I dizionari Baldini&Castoldi

Tristan und Isolde di Richard Wagner (1813-1883)
libretto proprio

Azione in tre atti

Prima:
Monaco, Königliches Hof- und Nationaltheater, 10 giugno 1865

Personaggi:
Tristan (T), re Marke (B), Isolde (S), Kurwenal (Bar), Melot (T), Brangäne (Ms), un pastore (T), un pilota (Bar), un giovane marinaio (T); marinai, cavalieri, scudieri



«Poiché in vita mia non ho mai gustato la vera felicità dell’amore, voglio erigere al più bello dei miei sogni un monumento nel quale dal principio alla fine sfogherò appieno questo amore. Ho sbozzato nella mia testa un Tristano e Isotta ; un concetto musicale della massima semplicità, ma puro sangue; col bruno vessillo che sventola in fine del dramma, voglio avvolgermi per morire!». Benché questo passaggio della lettera scritta da Wagner a Franz Liszt nel dicembre 1854 da Zurigo sia ultrafamoso e stracitato, è impossibile prescinderne in qualsiasi nota che si occupi del Tristano : giacché esso è insieme premessa ed epigrafe dell’opera teatrale più sconvolgente che sia mai stata composta, erede della tragedia classica e intimamente rivoluzionaria negli accenti, punto di non ritorno nella storia dell’opera romantica e punto di partenza di tutta la musica moderna. Tre anni prima di iniziarne la stesura, nel pieno del travaglio creativo dell’ Anello del nibelungo , allora giunto quasi alla fine della Valchiria , Wagner non soltanto comunicava all’artista fratello l’idea generatrice di un progetto, ma all’amico confidava anche uno stato d’animo, un sentimento pronto a realizzarsi con evidenza assoluta. Tristan und Isolde è il sogno artistico di un amore ideale, e come tale oggettiva nell’opera d’arte, trasfigurandolo, un impulso che nessuna realtà è in grado di contenere. Oltre che sentimento, è espressione di una visione del mondo intrisa di profondo pesimismo, legata a una stagione irripetibile della vita, nella quale la stessa esperienza vissuta, nelle forme più diverse, si interiorizza e si trascende nell’urgenza di definire un valore altrimenti irraggiungibile: la perpetua mobilità di un desiderio, di un sogno senza tempo né spazio, al di là non solo della storia ma anche del mito.

Solo in questo rapporto acquistano il loro significato le due esperienze concomitanti vissute dall’autore negli anni della nascita del Tristano , tra la fine del 1857 e l’agosto 1859. Da un lato la burrascosa vicenda sentimentale che lo legò a Mathilde Wesendonk, moglie del ricco commerciante svizzero presso il quale Wagner aveva trovato ospitalità in uno dei periodi più cupi del suo esilio; dall’altro l’approfondimento dell’opera capitale di Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione , nella quale Wagner trovò, più ancora che la chiarificazione filosofica di una concezione del mondo (la negazione della volontà di vivere nell’innata tragedia del cosmo), una potente intensificazione a creare, riscattando dalla tragica illusorietà del mondo interiore il più ispirato anelito alla vita e all’amore.

Atto primo . Una tenda sulla tolda di una nave. Isolde, principessa d’Irlanda, è in viaggio verso la Cornovaglia per andare in sposa a re Marke: il cavaliere che la scorta è Tristan, nipote del re. Dall’alto dell’albero la voce di un giovane marinaio fa udire una canzone irridente e allusiva al destino di Isolde (“Westwärts schweift der Blick”). Turbata e profondamente agitata, la donna ordina a Brangäne, l’ancella che l’accompagna, di condurre davanti a lei Tristan, affinché venga a renderle omaggio prima dell’approdo. Nell’udire il nome di Isolde, Tristan ha un sobbalzo, ma rifiuta di abbandonare il timone che gli è affidato: vedrà Isolde solo al momento dello sbarco, per recarla al re. Alle ripetute insistenze dell’ancella, Kurwenal, il fedele scudiero di Tristan, risponde con sarcasmo: il suo signore non deve rendere omaggio a nessuno, dato che non può essere vassallo di colei che egli stesso reca in sposa al suo re, dopo aver ucciso Morold, l’eroe irlandese che Isolde amava e che pretendeva tributi da re Marke (“Das sage sie der Frau Isold’”). La ciurma si unisce a Kurwenal, ripetendo le sue parole di scherno. Rimasta sola con Brangäne, Isolde narra con crescente immedesimazione l’antefatto. Un giorno aveva raccolto sulle rive d’Irlanda un uomo gravemente ferito che diceva di chiamarsi Tantris, ma che era in realtà Tristan, proprio colui che le aveva ucciso il fidanzato Morold: come aveva appreso prima confrontando il frammento di spada rinvenuto nella ferita mortale di Morold con l’arma di Tantris, da lei curato e guarito con filtri magici nonostante il desiderio di vendetta, e poi riconoscendo in Tantris Tristan, quando egli era tornato con la sua vera identità a reclamarla in sposa per re Marke. Alla sua pietà colui aveva dunque risposto con l’inganno: ciò che la sua pietà aveva risparmiato allora, la vendetta e la morte di Tristan, si deve ora compiere per entrambi (racconto di Isolde “Den hab’ ich wohl vernommen”). Invano Brangäne cerca di placare e ridurre a ragione la padrona, intuendo la verità della sua angoscia, la pietà umiliata e divenuta amore: risolutamente, Isolde ordina all’ancella di portare i filtri magici affidatile dalla madre e di preparare, per lei e per Tristan, una bevanda di morte. Entra impetuosamente Kurwenal. Il viaggio è alla fine, conviene prepararsi per lo sbarco. Isolde gli ingiunge di chiamare Tristan, che ora non potrà più negarsi; poi si congeda amorevolemente da Brangäne, rinnovandole l’ordine del filtro di morte. All’eroe sopraggiunto ella ricorda con durezza la viltà e il tradimento, poi a poco a poco si calma e si addolcisce; per espiare il passato propone di bere il calice della riconciliazione e dell’oblio. Tristan comprende che oblio significa morte, ma esita ad accettare. Porta la coppa alle labbra e beve. Isolde gliela strappa di mano e beve anche lei, voluttuosamente pronta a morire: Altro è però il loro destino: Brangäne ha sostituito il filtro di morte con quello di amore. Scossi da convulsa emozione, i due si guardano in preda all’estasi e al desiderio, quasi riconoscendosi con terrore; immobili per un istante come in un sogno, si stringono in un lungo, appasionato abbraccio, mentre la ciurma urlante annuncia l’approdo e l’arrivo di re Marke con il suo seguito.

