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IVOR GUEST

LA DANZA ALL'OPÉRA

MUSICA IN SCENA - V - UTET

pp. 165 ss.

Che il linguaggio universale della tecnica del balletto sia rimasto a tutt'oggi francese è la prova sintomatica dell'apporto dominante della Francia nel periodo di gestazione del balletto come forma teatrale. In realtà non fu mai un'arte esclusivamente francese. Di certo le sue più remote origini si possono far risalire alle corti italiane del Rinascimento, e dalla stessa Italia vennero in seguito rilevanti contributi, specialmente in campo virtuosistico e nel Settecento, per il tramite di Gasparo Angiolini (1731-1803), allo sviluppo del balletto come forma teatrale autonoma. Altre nazioni giocarono altresì ruoli modesti in questo sviluppo. Ma Parigi, l'incontestata capitale dell'arte in Europa, era l'epicentro dal quale emanava l'energia che alimentava la diffusione del balletto nel continente. I 'maitres de ballet' e i ballerini che qui si erano formati erano richiesti sempre ed in ogni luogo, e per il loro tramite il balletto, ovunque mettesse radici, acquistava un gusto inconfondibilmente ed essenzialmente francese. Nel Settecento il balletto francese rappresentò indiscutibilmente il più importante indirizzo artistico, e il suo primato rimase incontestato anche sul finire del secolo, quando la Francia era stretta nella morsa della Rivoluzione.
Agli albori del Settecento il centro del balletto francese era a Parigi presso l'Académie Royale de Musique, da poco istituita, più nota come l'Opéra. Luigi XIV, l'invecchiato Re Sole, dominava ancora il suo regno dal vasto e splendido palazzo di Versailles, ma il periodo di gloria del balletto di corte, del quale aveva fatto parte egli stesso, si era concluso circa trent'anni prima. Gli affari di Stato, ed in particolare il crescente coinvolgimento in guerre straniere, avevano richiesto sempre più sia la sua attenzione sia le risorse finanziarie del Paese, e lui stesso aveva smesso di danzare nella compagnia formata da suoi cortigiani e da un pugno di professionisti. La vera e propria scomparsa del balletto di corte e la contemporanea istituzione di un teatro d'opera a Parigi aprirono una nuova era nel balletto francese. Da mero intrattenimento di corte si trasformò d'un tratto in spettacolo teatrale, il solo vivaio di cantanti e ballerini professionisti. Tuttavia il filo della continuità non si era interrotto; canto e danza coesistevano in un'unione apparentemente inscindibile - qual era stata nei balletti di corte - in una forma lirica ibrida che si presentava in una molteplicità di generi - opera, tragedia in versi e occasionalmente balletto - dove la differenza tra le prime due e l'uftimo dipendeva dall'importanza che veniva data alla danza.
Jean-Baptiste Lully (1632-1687), per molto tempo il musicista favorito del re, non solamente aveva diretto l'Opéra durante quasi tutti gli anni della sua fondazione, ma, dal 1672 fino alla morte, nel 1687, aveva composto tutti i lavori che vi erano stati allestiti. Da ballerino, quale era stato egli stesso in gioventù, aveva riconosciuto il talento di Pierre Beauchamps (1631-1719) col quale condivideva la professione di compositore di balletti. Fu Beauchamps, nelle vesti sia di maestro di balletto che di insegnante, a impiantare una compagnia di balletto di professionisti con le misere risorse di cui poteva disporre quando ebbe a subentrare. Per i primi anni la neonata Académie fu decisamente a corto di ballerini, poiché, sebbene il re avesse specificamente concesso a tutti i cortigiani che avevano fatto parte del balletto di corte di comparire sulla scena del nuovo teatro d'opera senza detrimento alcuno al proprio rango, non uno fu tentato d'intraprendere una carriera teatrale e l'Opéra si vide costretta ad andare in cerca di rinforzi tra gli allievi dei maestri di ballo di Parigi, l'attività principale dei quali era quella di insegnare ai dilettanti.
