L’origine della tragedia

La tragedia nasce ad Atene alla fine del VI sec. a.C., ma la sua origine è assai problematica e discussa. Il termine stesso tragodìa è inteso in vari modi: a) "canto dei capri"; b) "canto per il sacrificio del capro"; c) "canto per il capro" (inteso come premio). Aristotele scrive: "Trae la sua origine dall’improvvisazione, non solo la tragedia, ma anche la commedia: la prima dai corifei che intonavano il ditirambo, la seconda da chi guidava le processioni falliche, rimaste in uso ancora oggi in varie città" (Poetica, 1449a, 10). Secondo il filosofo l’origine va dunque rintracciata nei rituali dionisiaci, durante i quali satiri travestiti da capri, cioè i tràgoi seguaci di Dioniso, cantavano il ditirambo, un coro di natura magico-religiosa legato ai culti agresti in onore del dio. All’inizio, il coro avrebbe improvvisato una danza e un canto intorno all’altare di Dioniso e davanti ad un pubblico identificato religiosamente con lo stesso coro. Più tardi un corifeo (o capocoro) si sarebbe staccato dal gruppo per raccontare l’azione (dràma) del dio. Un’altra ipotesi fa risalire questo genere di spettacolo ad una forma mimico-drammatica di lamentazione funebre che cantava i pàthea, le sofferte vicissitudini, di un eroe.


La catarsi tragica  

Aristotele nella Poetica scrive che "la tragedia è l’imitazione di un’azione seria e compiuta in se stessa , di una certa estensione, in un linguaggio adorno di vari abbellimenti, applicati ciascuno a suo luogo nelle parti diverse, rappresentata da personaggi che agiscono e non narrata, la quale mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni ". Lo spettatore, dalla visione del dramma, era cioè sottoposto ad un effetto di ‘catarsi’, di purificazione: s’interrogava sul senso della vita, sul mistero della morte, sulla presenza del male, della colpa, del dolore, sul destino individuale e collettivo. Quei sentimenti quali l’amore, l’odio, la vendetta, la pietà che dominavano negli eroi tragici, una volta proiettati sulla scena, venivano razionalizzati e come espulsi, liberati, dagli strati più profondi della coscienza.

 

 


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