Elettra: il mito e la
fortuna
di Antonio Vannini
Elettra nel mito. La
storia dei discendenti di Pelope ha fornito soggetti per testi teatrali di tutti i tempi.
La figura di Elettra, in particolare, si è prestata attraverso i secoli per un'ampia
gamma di necessità espressive diverse nelle opere dei vari drammaturghi. La stirpe dei
Pelopidi, come quella dei Labdacidi, da cui discende Edipo, è una stirpe maledetta; nella
mentalità dei Greci questa maledizione è rappresentata come una contaminazione che si
trasmette di padre in figlio e che nel succedersi delle generazioni può caricarsi di
avvenimenti terribili, senza che un discendente, ingiusto o onesto che sia, possa evitare
di prender parte alla turpe storia della famiglia. La storia di Pelope, come è noto, è
legata alla leggenda della istituzione dei giochi olimpici. Si tratta di una saga così
tenebrosa che Pindaro, quando evoca quel mito per la celebrazione di un nobile vincitore
ad Olimpia e introduce la figura del padre di Pelope, il grande peccatore Tantalo, per non
compromettere la serenità della sua celebrazione, è costretto addirittura a sostenere
che le gravissime colpe del capostipite sono soltanto una diceria degli invidiosi. I figli
di Pelope erano quei due fratelli Atreo e Tieste, la cui rivalità si trasformò in odio
mortale che offrì le immagini più tremende alla fantasia dei poeti Greci. Atreo era
stato infatti indotto da un inganno del fratello ad uccidere il proprio figlio e per
vendicarsi non esitò a trucidare i figli di Tieste e ad imbandirne le carni al padre
invitato all'orribile banchetto. Ma Tieste con l'altro figlio Egisto, riuscì a prendere
la signoria di Micene, cacciandone i figli di Atreo, Agamennone e Menelao. I due Atridi si
recarono allora a Sparta, dove sposarono Clitemnestra ed Elena, figlie del re Tindareo,
con l'aiuto del quale Agamennone espulse Egisto da Micene e ne ridivenne signore. Scelto
come capo degli Achei per la guerra contro Troia, Agamennone fu poi costretto a
sacrificare la figlia Ifigenia alla dea Artemide che, per un'azione sacrilega del re,
impediva l'arrivo dei venti favorevoli alle navi dei Greci radunate in Aulide e pronte
alla spedizione. Al ritorno dalla guerra, insieme alla sua prigioniera Cassandra lo
attendeva la morte per mano della moglie Clitemestra, divenuta nel frattempo l'amante di
Egisto, lo spodestato figlio di Tieste. È questo l'omicidio che dovette essere vendicato
dalla figlia Elettra insieme col fratello Oreste, che, allontanato in tenera età dalla
reggia, era intanto divenuto adulto e tornato per uccidere la madre e il suo drudo. La
figura di questa figlia di Agamennone è sconosciuta ai poemi omerici e può darsi che si
tratti di una aggiunta secondaria alla saga dei Pelopidi. Occorre in questo caso osservare
il trattamento del mito come soggetto di un'altra espressione artistica che precede nel
tempo la ripresa dell'argomento da parte della tragedia attica. Se la storia del ritorno
in patria del capo degli Achei era motivo comune dei pittori vascolari fin dal VII secolo
a.C., solo all'inizio del V secolo troviamo scene dipinte su vasi attici a figure rosse
che rappresentano la vendetta di Oreste ed Elettra. Anzi, le coincidenze tra pittori
diversi e con l'impostazione scenica nelle Coefore di Eschilo, tragedia rappresentata ad
Atene nel 458 che quei pittori non potevano conoscere (in particolare l'immagine di
Elettra e del fratello che si incontrano presso la tomba paterna) hanno fatto pensare alla
diffusione di questa parte del mito nel secolo precedente e in forme già fisse e
probabilmente legate al successo di qualche testo letterario più antico. L'ipotesi più
probabile è che questa precedente tradizione letteraria faccia capo ad un poema,
quell'Orestea che Stesicoro scrisse verso gli inizi del VI secolo: l'opera è perduta, ma
sappiamo con certezza che alcuni particolari, ripresi poi nelle tragedie, vi si trovavano
già (come per esempio il motivo del sogno di Clitemestra che dà origine alla scena sulla
tomba). Autori della più recente antichità ci confermano comunque che Stesicoro aveva
citato Elettra. Del resto abbiamo notizia di almeno una precedente opera sul mito di
Oreste e si è avanzata anche l'ipotesi di un ciclo epico delfico diffuso nel VII secolo
come fonte comune per tutte le trattazioni letterarie della leggenda di Oreste e della
sorella.
