POESIE DI DARIO BELLEZZA

DIPINTI DI EGON SCHIELE






Madre e bambino (1912)

Un'energica, dolorosa omogeneità regge Serpenta di Dario Bellezza, libro percorso da un senso di morte che quotidiamente si consuma nel vivere, mina il vivere e lo rende miseria, eppure unico e sublime patrimonio di chi scrive. Poeta solo, smarrita ormai la giovinezza, dannato dall'omosessualità, un tempo gloriosa ed ora anch'essa trepidante e sconfitta, il protagonista di questi versi sa che l'ansia e la passione hanno divorato il passato, e con esso anche la possibile, lacerata felicità di un tempo. Sintesi di questo stato d'animo, di questa nuova consapevolezza è nella bella e funebre poesia intitolata "Verde", che apre alla seconda delle tre ampie sezioni che formano il libro, intitolata "Lodi del corpo maschile". Quasi il racconto e romanzo in versi di una vicenda che riduce il poeta all'attesa amorosa, al ricordo dell'amore per un corpo efebico sempre pronto a sfuggirgli, a lusingarlo, a scomparire.
Un'altra vicenda, che consente all'autore di trovare il proprio riscatto nella sofferenza, anima la sezione che dà il titolo al volume, rievocazione di un impossibile amore per una Donna prossima a morte o già scomparsa nella morte definitiva. Di questo amore il poeta ricorda i sensi che non poterono congiungersi, ma anche i sentimenti che suscitarono l'idillio e a momenti la passione, ora angelica e ora diabolica, che sapeva divenire musica di grande orchestra. È qui. certo, uno dei luoghi più alti della poesia di Bellezza, dominata in tutto il libro da un'ombra di malinconia. Un alternarsi di accensioni, di invocazioni che sanno infine aprirsi alla meditazione, al grido dell'equilibrio ferito, della sua declamata commedia.
(Dal risvolto di copertina.)



Erwin Osen (1910)

Forse m'impiglio in pigrizia, non riesco
a salire le scale per giovani giochi;
ormai legato da rabbia, intossicato
non guardo più né quasi parlo.
Vorrei perdermi in immagini e ricordi
se danno pace al cuore, non
dimenticati: un fiume lento verso sera
a Roma città di una vita.


Ritratto di Karl Zakovsek (1910)

Li saluto tutti come da una partenza
senza ritorno, senza pianti speciali
o maledizioni per il mare lasciato
indietro; per il mare che ci sanò,
per il sale che ci seccò; per la vita
stessa che non urla più niente
dentro tranne la vita del giorno dopo
con un cappuccino in mano e una siringa
d'ospedale per risparmiare l'infermiera.

Forse saliremo scale dirupate
precipitando salendo immortali
inquisendo ragazzi selvaggi
e tuguri pieni di giornali.


Autoritratto con una mano sulla guancia (1910)

Cerchi solitudine, e la trovi
nel silenzio assoluto della casa
inquieto di saperti solo e imperfetto:
nutrendoti di questa solitudine
che ti sfiora le meningi ben protette
dal tardo sfogo dei pensieri autunnali.

Intendi: autunno come crepuscolo
del vivere, ormai andato, senza vita
lì: tu che amasti in ansia le certe
presenze del nemico che rincuorava
a morire nel fracasso, nella compagnia.

Ora sei solo. E strepiti invano,
nessuno sente, e urlare come un cane
addolorato per sentieri fangosi
in una campagna calma e notturna,
nel freddo, d'inverno, scivolando le scarpe
scivolando impietrite, è il massimo
d'avventura riservata dagli Dèi vendicatori
a chi s'oppose alla norma, all'incerto
perdersi nel quotidiano fervore.


Gli eremiti (1912)

Anima vedova senza veggenza
anima irosa e sconfitta -
una donna vecchia sotto ondeggia
passando in lacrime - tu t'innamori
il cielo è limpido - un cielo
d'estate. Tutto è spento
dentro, persino l'estasi finale...



