HEINRICH HEINE

FAUST. POEMA DANZATO

Nota introduttiva

Il signor Lumley, direttore del teatro di sua maestà la regina a Londra, mi aveva invitato a scrivere un balletto per le sue scene; fu quindi per suo desiderio che composi questo poema. Lo intitolai Il dottor Faust, poema danzato. Esso però non è mai stato rappresentato, in parte perché nella stagione per la quale era stato annunciato il successo senza precedenti del cosiddetto usignolo svedese aveva reso superflua ogni altra esibizione nel teatro della regina; in parte perché il maestro di ballo, per esprit de corp de ballet, aveva creato impedimenti e ritardi con ogni possibile cattiveria. Questo maestro di ballo infatti considerava pericolosa l'innovazione che per una volta l'autore del libretto per un ballo fosse un poeta, mentre fino allora produzioni del genere erano state fornite da scimmie danzanti della sua specie, in collaborazione con qualche meschina anima di letterato. Povero Faust! Povero maestro stregone! In questo modo dovesti rinunciare all'onore di esibire le tue arti di magia nera davanti alla grande Vittoria d'Inghilterra! Avrai più fortuna in patria? Se, contrariamente ad ogni mia aspettativa, un qualsiasi teatro tedesco dovesse dimostrare il suo buon gusto rappresentando la mia opera, prego la pregevolissima direzione di non dimenticare, in questa occasione, di far pervenire a me o ai miei legittimi eredi i diritti d'autore, tramite la libreria di Hoffman e Campe ad Amburgo. Non considero superfluo far presente che io, per assicurare i diritti del mio balletto in Francia, ho già dato alle stampe una traduzione francese ed ho depositato nel luogo dovuto il numero di copie prescritto dalla legge.
Quando ebbi il piacere di consegnare al signor Lumley il manoscritto del mio balletto e conversammo, davanti ad una profumata tazza di tè, sullo spirito della leggenda di Faust ed il mio modo di interpretarla, il brillante impresario mi pregò di scrivere per somme linee la nostra conversazione, perché in seguito voleva arricchirne un libretto, che aveva intenzione di offrire al pubblico la sera della rappresentazione. Obbedendo alla sua gentile richiesta, scrissi la lettera a Lumley che riporto abbreviata alla fine del poema danzato, perché forse queste pagine frettolose potranno interessare anche il lettore tedesco.
Nella lettera a Lumley ho accennato solo scarsamente sia al Faust storico che a quello mitico. Riguardo all'origine e all'evoluzione della leggenda del Faust, della favola del Faust, non posso fare a meno di riassumere brevemente il risultato delle mie ricerche.
La base della favola di Faust non deve essere considerata la leggenda di Teofilo, siniscalco del vescovo di Adama in Sicilia, bensì un'antica versione drammatica anglosassone. Nel poema di Teofilo, ancora conservato in basso tedesco, arcaismi sassoni o anglosassoni, parole pietrificate, frasi fossilizzate, dimostrano che il poema è soltanto l'imitazione di un originale più antico e andato perduto col tempo. Poco dopo l'invasione dell'Inghilterra da parte dei normanni francesi il poema anglosassone doveva esistere ancora, perché esso venne palesemente imitato da un poeta francese, il