica causata da cirrosi del fegato. La modalità della morte fu.un coma prolungato. "Cirrosi" è un termine usato per descrivere un fegato danneggiato dalla malattia. Un fegato che mostri cambiamenti cirrotici è caratterizzato da danni alle cellule e da aree nodulari che mostrano una degenerazione cellulare.
Una delle cause più comuni di cirrosi è il forte consumo di alcool, per il quale ci sono molte prove nel caso di Beethoven. Il racconto dei suoi ultimi anni è stato ritoccato dall'amico Schindler, che distrusse la maggior parte dei quattrocento quaderni di conversazione (annotazioni delle conversazioni quotidiane di Beethoven) sostenendo che contenevano banalità o materiale politicamente compromettente. Gli studiosi moderni tendono a non credere a questa spiegazione. La loro opinione è che Schindler sia intervenuto sui quaderni di conversazione per nascondere la penosa confusione emotiva degli ultimi anni di Beethoven. Il suo consumo di alcool, si ipotizza, era in larga parte una risposta alla cattiva salute e alle tristi ripercussioni delle liti per la tutela del nipote Karl. Le "revisioni" fatte da Schindler ai quaderni di conversazione possono essere viste come un servizio reso a un flmico per prevenire incomprensioni e perpetuare l'immagine eroica del compositore. I medici sanno quanto sia difficile, anche oggi, indurre i loro pazienti a rivelare una storia di alcolismo - immaginiamo dunque la difficoltà di rintracciare questa disponibilità in un uomo morto più di 150 anni fa. La cirrosi epatica di Beethoven era di vecchia data. Il fegato era tutto rattrappito e si vedeva una splenomegalia (ingrossamento della milza) dovuta a un'ipertensione della vena porta (cioè a un aumento di pressione nelle vene che vanno al fegato). Negli ultimi anni Beéthoven fu tormentato da una piodermite (infezione della pelle): si ipotizza che la malattia al fegato avesse ridotto la capacità di resistere all'infezione. Era anche infastidito da perdite di sangue dal naso e da emottisi (espettorazione di sangue): questi sintomi suggeriscono una trombocitopenia dovuta a un ipersplenismo (ingrossamento della milza, che impedisce la coagulazione del sangue) (9, pp. 168, 221).
Nel 1821 Beethoven si ammalò di un ittero che durò parecchi mesi, ma già nel settembre dello stesso anno ci fu una remissione. Saggiamente, i medici gli ridussero il consumo di alcool. La malattia progredì lentamente nei cinque anni successivi e fu segnata da ricorrenti attacchi di ittero ed epatite. Si verificarono altri attacchi di ittero nel 1825 e l'insufficienza epatica potrebbe essere comparsa lentamente e progressivamente durante quell'anno (9, p. 221).
Entro il novembre del 1826 Beethoven era ormai preda della sua malattia mortale. Accadde quando lasciò Vienna per la campagna, dove intendeva lavorare. ai Quartetti op. 130 e op. 135. Già al momento di lasciare Vienna, Beethoven lamentava sintomi blandi che si possono collegare a una cirrosi scompensata. Si sentiva debole e inappetente e il suo ventre era dilatato. Il gonfiore era probabilmente dovuto all'ascite, il liquido che si raccoglie nell'addome come conseguenza dell'insufficienza epatica. Per molti mesi prima dell'inizio della fase terminale della malattia, Beethoven si lamentò anche di gonfiore alle caviglie (9, p. 221). All'inizio ignorò i segnali di pericoli della malattia: continuò a comporre, spesso all'aperto anche con il cattivo tempo. Le sue condizioni continuarono a deteriorarsi. Comparvero tosse e febbre. A questo punto, temendo l'incombere di una malattia seria, fece un lento viaggio di ritorno a Vienna sotto la pioggia. Quando arrivò a Vienna, scoppiò una malattia simile alla polmonite. Fu probabilmente questa infezione a scatenare la fase terminale della malattia di Beethoven (l'infezione è un'importante causa di insufficienza epatica in chi soffre di una malattia epatica) .