Accadde così che in quei primi giorni la compagnia del balletto fosse interamente composta di uomini. Invero qualche danseuse professionista si era fatta vedere ai balletti di corte, ma evidentemente nessuna fu presa in forza all'Opéra dove per diversi anni ancora le parti femminili sarebbero state interpretate da giovani en travesti - un sotterfugio reso meno evidente dalla pratica assai diffusa dell'uso di maschere. Solamente nel 1681 l'Opéra fu in grado di portare in scena delle ballerine, un'occasione per la quale Lully scrisse Le triomphe de l'amour (Il trionfo dell'amore), un lavoro che si proponeva come balletto, sebbene l'azione scenica fosse resa dai cantanti, e dove, oltre ad altre tre ballerine, figurava Mademoiselle de La Fontaine (1655-1738), alla quale si attribuisce il merito d'essere stata la prima ballerina dell'Opéra.
Secondo François-Henri Castil-Blaze (1784-1857) storico dell'Opéra dell'Ottocento, Lully aveva istituito una scuola nel 1672, che venne posta sotto la responsabilità di Louis Lestang e sotto la direzione di Beauchamps. Beauchamps, che occupa un posto d'onore nel primo periodo della storia del balletto, fu uno straordinario pedagogo, nonché l'artefice dello stile nobile che doveva diventare la caratteristica e la gloria del balletto francese sino ai primi dell'Ottocento. Ebbe l'intelligenza di analizzare il modo nel quale si era sviluppata la tecnica della danza contemporanea, e di ricondurne l'apprendimento ad un metodo chiaro e definito. Gli fu anche attribuito il merito di avere inventato le cinque posizioni del piede, che ancora oggi rimangono la base fondamentale del balletto classico; egli impostò inoltre altre regole che erano destinate ad essere universalmente accettate nell'insegnamento della tecnica del balletto. Si può esser certi che a quei primi ballerini dell'Opéra venissero date basi eccellenti.
Quando Beauchamps si ritirò, nello stesso anno della morte di Lully, il 1687, gli successe il suo allievo Louis Pécour (1651-1729), il quale conservò l'incarico di 'maitre de ballet' fino alla morte, nel 1729. Sotto la sua direzione continuò di buon passo l'uso di professionisti nel teatro di danza, e la sua tecnica si allontanò ulteriormente da quella della danza di intrattenimento. Nell'evoluzione di quella fase che divenne nota come lo stile nobile, i passi essenziali delle più recenti danze di corte furono abilmente abbelliti da tour de force quali capriole e serie di piroette, che i ballerini dovevano eseguire con un'eleganza e una naturalezza che non disturbassero il ritmico fluire della danza stessa. Nel Settecento questa evoluzione era ancora riservata ai soli ballerini, poiché la tecnica delle ballerine era in gran misura limitata dai costumi e anche, senza dubbio, da considerazioni di opportunità.
Nel Settecento le opere di Lully dovevano essere decisamente fuori moda per i gusti del pubblico più giovane, mentre ai ballerini dell'Opéra non serviva più a dimostrare la loro crescente capacità tecnica. All'interno del teatro la posizione del balletto registrava rapidi progressi, com'era evidente dalla crescita dell'organico della compagnia. I ballerini erano di gran lunga superati in numero dai cantanti, ventidue contro cinquanta, e anche le prime parti erano pagate meno: un ballerino protagonista riceveva mille lire l'anno, paragonate alle millecinquecento che venivano pagate ad una prima parte di cantante. Dalla condizione di spalla dei cantanti, i ballerini erano ora in grado di rivendicare una maggiore partecipazione all'azione scenica, come era riconosciuto sia dal pubblico sia dai musicisti che componevano i nuovi lavori che entravano nel repertorio.
La conseguenza fu l'opéra-ballet, una forma che mirava a costruire un nuovo equilibrio tra l'elemento lirico e quello coreografico, inaugurata nel 1697 con L'Europe galante di André Campra (1660-1744). La struttura di questo lavoro - e di molti altri che lo seguirono - era molto più slegata di quella delle tragédies lyriques di Lully, che avevano uno sviluppo narrativo ininterrotto per tutto il corso dell'opera; in un'opéra-ballet, invece, ciascun atto formava un'entità a sé stante, unito agli altri soltanto da un legame molto tenue, quando c'era. Come il nome opéra-ballet suggeriva, la danza ne era una caratteristica importante, sebbene la narrazione dei singoli atti fosse sempre affidata ai cantanti solisti e al coro. Conformemente al suo scopo, la musica di Campra era molto meno seria di quella di Lully e anche alquanto italianizzata nel gusto, prefigurando il nuovo spirito che doveva infondere la vita, il pensiero e l'arte del periodo della Reggenza, durante la minore età di Luigi XV. Dopo il lungo e - nel suo ultimo periodo - austero regno del Re Sole, la Francia stava passando dal Barocco al Rococò, e la danza, insieme alla musica scritta per essa, si stava adattando a questo orientamento generale.
