Giudizi critici
L’Elettra
non è un dramma religioso.
L’Elettra di Sofocle non è un dramma religioso. Gli dèi sono, in
essa, lontani, avvolti come da un impenetrabile mistero. Il comando divino non è più un
comando; l’uccisione non è né un merito né una colpa. La tragedia è assai più
varia, più complicata, più ricca di psicologia; eppure appare povera di contenuto
spirituale, se è paragonata ad una tragedia scarna come le Coefore. L’Elettra
è anche un capolavoro: vi è tenerezza, vi è pathos, v’è finezza psicologica. Ma
il dramma religioso della vendetta di Oreste è stato scritto una volta sola, una volta
per sempre, da Eschilo (G. Perrotta).
Elettra, creatura poetica.
Così scompare questa creatura poetica, una delle più grandi che Sofocle abbia
mai creata, certamente la più complessa: fortissima, risoluta, violenta sino ad esser
feroce; tenerissima, dolce, fragile, sino ad essere nient’altro che una donna. Anima
ardente, che sa amare e sa odiare; e non si può dire se vinca l’odio o vinca
l’amore, perché il suo odio è figlio d’amore. Tutta la tragedia muove da lei,
a lei unicamente s’ispira. Essa non è la tragedia della vendetta, né la tragedia
del riconoscimento; ma la tragedia delle sofferenze di Elettra (G. Perrotta).
L’emarginazione di Elettra.
Questo senso di emarginazione che caratterizza l’esistenza di Elettra
condiziona il personaggio anche nel suo modo di esprimersi. E’ stato notato che
Elettra evita di chiudersi orgogliosamente in se stessa e che in lei c’è un continuo
desiderio di sfogarsi e di comunicare. E infatti Sofocle ha voluto nella tragedia
rappresentare il momento in cui il personaggio, uscendo per una coincidenza fortunata (la
momentanea assenza di Egisto), dall’ambito restrittivo della casa dominata dagli
assassini di suo padre, può dare finalmente sfogo al suo dolore e può, sia pure entro
limiti ben circoscritti, uscire momentaneamente dall’isolamento assoluto in cui si
trovava (V. Di Benedetto).
Il pianto di Elettra.
(…) Sofocle non ha voluto dare al pianto di Elettra, che occupa gran parte
della tragedia, un carattere armonico e acquietante. Il pianto di Elettra non è il pianto
di tipo epico di cui ci si sazia e in cui ci si acquieta, il pianto di Elettra presuppone
una psiche esasperata e sconvolta che non si presta a nessun gioco di ricomposizione o di
sublimazione (V. Di Benedetto).
Il ruolo di vendicatrice di Elettra.
Ma per poter svolgere questo ruolo di vendicatrice, Elettra deve sacrificare molto
di più di un Aiace, un’Antigone o un Edipo. Essi sacrificano la loro vita o la loro
felicità, Elettra invece sacrifica la propria personalità. Già prima del ritorno di
Oreste si è preparata per anni, alla scuola di sua madre. Per poter portare a termine la
vendetta assieme ad Oreste, ella deve in un certo senso avvicinarsi alla sfera dei suoi
avversari, il che per un eroe sofocleo è un fatto pressoché innaturale. (…) Se e
come Elettra è destinata a sopravvivere dopo il suo atto (…), per noi è abbastanza
indifferente. Poiché alla fine di questa cupa tragedia, come estrema conseguenza del
comando divino, noi vediamo solo (…) una donna interiormente spezzata (H. Friis
Johansen).
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