«...Se lo non ascolto la musica?
E
come, se essa sale da me?»
(Elettra, prima della danza trionfale)
Hofmannsthal aveva scritto il dramma in un atto
Elettra nel 1903, togliendo l'argomento, lo svolgersi
dell'azione e alcune sentenze dalla tragedia omonima di Sofocle. Aveva steso in altro modo
la scena del riconoscimento fra Elettra e ii fratello Oreste, la cui
apparizione aveva ritardato verso la fine, mentre fin all'inizio
dell'opera di Sofocle, Oreste appare salutando la patria e recando
offerte alla tomba del padre. Il rinnovatore dell'antichità
sostituì a tale prologo sacrale la scena impressionista delle
Ancelle alla fonte; inoltre soppresse i canti del coro.
Sofocle aveva disegnato le sue figure - i discendenti della
prepotente stirpe degli Atridi del V secolo prima di Cristo - come
entità mosse e dominate dalle forze della natura e da potenti
passioni, dando loro solo in parte aspetto umano. Hofmannsthal pur
conservando l'idea fondamentale, le trasse dalle ombre del
subcosciente per elevarle alla chiarità della piena coscienza.
I suoi personaggi non agiscono esclusivamente spinti dalla forza di
un destino prestabilito, ma piuttosto secondo le imposizioni della
propria cognizione. Egli si servì talvolta dei nietodi della
psicanalisi [Già
Shakespeare, con geniale intuito, aveva basato alcuni studi di
carattere sulla descrizione di anomalia di questa fatta. Recentemente
Giraudoux, nella sua Elettra (derivata dal dramma omonimo di
Euripide, che offre aspetti sorprendentemente attuali) e Eugen
O'Neill nella trilogia Il lutto si addice ad Elettra (derivata
dall'Orestiade di Eschilo) sono andati tanto più
lontano, come per affrontare gli avvenimenti dell'antichità
dal punto di vista delle condizioni sociali dell'epoca moderna (nella
seconda delle opere ricordate, le condizioni ambientali al tempo
della guerra civile degli Stati Uniti).] per
esporre i motivi degli stati d'animo psicologici. Evitò al
tempo stesso di ricadere nello smembramento delle complessità
animiche al modo del dramma naturalista che stava per essere
superato.
L'opera di Hofmannsthal non soltanto si chiama
Elettra, ma è Elettra. Col suo aspetto esteriore di
figlia di re in veste cenciosa, il simbolo della vendetta, in tutta
la forza di una volontà inflessibile e di un'energia indomita.
Essa è «lo spirito che si costruisce ii corpo»
[Dal Wallenstein di Friedrich
Schiller]. Odiando e amando, maledicendo e
benedicendo, giubilante nella lietezza e straziante nel dolore, si
trascina nella polvere o si erge come un'ebbra menade nel suo
estatico procedere. Al fianco di lei è Crisotemide, assetata
d'amore e affamata di vita, bramosa di fortuna quale donna e di
felicità quale madre.
Clitennestra la controparte: «Il suo viso scialbo,
esangue, sembra più pallido ancora alla viva luce delle
torcie, emergendo sul manto scarlatto...». Ella è il
demone vendicativo e crudele, torturato da timore superstizioso,
vittima a sua volta dei demoni della vendetta.
Fra gli uomini soltanto Oreste si stacca in modo
significativo, come principe giunto presto alla maturità
virile, che al momento opportuno trova la forza necessarla per
commettere l'atto orrendo del matricidio. Il degenere amante regale
Egisto appare soltanto come figura episodica, di passaggio.
Ai personaggi principali fan corona, come nella tragedia
antica, il coro, alcune tipiche figure secondarie. A fianco di
Clitennestra è la 'Vertraute' (confidente) intrigante e la
'Schleppträgerin' (portatrice della coda) astuta e maligna.
Intorno a Crisotemide sono raggruppate le ancelle più giovani,
come eco collettiva del suoi sentimenti individuali. Oreste è
accompagnato dall'Aio, «vigoroso vecchio i cui occhi
dànno lampi». Elettra resterebbe interamente sola, se
non ci fosse la quinta Ancella, la giovanissima, che nel suo candido
coraggio infantile prende partito per lei e per questo è
frustata senza pietà dalle Ancelle più anziane.