Era del tutto naturale che il crescente talento dei ballerini professionisti dell'Opéra dovesse accompagnarsi a un cambiamento nello stile delle composizioni scritte per loro. L'esempio di Campra fu presto seguito dal suo allievo André Destouches (1672-1749) il quale aveva occupato per molti anni un'importante carica amministrativa all'Opéra e ne era stato direttore dal 1728 al '31. Destouches scrisse diversi lavori alla moda, tra i quali Les Eléments (Gli elementi), che venne in origine rappresentato a corte, con la partecipazione dello stesso Luigi XV, e dopo qualche anno, nel 1725, entrò nel repertorio dell'Opéra. Un altro elegante compositore di musiche di danza fu Jean Mouret, il quale diventò noto come Le compositeur de Grâces in virtù del successo ottenuto nel 1735 dal suo «ballet héroique» Les Grâces (Le Grazie).
Tuttavia tutti questi musicisti dovevano essere messi in ombra dalla torreggiante figura di Jean-Philippe Rameau (1683-1764). Rameau iniziò a comporre per il teatro in una fase relativamente avanzata della sua carriera, quando era già famoso per le composizioni clavicembalistiche e per il suo trattato di armonia. All'Opéra raggiunse il primato sia con opere come Castor et Pollux (1737), sia con opéras-ballets come Les Indes galantes (Le Indie galanti, 1735) e Les fêtes d'Hébé (Le feste di Ebe, 1739).
In armonia con lo spirito dell'epoca, l'opéra-ballet diede al repertorio un tocco di maggiore leggerezza; la cerimoniosità barocca che aveva contraddistinto il regno del vecchio re cedeva il passo a forme più intime, più delicate, riflesso della nuova scuola di pittura che si avviava per merito di Jean-Antoine Watteau, Nicolas Lancret e Maurice de La Tour. Mentre ancora si rappresentavano tragédies lyriques dai temi sfarzosi e mitologici, era proprio il meno consistente opéra-ballet, con i suoi allestimenti esotici e l'accresciuto spazio dato alla danza, che ora incontrava i maggiori favori del pubblico. Questa forma era destinata a conservare la sua popolarità fino alla seconda metà del secolo e incoraggiò la pratica, resa possibile dalla maggior libertà della struttura, di estrarre da diversi lavori del genere gli atti più popolari e presentarli nei programmi che venivano definiti di «Frammenti».
Les Indes galantes ne era un tipico esempio. Il tema comune, che collegava gli atti tra loro, veniva esposto in un prologo nel quale il Dio dell'Amore decideva di abbandonare i giovani d'Europa ossessionati dalla guerra e di cercare sfogo alle proprie energie in terre più lontane. Gli atti che seguivano erano singole scene d'amore ambientate nelle Indie, in Perú, in Persia, e ogni atto era compiuto in se stesso e caratterizzato da un effetto scenico spettacolare: un naufragio, un vulcano in eruzione, una festa di fiori; in seguito venne aggiunto un quarto atto, ambientato nell'America del Nord. La posizione di rilievo che Rameau dava alla danza si rispecchiava nella cura che dedicava a quelle sezioni dello spartito. Tuttavia, poiché il teatro di danza era ancora prevalentemente una forma evoluta dalla danza eseguita nei saloni da ballo, e giocava un ruolo decisamente poco importante nello sviluppo narrativo, Rameau in genere seguiva la pratica radicata di comporre per forme stabilite di danza. Ma, dato che scriveva per ballerini la cui tecnica stava diventando sempre più brillante, infuse nella grande varietà di queste forme una ricca vitalità e innumerevoli tocchi di felice ingegno; nelle gavotte e nei minuetti si potevano avvertire sotto la superficie nostalgiche correnti sotterranee, e le solenni loure e gigue, adornate di inattesa eleganza, erano inframmezzate dalle forme più di moda di rigaudon, bourrée, tambourin, musette e contre-danse. Anche nelle sue opere erano previsti passaggi per accompagnare scene nelle quali i ballerini erano usati nell'azione scenica, e ne è un esempio straordinario «l'entrata e il combattimento figurato degli atleti» in Castor et Pollux. Più di ogni altro compositore del suo tempo Rameau rispecchiava nelle musiche di danza il virtuosismo e la ricerca di più importanti contenuti espressivi, che erano le principali tendenze del teatro di danza nella Francia del Rococò.