Il prigioniero (1915)

O verde senza passione per chi lo scaccia
assassino assassinato dal verde tenero
dei prati e viali di Militello:
ricordo allora più alte estati
nella sacra montagna che attraverso
il verde sospingeva il fiore, la vita
sospingendo. Io so che la leggenda
non finisce qui, nella natura, la mia
leggenda ascolta dunque

O alberi fuggitivi e irraggiungibili
cari alberi di vita e sogno per le estati
restate dove siete, non vi scacci
la tetra follia umana, l'incertezza
sconvolta del domani! O alberi
fortunati preziosi immortali
non vi uccida del tutto la furia bieca
dei vivi nati morti, degli infami
che cercano di perpetuarsi nell'immondo
quadro delle speranze decapitate
per fare una legna inutile, già bruciata!

O alberi pietre acque della montagna
dilavata dai miei sogni di Furia
scivolate via dal mondo ferito
l'uomo non merita carità o sorpresa:
pietà inservibili, lucide stranezze
dello ieri
ormai spente dall'Angelo della Morte!

Io, tu, fratelli e amici saremo
abbracciati nello scandalo finale, e tu
che ami il sacro monte ascendere
infuria, adolescente inquieto, proibisci
lo scempio delle divinità salutari
e boschive, mentre consapevoli
scivoleremo.


Autoritratto nudo (1910)

Il tuo corpo adorato più non tocco.
Qualcuno lo bacia: me lo ha rubato.
Resta soltanto nella stanza
il tuo odore, gli ultimi vestiti
smessi; un paio di mutandine.

Amore senza indugio con l'acqua
che bolliva sul gas per gli sporchi
capelli, di lontano nella pentola -
borbottando ci chiama senza rancore
di essere lasciata H a consumare
tutta la sua bollente acqua
un attimo prima gelida.

Casa aperta ai rumori dei pazzi ospiti
e delle muse assolute, te
circuito di certo mentre io
scrivevo nella mia nuova stanza.
Per te ho cambiato casa. Ti ho
la chiave dato. E te ne vai
lo stesso in giro e mi lasci solo.


Nudo maschile in piedi, visto da tergo (1910)

AD HART CRANE
Terribile Eros, o angoscia
angoscia, gioia del sesso
poco prima che lo tocchi l'eccesso!

Mutante, ascoltami; mutante perdimi
quando il ragazzo mattutino
rischiara il suo volto magro
di sfortuna, viene, sviene, rinviene
nel letto caldo di mattino
a piangere il suo ardore
che corre lento, senza sensualità
puro niente innamorato di sé
e basta!

Così gridasti Hart, o caro Hart
poeta americano morto suicida
così gridasti al vento notturno
dal gran ponte precipitando
nell'abisso funereo della notte.


Preghiera (1913)

SOTTOPONTE
Ad Aldo Busi


Notturno orinatoio autunnale
nella sera fredda dai tersi colori
nella notte che cala senza fretta,
dove un ragazzo passa -
gli occhi umidi, cerchiati e irraggiungibili
dell'innocenza più pura di pietà! -
la carità, l'obolo dell'eros concedi
a quanti infreddoliti questuanti, furtivi
passanti del marciapiede più indulgente
ai passi strascicati, maniaci, derelitti
ai passi veloci per scendere le scale
che portano al ponte delle abominazioni:
superbia di chiedere alla strage paterna
degli idoli, alla notturna, dolcissima
religio.

Mano materna e umile, sottoponte,
accompagna il canto dei condannati
nell'umidità secca e scandita
nel batticuore dai rumori più intollerabili,
deciso a palpitazioni più veloci
per la cattiva polizia che s'aggira!
Dove allora si dirige la rivalità
ilare dei perduti,
delle pane smaniose di carneficina
che la tranquillità polverosa di pescatori
seduti sul bordo del fiume
a contemplare l'acqua lucida di stelle
allontana di qualche soave metro, -
tracotanti di malafede per qualche
creatura teneramente affaticata
dal suo segreto seme disperatamente
disputato?


Il danzatore (1913)

Il porto clandestino ai baci
e le mosse ilari e ebbre
delle tue mani.

