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RODOLFO CELLETTI

LA SCUOLA VOCALE FRANCESE E RAMEAU

STORIA DELL'OPERA UTET III, 1

pp. 88-90

Anche nella prima metà del Settecento, la scuola vocale francese rimase autonoma rispetto all'italiana. Vero è che, proprio agli inizi del XVIII secolo, qualche intellettuale francese (il Raguenet, il Le Cerf de la Viéville) sembrava proclive ad accettare alcuni principi fondamentali del melodramma italiano e che, contemporaneamente, si diffondeva, a Parigi, la voga delle sonate e delle cantate italiane. Campra fu uno dei primi compositori francesi ad assimilare certe caratteristiche vocali della cantata italiana, ma in sede di composizione operistica egli si servì generalmente delle arie italiane o all'italiana come pezzi avulsi dalla vicenda e veri e propri divertissements. Come nota Maurice Barthélemy, nell'Idoménée, nel Télèphe - ma l'osservazione potrebbe essere estesa anche ad altri lavori - «à l'action, reviennent les récitatifs; au divertissement, les choeurs, les airs, les ariettes». Ora, questo valse, probabilmente, a migliorare il livello tecnico dei cantanti francesi, ma non comportò sostanziali modifiche nello spirito della vocalità che era scaturita dall'opera di Lully. A volte, poi, Campra diede l'impressione di avere, a proposito delle voci, gusti diametralmente opposti a quelli italiani.

Come notava Le Cerf de la Viéville nella Comparaison, mentre gli operisti italiani eccedevano nell'impiego di voci acute, Campra mostrava una tal quale predilezione per le voci gravi, ciò che nel Tancrède lo portò ad un eccesso opposto. In quest'opera, infatti, non soltanto egli affidò il principale personaggio femminile a un 'bas-dessus' (contralto) e cioè alla Maupin - era la prima volta che ciò accadeva sulle scene dell'Opéra di Parigi - ma scrisse in chiave di basso le tre principali parti maschili, a cominciare dal protagonista.

Con Rameau si ha - come scrive F. D'Amico nella voce 'Canto' dell'Enciclopedia dello Spettacolo - un ben maggiore sforzo di arricchire le possibilità espressive e musicali del canto francese. Rameau, infatti,

anche senza tentare di risolvere il linguaggio dell'opera nel canto spiegato, investì tuttavia il recitativo d'una notevolissima ricchezza di valori musicali. Come in Lully, in Rameau la resa espressiva del testo si giustifica sempre razionalmente; ma per lui la sottolineatura della parola è piuttosto sollecitazione a un'autentica invenzione ritmica, propriamente musicale, che non un'esaltazione essenzialmente prosodica e oratoria; e perciò tende ad articolarsi nel contesto, a comporre più ampie strutture. Le sue formule declamatorie sono così varie e numerose che lo stesso definirle formule diviene arbitrario; e variatissimi sono i tipi del suo recitativo, dalla semplice successione di brevi incisi all'ampio organismo, prossimo all'aria; mentre l'aria (assai più breve di quella italiana) tende inversamente a precisare i suoi elementi interni con una libertà che l'accosta al recitativo.
Nonostante il forte impegno di seguire il testo con razionalistica esattezza, tutto ciò è strettamente legato a una sottile sensibilità della voce intesa nella sua realtà canora, e della lingua francese osservata nelle sue virtualità musicali. [...] Diversamente dai predecessori, Rameau crea nel ritmo rapporti estremamente sottili che tendono a interpretare la lingua francese come la lingua nuancée, piuttosto che come lingua vigorosamente scandita (com'era invece nella tradizione della Comédie e perciò in Lully); intuizione che i contemporanei, probabilmente sviati da esecuzioni fortemente accentuate e drammatizzanti, non rilevarono, ma in cui è già l'anticipazione dello stile dell'opéra-lyrique ottocentesco, e infine del declamato di Debussy.