La fortuna. Il mito di Elettra verrà poi sviluppato soprattutto
dai tre grandi drammaturghi del periodo cosiddetto classico - Eschilo, Sofocle, Euripide
-, i quali si confrontarono su di esso offrendone diverse interpretazioni (vd. per questi
aspetti il saggio di G. Benelli, Il mito di Elettra nei tre tragici). In seguito non ci
sono giunti dalla grecità altri drammi su Elettra, ma conosciamo alcuni elementi che
dovevano completare la sua storia. Dagli annunci contenuti nelle tragedie di Euripide
sappiamo che sposerà Pilade e altre leggende riferiscono che gli avrebbe generato due
figli, Strofio (lo stesso nome del padre di Pilade, che aveva accolto Oreste esule) e
Medone. Nel manualetto di favole mitologiche di Igino (di età augustea, pur con diversi
rimaneggiamenti) troviamo una storia che parte dai fatti della Ifigenia in Tauride di
Euripide. In questa tragedia si sviluppava una versione del mito degli Atridi secondo la
quale Ifigenia non sarebbe stata realmente sacrificata, ma sarebbe stata salvata
all'ultimo momento dalla stessa Artemide che poi l'avrebbe resa sacerdotessa ad
amministrare sacrifici umani in Tauride. Di lì Oreste, dopo aver corso il rischio di
essere lui stesso vittima di quei riti, perché non riconosciuto dalla sorella, l'avrebbe
al fine ricondotta in patria. Nella favola di Igino si narra come Elettra a Delfi avrebbe
cercato di accecare la sorella Ifigenia dopo che Alete, figlio non degenere di Egisto, le
aveva fraudolentemente raccontato che Ifigenia aveva veramente ucciso Oreste. Nella
superstite letteratura drammatica latina, sono poche le tracce del nostro personaggio. Di
Accio abbiamo frammenti di una tragedia sui figli di Agamennone ed Elettra era forse
citata nella Erigone. Seneca, nell'Agamennone, introduce la figlia dell'eroe dopo che si
è consumata l'uccisione del padre: è lei che consegna il fratello Oreste a Strofio,
fedele ospite della casa argiva, che insieme al figlio Pilade stava per visitare la
reggia, reduce da una vittoria ai giochi olimpici. E mentre la madre chiede al suo drudo
la morte della figlia, la tragedia si chiude con la reclusione di Elettra in una solitaria
buia e sporca spelonca e con l'uccisione di Cassandra che morendo gioisce dei fati degli
Atridi, giusta vendetta per Priamo, e all'ultimo verso fa scorgere profeticamente il furor
di Oreste che si abbatterà sui maledetti amanti. L'Elettra di Sofocle, insieme all'Aiace
e all'Edipo Re fu abbondantemente copiata, commentata (e interpolata) dagli eruditi
bizantini, ma la sua fortuna come testo teatrale (nella letteratura di epoca medievale si
registrano alcuni drammi che sfruttano qualche tratto della leggenda pagana di Oreste)
dovette attendere l'età degli umanisti, quando venne rimaneggiata e tradotta liberamente
nelle lingue più diverse (dal castigliano all'ungherese), senza mai giungere a pièces di
grande successo. Degno di far da paradigma, in una storia della fortuna di Elettra, il
riadattamento in ungherese fatto nel 1558 dal vescovo luterano e funzionario imperiale
Pèter Bornemisza, in una regione dell'Impero asburgico contesa ed accerchiata dai Turchi
e toccata di recente dall'etica calvinista. Elettra compie la sua parte di indignata
eroina tra le piatte polarizzazioni di un Egisto corrotto e scandalosamente gaudente e il
ricordo del padre Agamennone, sovrano giusto e morigerato. Alla madre che rivendica solo
le occasioni perdute per colpa del marito di darsi alla lussuria, la figlia oppone la
saggezza del padre, il suo incontaminato pudore e la sua cura per il governo dei sudditi.