Il poeta non conferì veste moderna al vecchio
argomento rendendolo attuale, ma ne stilizzò la lingua.
Insieme ad immagini simbolico-impressioniste ed a modi di dire
semplicemente mondani (viennesi), si trovano formole di taglio
classico, come l'esclamazione di Oreste: «Lascia stare Oreste!
Amava egli troppo la vita. Gli Dei lassù non sopportano il
clamore soverchiamente chiaro del piacere!».
Come in Salomé, anche qui Strauss
s'ispirò direttamente al poema, dal quale sorgeva innanzi a
lui con violenza dionisiaca la Grecia preclassica dalle poderose
creazioni plastiche indelebilmente impresse nel suo ricordo.
Lasciò intatta la disposizione generale del lavoro, nel quale
erano osservate le unità d'azione, di luogo e dl tempo. Le sue
poche obiezioni e le sue poche proposte di modifiche furono da lui
avanzate fra il dicembre 1907 e ii luglio 1908 [Si leggono nei primi scambi di idee della
Corrispondenza].
Abbozzata negli ultimi mesi del 1906, la composizione
propriamente detta fu cominciata nel 1907, ma interrotta sovente a
causa della molta attività direttoriale del compositore. Tre
volte rifece la grande scena di Clitennestra, prima di essere
soddisfatto. Di quel pandemonio diceva: «Questo va più
in là d'ogni genere di musica».
I diversi episodi delle azioni furono riuniti come in im
trittico di formidabill blocchi:
I - La scena delle Ancelle (prologo) - Il monologo di
Elettra, diviso a sua volta in tre parti -La scena di Crisotemide -
Il primo dialogo fra le due sorelle.
II - Il grande episodio centrale: l'apparizione di
Clitennestra Il monologo di questa - Il suo colloquio con Elettra -
Il suo apparente trionfo.
III - Gil avvenimenti fra «Oreste è morto»
e «Oreste è vivo»: il secondo dialogo fra le
sorelle - L'intermezzo dello scavo della scure - La scena del
riconoscimento - L'esecuzione della vendetta - L'annunzio di
liberazione - La danza mortale di trionfo della protagonista
(epilogo).
L'architettura musicale, di costruzione quadrangolare, stende
sopra saldi pilastri i multipli archi che si incrociano
vicendevolmente, alternando in equilibrata simmetria le scene di
grande tensione (il monologo di Elettra, la massiccia scena di
Clitennestra, quella del riconoscimento, la danza mortale) ad altre
di distensione (le due scene di Crisotemide, la breve scena del due
servi, l'intermezzo di Egisto). Fra le scene dei solisti, in genere
di carattere estatico, sono state intercalate pagine di musica
più mossa come contrasto: il corteo del sacrificio
[«...Davanti alle finestre
vivamente illuminate sfila precipitosamente un rumoroso e stridente
corteo: è un tirare, uno scalpicciare di animali, un borbottio
soffocato, qualche grido tosto represso, lo schioccar d'una frusta,
un raccogliersi, un continuo ondeggiare...».], il precipitoso e fantasmagorico giungere delle portatrici
di fiaccole chiamate da Clitennestra alla notizia della morte di
Oreste, le «Ancelle che svolazzano come pipistrelli
spaventati» dopo che Oreste è entrato nd palazzo.
In orchestra è da notare la divisione in tre parti
degli archi: i violini sono divisi in 8 primi, 8 secondi e 8 terzi;
le viole in 6 prime, 6 seconde, 6 terze; i bassi in 6 primi e 6
secondi violoncelli e 8 contrabbassi. I legni aumentati, specialmente
nella famiglia dei clarinetti, che sono 8 (1 in mi bem., 2 in si
bem., 2 in la, 2 in fa [corni di bassetto], i basso in si bem.), le
tube wagneriane (2 in si bem. e 2 in fa), la massa degli ottoni bassi
(oltre le 6 trombe ci sono i tromba bassa, 3 tromboni, trombone
contrabbasso e tuba contrabbassa) e tutta una batteria di strumenti a
percussione costituiscono l'enorme apparato che è a fondamento
dell'azione, che delinea lo sfondo semioscuro e riunisce
psicologicamente gli avvenimenti fra di loro.