Il recitativo « prossimo all'aria», come lo definisce D'Amico, è determinato, spiega Masson « non pas seulement par l'accent naturel de la déclamation, mais aussi pax un principe purement musical, par une invention mélodique qui se rattache directement à l'idée ou au sentiment à exprimer, plutôt qu'aux intonations de la parole. C'est bien là ce qu'il faut entendre par le terme 'tour de chant', opposé à celui de 'déclamation'».
Il tour de chant è insomma costituito da passaggi « véritablement chantants [noi diremmo ariosi], où la justesse de l'accent s'agrémente d'un rèel intérét mélodique». Come esempio di un recitativo improntato al tour de chant, Masson cita la frase di Acante: « Nous venons consulter l'Oracle irrévocable» (Acante et Céphise), ma s'intende che nell'operistica di Rameau il tour de chant è un elemento permanente e dà quindi luogo a una casistica pressoché sconfinata:

È anche implicito, nel 'tour de chant', un impegno vocale maggiore di quello che non comportasse lo stile declamatorio di Lully. Si noti, ad esempio, come nel Dardanus un recitativo di Antenore non soltanto porti la voce, con andamento drammatico, alle note acutissime del basso, ma la impegni nel trillo.

Altri esempi di come Rameau impegni la voce del basso, toccandone le note più acute e quelle più profonde, sono offerti da certi recitativi di Huascar nelle Indes galantes, uno dei quali contiene anche l'effetto caratteristico del roullement e cioè di un salto discendente che copre una distanza di undecima:

Lo stesso impegno è richiesto, però, anche alle altre voci. Si consideri, ad esempio, l'alta tessitura del giuramento di Castor (tenore) in Castor et Pollux.
Quanto alle arie, possiamo dividerle, ancora sulla traccia di Masson, in 'airs de dialogues' e 'airs de monologues'. Le prime rassomigliano il più delle volte a un recitativo arioso e hanno spesso la funzione di far progredire l'azione scenica, attraverso un colloquio fra vari personaggi. A volte, tuttavia, uno di questi personaggi poteva dire qualcosa « de plus vif, de plus emporté que le reste de son discours» (come notava Le Cerf de la Viéville nella Comparaison) e allora l'andamento del canto abbandonava « le train ordinaíre du récitatif» e prendeva « un ton d'un mouvement vite et piqué». Da ciò la cosiddetta 'air de mouvement' frequente in Rameau, ma praticamente inventata da Lully.

Quando invece uno dei personaggi in scena esprimeva idee, concetti, teorie, si aveva la cosiddetta 'air-maxime', analoga all'aria moraleggiante del melodramma italiano. L'air-maxime, molto usata da Lully, lo fu di meno da Rameau. Questi, viceversa, usava molto - siamo sempre nell'ambito delle arie de dialogue - le cosiddette 'airs tendres' o 'airs gracieux', in parte improntate alle arie di corte. Vi sono infine le airs d'appel (agli dèi per esempio, a un sovrano) e le 'airs d'exhortation' (a un gruppo di personaggi, a una collettività).

Per monologo, invece, si intende essenzialmente un pezzo cantato da un interprete che è solo in scena, si tratti di un recitativo, di un declamato o di un'aria vera e propria. Però il significato di monologo, ai tempi di Rameau, poteva anche essere quello di aria priva di recitativi. Vi erano poi le ariettes e per tali il teatro musicale francese intendeva le arie di stile italiano scritte per far brillare un cantante. Ad onta del loro nome erano a volte, in Rameau e nei contemporanei, lunghe e complesse.

A Rameau si attribuisce la frase: «Il me faut des chanteurs et à Lully des acteurs». La sua vocalità sembra, per molti aspetti, confermare questa battuta. Rameau, per esempio, attribuì in genere molto valore agli ornamenti (che la scuola vocale francese del Settecento chiamava anche 'notes de goût'), precisando tuttavia che la base di una buona esecuzione degli ornamenti era il sentimento. Notò anche che nelle arie di sentimento gli ornamenti dovevano ineluttabilmente essere un poco arbitrari, ciò che rendeva impossibile all'orchestra accompagnare questi brani all'unisono.

Rameau usò con frequenza il trillo sia nei recitativi, sia nelle arie. Egli apprezzava in modo particolare il valore espressivo di questo ornamento e, nelle Observations sur notre instinct pour la musique (1754), analizzò il grande effetto che, nel monologo di Armide, Lully aveva ottenuto collocando un trillo nella frase iniziale («Enfin il est en ma puissance»). «Le tril» scrive Rameau, «fait beauté dans notre musique, surtout dans le cas présent, où il ajoute de la force au mot puissance, sur lequel porte tout le sens du vers». E aggiunge che, in questo caso, dovendo Armide esprimere il proprio trionfo, il trillo della voce umana è simile a quello di una tromba in un inno di vittoria.

