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ARMANDO GENTILUCCI

RICHARD STRAUSS

GUIDA ALL'ASCOLTO DELLA
MUSICA CONTEMPORANEA

FELTRINELLI

pp. 401-402

Il lettore non avrà a meravigliarsi se di questo singolare e dotatissimo musicista, maestro sommo dell'orchestra, autore di opere teatrali e poemi sinfonici di indiscutibile maestria, si darà un ritratto alquanto sommario: è infatti opinione di chi scrive, opinione del resto ampiamente condivisa dalla stragrande maggioranza della critica, e semmai fin troppo ovvia, che l'opera straussiana, della quale pure sarebbe quanto meno incauto negare la genialità, abbia avuto scarsissime risonanze sulla musica contemporanea, essendo il compendio di esperienze rivolte a vitalizzare la tradizione modificandone solo certi aspetti esteriori. Per dirla con Gianfranco Zàccaro, «inteso nelle sue linee costituzionali piú intime, il 'genio' straussiano si appoggia alla borghesia, se ne fa il corifeo, l'antesignano teatrale, il sintomo piú agevolmente riscontrabile su tutti i parametri della vita: politica, etica, sociale, ecc.» Alla luce di queste considerazioni va intesa l'adesione «passiva» al nazismo, in quanto ultimo anello di un processo di involuzione della società borghese tedesca al quale solo evidenziando il «negativo» ci si sarebbe potuti salvare. Diversamente, «la poetica straussiana è un gigantesco positivo che si leva sul mondo, e che si fa largo non solo con le armi della signorilità borghese negatrice, ma anche con quelle della violenza: violenza che si addossa il peso della monodirezionalità tardo-idealistica, e che la fa avanzare, come un gigantesco rullo compressore...» (Zàccaro).
La musica di Richard Strauss, fortemente affermativa e apologetica, ignora i salutari veleni contestativi, l'ansia debussyana, mahleriana e schönberghiana verso orizzonti nuovi, e neppure conosce l'amaro cinismo ironico di Stravinski: il nuovo per lui fa tutt'uno con l'abbagliamento della tecnica, con lo spreco sonoro, con il dominio della materia, onde stupire l'ascoltatore ghermito dalla violenza dei procedimenti. Ma l'impressione prepotente dei clangori strumentali non serve a risvegliare e a scuotere la coscienza critica, e si propone fini eminentemente solipsistici. Infatti la struttura armonica non conosce, al contrario che in Mahler, incrinature profonde, non suggerisce, al livello della patologia del linguaggio, un pessimismo storicizzato, o quantomeno il dibattersi delle forme sotto la pressione di determinate situazioni sociali e umane in movimento: il virtuosismo diventa un modo per camuffare, sotto la vernice modernistica, un obiettivo di conservazione, se non addirittura, almeno nelle opere tarde di questo musicista (che, detto per inciso, affonda le radici nell'800 e con la sua lunga vita si trova ad attraversare quasi mezzo del nostro secolo), di ristabilimento. Lo stesso cromatismo ereditato da Wagner non è condotto alle sue estreme conseguenze, ma è tenuto prudentemente al di qua del salto atonale; lussureggiante, sensuale, imprevedibile nelle singole soluzioni, esso non mette in discussione i centri di attrazione tonale, e si può star certi che le stratificazioni armoniche (none, undicesime, tredicesime, ecc.) prima o poi trovano sempre la porta di casa, il punto gravitazionale che ne rende i tratti rassicuranti.
Le opere della giovinezza e della prima maturità sono di gran lunga le migliori, cioè lasciano avvertire, sia pure contraddittoriamente, l'anelito ad ampliare il campo delle possibilità armoniche e strumentali.