trovatore Ruteboeuf, quasi alla lettera, e fu rappresentato in Francia come un mystère. Per chi non ha la possibilità di accedere alla raccolta di Mommerque, dove è stampato anche questo mystère, avverto che lo studioso Magnin ne ha parlato diffusamente nel «Journal des savants» circa sette anni fa. Scrivendo il suo Faust, il poeta inglese Marlowe utilizzò il mistero del trovatore Ruteboeuf, rivestendo della forma drammatica offertagli dalla versione francese, nota anche in Inghilterra, l'analoga leggenda del mago tedesco Faust, tratta da un più antico libro popolare del Faust, noto anche in Inghilterra. Il mistero di Teofilo ed il libro popolare di Faust sono dunque i due elementi che hanno dato origine al Faust di Marlowe. Il suo eroe non è più un empio che si ribella contro il cielo e che, sedotto da un mago e per brama di beni terreni, cede l'anima al diavolo, ma alla fine viene salvato dalla grazia della madre di Dio, che scende all'inferno per riprendere il patto infernale: l'eroe del dramma è lui stesso un mago; in lui, come nel negromante del libro di Faust, si riassumono le leggende di tutti gli stregoni precedenti, ed egli esibisce le loro arti davanti alle più alte autorità. Questo accade in terra protestante, che la salvatrice madre di Dio non può calpestare, e perciò il diavolo si porta via il mago senza grazia né misericordia. I teatri di marionette che fiorivano a Londra all'epoca di Shakespeare e s'impadronivano subito di qualunque dramma avesse avuto successo nei grandi teatri, avranno certamente rappresentato un Faust sul modello di quello di Marlowe, facendone una parodia più o meno seria o adattandolo alle esigenze locali, o facendolo addirittura rielaborare dall'autore stesso per i bisogni del loro pubblico, come spesso accadeva. Proprio questo Faust del teatro di marionette arrivò sul continente dall'Inghilterra, passando per i Paesi Bassi, raggiunse i baracconi delle fiere della nostra patria e, tradotto in un rozzo dialetto tedesco e infarcito di buffonerie tedesche, divertì gli strati più bassi del popolo tedesco. Nonostante la diversità delle versioni che si venne formando col tempo, soprattutto per le improvvisazioni, esso rimase sostanzialmente invariato e fu proprio da uno di questi drammi di marionette, che Wolfgang Goethe vide rappresentato in un angolo di strada a Strasburgo, che il grande poeta ha tratto la forma e il contenuto del suo capolavoro. Questo è evidente soprattutto nella prima e frammentaria edizione del Faust goethiano, perché vi mancano ancora l'introduzione tratta dalla Sakuntala e un prologo sul modello del libro di Giobbe; esso non si scosta dalla semplicità del teatro di marionette e non vi si trova alcun motivo essenziale, dal quale si possa dedurre una conoscenza degli antichi libri originali di Spiess e Widmann.
Questa è la genesi della favola di Faust, dal poema di Teofilo a Goethe, che l'ha portata alla popolarità odierna. Abramo generò Isacco, Isacco Giacobbe, ma Giacobbe generò Giuda, e nelle sue mani lo scettro rimarrà in eterno. Come nella vita, anche in letteratura ogni figlio ha un padre, che certamente non conosce sempre o che addirittura vorrebbe rinnegare.