Lo stesso linguaggio, a tratti didascalico, a tratti anche trivialmente popolare, segnala
come le necessità del riutilizzo in chiave moralistica e politica abbia causato la
perdita dei particolari più controversi e drammatici della saga dei Pelopidi. Qualche
interesse per la figura di Elettra si trova in Francia ai primi del settecento, con alcuni
epigoni di Racine. Alla metà del secolo Voltaire, nel suo Oreste, introduce la variante
del matricidio commesso per errore. Elettra è però ancora raffigurata con una forte
brama di vendetta, soprattutto nella scena del contrasto con la sorella Ifisa
(corrispondente alla Crisotemi sofoclea). Nell'Oreste di Vittorio Alfieri (1781) torna il
motivo del matricidio per errore: nella follia dell'uccisione il figlio non si accorge di
trucidare anche la madre. La figura della sorella è consona a questa impostazione,
perché concepita con un forte dissidio interiore tra la tradizionale rabbia e la pietà
di figlia. Dagli inizi del nostro secolo troviamo forti esasperazioni del carattere di
Elettra. Nel 1905 D'Annunzio, ne La fiaccola sotto il moggio, crea il personaggio di
Gigliola lasciando pensare all'eroina sofoclea calata nel sanguigno ambiente abruzzese.
Gigliola ha un fratello malaticcio, Simonetto, che ricorda Crisotemi, e si è imposta la
missione di uccidere la tremenda matrigna Angizia, che ha sposato il padre Tibaldo dopo
averne ucciso la prima moglie. Ancora del 1905 è l'Elektra di Hofmannstahl: il forte
carattere sofocleo dell'eroina, a contatto con il terrore che si manifesta nell'animo
angosciato di Clitemnestra, sprigiona una rabbia vendicatrice senza precedenti nella
storia del personaggio. Il mito assume comunque ormai un ruolo drammaturgico nel farsi
espressione fisica ed ossessivamente manifesta delle parti doloranti ed angosciate
dell'animo. L'impeto etico mostra la sua efficacia non in sé, ma nel far sviluppare
esageratamente e nevroticamente in Elettra il suo carattere monocorde teso alla vendetta.
Il dramma di Hofmannstahl divenne libretto per l'omonima opera con musica di Richard
Strauss (1909). Il delirio espressionistico della musica di Strauss corrisponde agli
interventi già operati da Hofmannstahl sulla trama e sui caratteri sofoclei. Elettra
evoca lo spirito paterno e profetizza alla madre il tremendo matricidio. Alla fine del
dramma, mentre Oreste è acclamato da tutti, l'eroina porta a compimento il suo ruolo
espressivo con una danza di folle gioia che la porta alla morte. Nel 1931 il drammaturgo
americano Eugene O'Neill fece rappresentare in una sola serata la trilogia Mourning
becomes Elettra (Il lutto si addice ad Elettra, tredici atti complessivamente). L'azione
ha come punto di riferimento storico-bellico la guerra di secessione, dalla quale si
attende il ritorno del generale Ezra Mannon. Nella sua casa si è introdotto, in assenza
di lui, il capitano Adam Brant, che poi si rivelerà come figlio di una serva e di un
cugino scacciato con ignominia da casa Mannon. Il giovane capitano è divenuto l'amante di
Christine, moglie di Ezra. Il personaggio che corrisponde ad Elettra è la figlia Lavinia,
che mostra un attaccamento morboso al padre, composto da gelosia verso la madre e da uno
strano senso di appartenenza ad una stirpe ancora potente e rispettata, ma prossima da un
crollo incombente. Dalla guerra torna anche Orin, il figlio maschio, ridotto dalle
tremende esperienze del combattimento in una condizione penosamente intermedia tra
l'infantile bisogno della madre e una virilità non ancora consolidata, che cade presto
sotto l'influenza della forte personalità della sorella. Dopo che Cristine ha provocato
la morte del marito, Lavinia costringe il fratello ad uccidere Brant. I ritratti degli
antenati incombono sui personaggi e sembrano ormai garantire la presenza della
maledizione: nessuno dei sopravvissuti riesce più a controllare le passioni che si
producono di continuo dentro di loro. Christine, tormentata dalla figlia, si uccide;
fratello e sorella cercano di dimenticare con un viaggio in Cina il loro passato. Proprio
l'Oriente però accenderà nuovi disagi: là Orin sognava di recarsi con la madre come in
un rifugio; là Brant aveva promesso di portare Christine e invece, al ritorno dal
viaggio, Orin prende a rimproverare Lavinia delle sue simpatie di zitella verso gli
indigeni. La casa dei Mannon è ora talmente pregna di lutti e di maledizione che Orin si
uccide e la sorella elegge come proprio ruolo nella stirpe contaminata quello della
sepolta viva nella villa degli antenati. Diversa la necessità che guida la ripresa del
mito da parte di Sartre nelle Mosche del 1943. Un Oreste allevato in terra straniera e non
certo educato alla vendetta, arriva ad Argo mentre si sta per compiere uno strano rito di
evocazione dei morti da una caverna. Si tratta della cerimonia che per volere di Egisto ha
luogo ogni anno nel giorno anniversario della uccisione di Agamennone: ognuno si prende i
suoi morti e vive ancora con loro un dì e una notte dando pieno sfogo ai sensi di colpa
che abbondano nella città maledetta. Giove, che si aggira nella città sotto mentite
spoglie umane, si compiace di questa condizione di eterno rimorso con la quale Egisto
mantiene l'ordine. Oreste, completamente estraneo a questa situazione, si lascia però
convincere dalla sorella alla vendetta. La fanciulla è tenuta come una serva nella reggia
e da anni desidera di sfuggire agli assurdi riti e al grigiore della città, piena di
mosche insistenti che gli dèi hanno inviato a render fisico il rimorso dei cittadini.