Lo spostamento del centro di gravità dell'opera verso
le passioni dell'animo lascia in secondo piano lo spettacolo; la
descrizione ambientale e la sontuosità dei particolari sono
sostituiti dagli infinti movimenti dell'anima. Le forme espressive,
diventano più aspre e severe. Diversamente che in
Salome, pochissimi momenti si prestano ad essere sottolineati
da procedimenti impressionisti: i cavalli che nitriscono e i cani che
abbaiano durante il monologo di Elettra, lo schioccar delle fruste
nella scena delle Ancelle, l'urlo del vento durante il canto
inneggiante alla maternità di Crisotemide. In cambio la
drastica descrizione del corteo del sacrificio e il tinnare delle
pietre preziose sulle vesti di Clitennestra appartengono già
al dominio dell'anima. Significato simbolico è da attribuire
alle progressioni cromatiche di biscrome che alludono allo sgorgare
ed allo scorrere del sangue che fluisce dalle ferite di
Agamennone.
La perfetta combinazione di un contrappunto di Leitmotive con
un sistema armonico di estrema audacia fa sì che le
possibilità espressive raggiungano una straordinaria
intensità, la quale si manifesta nella maniera più
diretta e suggestiva nel complicato incubo di Clitennestra e
nell'orgiastica esaltazione con cui Elettra procede sulla sua via. Ad
un parossismo polifonico appena sopportabile si giunge nel brano che
segue al riconoscimento di Oreste da parte di Elettra. La tempesta di
passioni sconvolte e agitate si scatena come un'eruzione vulcanica,
che con le dissonanze sovrapposte spazza via la tonalità
dimostrando un'audacia che difficilmente sarebbe stata superata dai
più accesi atonalisti.
Il flusso musicale [Senza
tagli l'opera dura un'ora e 40 minuti] procede
incontenibile dalle prime parole delle Ancelle con le quali si
comincia: «Dov'è Elettra? È già questa
l'ora sua, l'ora in cui evoca il padre», all'ultimo grido
«Oreste!» di Crisotemide con cui il lavoro termina.
Le tre battute del tema di Agamennone tengono luogo di
preludio. Questo tema in realtà non è formato che dalla
successione di note dell'accordo di re minore; ma con le sue varie
trasformazioni e il suo frequente ricorrere diventa il sostegno
dell'azione interiore e imprime un particolare suggello a tutta la
costruzione tematica.
I tre colpi incisivi ripresentano a noi il quadro di
Sofocle: «Con la scure gli fendono il capo, come fa il
boscaiuolo con la quercia nella selva...».
Il monologo di Elettra, il cui stile lapidario ricorda Gluck,
contiene in certo modo in sé, nella tragica serietà e
nel portamento all'antica, l'intero nucleo del dramma. Le tre parti
ond'è composto sono:
1°) l'evocazione dello spirito di Agamennone e la
raccapricciante narrazione dell'assassinio di lui, col motivo
ascendente del re in terzine di semiminime e il minaccioso tema della
rappresaglia in rigida progressione di ottave;
2°) il solenne impegno della vendetta e la descrizione
della sua consumazione: «Come dalle stelle discende tutto il
tempo, così sul suo sepolcro precipiterà il sangue da
cento gole!» Risuona a un certo punto con stupenda effusione
melodica il tema dei figli di Agamennone:
3°) la visione della vittoria col martellante ritmo del
tema trionfale. Direbbesi che Elettra, in preda ad un'intima estasi,
faccia le prove della danza che eseguirà per la festa
dell'espiazione.