Scritta a Parigi il 1º ottobre 1851.

 

Faust

Poema danzato

Mi hai evocato dalla tomba
con la tua magica volontà,
mi hai rianimato con ardore e
voluttà che ora non sai placare.
Premi la tua bocca sulla mia,
il fiato umano è cosa divina!
Io ti succhio l'anima,
perché i morti sono insaziabili.

Heine, Neue Gedichte

 

Atto primo

Un grande studio a volta, in stile gotico. Illuminazione scarsa. Lungo le pareti librerie, strumenti di astrologia ed alchimia (mappamondo e planisferio, figure di pianeti, storte ed alambicchi strani), preparati anatomici (scheletri umani e di animali) ed i soliti accessori della negromanzia.
Suona la mezzanotte. Ad un tavolo coperto di mucchi di libri e strumenti di fisica siede pensieroso su un alto seggiolone il dottor Faust. Indossa il vecchio abito dei dotti tedeschi del sedicesimo secolo.
 Infine si alza e va barcollando con passi incerti fino ad una libreria, dove c'è un grande in folio fermato con una catena; apre la serratura e trascina il libro liberato dalla catena verso il tavolo (si tratta della cosiddetta Chiave dell'inferno). Da tutto il suo atteggiamento e dalla sua persona traspare un misto di imbarazzo e di coraggio, di goffaggine da apprendista e di altezzoso orgoglio dottorale. Egli accende qualche luce, traccia con la spada diversi segni magici sul pavimento, apre il librone e i suoi gesti tradiscono l'intimo brivido dell'evocazione. La stanza si oscura; fra lampi e tuoni una tigre rossa balza dal pavimento che si è spalancato con frastuono. Faust non appare affatto spaventato a quella vista, va incontro alla bestia fiammeggiante con disprezzo e sembra che le ordini di sparire subito; essa infatti sprofonda nella terra. Faust ricomincia i suoi esorcismi e dai pavimento spalancato balza un enorme serpente che, torcendosi in spire minacciose, sibilando sputa fuoco e fiamme. Ma il dottore lo affronta con disprezzo, fa spallucce, ride e schernisce lo spirito infernale, perché non è capace di apparire con un aspetto più minaccioso, e anche il serpente striscia di nuovo sotto terra. Faust riprende con nuova lena i suoi esorcismi, ma questa volta l'oscurità dilegua improvvisamente, mentre la stanza risplende di innumerevoli luci e invece della tempesta risuona una dolce musica da ballo; dal pavimento spalancato, come da un cesto di fiori, esce una ballerina vestita del solito costume di maglia e velo, che si mette a volteggiare con le più banali piroette.
Faust rimane sconcertato che il diavolo da lui evocaro non abbia saputo assumere un aspetto più sinistro di quello di una ballerina, ma poi l'apparizione finisce per piacergli, e fa una riverenza a lei che sorride con grazia. Mefistofele, o meglio Mefistofela, come dobbiamo chiamare d'ora in poi il diavolo fattosi donna, ricambia scherzosamente la riverenza e si mette a ballargli attorno con civetteria. Con una bacchetta magica che ha in mano trasforma gradevolmente tutto ciò che tocca nella stanza, ma in modo che la forma originaria degli oggetti non scompaia del tutto: per esempio le figure oscure dei pianeti si illuminano internamente di una luce variopinta, dai vasi dei feti spuntano uccelli bellissimi, le civette tengono girandole nel becco, alle pareti brillano fastosi i più preziosi arredi dorati, specchi veneziani, antichi bassorilievi, opere d'arte, tutto in un caos fantomatico, ma pur splendido, come un prodigioso arabesco. Sembra che la bella voglia stringere con Faust un patto d'amicizia, ma egli non vuole ancora firmare la pergamena con la terribile cessione che essa gli presenta. Egli esige di vedere anche le altre potenze infernali e queste, i principi delle tenebre, balzano subito dal pavimento. Sono mostri con musi d'animali, ibridi favolosi, grotteschi e terribili nello stesso tempo, e per lo più con la corona in testa e lo scettro fra