Il tocco di maggiore leggerezza dei nuovi allestimenti e la grande varietà di luoghi nei quali era ambientata l'azione scenica si doveva ritrovare anche nel modo di disegnare e dipingere gli scenari, ma ancora più significative erano le nuove mode introdotte dai costumisti. Per venire incontro alla crescente complessità e al virtuosismo della tecnica dei ballerini, venivano usati materiali più leggeri per i costumi. L'introduzione del guardinfante nella moda femminile portava naturalmente ad adottare la gonna a campana, lunga fino alla caviglia, nella forma già evidente nei disegni dei costumi di Claude Gillot per Les Eléments nel 1721.
Qualche anno più tardi si dovette accorciarla di qualche centimetro per poter mostrare il gioco di piedi della Camargo. I dipinti di Lancret raffiguranti questa ballerina e la sua contemporanea,



la Sallé, ci mostrano la nuova silhouette, che avrebbe lasciato la ballerina libera di competere con i colleghi di sesso maschile in un modo che sarebbe stato inconcepibile con l'impaccio dei costumi delle ballerine del passato. Al contempo anche i costumi maschili diventavano più leggeri, anche se, per molti anni ancora, il danseur noble sarebbe apparso mascherato e con indosso il tonnelet, un'appendice imbottita, simile a un kilt, che copriva le cosce e a tratti arrivava a un'ampiezza assurda, come un panier accorciato.
Gli allestimenti all'Opéra continuarono a seguire la tradizionale forma ibrida, con parti cantate e danzate in proporzione variabile. L'uso della parola «balletto» per descrivere un lavoro non indicava in alcun modo l'esclusione dei cantanti, ma riprendeva piuttosto il modello di quei 'ballets à entrées' un tempo popolari a corte. I ballerini non interpretavano mai ruoli di azione teatrale, e se occasionalmente venivano inseriti in scene di danza con un'allusione ad un tema questi passaggi avevano tutti, troppo spesso, lo scopo di smorzare l'effetto emotivo accumulato nella parte cantata. Faire entrer les danses era un'esigenza richiesta dal librettista, e quindi venne dato il nome di entrée a questi passaggi di danza interpolati.
Non c'era quindi molta necessità di una qualche concreta collaborazione tra il compositore - o il librettista - e il maître de ballet (coreografo), dal momento che la danza veniva considerata un interludio piuttosto che parte integrante dell'azione teatrale. Il maitre de ballet era trattato pressappoco come un capomastro poteva essere considerato da un architetto. Secondo Jean-Georges Noverre (1727-1810) gli venivano normalmente date istruzioni che non comprendevano nessuna indicazione sull'intreccio, e gli si richiedeva di mettere insieme le sue danze per arie composte senza riguardo alcuno per il complesso delle circostanze dell'azione scenica. Forse un po' esagerando, per dimostrare il suo punto di vista, Noverre immaginava come tipico il seguente scenario:
PROLOGO, Passepied per i Giochi e i Piaceri; Gavotta per il Riso, Rigaudon per i Sogni piacevoli. AL PRIMO ATTO: aria marcata per i Guerrieri, seconda aria per i medesimi; Musette per le Sacerdotesse. AL SECONDO ATTO: Loure per i Popoli, Tambourin et Rigaudon per i Marinai. AL TERZO ATTO: aria marcata per i Demoni; aria vivace per i medesimi. AL QUARTO ATTO: entrata dei Greci e Ciaccona, senza contare i Venti, i Tritoni, le Naiadi, le Ore, i Segni dello Zodiaco, le Baccanti, gli Zefiri, le Ondine ed i Sogni infausti (J.-G. Noverre, Lettres sur la danse et sur les ballets, Lione, Delaroche, 1760, p. 168).
