MARC-ANDRÉ DALBAVIE

GESUALDO



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UNA PRIMA MONDIALE MEMORABILE
Gesualdo di Marc-André Dalbavie all’Opernhaus di Zurigo

Sabato 9 ottobre è andata in scena all’Opernhaus di Zurigo la prima mondiale di Gesualdo, opera in tre atti di Marc-André Dalbavie, incentrata sulla figura del geniale e profetico musicista rinascimentale, la cui fama è legata anche alla cronaca nera: nel 1590 infatti trucidò barbaramente la moglie fedifraga Maria d’Avalos e il suo amante Fabrizio Carafa.
Il romanziere e saggista Richard Millet, autore del magnifico libretto, degno di rappresentazione teatrale anche senza musica, non pone al centro dell’azione questi delitti, ma l’ultimo, tormentato periodo della vita del compositore, prostrato dalla malattia, in preda a sfrenata lussuria (fu amante di Francesca, ancella della moglie Eleonora d’Este e del giovane servitore Castelvietro), ma nel contempo bramoso di terribili flagellazioni (vedi foto di scena), perseguitato da incubi e ossessioni... Isolato nel castello che porta il suo stesso nome, Gesualdo sembra trovare conforto soltanto nella musica, ma alla fine, disperato, invoca il silenzio: Non, pas de musique, plus de musique, rien, le silence. La musique ne sauve de rien.

Nella raffinatissima partitura, Dalbavie fonde magistralmente il suo peculiare mondo sonoro con evocazioni della musica tenebrosa di Gesualdo, anche attraverso vere e proprie citazioni, interpretate da un piccolo coro di madrigalisti.
I violenti climax orchestrali, così come il declamato sul piano vocale, risentono invece dell’influsso della musica francese del Novecento, in particolare del Pelléas di Debussy e del San Francesco d’Assisi di Messiaen, senza che venga mai compromessa l’originalità dell’insieme.
Si tratta dunque di un’opera di notevole spessore drammaturgico e musicale, destinata a entrare ben presto nel grande repertorio lirico.
Sul podio il compositore stesso, padrone assoluto della monumentale partitura (non sempre i compositori sono i migliori interpreti delle proprie opere, ma Dalbavie è stato allievo, tra gli altri, di Pierre Boulez…): anche grazie alla formidabile performance dell’Orchester der Oper Zürich in tutti i suoi settori (semplicemente sbalorditivi gli ottoni), Dalbavie conferisce all’opera un potente respiro unitario e universale.
Il dramma esistenzale di Gesualdo riceve impressionante rilievo dal fraseggio scabro, tormentato del baritono americano Rod Gilfry, artefice di una tra le sue più alte interpretazioni.
Eccellenti anche gli altri interpreti, in particolare Liliana Nikiteanu (Eleonora, seconda moglie di Gesualdo, Benjamin Bernheim (il figlio Emmanuele) e Hélène Couture (Francesca).
La mise-en-scène di Moshe Leiser e Patrice Caurier, considerati tra i registi più creativi della nostra epoca, evidenzia mirabilmente le atmosfere cupe del dramma e i rapporti spesso morbosi tra il protagonista e i personaggi che lo circondano. Tra naturalismo e simbolismo le scene di Christian Fenouillat. Del tutto pertinenti alla regia e alla scenografia i bellissimi i costumi di Agostino Cavalca.
Spettacolo di gran classe, da non perdere per chi ama avventurarsi nel dedalo della musica contemporanea. Pubblico piacevolmente sorpreso ed entusiasta.