le zampe. Mefistofela presenta loro Faust, una presentazione eseguita con la più rigorosa etichetta di corte. Dimenandosi cerimoniosamente, le maestà infernali iniziano le loro goffe danze, ma quando Mefistofela le tocca con la bacchetta magica, le spoglie orrende cadono ed anch'esse si trasformano in leggiadre ballerine che volteggiano in maglia, velo e con ghirlande di fiori. Faust è estasiato di questa metamorfosi, ma sembra che fra tutte, quelle graziose diavolesse non ce ne sia nemmeno una completamente di suo gusto. Mefistofela se ne accorge e agita di nuovo la bacchetta: in uno specchio, apparso già prima magicamente sulla parete, si vede l'immagine di una donna meravigliosa in abito da corte e con una corona ducale in capo. Appena la vede, Faust è trascinato dall'ammirazione e rapito si avvicina alla dolce immagine con espressione di tenerezza e di desiderio. Ma la donna nello specchio, che ora si muove come se fosse viva, lo respinge arricciando il naso altezzosa; egli le si inginocchia davanti supplichevole, ma lei esprime il suo disprezzo in maniera ancora più offensiva.
Allora il povero dottore si rivolge a Mefistofela con sguardi supplichevoli, ai quali essa risponde con una maliziosa alzata di spalle, e agita la sua bacchetta magica. Subito appare dal pavimento una brutta scimmia, visibile fino ai fianchi; ma ad un segno di Mefistofela, che scuote stizzita la testa, essa sprofonda nel pavimento, da dove balza immediatamente un bel ballerino snello, che esegue i passi più semplici. Il ballerino si avvicina all'immagine dello specchio e le porge i suoi omaggi d'amore con sciocca sufficienza, mentre la bella donna gli sorride dolcissimamente, tende verso di lui le braccia con desiderio struggente e non finisce di dimostrargli la sua tenerezza. A questa vista Faust si lascia vincere da una furiosa disperazione, ma Mefistofela ha pietà di lui e tocca con la bacchetta magica il felice ballerino, che sprofonda subito sotto terra dopo essersi trasformato in una scimmia ed aver lasciato sul pavimento il suo costume da ballerino. Ora Mefistofela porge di nuovo a Faust la pergamena; egli, senza pensarci a lungo, si apre una vena sul braccio e firma col sangue il contratto secondo il quale, in cambio degli effimeri godimenti terreni, rinuncia alla beatitudine celeste. Getta subito via il serio e dignitoso abito da dottore e indossa il peccaminoso e variopinto costume che il ballerino ha lasciato sul pavimento. Il frivolo corps de ballet infernale lo aiuta in questa vestizione, che avviene in modo molto maldestro.
Ora Mefistofela dà a Faust lezione di danza, mostrandogli tutte le astuzie del mestiere, i giochi di mano o meglio di piede. Il dotto così goffo e rigido che vuole imitare passi leggeri ed aggraziati crea dei contrasti divertenti. Le ballerine diaboliche tentano di aiutarlo anche qui, ciascuna cerca di chiarire la lezione con l'esempio, una getta il povero dottore nelle braccia dell'altra, che si mette a piroettare con lui; egli viene trascinato qua e là ma poi, grazie alla potenza dell'amore ed alla bacchetta magica, che rende a poco a poco più snodate le membra impacciate, l'allievo di danza raggiunge ben presto la perfezione: esegue un brillante pas de deux con Mefistofela, e con gioia delle sue compagne d'arte volteggia con loro nelle figure più sorprendenti. Raggiunto un tale virtuosismo, osa presentarsi come ballerino anche alla bella immagine femminile dello specchio magico, ed essa risponde alla sua passione manifestata danzando con i gesti dell'amore più ardente. Faust continua a danzare, mentre la sua anima è pervasa da una crescente ebbrezza; ma Mefistofela lo strappa dall'immagine dello specchio, che scompare al tocco della sua bacchetta magica, per continuare l'insegnamento di danza superiore dell'antica scuola classica.