Prima di prendere la sua decisione, del resto, il figlio giustiziere ha dovuto lasciarsi
catturare dallo stato d'animo imperante, per potersi volontariamente inserire nella storia
della sua famiglia: la sua esistenza è ormai quella del vendicatore. La sorella, pentita
dopo il matricidio, lo abbandonerà, ma nel suo ruolo Oreste sarà accettato come nuovo re
in mezzo ai soliti sensi di colpa e alle stesse mosche. Nel 1967, in una Ungheria che
stava accantonando gli avvenimenti del 1956, si rappresenta con grande successo l'Elettra
di László Gyurkó, dalla quale sette anni dopo Miklós Jancsó trarrà il suo
film-balletto. Oreste, lontano da Argo, fa credere che la sua vita si dissolve nelle
gozzoviglie agli inviati del tiranno Egisto. Coperto da tali dicerie, rientra in città
insieme ad un servo muto; una Elettra pazza ed emarginata lo attende nella speranza della
vendetta. Egisto, informato di una presenza sospetta in città, riceve dall'incognito
figliastro la falsa notizia della sua morte, dinanzi alla quale Clitemnestra non ha
adeguate parole di dolore. Elettra incontra il fratello e, al fine riconosciutisi, sorge
tra i due un profondo sentimento. La fanciulla sfida poi pubblicamente Egisto durante la
festa della verità ed Oreste si rivela figlio di Agamennone ed uccide il tiranno. Quando
però si arresta dinanzi al matricidio suscitando la reazione della sorella, finisce con
l'ucciderla mentre viene maledetto come fratello e come re, da parte di una Elettra che
nella sua follia sterminatrice non accetta il tentativo di Oreste di riportare la
pacificazione nella città e nella stirpe. Nel 1973 un'Elettra in greco antico fu
rappresentata nel La Mama Experimental Theatre Club, una delle sale dove, accanto a
Brodway, artisti provocatori e spericolati tentavano esperimenti di qualità.
La saga degli Atridi è invece ripresa come mito di
riferimento nella sua complessità tenebrosa ne La recita (1975) del regista greco
Thodoros Anghelopulos. Una compagnia di guitti tenta di rappresentare un misero testo
teatrale girovagando nei luoghi e nel tempo della Grecia in guerra e nel dopoguerra.
All'interno della compagnia si sviluppano gli odi e le maledizioni del mito della famiglia
di Agamennone, mentre si è spettatori dell'occupazione nazista e del tempo che segue.
Alla pastorella Golfo (questo il ruolo nella recita del personaggio che corrisponde ad
Elettra) tocca di prender la parola dinanzi alla macchina da presa per narrare, mentre si
riprende dallo stupro subito per salvare il fratello Tassos (sempre chiamato Oreste),
partigiano in montagna, le stragi del 3 e 4 dicembre 1944 e la guerra civile che seguì
fino al febbraio 1945 ("Tutti credevamo nella liberazione perché tutti avevamo
dato"). È ancora lei che assiste immobile al ballo di benvenuto al 1946 con lo
squallido trionfo dei realisti spacconi ("Oreste non è tornato: la guerra
continua") prima di rimanere, unica superstite insieme al suonatore della fisarmonica
che da sola accompagna tutta la storia, a seppellire il fratello ucciso tra le delusioni
postbelliche e ad insistere nella sua recita.
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