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ALBERTO JESUÈ

RICHARD STRAUSS

STORIA DELLA MUSICA
FRANCO MUZZIO EDITORE
PADOVA 1988
pp. 269-270


Il ritorno di Richard Strauss (1864-1949) sulle scene teatrali e concertistiche, perlomeno italiane, risale a circa vent'anni fa. Ed è molto curioso che pure a circa vent'anni fa risalga il famoso film 2001. Odissea nello spazio, le cui immagini iniziali sono sottolineate dall'apertura del poema sinfonico Also sprach Zarathustra (Così parlò Zarathustra). Certo, non vogliamo attribuire esagerati meriti di ripescaggio straussiano a un film di fantascienza, è solo una coincidenza, eppure:
perché questo ritomo a Strauss? Che è questo battersi il petto accompagnato da palinodie pronunciate da quelle stesse labbra che [...] si piegavano a brutte smorfie al solo titolo di un'opera di Strauss? Il problema è tutto di prospettiva. Oggi, il Novecento è arrivato ai suoi ultimi anni e ciò che veniva indicato con la categoria di 'novecento' appartiene già al passato. Soprattutto, è superato il concetto di crisi, nel quale l'arte contemporanea si riconosceva ostinatamente. Una crisi non può durare un intero secolo, quasi. Dunque, per quanto riguarda la musica, le sue diverse crisi novecentesche non possono essere prese totalmente in considerazione. Tutt'al più, possono rappresentare un aspetto del recente passato. Ma non tutto questo passato. Crisi del sistema tonale, crisi delle forme musicali, crisi dell'orchestrazione, crisi della stessa naturalità del suono (sostituito infatti dal suono elettronico, collocato al posto del suono naturale degli strumenti) non erano e non rappresentavano un'autentica crisi globale della musica. Questa verità, così difficile da riconoscere nei momenti di confusione e di emotività tipici delle avanguardie, era posseduta con naturalezza, quasi un dono semplice ma supremo, da Richard Strauss. Ed è tanto più significativo che Strauss abbia provato questa verità nel teatro musicale, dove il clima di crisi era addirittura apocalittico, ed aveva suscitato, tra le estreme esperienze del verismo italiano e dell'espressionismo tedesco, una vera fobia contro l'opera [...]. [Casini].
Ed ecco che negli ultimi anni viene riproposto con successo pressoché tutto il teatro di Strauss: Salome, Elektra, Der Rosenkavalier, Ariadne auf Naxos, Capriccio. Ecco che vengono eseguiti e ascoltati con gusto, alla pari con le «riscoperte» sinfoníe mahleriane, quei poemi sinfonici verso i quali, appunto, si storceva il naso, classificandoli come «musica da film»: Don Giovanni, Morte e trasfigurazione, Till Eulenspiegel, Così parlò Zarathustra, Don Chisciotte, Ein Heldenleben, e inoltre la fantasia sinfonica Aus Italien, Eine Alpensinfonie, Macbeth, Sinfonia domestica e via discorrendo.
Forza e potenza espressiva, che sta a significare non espressione descritta genericamente bensì espressione di idee, magniloquenza e splendore dei colori orchestrali, musica senz'altro affascinante e tutt'altro che superficiale è quella di Strauss, musica piena e pregna. In Metamorphosen, «studio per 23 strumenti ad arco solisti», una delle sue ultime composizioni, «c'è un grande recupero bruckneriano, vi si trovano le atmosfere dell'ultimo Mahler, citazioni esplicite della marcia funebre dell'adagio della Sesta sinfonia di Bruckner e, nella parte centrale, una puntuale citazione dello scherzo della Quinta di Mahler [...]. Ci troviamo in presenza del linguaggio per simboli di fronte alla morte. Attraverso Metamorphosen Strauss diviene attuale quando i grandi inattuali hanno raggiunto finalmente il loro momento di attualità». [Duse].