Beethoven consultò Andreas Wawruch: aveva il fiato molto corto, tossiva sangue e lamentava un dolore nella parte destra del torace. Gli venne ordinato di rimanere a letto e la sua salute migliorò gradualmente nei cinque giorni successivi. Ricominciò a lavorare all'Oratorio Saul e David (9, p. 225). Ma alla settima notte di malattia ebbe un improvviso attacco di vomito e diarrea. L'ittero comparve la mattina seguente e peggiorò per tutta la settimana; il ventre continuò a gonfiare per l'accumulo di liquidi. Le caviglie cominciarono a sudare copiosamente. Difficoltà di respiro e soffocamento da occlusione della laringe affliggevano le notti di Beethoven, che divenne anuretico e cominciò a soffrire di dispnea parossistica notturna (una difficoltà di respirazione che si verifica quando il corpo è sovraccarico di liquidi).
Alla terza settimana, Wawruch consigliò una paracentesi (aspirazione del liquido ascitico). Si fece l'intervento e si asportarono quindici litri di liquido color paglierino. Il sollievo fu guastato da una grave infezione che si sviluppò nel punto della ferita, certamente causata dagli strumenti non sterilizzati che si usavano allora. Una medicazione accurata della ferita infetta bloccò l'avanzare della cancrena. Dall'autopsia appare chiaro che il trattamento produsse una piccola peritonite. L'aspirazione del fluido fu solo un palliativo, che non poteva cambiare il corso progressivo della malattia. Vennero fatte altre tre operazioni (con la seconda si aspirarono ventidue litri di liquido). Beethoven diventò sempre più inappetente ed emaciato. Una perdita di proteine del plasma nel fluido ascitico potrebbe aver aggravato la malattia epatica. La ferita da paracentesi non si chiuse e continuò a far colare liquido ascitico.
Il dottor Giovanni Malfatti, un amico del compositore, acconsentì a visitarlo. Prescrisse un punch alcolico ghiacciato che aiutò Beethoven a dormire per la prima volta dopo settimane. Incoraggiato dagli effetti di questo punch, Beethoven si mise a consumarne grandi quantità. Questo peggiorò la sua insufficienza epatica da cirrosi e lo rese semicomatoso e fuori di sé. Da allora l'alcool gli venne razionato, ma lui riuscì ugualmente a procurarsi e a godersi del vino del Reno (9, p. 225).
Qualcuno ha insinuato che i medici di Beethoven gli abbiano prescritto un trattamento inadeguato, che accelerò la sua morte. Questo è un giudizio molto duro: la presenza di un'ascite tesa, di un ipersplenismo di vecchia data e di una grave ipertensione della vena porta conducono all'inevitabile conclusione che il compositore era probabilmente allo stadio terminale della sua malattia. E possibile che lo stillicidio della paracentesi abbia annullato ogni speranza di guarigione, ma essa ha anche alleviato il dolore causato dal!'ascite, così come l'hanno alleviato l'alcool e i sedativi somministrati dai medici (attualmente tra i medici francesi e spagnoli c'è una tendenza a trattare questo genere di pazienti con il palliativo della paracentesi [31]).
Il deterioramento continuò più lento nei tre mesi successivi. Beethoven diventò un paziente indisciplinato e petulante. Arrivò la depressione, senza dubbio stimolata dal pensiero della morte imminente. Il 24 marzo 1827 ricevette l'estrema unzione. Poi scrisse nel suo quaderno di conversazione: «Plaudite, amici, comedia finita est». Poche ore dopo aver ricevuto gli ultimi sacramenti entrò in coma, il suo respiro divenne sempre più faticoso.
Il 26 marzo fu un giorno tempestoso. Alle sei del pomeriggio, nel pieno di un temporale, Beethoven fu risvegliato da un tuono e sembrò agitare il pugno contro il cielo. Ricadde sui cuscini e morì (9, pp. 219-21). La storia di Beethoven che sembra «agitare il pugno contro il cielo» in un ultimo gesto di sfida prima dell'oblio è stata respinta come una finzione romantica dalla maggior parte dei biografi di Beethoven. Eppure, questa è un'acuta osservazione clinica: chi muore di insufficienza epatica spesso risponde in maniera esagerata a stimoli improvvisi come una luce brillante. Questo è dovuto all'accumulazione di sostanze tossiche di rifiuto normalmente eliminate dal fegato. Il gesto di Beethoven può essere considerato come un riflesso meccanico dell'irritazione cerebrale che accompagna l'insufficienza epatica, non come un atto cosciente.
