Jean-Philippe Rameau

Estratti dalle

"Osservazioni sul nostro istinto per la musica
e sul suo principio
dove i mezzi per riconoscere l'uno dall'altro conducono a dar ragione
con certezza dei diversi effetti di quest'arte"
[1]

 

 

 

Per godere pienamente degli effetti della musica, bisogna essere in uno stato di puro abbandono da se stessi, e per giudicarli, bisogna riferirsi al principio dal quale si è colpiti. Questo principio è la natura stessa, è da lei che noi riceviamo il sentimento che ci muove in tutte le nostre operazioni musicali, e questo dono che la natura ci ha dato si può chiamare istinto. Consultiamola allora nei nostri giudizi, vediamo, prima di pronunciarci, come ci manifesta i suoi misteri; e se vi sono ancora uomini a tal punto pieni di loro stessi da osare decidere autonomamente, bisogna sperare che non se ne trovino più di così deboli da ascoltarli.

Uno spirito preoccupato, sentendo della musica, non è mai in una situazione abbastanza libera per poterne giudicare. Se nella sua opinione, per esempio, lega la bellezza essenziale di quest'arte ai passaggi dal grave all'acuto, dal piano al forte, dal vivace al lento, mezzi di cui ci si serve per variare i rumori, giudicherà di tutto a partire da questo pregiudizio, senza riflettere sulla debolezza di questi mezzi, sullo scarso merito che si ha nell'impiegarli, e senza accorgersi che sono estranei all'armonia, che è l'unica base della musica e il principio dei suoi più grandi effetti.

Quanto giudica diversamente un'anima veramente sensibile! Se non è penetrata dalla forza dell'espressione, da queste pitture vive di cui solamente l'armonia è capace, non può mai essere completamente soddisfatta: non che non sappia dar ascolto a tutto ciò che possa divertirla, ma quanto meno non apprezza le cose se non in proporzione agli effetti che prova.

Solo all'armonia spetta muovere le passioni, la melodia non trae la sua forza che da questa fonte, dalla quale proviene in modo diretto. Quanto alle differenze dal grave all'acuto ecc., esse non sono che delle modificazioni superficiali della melodia, non aggiungono quasi niente, come verrà dimostrato nel corso dell'opera con degli esempi chiarissimi, dove il principio si verifica a partire dal nostro istinto, e questo istinto a partire dal suo principio, ovvero dove la causa di verifica dall'effetto che si prova, e questo effetto dalla sua causa.

Se l'imitazione dei rumori e dei movimenti non è impiegata tanto frequentemente nella nostra musica come in quella italiana, è perché l'oggetto dominante della nostra è il sentimento, che non ha affatto dei movimenti determinati, e che di conseguenza non può essere ovunque asservito a una misura regolare senza perdere questa verità che ne costituisce il fascino. L'espressione del fisico risiede nella misura e nel movimento, quella del patetico, al contrario, nell'armonia e nelle sue inflessioni: questo è ciò che bisogna ben soppesare prima di decidere su quale delle due far pendere la bilancia.

	Il genere comico, non avendo quasi mai il sentimento per oggetto, è di conseguenza il solo che sia costantemente suscettibile di questi movimenti cadenzati di cui si attribuisce merito alla musica italiana, e tuttavia non si considera il fatto che i nostri musicisti li hanno impiegati abbastanza felicemente nel piccolo numero di saggi e tentativi che la delicatezza del gusto francese ha permesso loro di arrischiarsi a compiere. Con questi saggi si è potuto dare facilmente prova di quanto ci fosse facile eccellere in tale genere[2].

Si può considerare questa breve opera come il risultato di quelle che ho scritto sullo stesso soggetto, e spero che mi si vorranno perdonare, in questo caso, alcune ripetizioni necessarie alla comprensione di ciò che qui si trova di nuovo messo in gioco. Se mi sono un po' diffuso su alcuni articoli che non interesseranno forse allo stesso modo tutti i lettori, è perché alcuni autori possano, quantomeno, riconoscere in cosa è stato possibile sbagliarsi.

Mentre lavoravo a quest'opera in cui all'inizio non avevo di mira che il nostro istinto per la musica e il suo principio, sono apparsi numerosi scritti sulla teoria dell'arte[3], ai quali ho creduto di non poter meglio rispondere se non approfittando delle mie prime idee per mettere ciascuno in grado di, non soltanto giudicare da solo, ma potersi dare ragione dei diversi effetti dell'armonia, senza troppo sforzo né di ingegno né di memoria.