Atto secondo . Giardino davanti alla camera di Isolde, nel castello di re Marke. Mentre risuonano in lontananza le fanfare della caccia regale, Isolde attede con ansia l’arrivo di Tristan. Una torcia accesa è confitta presso la porta aperta: quando verrà spenta, Tristan avrà via libera per raggiungere Isolde. Brangäne, che le è accanto, invita alla prudenza: teme che il cavaliere Melot, segretamente innamorato di Isolde, abbia teso la trappola di una falsa caccia per smascherarli. Ma Isolde non intende ragioni: ordina all’ancella di vegliare e dà il segnale convenuto spegnendo la fiaccola. Tristan entra precipitosamente gettandosi tra le braccia di Isolde in un impetuoso amplesso. Poi, dolcemente avvinti, i due amanti invocano la notte affinché custodisca il loro amore segreto al riparo dalla luce (“O sink hernieder”). Brangäne, che vigila dall’alto di una torre, li ammonisce che l’alba è vicina (“Einsam wachend in der Nacht”); ma gli amanti, persi nella beatitudine dell’estasi, quasi non le danno ascolto e innalzano un solenne inno all’eternità dell’amore oltre la morte (“So stürben wir, um ungetrennt”). Al culmine della loro esaltazione, Brangäne lancia un grido lacerante. Kurwenal entra precipitosamente con la spada sguainata per avvertire Tristan del pericolo: subito, dietro di lui, irrompono Melot e re Marke. Melot, trionfante, esulta; Marke, con profonda, accorata tristezza, chiede incredulo a Tristan come abbia potuto tradirlo nei suoi affetti più cari fino al quel punto (“Tatest du’s wirklich?”). Tristan non può rispondere; si rivolge invece a Isolde e le chiede se voglia seguirlo nel regno della notte. Isolde, in un ultimo, dolce congedo, gli risponde semplicemente di mostrarle la via. Melot, accecato dalla gelosia, balza in furore traendo la spada. Tristan, scuotendosi, reagisce, lo provoca a duello e, nel momento in cui Melot gli oppone la spada, si lascia colpire senza difendersi.

