GENERAZIONI A CONFRONTO. I FISCHI ALLA SCALA

Emma Dante: "L'Italia non è più un Paese per giovani"

Contestata per la sua regia innovativa "Che tristezza
la paura del nuovo. E non solo all'opera"

ALBERTO MATTIOLI


Il day after, almeno, è iniziato con un dolce risveglio. «Mio marito (Carmine Maringola, attore, che in Carmen è l’onnipresente prete, ndr) mi ha svegliato a mezzogiorno. Mi ha portato un caffé e mi ha detto che era molto fiero di me. Un caffè a letto con un monsignore: fantastico».

Emma Dante la prende con spirito. Riassumendo: ieri l’altro si è inaugurata la stagione della Scala con molte contestazioni fuori dal teatro e parecchie anche dentro. Nel mirino, appunto, la regia di Carmen di Dante, che ha la colpa, sempre difficile da perdonare in generale e all’opera in particolare, di non fare le cose come si sono sempre fatte.

 

Confessi: quei fischi se li aspettava.

«Beh, sì. Diciamo che li avevo messi in conto. Però mi lasci dire che ci sono stati anche molti applausi».

 

Restiamo ai fischi. Perché se li aspettava?

«Perché il 7 dicembre è una giornata di celebrazioni e chiunque voglia contestare ha a disposizione una platea più vasta del consueto. Insomma, è normale che qualche esibizionista ne approfitti per far casino a favore di fotografi e telecamere. Lo capisco, fa parte del gioco. E poi sarebbe strano se tutti fossero d’accordo. Capisco anche che il tentativo di portare all’opera il teatro possa dare fastidio a chi all’opera ci va solo per ascoltare. E poi senta: se vuole sapere perché mi hanno fischiato, lo chieda a loro».

 

Non è arrabbiata?

«Adesso no».

 

Adesso?

«Ieri notte quando sono tornata a casa alle quattro del mattino e ho letto Internet un po’ arrabbiata lo ero. Perché io ho avuto anche dei fischi, non solo dei fischi. C’erano anche moltissimi applausi e questo bisognerebbe dirlo. Altrimenti il bicchiere è sempre mezzo vuoto».

 

Il teatro all’opera l’hanno già portato Visconti o Strehler. Perché adesso in Italia è diventato così difficile fare qualcosa di nuovo?

«Io sono italiana e non mi va di criticare sempre questo benedetto Paese. Però...»

 

Però?

«Però è vero che l’Italia è sempre così conservatrice, tradizionalista, antica. Non puoi mai fare niente che tutti si mettono subito a strillare. Io spero che le cose cambino e mi dò da fare perché cambino, ma alle volte è sconfortante. Anche se le difficoltà ti fanno vedere le cose nella giusta prospettiva. A Palermo il mio gruppo e io non siamo circondati nemmeno dall’ostilità, ma proprio dall’indifferenza più completa. Vuole che mi spaventi per due fischi?»

 

La commentatrice di Arte, il canale satellitare franco-tedesco, pareva allibita che una regia così avesse scatenato tutto quel putiferio.

«Davvero? Beh, credo che in effetti all’estero difficilmente questa Carmen possa essere considerata così “scandalosa” come si è voluto far credere».

 

Zeffirelli ha detto che alla Scala ha visto il diavolo. Chiamiamo l’esorcista?

«Sono proprio felice che Zeffirelli abbia detto questo perché vuol dire che forse sto facendo qualcosa di valido e certamente che sto facendo qualcosa di nuovo».

 

A proposito di tradizionalisti. Strano ma vero: alla critica italiana la sua Carmen è piaciuta.

«E mi ha fatto molto piacere. Non solo che abbiano parlato bene del mio lavoro, ma che gli abbiano dedicato un’attenzione così analitica: le recensioni del teatro “parlato” di solito sono più asciutte e meno approfondite. Vero che era la prima della Scala e quindi avranno avuto più spazio».

 

A un giovane consiglierebbe di fuggire dall’Italia come ha fatto Pier Luigi Celli?

«No. Intanto perché se ce ne andassimo tutti per questo Paese sarebbe davvero finita e poi perché l’Italia per me resta un posto straordinario. E ha ancora delle potenzialità pazzesche. Certo direi a questo giovane di darsi da fare. E soprattutto di imparare a indignarsi per le cose giuste. Per esempio: io credo che lo scandalo non sia lo stupro che faccio vedere in Carmen, ma gli stupri veri che ancora si commettono. Invece non credo che il teatro lirico sia una specie di Disneyland, un mondo senza nessun contatto con quello reale. Perché il palcoscenico, e soprattutto il palcoscenico della Scala, dev’essere “staccato” dalla vita vera e messo sotto una teca di cristallo?»

 

Torniamo al nostro ipotetico giovane. Un conto è combattere se c’è speranza, ma se la speranza non c’è...

«Sa cosa le dico? Che la cosa che mi ha più commossa dell’altra sera è che quando ero là fuori, dall’altra parte del sipario a prendermi i buuu tutta la gente della Scala ha invaso il palcoscenico e si è messa ad applaudire per coprire i fischi. Ecco, la speranza è questa».

 

L’Italia è così conservatrice solo nell’arte?

«No, è conservatrice in tutto. Guardi la politica, ad esempio. Siamo un Paese per vecchi. E credo che il problema sia che, istintivamente, il nuovo, l’ignoto, l’altro fanno paura. Ha ragione il sovritendente Stéphane Lissner, che è straniero e forse vede le cose un po’ diversamente da noi: per riconoscere la bellezza ci vuole tempo. Succederà, spero, anche per la nostra Carmen».

 

Barenboim è sempre uscito al proscenio insieme a lei. Come dire: gli applausi, e il resto, li prendiamo insieme.

«Non mi sono stupita perché l’aveva detto. Mi è stato vicino durante questi mesi di lavoro, mi ha sostenuto, mi ha aiutato e mi ha insegnato un sacco di cose. Ha camminato con me sulla scena, non l’ha guardata da fuori. E questo non lo dimenticherò mai».

 

È pentita di aver accettato l’invito di Lissner?

«No, sono strafelice. È stata un’esperienza favolosa».

 

Quindi si rimetterà all’opera?

«Fare un’opera per farla non m’interessa. Mi interesserebbe invece continuare a lavorare con Barenboim perché in questo momento, nel mio percorso artistico, è diventata una figura troppo importante. Se poi sarà per un’opera o per altro, è da vedere».

 

Insomma, rifarebbe tutto?

«Sì. Assolutamente tutto».

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