La causa della morte di Beethoven - insufficienza epatica dovuta a cirrosi - venne confermata dall'autopsia fatta da Johann Wagner e Karl von Rokitansky. Nella cirrosi, il fegato risponde al danno con noduli rigenerativi. Questi sono stati visti in maniera molto chiara nell'autopsia. Vale la pena di citare per intero la descrizione del torace e dell'addome

La cavità toracica, insieme agli organi al suo interno, era in condizioni normali.
Nella cavità addominale, c'erano otto litri di liquido torbido grigio-marrone. Il fegato appariva accartocciato e ridotto a metà del suo volume normale, coriaceo e di color verde-blu. Sulla superficie tubercolare e al suo interno era tutto pieno di nodi grossi come fagioli. Tutti i vasi erano ristretti e senza sangue. La colecisti conteneva un liquido marrone scuro, oltre ad abbondanti sedimenti di renella. La milza era due volte più grossa del normale, scura e soda. Anche il pancreas era duro e sodo, e il dotto escretore era largo come una penna d'oca. Lo stomaco, come l'intestino, era gonfio d'aria. Entrambi i reni erano rivestiti da una membrana parenchimale spessa un paio di centimetri e infiltrati di un torbido liquido marrone; il loro tessuto, sezionato, risultò rosso pallido. Ognuno dei calici era occupato da una concrezione calcificata simile a una verruca e grossa come un calcolo renale. Il corpo era assai emaciato e coperto di macchie nere.
L'aspetto essenziale dell'autopsia era dunque la cirrosi macronodulare di lunga durata, con una concomitante ipertensione della porta. Nelle malattie del fegato causate dall'alcool, la cirrosi macronodulare è meno comune di quella microhodulare, ma si verifica ugualmente abbastanza spesso. Il liquido torbido scuro rappresentava l'ascite infetta. I cambiamenti nei reni erano probabilmente dovuti ai calcoli renali, all'edema parenchimale e a una pielonefrite cronica. Rispetto agli standard moderni, l'autopsia è incompleta, ma ci fornisce ugualmente molte informazioni sulla malattia di Beethoven. L'alta probabilità di una pancreatite associata a una storia di forte cbnsumo di vini e liquori rende l'alcool il più probabile agente responsabile della malattia di Beethoven. Il colore verde del fegato era dovuto a una stasi di bile causata dall'infezione.
L'ipotesi che sia stata una sifilide terziaria a causare la malattia epatica di Beethoven è poco convincente. La sifilide di solito causa un ingrossamento del fegato dovuto a un'infiltrazione di tumori come "gomme"; il fegato di Beethoven era invece piccolo e rattrappito. La cirrosi da sifilide è una malattia rara e di solito è associata all'abuso di alcool. Un'epatite cronica attiva dovuta a una malattia virale o autoimmune è una possibilità, ma non è necessario invocarla come spiegazione in un paziente che, per trenta e più anni, è stato notoriamente un forte bevitore (28).
I funerali di Beethoven, come quelli di Chopin, furono un importante evento pubblico; si dice che alla cerimonia abbiano partecipato diecimila persone. I viennesi tenevano Beethoven in grande considerazione e, sapendo che era un genio e uno stravagante, erano molto curiosi delle sue abitudine e del suo stile di vita. Molti musicisti e altri personaggi pubblici si recarono alletto di morte di Beethoven e alla camera ardente e hanno lasciato dei resoconti che dimostrano come l'attitudine ottocentesca verso la morte fosse molto diversa da quella attuale. Ne è un tipico esempio il racconto che Franz von Hartmann fa della sua visita al letto di morte di Beethoven:

Il 29 marzo del 1827 contemplai il corpo del divino Beethoven, morto due giorni prima, alle sei di sera. Appena entrato nella sua stanza, che è grande e trasandata, fui commosso dal suo aspetto desolato [...] Non era stato ancora eretto nessun catafalco e lui giaceva sul materasso del suo letto. Gli era stata distesa sopra una coperta e un vecchio venerando [...] lo scopri per me. Così vidi quel magnifico viso che, ahimè, non avevo mai potuto vedere in vita. Intorno a lui spirava una tale celestiale dignità, nonostante i patimenti che si diceva avesse sofferto, che non riuscivo a staccarmi. Me ne andai assai emozionato e solo quando fui dabbasso potei piangere per non aver chiesto all'anziano signore di tagliarmi una ciocca dei suoi capelli.