 

Atto secondo

Grande piazza davanti ad un castello, visibile a destra. Sulla scalinata, circondati dai loro cortigiani, dame e cavalieri, il duca e la duchessa siedono su alti troni; lui è un rigido signore piuttosto anziano, lei una giovane donna florida che sembra il ritratto dell'immagine nello specchio magico del primo atto. Si nota che il piede sinistro calza una scarpina d'oro.
La scena è decorata splendidamente per una festa di corte. Viene rappresentata una commedia pastorale, secondo il più antico gusto rococò: graziosa insulsaggine e galante innocenza. Questo sdolcinato e lezioso balletto arcade viene improvvisamente interrotto e disperso dall'arrivo di Faust e Mefistofela, che fanno il loro ingresso trionfale in costume di danza con il seguito delle ballerine diaboliche, tra il giubilo delle fanfare. Faust e Mefistofela danzano la loro riverenza davanti alla coppia principesca, ma Faust e la duchessa, guardandosi da vicino sono come colpiti da un gioioso ricordo, poi si riconoscono e si scambiano occhiate tenere. Il duca invece sembra accogliere con particolare benevolenza l'omaggio di Mefistofela. In uno sfrenato pas de deux, che questa ultima esegue con Faust, tutti e due osservano soprattutto la coppia principesca, e mentre al loro posto cominciano a danzare le ballerine diaboliche, Mefistofela vezzeggia il duca e Faust la duchessa; Mefistofela, che risponde con ironiche smancerie alle legnose e stucchevoli galanterie del duca, sembra voler mettere in caricatura l'esaltata passione dei due.
Infine il duca si rivolge a Faust e gli chiede di mostrargli il re David che danza davanti all'arca dell'alleanza, come prova delle sue arti magiche. A questo ordine eccelso, Faust prende la bacchetta magica dalle mani di Mefistofela, l'agita per il rito di evocazione: la terra si spalanca e ne esce il gruppo evocato. Sopra un carro trainato da leviti sta l'arca dell'alleanza e davanti ad essa danza il re David divertito e burlone, vestito bizzarramente come un re delle carte; dietro la sacra arca saltellano qua e là le guardie del corpo reali, vestite come gli ebrei polacchi in lunghi caffettani penzolanti di seta nera, con alti berretti di pelliccia sulle teste dondolanti dalla barbetta a punta.
Faust e Mefistofela si lanciano nuovamente in un brillante pas de deux, durante il quale uno circuisce la duchessa e l'altra il duca con una mimica così amorosa che la nobile coppia alla fine non resiste più e, alzandosi dai seggi, si unisce alla loro danza. Drammatica quadriglia, nella quale Faust cerca di avvincere ancora di più la duchessa. Egli ha notato un segno diabolico sul suo collo e, scoprendo in tal modo che essa è una strega, le dà un appuntamento per il prossimo sabba. Lei si spaventa e vuoi negare, ma Faust le indica la scarpetta d'oro, il segno dal quale si può riconoscere la domina, la prima sposa di Satana. Scoperta in tal modo, ella accetta l'appuntamento. Intanto il duca e Mefistofela assumono di nuovo pose parodistiche, mentre le ballerine continuano la danza, dopo di che i quattro personaggi si ritirano a chiacchierare a coppie.
Il duca esige un'altra dimostrazione della sua arte magica, e allora Faust sfiora con la bacchetta le ballerine che passano volteggiando. In un attimo esse si ritrasformano nei mostri che abbiamo già visto nel primo atto e, piombando dalle evoluzioni più graziose nella ridda più informe e barocca, finiscono per sprofondare tra il bagliore delle fiamme nella terra che si spalanca. Applausi entusiasti e scroscianti; Faust e Mefistofela inchinandosi ringraziano il sovrano e il rispettabile pubblico.
Ma dopo ogni magia si accresce il folle piacere; i quattro personaggi principali si precipitano sfrenati nella danza, e nella quadriglia rinnovata la passione si manifesta con audacia sempre maggiore: Faust si inginocchia davanti alla duchessa, che manifesta il suo amore con gesti non meno compromettenti; davanti a Mefistofela sfrenata nelle sue moine sta inginocchiato il vecchio duca, simile ad un fauno lascivo; ma quando si volta per caso e sorprende la moglie e Faust in quegli atteggiamenti, salta su inferocito, sguaina la spada e vuoi trafiggere io sfacciato mago. Questi afferra subito la bacchetta magica e tocca con essa il duca: sulla sua testa spuntano immediatamente delle enormi corna di cervo e la duchessa lo afferra per le loro estremità. Sbigottimento generale dei cortigiani, che impugnano le spade e si lanciano contro Faust e Mefistofela. Faust però agita di nuovo la bacchetta magica e dallo sfondo risuonano improvvisi e bellicosi squilli di trombe: un intero squadrone di cavalieri armati dalla testa ai piedi appare allineato in assetto di guerra. Mentre i cortigiani si voltano per difendersi da questi, Faust e Mefistofela fuggono in volo su due corsieri neri, usciti dal pavimento. Nello stesso istante anche lo squadrone dei cavalieri scompare come una fantasmagoria.