Laureto Rodoni



GIANNI ZANARINI
LA MUSICA SPETTRALE
*

Agli inizi degli anni settanta del novecento, Gérard Grisey (allievo di Olivier Messiaen) segue alla Sorbona i corsi di acustica di Emile Leipp. Lì, tra l’altro, approfondisce le analisi spettrali dei suoni strumentali, esaminandone i sonogrammi, e si avvicina allo studio scientifico della percezione acustica. Può così verificare che l’immagine del suono che era stata proposta dalla scienza tradizionale (e ripresa dall’insegnamento di Conservatorio) era ipersemplificata: il suono era come “appiattito” in una semplice sovrapposizione di armonici simultanei di frequenza costante. L’analisi sonografica, invece, permette di osservare la straordinaria complessità dei suoni reali: essi si rivelano mutevoli, instabili, cangianti, transitori, dinamici.
Insieme ad altri giovani musicisti (tra cui Hugues Dufourt e Tristan Murail), Grisey fonda nel 1973 il gruppo Itinéraire. Questo gruppo ha stretti contatti con l’Ircam, un importante centro di ricerca che viene fondato a Parigi nel 1975, e in particolare con Risset, che opera all’Ircam per diversi anni, e (attraverso concerti e conferenze) propone un intreccio molto stretto tra scienza dei suoni e pratica compositiva).
Il programma compositivo di Grisey è assai particolare, e insieme assai aderente a questa esperienza di analisi. Egli immagina infatti di riproporre la “vita dei suoni” ricostruendoli per mezzo di suoni orchestrali, ossia per mezzo degli strumenti, e dilatando il tempo della loro dinamica, in modo che i microfenomeni che differenziano un suono “vivo” da un suono “morto” possano più facilmente venire messi in evidenza. E il suono “vivo”, come accade in alcune composizioni di Grisey, può essere anche una sola nota, ricostruita artificialmente attraverso l’orchestra.
Per la prima volta un compositore si ispira in modo esplicito e rigoroso ai parametri del timbro per
costruire la sua orchestrazione e generare i suoi modelli armonici. […] Gérard Grisey realizza il passaggio tra timbro come colore e timbro come materiale formale. [1]
Lo stesso Grisey è esplicito su questo punto, aggiungendo una considerazione fondamentale relativa al
ruolo dell’elaboratore elettronico.
Da qualche anno, l’elettronica ci permette un ascolto “microfonico” del suono. L’interno stesso del suono, nascosto e occultato da parecchi secoli da pratiche essenzialmente macrofoniche è infine proposto alla nostra meraviglia. D’altra parte, l’elaboratore ci permette di affrontare campi di timbri “inauditi” fino a oggi e di analizzarne in dettaglio la composizione. L’incontro con questo nuovo campo acustico ancora vergine ha rinnovato il nostro ascolto e ha determinato forme nuovo: finalmente è divenuto possibile esplorare l’interno di un suono ampliandone la durata e viaggiare dal macrofonico al microfonico. [2]
In questo modo, la struttura armonica non è più il risultato di una combinatoria o comunque delle regole di un linguaggio specialistico, ma si costruisce a partire dagli spettri strumentali. Di qui il nome, coniato da Hugues Dufourt, di “musica spettrale”. I suoni fondamentali delle note suonate dagli strumenti sono infatti in molti casi i suoni parziali di specifici spettri acustici, e l’orchestrazione riproduce anche le ampiezze delle componenti parziali fornite dai sonogrammi.
È importante sottolineare che solo in prima approssimazione lo spettro è un accordo. La differenza è, appunto, nell’andamento temporale. A differenza dell’accordo, che è un oggetto linguistico, il suono è un oggetto dinamico e mutevole del mondo reale. Dunque, il materiale su cui lavora la musica spettrale è il continuo divenire degli spettri sonori: il pentagramma sarà una rappresentazione schematica dei sonogrammi e la “macrosintesi” sonora sarà il nuovo nome dell’orchestrazione del novecento.

Soltanto la sintesi elettronica e la sintesi strumentale ci permettono di affrontare questa dimensione nuova. Nella sintesi strumentale […] sono gli strumenti che esprimono le componenti del suono; a differenza della sintesi elettronica, queste componenti sono così complesse che già costituiscono una microsintesi. Per distinguerla da quest’ultima, chiameremo dunque macrosintesi la sintesi sonora orientata alla elaborazione delle forme sonore. […] Lo strumento, come microsintesi e sorgente complessa, sarà utilizzato per le sue qualità specifiche e non per le sue connotazioni culturali (i flauti idillici, l’oboe campestre, il corno lontano, ecc.).
Così l’analisi spettrale degli strumenti diviene il complemento indispensabile ai trattati di orchestrazione
ormai superati che però i compositori del ventesimo secolo usano ancora. Ad esempio, un suono di clarinetto il cui terzo armonico è piuttosto penetrante, o il suono di una tromba la cui sordina filtra una regione di 3000 o 4000 Hertz troveranno finalmente il loro posto nella sintesi strumentale proprio per la loro distribuzione di energia e non per colorare un’armonia o costruire artigianalmente un bel timbro!

Si realizza così una profonda rivisitazione del materiale tradizionale con “orecchi nuovi”, un inedito
utilizzo a fini espressivi non soltanto della materialità dei suoni, ma della loro irriducibile (e, in passato,
imprevedibile) complessità.


[1] M.A.Dalbavie, “Pour sortir de l’avant-garde”, in J-B.Barrière (a cura di), Le timbre. Métaphore pour la composition, Christian Bourgois, Paris, 1991.
[2] J.C.Risset, “Timbre et synthèse des sons”, in J-B.Barrière (a cura di), Le timbre. Métaphore pour la
composition, Christian Bourgois, Paris, 1991.
[3] G.Grisey, “Structuration des timbres dans la musique instrumentale”, in J-B.Barrière (a cura di), Le timbre. Métaphore pour la composition, Christian Bourgois,

* Nel mio articolo su Gesualdo, "spettrale" riferito alla musica del compositore rinascimentale è usato nel senso di "tenebrosa", "cupa", in riferimento alle sue Tenebrae. Per evitare un malinteso ho pubblicato una introduzione alla "musica spettrale", a cui fa riferimanto anche Dalbavie.



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CASTELLO DI GESUALDO

Il castello di Gesualdo presenta una forma irregolare quasi pentagonale, con quattro torri di forma circolare, ubicate agli angoli della costruzione, collegate tra loro da mura. Nel mezzo della corte interna si trova un pozzo di buona fattura.
L'origine del castello non è certa, longobarda o normanna, anche se la forma darebbe qualche indizio...
Il castello, parzialmente distrutto dagli aragonesi verso la seconda metà del XV sec., venne riparato e ricostruito nel 1470. Nel '600, il Principe Carlo Gesualdo volle la sua trasformazione da fortezza a palazzo gentilizio, per stabilirne la sua dimora.