Alla monumentale severità di questo monologo segue la
sensuale disinvoltura del dialogo delle due sorelle, durante il quale
la melodia di Crisotemide dispiega il suo fascino:
Le taglienti dissonanze, il risuonar dei colpi, i contorti
ritmi del corteo del sacrificio che sfila costituiscono come
un'introduzione alla scena di Clitennestra che «non ha eguali
nel mondo dell'opera» [Steinitzer]. L'autodescrizione, priva
di qualsiasi senso di compassione, lo scontro fra madre e figlia,
dove cozzano due tendenze vitali e sentimentali diametralmente
opposte fra le quali è un combattimento a morte, la disperata
bramosia di rivolta, la sconfitta e la rinnovata attitudine
trionfante piena di malvagità di Clitennestra, tutto
ciò è scrutato fin nei più reconditi abissi. La
descrizione del repulsivo giunge qui ai limiti del sopportabile. Le
alterazioni, impiegate prodigalmente, generano cacofoniche
decomposizioni dell'organismo tonale. Lo strano rumore prodotto, ad
ogni passo della regina, dai tintinnanti talismani di cui ella
è rivestita, ci appaiono come qualcosa di fantomatico.
Però anche questo deserto di laidezza è
attenuato da oasi melodiche, una delle quali, il canto di
Clitennestra in forma di Lied «Das klingt mir so bekannt, und
nur als hätt ich's vergessen lang und lang» (Questo mi
risuona così conosciuto, solo mi sembra di averlo dimenticato
da lungo tempo), con la morbida bellezza delle sue dolenti terze,
giunge a destare fin sentimenti di compassione.
La seconda scena fra le due sorelle, che segue al duetto
notturno fra madre e figlia, comincia col commovente lamento di
Crisotemide per la morte di Oreste, è interrotta dal parlare
insolente del giovane servo di Egisto ed è continuata subito
dopo da Elettra con la sua fanatica persistenza nell'idea della
vendetta. Quando Elettra, in uno stato vicino all'ebbrezza, cinge con
le braccia il corpo giovanile della sorella minore, la melodia
s'infiamma fino a giungere ad uno sfrenato ardore. La sua
implorazione di aiuto alla sorella che resiste, dà luogo alla
semplicissima melodia «Von jetzt ab will ich deine Schwester
sein» (D'ora in poi sarò la tua sorella). Ma quest'amore
si trasforma in odio irrefrenabile al diniego di Crisotemide. A lei,
che fugge spaventata, lancia un furioso «Sei verflucht!»
(Sii maledetta!) e in uno sforzo supremo giunge all'estrema
risoluzione: «Nun denn, allein!» (Ordunque, sola!). I due
gridi proferiti senza sostegno d'orchestra, esplosioni d'una
contenuta forza primordiale, impressionano come iscrizioni scolpite
nella roccia che vorrebbero parlare.
Mentre Elettra s'affanna frettolosamente a scavare il suolo
per trarne la scure di morte che aveva sotterrato per il fratello,
uno sconosciuto penetra nella corte al suono di una melanconica
musica funebre. In risposta alla domanda di donna infastidita
«Was willst du, fremder Mann?» (Che vuoi tu, straniero?),
egli conferma la morte di Oreste, della quale è stato
personalmente testimone. Vinta dal dolore, Elettra prorompe in una
lamentazione che sull'ostinato ed incisivo ritmo funebre diventa
un'amarissima rivolta contro il destino. In un impulso incontenibile
confida con lui, che già profondamente impressionato dal suo
aspetto, lascia a sua volta cadere la maschera. Ma solo quando i
vecchi servi si gettano ai piedi del giovane e baciano il lembo della
sua veste, Elettra lo riconosce e cade al suolo senza sentimento.
Poi, sostenuta dalle braccia del fratello torna lentamente in
sé e parla; il suo balbettio si trasforma a poco a poco in un
canto estatico, che si svolge sul tema del fratello
ritrovato:
Rabbrividendo sotto lo sguardo del fratello, Elettra, come
se svegliata da un breve sonno, svela la sua vita distrutta
ricordando melanconicamente la propria antica bellezza. Tosto,
insieme ad Oreste, ella intona un canto che esalta la legge del
taglione, al quale canto si sovrappongono, come in segno di
espiazione, i temi del fratello ritrovato, dell'azione vendicatrice,
dei figli di Agamennone, sostenuti dal ritmo della danza del trionfo.
In questa scena spira il sublime alito dell'anima in infinite
condensazioni sensitive.