 

Atto terzo

Scena notturna del sabba delle streghe: un vasto pianoro montano; ai due lati alberi, dai cui rami pendono strani lampioni che illuminano la scena; al centro una tribuna di pietra simile ad un altare, sul quale c'è un grosso caprone nero dal volto umano e anch'esso nero, con un cero acceso fra le corna. Sullo sfondo montagne che, innalzandosi a poco a poco, formano una specie di anfiteatro, sulle cui enormi gradinate siedono come spettatori i notabili dell'inferno, cioè quei principi infernali che abbiamo già visto negli atti precedenti e che qui appaiono ancora più giganteschi. Sugli alberi già menzionati sono appollaiati dei suonatori dal volto da uccello, con bizzarri strumenti a fiato ed a corda. La scena è abbastanza animata da gruppi che danzano; i costumi ricordano paesi ed epoche diverse, tutta l'assemblea somiglia ad un ballo in maschera, tanto più the molti sono davvero mascherati e travestiti. Per quanto barocche, bizzarre e strane siano alcune di queste figure, esse non devono offendere il senso estetico, perché la brutta impressione che potrebbe suscitare il grottesco, viene mitigata o addirittura cancellata da una magnificenza favolosa o da un orrore positivo. Ogni tanto una coppia, un uomo e una donna, ciascuno con una fiaccola nera in mano, si avvìcìna all'altare del caprone, si inchina al suo posteriore e lo bacia ossequiosa. Nel frattempo arrivano attraverso l'aria nuovi ospiti a cavallo di manici di scopa, di forconi, mestoli e anche di cani e gatti. Questi nuovi arrivati trovano gli amanti già in attesa. Dopo i saluti festosi, essi si mescolano ai gruppi che stanno danzando. Anche sua altezza la duchessa arriva volando su un enorme pipistrello; è vestita il più succintamente possibile ed ha la scarpa d'oro al piede destro. Sembra che cerchi qualcuno con impazienza. Finalmente vede colui che brama, cioè Faust, che arriva volando sui corsieri neri assieme a Mefistofela; egli indossa uno splendido costume da cavaliere, mentre la sua compagna è elegantissima in un abito castigato da damigella tedesca. Faust e la duchessa si gettano l'uno nelle braccia dell'altro, e la loro indomabile passione si manifesta nelle danze più estatiche. Intanto anche Mefistofela ha trovato il cavaliere atteso, un gentiluomo magro che indossa un nero costume spagnolo col mantello e una penna rossa di gallo sul berretto; ma, mentre Faust e la duchessa percorrono nella loro danza tutta la gamma di una sincera passione, di un amore selvaggio, la danza di Mefistofela e del suo compagno, come contrasto, esprime solo la seducente galanteria, la tenera menzogna, la lascivia che fa dell'ironia su se stessa. Alla fine tutti e quattro prendono delle fiaccole nere, fanno omaggio al caprone come abbiamo già detto prima, si uniscono alla ridda di tutto il consesso che volteggia attorno all'altare. La stranezza di questa danza consiste nel fatto che i ballerini si voltano le spalle e tengono il viso rivolto all'esterno.
Faust e la duchessa, che riescono a sgattaiolare dal cerchio, raggiungono il culmine della loro ebbrezza d'amore e si perdono dietro agli alberi, sul lato della scena. La ridda ha termine, e nuovi ospiti si avvicinano all'altare per adorare il caprone; tra essi vi sono teste coronate e persino dignitari della chiesa nei loro abiti sacerdotali.
Sul proscenio intanto appaiono molti frati e suore ed i diavoli spettatori sulle cime dei monti si divertono ai loro stravaganti saltellii a tempo di polca ed applaudono con le zampe tese. Faust e la duchessa sono ricomparsi, ma il viso di lui è turbato ed egli si scosta seccato dalla donna che lo perseguita con le carezze più insistenti. Le dimostra la sua sazietà e la sua avversione nella maniera più palese. La duchessa gli si butta invano ai piedi: egli la respinge con disgusto. In quel momento appaiono tre mori in livrea d'oro con dei caproni neri ricamati, che portano alla duchessa l'ordine di presentarsi immediatamente al suo signore e padrone Satana e, poiché lei esita, ve la portano con la forza. Sullo sfondo si vede il caprone che scende dalla sua tribuna e, dopo strani complimenti, si mette a ballare il minuetto con la duchessa. Passi lenti, cerimoniosi e misurati. Il volto del caprone esprime la tristezza dell'angelo caduto e la noia profonda del principe blasé, mentre la duchessa manifesta la più sconsolata disperazione. Dopo la danza, il caprone risale sulla sua tribuna; le dame che hanno assistito allo spettacolo si inchinano alla duchessa e le fanno omaggio, poi la portano con loro. Faust è rimasto fermo sul proscenio e Mefistofela riappare mentre egli osserva il minuetto. Faust indica la duchessa con avversione e ripugnanza e sembra che racconti cose orribili sul suo conto; esprime tutta la sua ripugnanza per la mascherata che ha davanti agli occhi, per il caos gotico che gli sembra soltanto una goffa e spregevole caricatura dell'ascetismo ecclesiastico, ed altrettanto sgradevole. Sente una nostalgia infinita per la bellezza pura, per l'armonia greca, per le nobili e generose figure del mondo primaverile omerico! Mefistofela lo capisce e colpendo il suolo con la bacchetta magica, ne fa sorgere, ma anche scomparire immediatamente, l'immagine della famosa Elena di Sparta. A questo anelava il cuore dotto del dottore, che si strugge per l'ideale classico; egli fa capire il suo immenso entusiasmo; poi ad un cenno di Mefistofela ricompaiono i corsieri neri, sui quali essi si allontanano in volo. Contemporaneamente ricompare sulla scena la duchessa: assiste alla fuga dell'amato, si lascia vincere dalla disperazione e cade a terra svenuta. Mentre è in questo stato, alcune orribili figure la sollevano e, tra scherzi e lazzi, la portano in giro come in trionfo. Nuova danza delle streghe, interrotta improvvisamente dal suono squillante di un campanellino e da un corale d'organo, empia parodia della musica sacra. Tutti si affollano attorno all'altare, dove il caprone nero si dissolve in fiamme e brucia crepitando. A sipario abbassato, si sentono ancora i suoni sacrileghi, orrendi e burleschi della messa di Satana.