Il delineamento dei caratteri e l'espressione di forti passioni non facevano ancora parte del campo d'azione del ballerino. Sia il ballerino sia la ballerina erano ancora ben lungi dall'essere usati come artisti con veri ruoli di interpreti. Le maschere erano ancora accettate senza riserve, perché in verità a quel tempo rispondevano ad un chiaro scopo, nascondendo le espressioni del viso e concentrando l'attenzione dello spettatore sul movimento e sullo stile dell'esecutore. Fu solamente quando le iniziative per introdurre il ballet d'action acquistarono slancio, nei decenni successivi, che le maschere furono considerate un impedimento.
La prima metà del Settecento fu l'epoca degli interpreti, quanto i suoi ultimi decenni dovevano essere quella dei coreografi. In un succedersi di capaci maitres de ballet - Louis Pécour fino al 1729, Michel Blondy fino al 1739, Antoine Bandieri de Laval fino al 1748 e Jean Barthélemy Lany fino al 1769 - lo stile nobile del teatro di danza francese venne ulteriormente elaborato con tecniche che andavano ben oltre le capacità del ballerino dilettante della sala da ballo. Inesorabilmente il teatro di danza si separava dalle convenzioni sociali, e si dirigeva verso ciò che doveva diventare entro la fine del secolo: una disciplina separata e riservata ai professionisti del teatro.
Nel corso di questo sviluppo, una serie di importanti ballerini calcò le scene dell'Opéra. Agli inizi del secolo la sezione maschile era guidata da Claude Balon e da Michel Blondy, rivali e quasi esattamente contemporanei; entrambi erano allievi di Pécour, e Blondy aveva anche studiato con Beauchamp, suo zio. Balon era rinomato per la straordinaria leggerezza e per la musicalità, mentre Blondy era definito dai fratelli Parfaict «il più grande ballerino d'Europa per la danza solenne, le entrée di slancio e quelle di carattere» (cit. in Enciclopedia dello Spettacolo, II, s.v. Blondy, di M. F. Christout). Un po'più giovani erano i fratelli Dumoulin, il più giovane dei quali, David, di notevole agilità e velocità, fu un degno successore di Balon. Un'altra dinastia fu quella dei tre Malter - i primi due probabilmente fratelli ed il terzo un cugino - tutti e tre conosciuti comunemente con i loro soprannomi: il maggiore, René, «Malter le Diable»; il secondo, François-Antoine, «Malter l'0iseau», per la sua leggerezza; il più giovane, François-Louis, «Malter l'Anglais» o, più volgarmente, «la petite culotte». Meno noto come interprete fu François Marcel, che in età più avanzata avrebbe acquistato una fama d'altro genere, come massima autorità nel campo del minuetto.
Tuttavia la più splendida tra tutte le stelle del firmamento maschile del Settecento fu innegabilmente Louis Dupré (1690-1774), che debuttò nel 1714, l'ultimo anno di regno del vecchio Re Sole e sembrò aver ereditato qualcosa dell'aura del grande monarca. La statura imponente e la sorprendente armonia e maestà dei movimenti ne facevano il perfetto modello dello stile nobile e gli meritarono per l'appunto l'attributo di «le Dieu de la Danse». Il poeta Dorat evocò il suo straordinario carisma con quattro versi eloquenti: «Allorché il grande Dupré, dal superbo incedere, ornato del suo pennacchio, avanzava sulla scena, pareva di vedere un dio scendere dagli altari e venire ad unirsi alle danze dei mortali.» (Claude-Joseph Dorat, La déclamation théátrale, Parigi, Delalain, 1771, p. 171).
