I dizionari Baldini&Castoldi

Liebe der Danae, Die di Richard Strauss (1864-1949)
libretto di Joseph Gregor

(L’amore di Danae) Commedia mitologica in tre atti

Prima:
Salisburgo, Festspielhaus, 14 agosto 1952

Personaggi:
Jupiter (Bar); Merkur (T); Pollux, re di Eos (T); Danae, sua figlia (S); Xanthe, sua ancella (S); Midas (T); quattro re, nipoti di Pollux (T, B); Semele (S), Europa (S), Alkmene (Ms) e Leda (A), regine amate da Jupiter; quattro sentinelle (B); creditori, seguito e servitori di Pollux, seguito e ancelle di Danae, popolo



In una lettera dell’aprile 1920 Hofmannsthal spedì a Strauss il canovaccio di una nuova opera, intitolata Danae oder die Vernunftsheirat (Danae o il matrimonio di convenienza); nella lettera allegata scriveva fra l’altro: « Danae prosegue esattamente nella linea Rosenkavalier , prologo di Ariadne , Bürger als Edelmann . (...) L’argomento appartiene al mito della grecità arcaica, trattato in maniera impertinente, come una ‘novella milesia’ nel carattere di Luciano». In realtà il progetto sfumò nel nulla e Danae fu accantonata, essendole stata preferita la vicenda destinata a costituire Die ägyptische Helena. Strauss rispolverò comunque a distanza di anni l’embrione operistico proposto da Hofmannsthal e lo affidò a Gregor, perché ne ricavasse un testo completo. Purtroppo il libretto risente della frattura fra le mete artistico-simboliche dell’ideatore e gli orizzonti più modesti del prosecutore: in vari punti manca la sufficiente chiarezza e certi personaggi hanno nell’azione un ruolo un po’ confuso. La sfortuna di Danae non si esaurisce in questi scompensi stilistici interni, ma prosegue nelle peripezie accidentalmente incontrate al momento di venire accolta sulle scene. Inserita nel cartellone del Festival di Salisburgo per l’anno 1944 e ormai allestita e concertata sotto la bacchetta di Clemens Krauss, l’opera non poté essere rappresentata perché, in seguito al fallito attentato a Hitler, tutti i festival vennero soppressi. La ‘prima’ assoluta dovette attendere perciò il dopoguerra; ma quando lo stesso Krauss la diresse nel 1952, sempre a Salisburgo, Strauss era già scomparso da tre anni.

Atto primo . Pollux, re di Eos, è assediato dai creditori ed è finanziariamente così a mal partito da aver sostituito alcune parti in oro del trono con tasselli di legno; sua unica speranza sarebbe quella di accasare la bellissima figlia Danae con un buon partito, ma la giovane rifiuta chiunque le si presenti. Mentre a Pollux si presenta un ennesimo pretendente, Midas, Danae racconta a Xanthe di aver sognato nella notte che una pioggia d’oro la bagnava, lasciandola molle di voluttà; ora è decisa a concedersi solo a chi potrà ridarle l’estasi della visione notturna. Si attende l’arrivo di Midas, capace di mutare in oro tutti gli oggetti che sfiora; prima di lui giunge però, come messaggero di Midas, un certo Chrysopher, che in realtà è lo stesso Midas travestito; sotto il nome di Midas si presenta invece Jupiter, che saluta Danae come sua sposa.

Atto secondo . Le quattro regine, tutte un tempo amate da Jupiter, gli rimproverano il sotterfugio adoperato per unirsi a Danae, che forse un giorno rimpiangerà la pioggia d’oro; Jupiter si sente invece davvero innamorato, e spiega che con il suo espediente desidera sottrarre Danae alle vendette di Juno. Accortosi dell’inclinazione di Danae per il presunto Chrysopher, Jupiter non accetta le spiegazioni del finto messaggero – secondo cui Danae ascolta la voce del suo cuore e non l’imperativo dell’oro – e lo punisce, decretando che da quel momento il vero Midas tramuti in oro ogni cosa che toccherà, indipendentemente dal suo volere. Arriva Danae e si getta al collo del suo Chrysopher, trasformandosi in una statua d’oro; Jupiter le rivela la vera identità di Midas, un asinaio, e la propria, di autore della pioggia d’oro. Quando le viene chiesto chi dei due desideri seguire, Danae sceglie il vero Midas e rinuncia al destino immortale che il dio potrebbe procurarle.

Atto terzo . Danae ascolta il racconto delle peripezie di Midas, a cui Giove aveva promesso grandi ricchezze, che l’asinaio ha perso per aver desiderato Danae; in cielo, intanto, Merkur commenta divertito le disgrazie amorose di Jupiter. Durante un banchetto organizzato da Juno per riconquistare lo sposo infedele, arriva Pollux inseguito dai creditori, che a stento sono trattenuti dall’aggredire Jupiter, in cui credono di ravvisare Midas. Merkur li rabbonisce con una pioggia di monete d’oro; poi consola Jupiter, dicendogli che certamente l’amore di Danae non resisterà alle privazioni e che quindi presto la riavrà. Sotto le spoglie di un viandante, Jupiter si presenta alla capanna dei due innamorati e viene accolto gentilmente da Danae, che difende appassionatamente la sua scelta, respingendo le riserve dello sconosciuto; questi si allontana con un fermaglio d’oro, regalatogli da Danae, e benedice l’unione felice dei due giovani.

L’immagine aerea della pioggia d’oro si traduce in fluttuanti arabeschi sonori, in scintillii iridescenti che avvolgono la vicenda in un alone liberty, in un decorativismo fulgido e raffinato; trapelano reminiscenze delle vertigini amorose del Rosenkavalier , frasi piene di desiderio, ma quasi sempre filtrate dallo schermo di una suprema eleganza. Solo Jupiter si abbandona veramente nel secondo atto, durante la conversazione con le quattro regine, a una perorazione infiammata, in cui trapela però una componente wagneriana abbastanza sottolineata; proprio a Jupiter è riservato comunque uno squarcio lirico commosso nella scena finale del colloquio con Danae, in cui il ricordo nostalgico dell’amore di Maia ispira al dio un intenerimento di sapore liederistico. La leggerezza di certi interventi (in concomitanza con le uscite civettuole delle regine o con le canzonature degli dèi a danno di Jupiter) richiede pizzicati in punta di piedi agli archi, nitori scintillanti ai fiati; nei duetti amorosi la vena straussiana fluisce in arcate melodiche di fascino struggente, affiancando così il pathos sensuale a una brillante impertinenza, che nelle intenzioni dell’autore doveva immettere nel lavoro un’impronta operettistica, alla Offenbach. Le divagazioni un po’ dispersive del libretto sono peraltro riscattate dall’unità tematica che governa la partitura; e ciò si intuisce fin dalla prima scena, contrassegnata dal ritorno, continuamente cangiante nella strumentazione, di un inciso appassionato, nel cui slancio paiono rivivere le estasi di Oktavian.

e.f.

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