 

Atto quarto

Un'isola nell'arcipelago. Un pezzetto di mare smeraldino e lucente è visibile a sinistra, e spicca gradevolmente sull'azzurro turchese del cielo, la cui solare luminosità irradia un paesaggio ideale: vegetazione e architettura sono qui ellenicamente belle, come le aveva sognate un giorno il poeta dell'Odissea. Pini, allori folti e nella loro ombra bianche statue; grandi vasi di marmo con piante favolose; ghirlande di fiori si avvolgono attorno agli alberi; cascate cristalline; sul lato destro della scena un tempio di Venere Afrodite, con la sua statua che risplende dai colonnati; tutto questo è ravvivato da persone fiorenti, giovinetti in bianchi abiti festivi, fanciulle con le lievi e succinte vesti delle ninfe, il capo adorno di rose o mirti; in parte si dilettano insieme, in parte sono intenti al festoso culto della dea e intracciano danze solenni davanti al suo tempio. Ogni cosa vi è pervasa dalla serenità ellenica, da un'ambrosia e divina pace, da una pacatezza classica. Niente ricorda un fumoso aldilà, mistici brividi di piacere e di terrore, l'estasi ultraterrena di uno spirito sciolto dai vincoli corporei: qui tutto è beatitudine reale e plastica, senza malinconia per il passato, senza struggimenti che anelano al vuoto. La regina di quest'isola è Elena di Sparta, la più bella donna creata dalla poesia, che guida la danza delle sue ancelle davanti al tempio di Venere: la danza e gli atteggiamenti, in armonia con l'ambiente, sono composti, casti e solenni.
Faust e Mefistofela irrompono improvvisamente in questo mondo, scendendo in volo sui loro corsieri neri. Essi si sentono come liberati da un incubo fosco, da una malattia spregevole, da una triste follia e si ristorano tutti e due alla vista della bellezza primigenia, della genuina nobiltà. La regina e il suo seguito li accolgono andando loro incontro danzando, offrono cibi e bevande in recipienti preziosamente lavorati e li invitano a soggiornare presso di loro nella quieta isola della felicità. Faust e la sua compagna rispondono con danze gioiose e alla fine tutti si recano in corteo festoso al tempio di Venere, dove il dottore e Mefistofela si tolgono i romantici abiti medioevali per indossare vesti greche, splendidamente semplici; si presentano sul proscenio così trasformati insieme ad Elena, e intrecciano una danza mitologica a tre.
Infine Faust ed Elena si assidono su un trono a destra della scena, mentre Mefistofela, afferrando un tirso ed un tamburello, inizia una sfrenata danza da baccante. Le ancelle di Elena seguono l'esempio di questa ebbrezza, si strappano dal capo rose e mirti, intrecciano pampini nei riccioli sciolti, poi brandendo i tirsi e con i capelli al vento si abbandonano alla danza, come baccanti. Subito i giovani si armano di scudo e lancia, disperdono le fanciulle invasate dal dio e danzando fingono duelli, come nelle pantomime guerresche descritte dagli autori antichi con tanto compiacimento.
In questa pastorale eroica si può inserire anche un'antica umoresca, vale a dire una schiera di amorini, che giungono cavalcando dei cigni e iniziano anch'essi una danza, combattendo con archi e frecce. Questo spettacolo grazioso viene però turbato all'improvviso: gli amorini spaventati risalgono in fretta sui cigni e volano via quando arriva la duchessa, che giunge dall'alto su un enorme pipistrello e si precipita come una furia verso il trono, sul quale siedono tranquilli Faust ed Elena. Sembra che essa rivolga a lui i più folli rimproveri ed a lei gravi minacce. Mefistofela, che assiste con gioia maligna a tutta la scena, ricomincia la danza bacchica, alla quale si associano ancora le ancelle di Elena, in modo che queste carole festose contrastano con la collera della duchessa, quasi volessero schernirla. Quest'ultima alla fine non riesce più a frenare l'ira, agita la bacchetta magica che ha in mano, e sembra che accompagni questo gesto con le più terribili formule di esorcismo. Subito il cielo si oscura tra lampi e tuoni, le onde del mare si sollevano in burrasca e su tutta l'isola persone e cose si trasformano in maniera raccappricciante. L'uragano e la morte colpiscono ogni cosa: gli alberi sono spogli e secchi, il tempio è crollato in rovina, le statue giacciono al suolo in pezzi, la regina Elena, seduta accanto a Faust, sembra un cadavere scheletrito in un sudano bianco; le fanciulle danzanti non sono ormai che spettri scheletrici coperti di teli bianchi, che pendono dalla testa giungendo solo ai fianchi scheletriti (come si rappresentano le lamie) e con questo aspetto esse continuano le danze e i girotondi, come se niente fosse accaduto, e non si accorgono neppure della trasformazione. Ma quando Faust vede che tutta la sua felicità è stata distrutta dalla vendetta di una strega gelosa, si adira violentemente con lei, con un balzo scende dal trono con la spada sguainata e la conficca nel petto della duchessa.
Mefistofela ha richiamato i due corsieri magici, ansiosamente cerca di indurre Faust a salire in sella e finalmente fugge con lui, cavalcando nell'aria. Intanto il mare si gonfia sempre di più, sommergendo a poco a poco persone e monumenti; sembra che solo le lamie non se ne accorgano, perché continuano a danzare al gaio suono dei tamburini, finché le onde raggiungono le loro teste e tutta l'isola sprofonda nel mare. Sopra il mare battuto dalla tempesta, si vedono sfrecciare alti nell'aria Faust e Mefistofela sui loro cavalli neri.

 