Eccezionalmente, Rameau impiegò anche il trillo antico o «a capriola», caro agli operisti italiani della prima metà del Seicento. Lo fece con intento imitativo, per evocare il tremito. In questo caso, la scuola vocale francese parlava di 'balancement'.

Sono anche diffusamente impiegati, da Rameau, il 'port de voix' e 'la coulée', ai quali si è già accennato nella prima parte a proposito del vocalismo francese preoperistico. Sennonché, il normale 'port de voix' e cioè:

in Rameau è generalmente interpretato come port de voix battu e cioè:
Quanto ai passaggi vocalizzati, Rameau, come in precedenza Lully, se ne avvalse sia nei recitativi che nelle arie, con gli stessi intenti descrittivi che aveva adottato il teatro musicale italiano nel secolo XVII. Masson elenca alcuni dei verbi o dei sostantivi in corrispondenza dei quali Rameau soleva scrivere un vocalizzo: 'lancer', 'régner', 'triompher', 'couronner', 'répandre', 'flamme', 'tonnerre', 'murmure', 'ramage', 'ravage', ecc. Nota inoltre che spesso i passaggi vocalizzati di Rameau sono molto più lunghi e complessi di quelli di Lully.
Come logica conseguenza di quanto si è finora detto, l'operistica di Rameau (e in parte anche quella di Campra) coincise con l'apparizione di molti grandi cantanti francesi. Si rafforza, in particolare, il mito dell'«haute-contre - le cui basi erano già state gettate al tempo di Lully - in cui il pubblico, e in particolare quello femminile, scorge la voce amorosa per antonomasia. Denis-François Tribou - che fra l'altro incarnò il primo Hippolyte in Hippolyte et Aricie e il primo Castor et Pollux - fu ancora, per vari aspetti, un esponente della scuola lullista e quindi un « modèle de la déclamation lyrique dans le grand cothurne», come lo definiva il «Mercure de France» nel marzo 1737. Ma il suo successore Pierre Jélyotte, dal quale il mito dell'haute-contre fu imposto in modo sfolgorante e definitivo, pur essendo un buon attore, seguì orientamenti diversi.
Jélyotte aveva, secondo i contemporanei, una voce piena, estesa, argentina e, secondo Rousseau (Dictionnaire de la musique), notoriamente ammiratore dello stile italiano, era l'unico esecutore francese, insieme alla Fel, a conoscere alla perfezione il canto fiorito. Emerse, inizialmente, nelle Indes galantes e prese parte con uguale successo a varie prime rappresentazioni di lavori di Rameau, tra cui Hippolyte et Aricie (1734), Dardanus (1739) e Pygmalion (1749). Quest'opera contiene la virtuosistica aria «Régne, amour» che costituì uno dei maggiori trionfi di Jélyotte.
Per Jélyotte, Rameau scrisse in tessiture piuttosto alte e portò a volte la voce fino al Si3. Ma la tessitura più acuta composta da Rameau per un haute-contre è quella della protagonista di Platée. Trattandosi di un'opera grottesca, Rameau volle che Platée fosse impersonata da un haute-contre, il La Tour, la cui voce fece salire al Do4. Presumibilmente questa nota era emessa in falsettone. Del gusto di Rameau per questo tipo di travesti in funzione grottesca, abbiamo altre manifestazioni. Per esempio, le tre Parche, in Hippolyte et Aricie, sono un haute-contre, un taffle (tenore baritonale) e un basso.
Il basse-taille favorito di Rameau fu Claude-Louis-Dominique Chassé, ottimo declamatore ed attore eccellente, che partecipò, tra l'altro, come Tesée e Pollux, alle prime rappresentazioni di Hippolyte et Aricie e Castor et Pollux. La gamma d'estensione riservata a Chassé nelle opere di Rameau è generalmente Si1 (a volte però anche SOL1) Mi3 o Fa3; la zona favorita sembra essere Fa2-Do3.
Fra i soprani di Rameau emersero Marie Antier, la Pélissier, Catherine Lemaure e Marie Fel. Per la voce di soprano - o dessus - Rameau adottò una gamma d'estensione compresa di solito fra il Do3 e il La4. La tessitura è generalmente collocata fra il Sol3 e il Mi4 o Fa4.