Noverre ne diede una valutazione più spassionata, come di una bella macchina, perfettamente regolata, ma alla quale mancava un'anima. Doveva alla natura le belle proporzioni del suo corpo; e da questa eccellente costruzione e dall'incastro ben riuscito della struttura complessiva derivavano spontaneamente movimenti dolci ed aggraziati, e un perfetto accordo nel gioco flessibile delle articolazioni. Tutte queste rare qualità gli conferivano un'aria celeste. Ma era uniforme: non variava mai i suoi passi, ed era sempre Dupré (J.-C. Noverre, ,Lettres sur la danse, sur les ballets et les arts, San Pietroburgo, Schnoor, 1803-04, vol. IV, pp. 79-80).
Casanova lo vide danzare nel 1750, quando aveva già da un pezzo superato la cinquantina, e in un famoso passo lo descrive mentre entra in scena fra i clamorosi applausi provenienti dal parterre: «un grande e bel ballerino, mascherato e ricoperto di un'enorme parrucca nera che gli scende fino a metà altezza, vestito di un costume aperto sul davanti che gli scende fino ai talloni [...]. Vedo questa bella figura che avanza a passi cadenzati e, giunta sul davanti della scena, solleva lentamente le braccia arrotondate, le muove con grazia, le distende, le rinserra, muove i piedi con precisione e leggerezza, fa dei piccoli passi, dei battiti a mezza gamba, una piroetta e infine sparisce come uno zefiro (Mémoires, Collection Bibliothèque de la Pléiade, Parigi, Callimard, 1964, vol. 1, p. 650).
Più tardi nella serata Dupré appare di nuovo, dando l'impressione, sulle prime, di fare esattamente ciò che ha fatto prima, finché tutto d'un colpo sembra trasformato: «Avanza lungo tutto il bordo della scena, si ferma per un attimo in una posizione perfettamente studiata. Tutto d'un colpo sento dal parterre cento voci che dicono: Ah! Dio mio! Dio mio! Si sviluppa, si sviluppa! Effettivamente, sembrava un corpo elastico che, sviluppandosi, diventava più grande.» (ibid.).
Molti di questi ballerini di talento - Balon, Blondy, il più giovane dei Malter e Dupré - furono anche insegnanti, conservando le tradizioni della danza che essi stessi avevano ereditato dai propri insegnanti e trasmettendo questa eredità a molti allievi di talento di ambo i sessi, i quali onorarono le scene dell'Opéra fino alla metà del secolo.
Jean-Joseph Mouret (1682-1738): compositeur, célèbre pour sa veine légère qui l'avait fait surnommer «le musicien des Grâces». Opéra-ballets:Les Fêtes de Thalie (1715, livret de Laffont), Astrée et Le Mystère ou les fêtes de l'inconnu (1714, livret de Destouches), Apollon et les muses et La Ceinture de Vénus (1715, livrets de Houdar de la Motte), La Grande Nuit de l'éclipse (1715, livret de Malézieu), Les Egyptiennes et Le Palais d'Urgande (1715, livret de Roy), L'Inconnu (1715, livret de Destouches).
En 1700, Louis Pécour, danseur et compositeur des ballets de l’Opéra, commence à publier des danses nouvelles qui alimenteront les bals de société. En 1705, il publie pour la première fois une danse sous le titre de cotillon (danse à quatre), qu’il fait précéder d’une note motivant ce choix:

Avertissement
Le cotillon quoi que Danse ancienne, est aujourd’hui si a la mode à la Cour que j’ay cru ne pouvoir me dispenser de la joindre à ce petit Recüeil. C’est une manière de branle à quatre que toutes sortes de personnes peuvent danser sans même avoir jamais appris.
Rappelons qu’au Moyen Âge le branle se dansait surtout sous forme de ronde et qu’il était accompagné par des instruments ou par une chanson. Or ces chansons d’accompagnement traitaient de différents sujets, dont le cotillon, (dérivé de cotte, “jupon de dessous de femme du peuple et des paysannes”).
Mais revenons au cotillon (danse à quatre) publié par Pécour. Les paroles en ont été empruntées à une chanson populaire du temps:
               Ma commère, quand je danse
               Mon cotillon va-t-il bien?