In effetti non si tratta d'altro, per pervenire a delle conoscenze che hanno potuto apparire fino ad oggi inattingibili, che di riferirsi unicamente ai prodotti del corpo sonoro, prodotti che si distinguono in due generi, generi che si riconoscono per la funzione che questi stessi prodotti occupano nell'ordine della generazione, funzione che, da parte sua, si riconosce a partire da due termini dell'arte d'altronde molto significativi, ovvero la dominante, quinta sopra, e la sottodominante, quinta sotto; l'una che indica che la voce deve alzarsi, l'altra che deve abbassarsi; l'una che è sempre accompagnata da un nuovo diesis o bequadro; l'altra da un nuovo bemolle; l'una che ha generalmente in sorte la forza e la gioia; l'altra la debolezza, la dolcezza e la tristezza; l'una e l'altra, infine, ci servono molto spesso da interpreti nelle nostre espressioni, quando, per esempio, citiamo il diesis, il bequadro, come segno di forza, di vigore, ed eleviamo la voce in casi analoghi, e quando la abbassiamo e citiamo il bemolle in segno di mollezza, di debolezza: in modo tale che il tutto, considerato con un po' riflessione, si riduce alla più grande semplicità.

Gli esempi contenuti nelle mie osservazioni confermano la verità dei precetti che stabilisco per giungere alla conoscenza delle cause, e arrivano perfino a giustificare il gusto della nazione per le opere musicali alle quali essa ha accordato il suo plauso.

Per dare a questi precetti tutta la forza necessaria, ho dovuto dimostrare l'istinto a partire dal suo principio, e questo principio dallo stesso istinto: essi sono, l'uno e l'altro, opera della natura. Non abbandoniamola allora mai più, questa madre delle scienze e delle arti, esaminiamola con attenzione, e assumiamo il dovere di non lasciarci guidare che da lei.

Il principio di cui si tratta non è solo quello di tutte le arti del gusto, come conferma già un Trattato sul Bello essenziale nelle Arti, applicato principalmente all'Architettura[4], ma è anche quello di tutte le scienze sottomesse al calcolo: e ciò non si può negare, senza negare allo stesso tempo che queste scienze siano fondate sulle proporzioni e sulle progressioni, di cui la natura ci ha reso partecipi nel fenomeno del corpo sonoro, con delle circostanze così definite, che è impossibile tirarsi indietro di fronte a tale evidenza; e come negarlo! Poiché: senza proporzioni, niente geometria.

Ogni ipotesi, ogni sistema arbitrario deve scomparire di fronte a un simile principio, non si deve nemmeno avere la vanità di scoprirne uno altrettanto luminoso. Se in esso si trova già il germe di tutti gli elementi della geometria, di tutte le regole della musica e dell'architettura, che cosa potremmo aspettarci fondandolo ancor più scrupolosamente di come già si è fatto[5]?

La musica ci è naturale, non dobbiamo che al puro istinto il sentimento piacevole che essa ci suscita: questo stesso istinto agisce in noi quando incontriamo numerosi altri oggetti che possono ben avere qualche rapporto con la musica, ed è per questo che conoscere il principio di un tale istinto non deve essere indifferente a coloro che coltivano le scienze e le arti.

Ora questo principio è noto: esso esiste, come non si può ignorare, nell'armonia che risulta dalla risonanza di qualsiasi corpo sonoro, che sia un suono della nostra voce, di una corda, di un tubo, di una campana, ecc., e bisogna soltanto esaminare se stessi in tutti i passi che si fanno in musica per convincersene ancora di più.

Per esempio, tanto un uomo senza esperienza musicale quanto il più esperto, appena canta spontaneamente prende di solito dal centro dell'estensione della sua voce il primo suono che intona, e dopo comincia sempre a salire, sebbene l'estensione della sua voce abbia quasi le stesse possibilità al di sopra e al di sotto di questo primo suono. Ciò è assolutamente conforme alla risonanza del corpo sonoro, i cui suoni derivati sono all'acuto rispetto a quello che li racchiude tutti e che si crede sentire come unico.

D'altro canto, per poca esperienza che si abbia, non si fa quasi mai a meno, quando si vuole cantare per se stessi, di intonare di seguito, sempre salendo, l'accordo perfetto maggiore composto dall'armonia del corpo sonoro; il genere maggiore è infatti sempre preferito al minore, a meno che quest'ultimo non sia suggerito da qualche reminiscenza [6] [...]

Qual è d'altronde lo stimolo di questi bei preludi, dei capricci felici, allo stesso tempo eseguiti e immaginati principalmente all'organo? Se la guida dell'orecchio non fosse delle più semplici, le dita invano si sarebbero esercitate a tutti i pezzi possibili e non sarebbero comunque in grado di obbedire sul momento all'immaginazione guidata dall'orecchio.

In effetti tale guida dell'orecchio non è altro che l'armonia di un primo corpo sonoro, dalla quale il nostro udito è tanto più colpito quanto riesce ad avere presentimento di tutto ciò che può seguire e ricondurlo a questa armonia: tutto ciò consiste semplicemente nell'intervallo di quinta per i meno esperti, e in quello di terza quando l'esperienza ha compiuto progressi maggiori[7].