Atto quinto

Un grande spiazzo davanti ad una cattedrale, di cui si vede sullo sfondo il portale gotico. Ai due lati, tigli potati con arte; sotto, a sinistra, bevono e banchettano borghesi in costume olandese del sedicesimo secolo. Lì vicino si vedono tiratori armati di balestra, che sparano contro un uccello piantato su un alto palo. Ovunque regna una festosità da fiera: baracconi, musici, marionette, buffoni che saltellano qua e là e allegre brigate. Al centro della scena un prato, dove ballano le autorità.
L'uccello viene colpito, il vincitore celebra il suo trionfo come re dei tiratori. E un birraio massiccio, con in testa un'enorme corona ornata di campanelli, la pancia e la schiena cosparsi di placche dorate, che si pavoneggia tra scampanellii e tintinnii. Lo precedono tamburini e pifferai, e anche il portabandiera, un ometto dalle gambe corte, che fa volteggiare in maniera buffissima una bandiera enorme; dietro avanza solenne la corporazione dei tiratori. La bandiera viene sventolata davanti al corpulento borgomastro e alla moglie non meno robusta, seduti sotto i tigli vicino alla figlioletta, ed il corteo si inchina pieno di rispetto. Essi rispondono al saluto, e la figlioletta, una fanciulla dai riccioli biondi che sembra uscita da un quadro della scuola olandese, porge al re dei tiratori la coppa d'onore.
Risuonano squilli di tromba, e sopra un alto carro ornato di fronde e tirato da due cavalli neri, compare l'egregio dottor Faust in un costume scarlatto da ciarlatano, con galloni d'oro; davanti al carro incede Mefistofela, che guida i cavalli, anch'essa in un vistoso abito ciarlatanesco ricco di nastri e di piume e con in mano una grande tromba, con la quale ogni tanto suona una fanfara, danzando per attirare il pubblico. La folla si addensa attorno al carro, dove il miracoloso dottore ambulante amministra ogni sorta di beveraggi e misture contro pagamento. Qualcuno gli porta da esaminare l'urina in grandi bottiglie. Ad altri cava i denti. Compie evidenti guarigioni miracolose di storpi, che si allontanano guariti danzando di gioia. Infine egli scende dal carro che si allontana, distribuisce tra la folla le sue fiale, dalle quali basta bere poche gocce per guarire da qualunque male ed essere colti da un'irrefrenabile voglia di ballare. Il re dei tiratori, che tracanna il contenuto di una fiala intera, ne subisce l'effetto magico, afferra Mefistofela ed esegue con lei un pas de deux. L'effetto eccitante del beveraggio si fa sentire anche nel borgomastro e in sua moglie, e tutti e due si abbandonano al vecchio ballo dei nonni.
Mentre tutto il pubblico gira vorticosamente nella danza più sfrenata, Faust si è avvicinato alla figlia del borgomastro e, incantato dalla sua naturale purezza, pudore e bellezza, le dichiara il suo amore e, indicando la chiesa con gesti quasi timidi e dolenti, chiede la sua mano. Egli rinnova la richiesta anche ai genitori, che si lasciano cadere sulla panca tutti affannati; essi sono contenti della proposta ed anche l'ingenua bellezza dà alla fine il suo consenso pudico. Lei e Faust vengono allora ornati con mazzi di fiori e danzano come fidanzati i loro casti imenei borghesi. Nella dolce, modesta, vita tranquilla il dottore ha trovato finalmente la felicità domestica che appaga l'anima. Sono ormai dimenticati i dubbi ed i piaceri esaltanti, anche se dolorosi, dell'orgoglio, ed egli brilla di una intima gioia, come il gallo dorato di un campanile.
Si forma il corteo nuziale con pompa festosa, e si è già avviato verso la chiesa, quando Mefistofela si presenta al fidanzato con espressione sprezzante e lo strappa al suo idillio; sembra che gli ordini di seguirla immediatamente. Faust rifiuta con uno scoppio d'ira e gli astanti rimangono sbalorditi per la scena. Ma sono colti da uno spavento anche maggiore, quando per incantesimo di Mefistofela calano improvvise le tenebre notturne e scoppia un furioso temporale. Tutti fuggono terrorizzati e si rifugiano nella chiesa vicina, dove cominciano a suonare la campana e l'organo, fondendosi in una sacra armonia, apertamente in contrasto con lo spettacolo di lampi e tuoni che si svolge sulla scena. Anche Faust, come tutti gli altri, ha tentato di rifugiarsi in grembo alla chiesa, ma una grande mano nera emersa dal suolo lo ha afferrato e trattenuto, mentre Mefistofela, con un'espressione malvagia di trionfo, estrae dal seno la pergamena che il dottore ha firmato un giorno con il sangue; gli fa vedere che il contratto è scaduto e che ormai egli appartiene all'inferno anima e corpo. Faust cerca invano di trovare delle obiezioni, di piangere e di supplicare: quel demonio in veste di donna gli danza intorno con smorfie di derisione. La terra si spalanca e ne escono gli orribili principi infernali, mostri incoronati e con lo scettro. Anch'essi scherniscono il povero dottore intrecciando una danza trionfale; Mefistofela si trasforma in un serpente orripilante e stritola Faust, avvinghiandoglisi selvaggiamente intorno. Tutto il gruppo precipita tra il crepitio delle fiamme, mentre il suono delle campane e la musica dell'organo provenienti dalla chiesa chiamano a devote preghiere cristiane.