Dapprima in questo punto culminante entra in funzione
prominente il timbro maschile. La placida voce da baritono di Oreste
offre il gradevole contrasto non soltanto cogli eccitanti avvenimenti
in sé, ma anche colle precedenti esaltazioni delle voci spinte
di Elettra e di Crisotemide. Una seconda voce virile, quella forte di
basso dell'Aio, richiama alla realtà i due fratelli che si
sono abbandonati alla piena dei loro sentimenti. Nella musica
l'atmosfera si fa insopportabilmente pesante, come se una tormenta
stesse per scoppiare: Oreste entra nel palazzo, seguito da presso
dall'Aio; e la porta si chiude dietro di loro; «Elettra sola,
in condizioni spaventose di tensione, corre da un lato all'altro
della porta, col capo chino, come una belva prigioniera nella
gabbia...». Un grido orribile di Clitennestra: Oreste ha ucciso
sua madre. In una tremenda confusione, sfilano di corsa le Ancelle:
Egisto s'avvicina.
Come a concedere un attimo di respiro e ad alleggerire la
pressione, il compositore introduce un «intermezzo» fra
le due uccisioni, e qui la tinta fortemente tragica si muta, con
leggera ironia, in una comica simulazione della protagonista.
Elettra, agitando una torcia, profondendosi in umili reverenze e
pronunziando parole ipocrite, attira con finta amabilità
Egisto nel tranello, là dove sono coloro che desiderano
accoglierlo personalmente. Così anche Egisto cade ucciso e il
palazzo e l'atrio risuonano di grida di morte per il tumulto causato
dai seguaci di Oreste che scacciano violentemente quelli di Egisto,
di grida di giubilo della moltitudine di Ancelle e di schiave,
liberate dalla tremenda pressione. Trepidante di gioia, Crisotemide
saluta la conquista di una nuova vita. Elettra, «ha gettato
indietro la testa come una Menade. Lancia le gambe, stende le
braccia: il suo muovere in avanti è una danza che non ha
nome».
Danza senza nome, però non silenziosa. Se al poeta
mancarono le parole, il musicista poté parlare coi suoni, e
fece che Elettra muovesse verso la fine in un canto trionfale, nel
cui parossismo, regolato dal ritmo, la figura di lei giganteggia al
di là delle umane dimensioni. Soltanto allora ella è
completa. «Portando in silenzio il peso della sua
felicità e danzando, ella procede verso il grande sacrificio
mortale». Una volta ancora si fondono in lei, in una beatifica
visione, i caratteri essenziali di Agamennone e di Oreste, indi
stramazza esanime.
Con straordinaria e concentrata fantasia, Strauss ha
interpretato in modo esauriente ogni fase della drammatica vicenda,
trasportandola, al di là del repulsivo, in un clima volta a
volta irreale ed umano. Ciò ch'era smisurato è stato
raffrenato dalla forma, l'innaturale superato dalla naturalezza del
suo modo d'espressione; il canto si fa sempre trionfalmente strada
attraverso il pullulare delle dissonanze.
Elettra è la nascita della tragedia scaturita
dallo spirito della melodia. Per virtù della musica sorta da
questo spirito, le figure della mitica preistoria sono convertite in
creature di qualunque tempo, affini a noi ed al nostro sentire,
valicando in tal modo uno spazio di tempo di due millenni e mezzo. La
fiamma purificatrice di questa musica riesce anche qui a superare
quel formidabile destino che «eleva l'uomo nello stesso tempo
che lo schiaccia» (Sofocle).
La prima rappresentazione dell'opera ebbe luogo il 25 gennaio
1909 a Dresda [Direttore Schuch;
regista G. Toller, Elettra A. Krull, Clitennestra E. Schumarm-Heink,
Oreste C. Person].
Le accoglienze del
pubblico non furono così decisive come quelle fatte a
Salomé; ancor minori quelle che si ebbero alla prima
rappresentazione a Berlino. L'opera ebbe il suo vero battesimo sulle
scene a Vienna, all'Opera di Corte, il 24 marzo 1909, presente
l'autore [Direttore H.