Sa structure est aussi primitive que celle de la ronde, des couplets alternant avec un refrain, comme dans la  chanson à répondre. Les quatre danseurs, disposés en vis-à-vis (le cavalier faisant face au cavalier, la dame à la dame), exécutent six couplets différents, après lesquels se glisse un même refrain. Voici l’enchaînement des figures (ou couplets), selon la terminologie actuelle:
1) Avant-quatre et an arrière (deux fois); refrain
2) (les partenaires se tournent face à face et resteront dans cette direction jusqu’à la fin de la danse)
     Avant-deux et en arrière en diagonale à gauche, puis à droite, chacun avec sa compagnie;
     Refrain
3) Tour de main droite et tour de main gauche avec la compagnie;
     Refrain
4) Tour de deux mains à droite, puis à gauche, avec la compagnie;
     Refrain
5) Moulinet simple et tour à droite, puis à gauche;
     Refrain
6) Grand Rond et tour à droite, puis à gauche;
    Refrain
Disposition des danseurs.
Pendant le refrain, répété après chaque couplet, chaque cavalier évolue avec la dame de
l’autre. Les déplacements se font en diagonale; le cavalier 1 et la dame 2 exécutent d’abord un enchaînement qui est ensuite répété par le cavalier 2 et la dame 1.
D’autres cotillons à quatre et même à  huit figurants  paraîtront  ultérieurement. C’est ainsi que, petit à petit, on associera le terme contredanse française à celui de cotillon, peut-être à cause de sa popularité croissante dans le répertoire des bals.
Le témoignage de Pauli, dans la deuxième moitié du XVIIIe siècle, est d’une importance capitale en ce qu’il nous permet de mieux caractériser la contredanse française ou cotillon par rapport à la country-dance:
La contre-danse françoise ou le Cottillon diffère de l’angloise: à l’égard du nombre des personnes; de l’arrangement d’icelles; et de la répétition.
Le nombre est fixé à quatre couples ou huit personnes; si ce n’est un Cottillon à six, à quatre ou à trois.
L’arrangement est de façon que l’homme ait la dame à la droite; deux coules se placent l’un conte l’autre à l’espace du huit pas; les deux autres couples se rangent en ligne de travers...
Pour la répétition des figures, remarquez que le Cottillon en a deux: l’Entrée et le Refrain. L’Entrée, étant faite sur le premier couplet du Chant, est le commencement et le changement des mains comme de coutume;
le refrain est la partie figurée de la danse étant faite sur le second couplet du chant, se reprend après chaque
entrée.
Cette alternative se relève si souvent que l’on fait faire des entrées, ce qui peut être plus ou moins, selon que l’on voudra faire durer la danse: ainsi les figures varient, mais les couples reviennent ou restent toujours à leur place.
Il y a donc quatre traits qui différencient la contredanse française (ou cotillon) de l’anglaise:
le nombre de participants, la formation, l’alternance de ce qu’on appelle “l’entrée” et du refrain et la non-permutation des danseurs à la fin des enchaînements.
Certaines de ces contredanses étaient plus populaires que d’autres et on s’en servit pour faire des pot-pourris de danses qui survécurent jusqu’à nous sous le nom de quadrille.

http://www.geocities.com/lefolklore/cotillon.html

Pierre Beauchamp (anche Beauchamps ma certamente non Charles-Louis coine spesso indicato, Versailles 1636 - Parigi prob. 1705). Ballerino, coreografo e insegnante di ballo francese. Discendente di una famiglia di musicisti e ballerini studiò seriamente entrambe le arti. Debuttò nel 1650 e in seguito divenne sovrintendente dei balletti del re al cui fianco apparve in numerosi ballets de cour. Divenuto direttore dell'Académie Royale de danse creò diversi balletti e curò le coreografie delle opere di Campra e Lully e delle commedie di Molière. P. Rameau altribuisce a lui l'invenzione delle cinque posizioni basilari del balletto accademico, benché sia più probabile che le avesse solamente codificate. Elaborò un sistema di notazione della danza e dopo la morte di Lully si dimise dall'Opéra (1687) continuando però a dedicarsi alle sue ricerche storiche. Fu un ballerino dallo stile nobile accompagnato da una tecnica virtuosistica e si dice che sia stato il primo ad avere eseguito dei tours en l'air.

BIBL.: P. J. S. Richardson, The B. Mystery in Dancing Times, mar-apr. 1947; F. Derra de Moroda, Chorégraphie in The Book Collector, inv. 1967.