INTERVISTA A DANIEL BARENBOIM
DI ALBERTO MATTIOLI

"Carmen musica dell'anima"

"È molto latina? Certo, sono latino anch'io. Anzi italiano"



Maestro, complimenti: alla primina di venerdì la sua Carmen è piaciuta moltissimo.

«Davvero? Beh, sono d’accordo: è piaciuta moltissimo anche a me».

 

Daniel Barenboim è di umore eccellente. Si vede che il consueto problema «last minute» immancabile a ogni prima della Scala, in questo caso la febbre che ha impedito a Jonas Kaufmann di cantare il 4 e mette a rischio il suo don José di oggi, non è così drammatico.

 

Kaufmann ci sarà?

«Credo proprio di sì».

 

Se non dovesse farcela, ributterete in scena il giovane Riccardo Massi come venerdì o cambierete tenore?

«Questa è una domanda che non si deve fare e cui, se viene fatta, non si deve rispondere. Scriva così: se Kaufmann non canta don José, lo canto io».

 

Cambiamo argomento. Da Fazio in tivù lei ha avuto un successo personale.

«Non mi sono ancora rivisto. Ma il merito è di Fazio».

 

Perché?

«Perché è stato simpatico e intelligente. È uno dei pochi che sanno parlare, ma soprattutto che sanno anche quando è il momento di far parlare gli altri».

 

Crede che il suo passaggio tivù abbia contribuito alle ovazioni che le hanno tributato gli under 30 della primina?

«Ma no, i ragazzi sono un pubblico ideale. Sono attenti, aperti, senza pregiudizi. Vede, io vado in televisione, da Fazio era la terza volta, non perché voglia diventare una star mediatica, ma per far capire che non si deve aver paura della grande musica. La musica nasce dalla necessità di rendere fisica l’anima. Ed è una necessità che abbiamo tutti».

 

Ha scelto Emma Dante perché si adattava alla sua idea di Carmen o ha costruito la sua Carmen per adattarla alla Dante?

«Della Dante mi ha parlato Lissner. Ho visto i suoi spettacoli in dvd e sono rimasto colpito. Poi ci siamo incontrati e ho capito che ci eravamo anche trovati. Ciò che mi affascina di lei è la sua capacità di inventare situazioni sceniche che non sono previste dall’opera ma raccontano perfettamente il mondo di quest’opera».

 

Che è molto latino: ci si ritrova?

«Certo. Io sono argentino, quindi latino, anzi italiano. L’Argentina è l’unica regione d’Italia in cui si parla spagnolo».

 

Visto dal podio, qual è il punto più difficile della partitura di Carmen?

«Banalmente, il quintetto del secondo atto è pericoloso, anzi, come si dice in italiano?, scivoloso. Ma la verà difficoltà è che raramente nella musica c’è un carattere solo. È sempre un misto di tragico e comico, di nobiltà e popolare, di densità e leggerezza. Ha presente i drammi giocosi di Mozart e Da Ponte? Beh, Carmen è così».

 

I suoi tempi sembrano molto lenti.

«Che vuol dire, lenti? La partitura è piena di indicazioni metronomiche. Ma se Bizet scrive 76, tu puoi essere anche a 75 o 77. L’importante è che nel pezzo che segue, che magari è marcato 83, si senta la differenza. Il compositore indica un tempo, ma senza il “peso” del suono. È la relazione fra i tempi che conta, non i tempi in se stessi».

 

Stasera le tocca anche Fratelli d’Italia. È davvero il più brutto Inno nazionale del mondo?

«Io non sono uno specialista di Inni, non ho mai fatto un disco come Karajan, però non mi sembra così brutto. È semplice, diretto, immediato. Quello argentino, per esempio, musicalmente è molto più elaborato. Direi che Fratelli d’Italia dà una bella carica d’energia. Sono contento di dirigerlo. Certo preferisco farlo prima di Carmen che, come due anni fa, prima del Tristano. Lì davvero strideva un po’ troppo con il resto».

 

Insomma, noi italiani non dobbiamo sostituirlo.

«Ma no, è il vostro Inno. E da straniero dico: tenetelo caro».

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