Reichenberger. La parte della protagonista era stata confidata ad una
cantante debuttante, Lucille Marcel, allieva di Jean de
Reszké, la quale si rivelò in maniera sorprendente
all'altezza del gigantesco compito]. Lo
scenario, con le enormi muraglie ciclopiche ideate dal Roller, fu
preso a modello per lungo tempo. In questa edizione fece sensazione
l'interpretazione, nella parte di Clitennestra, di Anna
Bahr-Mildenburg,
una delle più vigorose eroine del moderno teatro
drammatico musicale, paragonabile nel suo genere alla
Schröder-Devrient dei tempi di Wagner.
Negli Stati Uniti Elettra fu eseguita per la prima volta nel
1910, in lingua francese, nella Manhattan Opera House di Hammerstein
[In questa stagione si ebbe il
caso, forse unico, che il 24 marzo si rappresentasse in spettacolo
diurno Salomé e in spettacolo serale
Elettra]. Poco tempo dopo si rappresentò
a Londra con successo, sotto la direzione di Thomas Beecham, che
nell'ultima recita dell'opera cedette la bacchetta a Strauss (marzo
1910), ciò che valse a quest'ultimo calorosissime ovazioni.
Rapidamente Elettra fu tradotta in inglese, italiano,
ceco e ungherese, e rappresentata nei maggiori teatri del mondo. In
Italia la prima rappresentazione si ebbe alla Scala di Milano il 6
aprile 1910, direttore Edoardo Vitale, protagonista Salomea
Krusceniski.
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Avvenne ovunque che l'impressione artistica che il lavoro
destava nei competenti fosse al disopra della forza d'attrazione
sulla gran massa degli appassionati al teatro lirico.
Dopo che l'opera fu relegata per qualche tempo in un secondo
piano, all'incirca verso il 1932 incominciò nei suoi riguardi,
simultaneamente in Europa e in America, una specie di rinascita e di
rivalutazione. In quell'anno medesimo ebbe luogo la sua prima
rappresentazione al Metropolitan di Nuova York, sotto la direzione di
A.
Bodanzky; nel 1933 fu data a Filadelfia, nel 1938 nuovamente al
Metropolitan, protagonista Rose Pauly,
che era divenuta una specialista in quella parte e che lo
stesso Strauss apprezzava assai.
Nell'America del Sud fu messa in scena personalmente
dall'autore nel 1923, con l'insieme di cantanti viennesi e
l'Orchestra Filarmonica di Vienna, al Colon di Buenos Aires. Fu poi
ripetuta nel 1939 e nel 1943, diretta in ambe le occasioni da E.
Kleiber con la Pauly come protagonista e le scene di Benois, e nel
1951 con C. Goltz, diretta da K. Böhm.
Hermann Bahr formulò intuitivamente la sua prima
impressione nella maniera seguente: «Equivalente a
Salomé in quanto a sontuosità del colorito,
forma luminosa e pienezza giovanile, la lascia molto indietro per la
sua tranquilla serenità, per un sentimento musicale spaziale,
per l'abbondanza delle idee fluide e spontanee, e raggiunge
dall'arrivo di Oreste in poi, una tensione tragica incontenibile. Una
certa propensione a lasciarsi talvolta attrarre dalle seduzioni di
un'eccessiva cantabilità... resta sommersa dalle meraviglie
strumentali, mentre la forza leonina con cui sono condotte le
gradazioni è irresistibile» [In occasione della prima esecuzione londinese del 1910,
Beecham ebbe a dire: «La parte di Strauss in questo lavoro...
è la sua maniera maggiormente caratteristica. È unica
la quasi totale assenza di allettamenti e di romanticismo, e se si
disse che Gluck, nella sua austerità, badò più
alle Muse che alle Grazie, nel caso di Strauss si può dire
più propriamente ch'egli mostrò una preferenza per le
Furie.»].
Elettra appartiene alla specie di quei drammi musicali
d'eccezione, la cui straordinaria importanza può essere
riconosciuta soltanto dopo un conveniente spazio di tempo dalla prima
apparizione, e cioè quando è raggiunta la
corrispondenza fra il suo valore intrinseco e la sua comprensione da
parte del pubblico.
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