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15:32 - domenica 12 ottobre 2008


Faust

di Ludwig Spohr (1784-1859)

libretto di Josef Karl Bernard

Opera romantica in tre atti

Prima:
Praga, St&aulm;ndetheater, 1º febbraio 1816

Personaggi:
Faust (Bar); Mephistofeles (Bar); il conte Hugo (T); Kunigunde, sua promessa (S); Gulf, cavaliere (B); Kaylinger (Bar); Wohlhaldt (T), Wagner (T), Moor (Bar), compagni di Faust; Röschen, fanciulla borghese (S); Franz, orafo (T); un paggio di Hugo (rec); un’ancella di Kunigunde (S); una voce (S); Sycorax, strega (S); un ospite (rec)

Nato da un’occasionale collaborazione con il giornalista Bernard, Faust vide la luce sotto forma di Singspiel in due atti; Spohr intendeva farlo rappresentare al Theater an der Wien, ma per un litigio imprevisto con il conte Palffy, che ne era proprietario, dovette ritirare il lavoro e attendere occasioni migliori. Rimasta così nel cassetto per due anni, l’opera trovò infine un estimatore in Weber, che ne diresse la prima rappresentazione. La forma attuale, senza dialoghi parlati e suddivisa in tre atti, risale invece alla revisione effettuata da Spohr nel 1852, su invito del Covent Garden. Amico di Clementi, il compositore organizzava frequenti tournées in Inghilterra, dove la sua reputazione come violinista era alle stelle. Volendogli tributare un omaggio con l’allestimento della sua opera più celebre, il Covent Garden dovette però chiedere a Spohr di modificarne la struttura, trasformandola da Singspiel in ‘opera romantica’ interamente musicata, accetta pertanto ai canoni di un teatro vincolato in modo rigoroso all’estetica dell’opera seria, che non prevede il ricorso al parlato.

Annoiato dalla vita e dimentico della fedele Röschen, Faust ha stretto un patto con Mephistofeles, sperando di poter assaporare finalmente il calice del piacere. Affascinato da Kunigunde, già fidanzata a Hugo, Faust aiuta quest’ultimo a liberare la giovinetta dalle grinfie del rapitore Gulf, ma tenta a sua volta di sedurla proprio durante gli sponsali, dopo aver assunto una pozione distillata dalle streghe e capace di rendere irresistibile colui che ne faccia uso. La vendetta non si farà attendere e Faust, per sfuggire agli inseguitori, dovrà rinnovare per la terza volta il patto fatale con il diavolo, divenendone preda per sempre, mentre Röschen, respinta per l’ennesima volta, si uccide.

All’origine del libretto di Bernard non sta la sintesi spirituale ed escatologica del romanzo goethiano, ma più semplicemente la tradizione popolare, che aveva interpretato la leggenda di Faust secondo i crismi delle ‘moralità’ medioevali: durante tutto il Settecento il soggetto aveva conosciuto innumerevoli allestimenti in teatri improvvisati e si era conformato al cliché didattico dei drammi allegorici. Su questo canovaccio vengono però inseriti da Bernard alcuni spunti schiettamente romantici, primo fra tutti il dualismo angelo/demonio, che serpeggia un po’ ovunque, caratterizzando la personalità di Faust fin dalla sua aria di sortita. Nonostante le forti componenti ‘demoniache’ della trama, a questo Faust viene comunemente rimproverata un’espressività troppo sdolcinata e priva di venature drammatiche. In effetti, Spohr ha una scrittura garbata e quasi ‘femminea’, che gli preclude a priori un esito convincente nei domini sulfurei di quel ‘gotico’ che Weber saprà invece evocare con inedita e mirabile efficacia. Limitando l’elemento sovrannaturale a un innocuo velleitarismo, Spohr spegne la tensione emotiva dell’opera: uno dei momenti virtualmente di maggior brivido, come il sabba delle streghe nel secondo atto acquista, per la regolarità delle armonie e la leggerezza del pizzicato, un sapore di danza delle fate forse maliziosa, ma di certo non sinistra. Eppure Faust fece scuola, e Weber stesso seppe far tesoro delle sue componenti migliori: il patetismo risentito di Kunigunde o la tenerezza di Röschen, così soavemente sospesa fra stile larmoyant e intimismo liederistico, sono destinati a trapassare in molti lavori futuri, primo fra tutti il Freischütz . La strumentazione in punta di penna è un ponte fra Mozart e il Puck-style mendelssohniano: a Mozart si pensa anche per certe affettuosità nell’impiego dei fiati, segnatamente dei clarinetti. La scena d’apertura e quella delle nozze costituiscono un richiamo esplicito al Don Giovanni , dal momento che affiancano al regolare organico strumentale una seconda orchestrina posta sul palcoscenico: certe inflessioni nei recitativi (aggiunti nel 1852) rivelano però anche la sedimentazione di echi beethoveniani (le arie di Faust e certe impennate nella vocalità di Hugo discendono da Pizarro e anticipano Kaspar, l’anima nera del Freischütz ). La grande aria di Mephistofeles nel terzo atto (scritta anch’essa per il Covent Garden) presenta una straordinaria articolazione interna; il principio della continuità drammatica, in virtù del quale si possono tracciare ampie scene di struttura più complessa, anziché limitarsi a giustapporre brevi ‘numeri’ isolati, è una caratteristica formale di Spohr, filiata dal teatro di Cherubini. Questa dilatazione scenica, che tende a travalicare il limite del pezzo chiuso a favore di un’embrionale Durchkomposition , raggiunge uno degli esiti più originali nel passo in cui Röschen entra in chiesa cercando Faust (atto primo): il canto della fanciulla si intercala al corale intonato dai fedeli, con un’intuizione destinata a venir raccolta sia da Schumann in Genoveva sia da Wagner nei Meistersinger . Una serie di reminiscenze tematiche (Erinnerungsmotive, secondo la definizione coniata da Weber in un commento redatto per la messinscena praghese) rendono l’opera più coesa e unitaria, testimoniando in Spohr un’attenzione costruttiva degna di rispetto; l’ouverture riassume le idee principali, agglutinandole in una sorta di sintetica prefigurazione cui l’autore stesso prepose un chiarimento didascalico, pubblicato nella prima riduzione a stampa per canto e pianoforte.

e.f.


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