Divento sempre più oscuro
in chiusi versi di pena.

M'incalzano poche sere
che distillano ere
perdute, incidenti
sapienti, preghiere
dimenticate dal rimorso
di non credere a niente.

Dio m'ascolta
o il Tempo, Dio mi sente
se cade una stella sfrigolando
dal cielo gaudioso degli eletti.


Figura maschile in piedi (Autoritratto) - 1914

Come non è vera la verità raccontata
su dite! Come viaggio mite adesso
fra giornate tutte uguali, nel deserto,
solo, abbarbicato ad una fortuna
che mi volle poeta inguaribile e bastardo.

Apro le porte al sentimento; il cuore basta!
Basta il cuore scorando, oscena e celeste
deità, devi, come me, espiare la colpa
di non amarti, la nonamata!: lasciare
la terra che ti diede natali luttuosi
e impauriti; lieve uscire fuori
per sempre da ciò che ricorda, col pugno
chiuso, la vita. Non si può vivere
di passato né coltivare lo splendore
della memoria, né amare i mortali.


Fanciullo con vestito alla marinara (1915)

È di aprile il sereno cielo
che di notte scandisce i profumati
giardini in buia sera. Di giorno
la demonìa col reale diventa fantasma
come il cielo, e la diversità, norma
sia pure con te, amica notturna
che non vorrei più vedere
per non sentirmi troppo normale,
riconoscermi, austero e giocoso,
un normale amante di donna,
o un volgare illuso innamorato.

La gelosia invade il mio cielo,
e non lo rasserena. Contemplo
il sole in alto già che non riscalda
il cuore gelido, mi attacco
al poco che resta oltre la cenere,
dopo il verde diluvio delle foglie
sull'anima primaverile dell'anno
in corso, in fretta fredda
verso il coro degli amanti
diabolici e incomprensibili.


Erich Lederer (1918)


L'ESTREMO RIPOSO

Non posso pensare al futuro. L'amata
lì invecchiando scompare, e io grido
per la sua morte e la mia. O celeste
verità sorreggimi, ricorda il fraterno
cappotto messo al silenzio di una domenica!

Ascolta la voce tremante e ragazza
di me infermo nel trapassato remoto
incedere di una donna verso la morte.
E un amante trepido e pentito
e materno troppo, troppo tardi!

Che risoluzione triste il vivere
aspettando la morte! Allora
vorrei finire come un amico poeta
seguendo i cani dal tempio del male
al mare turchino senza vele
di un novembre iniziatico ai morti!

Tutti morti, e i posteri leggeranno
l'addio; io sono colui che è
ma non sarà nell'estremo riposo!

 

1985


Nudo che si sorregge, visto da tergo (1910)

Che si spezzi il cuore
affidato ad un corpo
che vuole e non vuole morire;
anzi disvuole volendo la morte
tacita e notturna, in una stanza
nottivaga, libera da storie
magica stanza inquieta nella mano
palpitante e sincera la mano
che calza la mattina, la copre
le coperte sventagliate al sole
che sta lì dinanzi al vento
di albe e mattine.


Nudo maschile seduto (Autoritratto) - 1910

PER SEMPRE

Eri una emozione per vivere,

per stridere durante il pasto
serale. Era emozionante ricevere
posta. La mattina in fretta
le scale scendevo e lì
trovavo le ingiurie tue
alla mortale natalità.

Accuse per andare avanti.
Ma dopo ti rendevi inquieta
al delitto del non detto
se non rispondevo per le rime.
O rima che dirti non sapevo
senza la fuga in avanti
di terzine squilibrate
sul dolce stil vecchio della
Musa canterina a presiedere
gli ozi di Sodoma. Dirti
che ero pieno di sonno
se l'immortalità era un pio
desiderio, lugubre sospiro
ti avrebbe annoiato.

Talvolta una stradina
mi risucchia indenne
dove non alberga strepito di auto;
allora sciolto dai tuoi lunghi
sensi camminare ti vedo per sempre.


Gestante e Morte (Madre e Morte) - 1911