Ferdinand Sauter, con il quale avrei dovuto incontrarmi ma che avevo perso di vista, mi corse incontro e io tornai indietro con lui, raccontandogli il mio piano. L'anziano signore ci mostrò Beethoven ancora una volta e scoprì per noi il petto che, come il ventre tutto gonfio, era già blu. L'odore della decomposizione del corpo era già pesante. Mettemmo del denaro nella mano del vecchio e gli chiedemmo qualche capello di Beethoven. Scosse la testa e ci fece cenno di tacere. Cominciammo tristemente a scendere le scale quando all'improvviso il vecchio ci chiamò piano dalla ringhiera superiore, dicendoci di aspettare al cancello finché non se ne fossero andati i tre bellimbusti che si erano recati a visitare l'eroe morto [...] uscendo dalla porta e appoggiando le dita alle labbra, ci diede i capelli avvolti in un pezzo di carta e sparl. (18, I, p. 227)
Franz Schubert fu uno dei trentasei che portarono le fiaccole al funerale. Il corpo di Beethoven ora riposa nel Cimitero Centrale di Vienna (lo Stadt Park), accanto a quello di Schubert e al monumento dedicato a Mozart, la cui tomba è ignota.
All'epoca della morte, Beethoven era sempre all'apice delle sue capacità di compositore: il nuovo oratorio al quale stava lavorando sarebbe stato un'opera possente, come la Nona Sinfonia o la Messa in re maggiore. Le malattie di Beethoven erano assai più gravi di quanto non abbiano detto molti dei suoi biografi. Molti degli «sbalzi di umore» annotati nella biografia "psicologica" di Beethoven scritta da Solomon erano di fatto provocati da gravi malattie organiche (27). Isolato, fisicamente debole, spesso malato e pieno di dolori, Beethoven testimoniò con la sua vita e la sua creatività quella lotta che è parte della condizione umana. Così scriveva della genesi spesso difficile dei suoi lavori: «Il vero artista non è superbo; con tristezza si rende conta che l'arte non ha limiti. Sente oscuramente quanto sia lontano dalla meta e, mentre forse è ammirato dagli altri, non ha ancora raggiunto il punto dove un genio migliore risplenderà davanti a lui come il sole lontano».

 

*** È una forma di otosclerosi complicata da una degenerazione secondaria della coclea, l'organo dell'orecchio interno che trasforma le onde sonore meccaniche in impulsi nervosi. Essa causa una sordità profonda e una perdita di "capacità di sentire" che riguarda anche le alte frequenze. Sebbene esista un'antica descrizione dell'otosclerosi senza complicazioni (Antonio Valsava descrisse un'anchilosi della staffa nel 1791), solamente alla fine dell'Ottocento si compresero a fondo la patologia e la sintomatologia di questa malattia: Adam Politzer coniò il termine "otosclerosi" nel 1894, quando ne descrisse la patologia usando il microscopio. Un paziente di Politzer si era suicidato a causa dello spaventoso tinnito che spesso accompagna la malattia. Si può solo immaginare la disperazione di Beethoven: bisogna ricordare che i patologi che fecero l'autopsia non fecero un esame microscopico dell'orecchio interno e dei suoi tessuti né potevano avere familiarità con i moderni concetti di malattia dell'orecchio. Dobbiamo perciò andar cauti sulla validità delle loro affermazioni e delle conclusioni.