Ma non andiamo così lontano! Possiamo infatti sempre notare che, per poca esperienza si abbia, si segue sempre innanzitutto l'ordine della tonalità [8]annunciata dalla prima armonia, e che la prima nuova tonalità a cui poi si passa è generalmente quella della stessa quinta dalla quale riceviamo, salendo, il sentimento del tono, e discendendo quello del semitono, secondo ciò che è già stato detto. Sulla quinta infatti è fondata tutta la melodia che si può trarre con giustezza dagli strumenti naturali, come la tromba e il corno da caccia, e che si è data ai timpani per servire come basso a questa melodia [9]e quale basso ancora? Il basso fondamentale, senza che se ne sia avuto il disegno, poiché è conosciuto soltanto ai nostri giorni.

Questi strumenti naturali sono essi stessi dei corpi sonori che, di giusto, in tutta la loro estensione, hanno soltanto ciò che appartiene alla loro armonia e a quella della loro quinta: in modo che, confermando l'istinto che ci porta generalmente a questa quinta o alla sua armonia, lo stesso istinto conferma a sua volta il principio che lo guida.

Un simile comportamento da parte nostra, che è puramente meccanico, dovrebbe ben fare aprire gli occhi sul principio che ne è il solo e unico motore: e coloro che coltivano altre scienze dovrebbero a loro volta esaminare il proprio comportamento. Vi riconosceranno senza dubbio questo stesso principio, almeno nelle proporzioni sulle quali essi fondano quasi tutte le loro operazioni. Si preferirebbe doverle al caso, queste proporzioni, piuttosto che a un fenomeno nel quale la natura le ha tutte conglobate con delle circostanze che possono ben estendersi ad altri oggetti oltre alla musica [10] ? [...]

Qual è il filosofo, qual è l'uomo che, con un poco di senso comune, non riconoscerà di dovere alla natura, al suo puro istinto, questo sentimento piacevole che prova sentendo taluni rapporti di suoni [11] ?

 

 

NOTE

[1] La traduzione dei testi è a cura di Cecilia Balestra è stata fatta comparando le seguenti edizioni: Jean-Philippe Rameau, Complete Theoretical Writings, ed. Jacobi, American Institute of Musicology, 1967-1972, che raccoglie l'opera omnia dell'autore in ristampa anastatica; Jean-Philippe Rameau, Musique raisonnée, recueil de textes avec des études de C. Kintzler et J.-C. Malgoire, Paris, Stock, 1980; Jean-Philippe Rameau, Observations sur notre instinct pour la musique, et sur son principe, ripr. dell'edizione Paris, Prault fils, 1754. Per quanto riguarda i testi scelti non sono state osservate differenze di rilievo tra le edizioni citate.

[2] I Troqueurs rappresentati alle ultime Fiere di S. Laurent e di S. Germain, e la Coquette Trompée rappresentata a Fontainebleu nel 1753.

[3] Forse gli autori di questi scritti apprezzeranno che non li abbia nominati affatto.

[4] Di M. Briseux.

[5] Jean-Philippe Rameau, Observations sur notre instinct pour la musique, Préface, in Musique raisonnée, op. cit., pp. 145-49.

[6] Jean-Philippe Rameau, Observations sur notre instinct pour la musique, in Musique raisonnée, op. cit., pp. 150-51.

[7] Si veda la Démonstration du principe de l'harmonie sulla formazione del modo, p. 33, su quella del minore, p. 62, e sul rapporto tra i modi, p. 42. Lasciamo a parte l'enarmonico, perché, parlando in assoluto, si può tralasciare questo genere, sebbene abbia le sue bellezze. È in uso da pochissimo tempo e spesso senza piacere molto, tanto è raro poterlo utilizzare felicemente.

[8] Abbiamo tradotto il francese "mode" con "tonalità" in quanto Rameau, pur usando il termine modo non si sta riferendo ai modi maggiore e minore, ma all'ordine delle scale tonali. Infatti, prendendo come esempio la tonalità di do maggiore, ottenuta la quinta sol, e costruito l'accordo perfetto maggiore sol-si-re, Rameau riesce per via intuitiva a dimostrare l'intervallo di tono (intervallo ascendente do-re, con re come quinta di sol) e quello di semitono (intervallo discendente do-si, con si come terza di sol). (n.d.t.)

[9] La quarta che formano tra loro le due casse, è una quinta rivoltata.

[10] Jean-Philippe Rameau, Observations sur notre instinct pour la musique, in Musique raisonnée, op. cit., pp. 153-55.

[11] ivi, pp. 155.

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