I dizionari Baldini&Castoldi

Friedenstag di Richard Strauss (1864-1949)
libretto di Joseph Gregor

(Giorno di pace) Opera in un atto

Prima:
Monaco, Nationaltheater, 24 luglio 1938

Personaggi:
comandante della città assediata (Bar), Maria, sua moglie (S), sergente maggiore (B), caporale (T), soldato semplice (Bar), moschettiere (B), trombettiere (B), ufficiale (Bar), ufficiale del fronte (Bar), un piemontese (T), ufficiale dell’Holstein (B), borgomastro (T), prelato (Bar), una donna del popolo (S); deputati, donne e notabili, soldati, popolo



In origine Friedenstag avrebbe dovuto costituire (dopo Die schweigsame Frau ) la seconda tappa della collaborazione fra Strauss e Stefan Zweig; quest’ultimo, già presagendo l’ostracismo che il regime nazista gli avrebbe fatto soffrire, aveva tentato di mettere in contatto Gregor e Strauss, con grande stizza di quest’ultimo, che non capiva le remore del poeta. La censura si rivelò di lì a presto spietata, come Zweig aveva previsto, e interdisse a Strauss il sodalizio con l’artista ebreo: fu così che i primi abbozzi di Friedenstag (battezzato in un primo tempo 24 Oktober 1648 ) passarono dalle mani di Zweig che li aveva redatti a quelle di Gregor che avrebbe dato loro la forma attuale.

Una tantum Strauss sceglie di confrontarsi con la storia, e anzi ne ritaglia un episodio che lo stesso Gregor asseriva essere veridico; la vicenda si svolge sulle fortificazioni di una cittadella durante l’ultimo giorno della Guerra dei Trent’anni. È l’alba: i soldati si svegliano e discorrono. Molti sono nati mentre già infuriava la guerra e non sanno immaginare che cosa sia veramente la pace: provano a farselo spiegare da un piemontese, venuto a portare un messaggio al comandante, ma lo straniero non capisce che cosa gli venga detto e continua a cantare una melodia accorata. Si sente rumoreggiare in lontananza: sono i cittadini che, allo stremo delle forze, vengono a supplicare il comandante di arrendersi. Fedele al suo onore di soldato, il comandante finge di accettare, ma spiega poi ai soldati le sue vere intenzioni: non appena gli assedianti varcheranno la cinta muraria una carica di dinamite farà esplodere la cittadella, uccidendo vinti e vincitori. Sopraggiunge Maria, che ha intuito la tragedia imminente dal modo singolare con cui i soldati la evitano, loro che sono soliti gioire della sua presenza. In un lungo colloquio il comandante le rivela la verità e, pur affranto, non si mostra disposto a tradire il suo re neanche per gli affetti che gli sono più cari. Quando i due sposi sono ormai decisi a morire insieme, si avverte in lontananza uno scampanìo: è l’annuncio della pace e per sancirla già muovono verso la città gli ex assedianti, disarmati. Sulle prime il comandante respinge con durezza l’ufficiale dello Holstein che viene ad annunciargli la fine delle ostilità; Maria si interpone con la sua dolcezza e piega il comandante al perdono; l’opera si conclude con un commosso coro di ringraziamento e di tripudio.

Con il suo preciso riferimento storico Friedenstag costituisce un’eccezione nel teatro straussiano, solitamente propenso a eludere le determinazioni temporali; la censura nazista impedì ben presto la circolazione di questo lavoro il cui monito era troppo in disaccordo con la crescente propaganda bellica. Fin dai pesanti accordi iniziali l’opera viene inserita in un’atmosfera plumbea, che solo l’inatteso scampanìo potrà gradualmente dissipare; quando i cittadini affamati fanno risuonare dietro alle quinte il loro grido: «Brot! Hunger!» le dissonanze livide prodotte dalle loro voci trafiggono come lamenti d’oltretomba in cui si annidi la quintessenza dell’umano soffrire. Strauss sa accantonare i suoi prediletti velluti timbrici in favore di sonorità grezze e armonie graffianti: nella parte iniziale dell’opera, ma anche nella Ballata con cui il sergente maggiore promette fedeltà al suo comandante, si avvertono persino delle insolite tangenze con Mahler, in particolare con i suoi Lieder militari. I ritmi guerrescamente impettiti conservano un andamento marionettistico, che si accorda molto bene anche con lo straniamento sonnambolico del coro di cittadini venuti a chiedere la resa; si è in un clima da Deserto dei tartari , in un’attesa ormai divenuta irreale; e a questa sensazione di spaesamento corrisponde una sospensione degli agganci armonici, attuata in maniera più drastica del consueto e accresciuta dal sistematico ricorso ad accordi per quarte. Nonostante la compattezza stilistica, Friedenstag non è affatto un lavoro monotono: Strauss cerca di ritagliare per ogni soldato una fisionomia ben profilata, inserendo poi con il personaggio del piemontese una macchietta comica e patetica nello stesso tempo; è in fondo un ricordo del tenore italiano nel Rosenkavalier , ma al perfetto calco metastasiano ricreato da Hofmannsthal si sostituisce qui l’involontaria sgrammaticatura delle strofette di Gregor. La presenza quasi costante dei cori è un’altra caratteristica ‘anomala’ di Friedenstag : ma la varietà con cui Strauss plasma le masse vocali evita ogni rischio di uniformità. Dai coretti marziali si trapassa alle grida inarticolate, per giungere gradualmente alla polifonia religiosa dell’inno finale che, secondo Strauss, doveva lasciar sgorgare tutto il lirismo fino allora represso; quest’ultima sezione dell’opera, inoltre, prende l’avvio sulle note del corale luterano Ein feste Burg e intreccia diversi cori, maschili e femminili, fermi o in movimento, in scena o dietro le quinte, in modo da sfruttare gli spazi teatrali per garantire sicuri effetti stereofonici. Se i cori dominano quantitativamente l’opera, non mancano comunque grandi pagine solistiche; al personaggio di Maria viene affidato un ampio monologo, degno dei migliori declamati di Arabella e sufficiente a instaurare un’efficace dialettica fra coralità e individualità.

e.f.

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