Atto terzo . Giardino del castello di Tristan a Kareol, in Bretagna. La vista si stende su un ampio orizzonte di mare. Tristan giace ferito a morte, vegliato dal fedele Kurwenal. Al pastore che suona sulla sua cornamusa un triste lamento lo scudiero chiede se non sia apparsa sul mare alcuna nave: ben altra, risponde il pastore, sarebbe la melodia se il mare non fosse deserto e vuoto. Al suono della nenia familiare Tristan si risveglia, riprende la forza, ricorda come uscendo da un sogno; e via via che la forza ritorna, più spietata si fa la sua rievocazione, più disperato il suo delirio: maledice la luce, quasi accusa Isolde di non aver mantenuto la promessa per trattenersi nel regno del giorno (“Isolde noch im Reich der Sonne!”). L’esaltazione raggiunge l’apice in una violenta lotta interiore, poi a poco a poco l’angoscia si placa mutandosi in abissale malinconia (“Muss ich dich so verstehn, du alte ernste Weise”): da ultimo, Tristan si abbandona sfinito sul suo giaciglio. Mentre Kurwenal cerca di rianimarlo, la cornamusa del pastore annuncia con festosa eccitazione l’approssimarsi della nave che reca Isolde. Tristan, nella massima agitazione, si strappa le bende e le va incontro: appena è tra le sue braccia, muore. Dopo un ultimo, struggente saluto al dolcissimo amico ella si accascia svenuta sul suo corpo (“Ha, ich bin’s, süssester Freund”). Il pastore annuncia che un’altra nave è appprodata alla riva. Scorgendo, insieme con re Marke e Brangäne, anche Melot e i suoi gurrieri, Kurwenal pensa a un assalto: si scaglia su Melot e lo uccide; ferito a sua volta, muore accanto a Tristan. Re Marke inorridisce, ormai impotente: Brangäne gli aveva rivelato l’inganno del filtro ed egli era accorso per perdonare e benedire l’unione dei due sventurati. Troppo tardi; le ultime parole del re sono di profondo cordoglio (“Tot denn alles”). Ma Isolde non intende più nulla intorno a sé: fissando con crescente rapimento il volto dell’amato, intona il suo estremo canto d’amore e morte (“Mild und leise”). Poi, come trasfigurata, cade dolcemente tra le braccia di Brangäne e muore sul cadavere di Tristan.

Wagner ricavò l’argomento del Tristano da un poema del XIII secolo del Minnesänger tedesco Gottfried von Strassburg, che aveva rielaborato, su fonti disparate del secolo precedente, un’antica leggenda di probabile origine celtica. Nel poema di Wagner, compiuto a Zurigo tra l’aprile e il settembre 1857, gli antefatti, piuttosto complicati e ricchi di digressioni, sono affidati al racconto di Isolde nella scena centrale del primo atto, in forma tanto concisa quanto altamente drammatica: finalizzati già all’erompere dell’azione nel suo nucleo fondamentale. L’idea che Isolde covi, insieme con il desiderio di vendetta per l’uccisione di Morold da parte di Tristan, anche la fiamma di un amore inconscio per colui che l’ha tradita, si fa strada a poco a poco nelle sue terribili e disperate invocazioni: e tuttavia il nodo centrale è rappresentato dal simbolo del filtro magico, su cui si innesta, sul piano del testo poetico, un tratto quanto mai ambiguo di psicologia. Tristan e Isolde bevono la pozione credendo di darsi la morte; in realtà Brangäne ha sostituito a loro insaputa il filtro di morte con quello d’amore: e ciò spiega senza fratture apparenti l’improvviso accendersi della passione. Ma per quanto il tema del filtro magico faccia parte del retroterra più consueto di un poema medioevale, e non solo di quello qui preso a riferimento, Wagner insinua un dubbio che mette in altra luce il destino dei due amanti: Tristan e Isolde possono finalmente abbandonarsi alla passione che già è presente nei loro cuori nel momento in cui sanno di morire. In altre parole, si rivelano l’uno all’altro consapevolmente, per consegnarsi alla morte non prima di aver riconosciuto il loro amore.

Il vero dramma di Tristan e Isolde comincia con il secondo atto, ed è conseguenza non tanto di un filtro magico quanto di un destino ineluttabile che già incombeva. Essi vivono loro malgrado, ma sanno di essere consegnati alla morte, essendosi dichiarati credendo di morire. In un certo senso sono già morti: condannati a vivere e ad amare, aborriscono la luce e anelano alle tenebre. Il paradosso di questa situazione è alla base di quanto seguirà. Lo stesso tema della notte, che si trova al centro del grande duetto d’amore del secondo atto, più ancora che omaggio al culto romantico, che faceva della verità della notte opposta alla falsità del giorno uno dei cardini della propria poetica, è un presupposto necessariamente inerente allo svolgimento drammatico: una sorta di camera oscura del sogno e dell’illusione, in cui Tristan e Isolde sono costretti a rinchiudersi per continuare a vivere nascondendosi. Cacciati anche di là, il loro estremo rifugio sarà la memoria, ultima anticamera della morte: ambiente del quale Tristan, abbandonato alla sua solitudine acuita dalla malinconica melodia del pastore che gli ricorda l’infanzia, sfogherà nel terzo atto un delirio di terrificante violenza, tra dolore e ricordo, davvero proiettato sulle voragini del nulla. Che il filtro magico sia solo un trucco teatrale per rendere visibile sulla scena l’eruzione di sentimenti insondabili e profondamente inabissati nell’incoscio, lo dichiara d’altra parte la musica, in modo inequivocabile. Il tema del filtro d’amore si presenta subito all’inizio del preludio, unito a quello della sofferenza – insieme privazione e desiderio d’amore – in una figura che incarna, non solo nella sua ambiguità tonale che tanti fiumi di parole ha fatto scorrere in esegeti di ogni estrazione, l’essenza stessa dell’anelito verso un ideale. Il suo scioglimento, che avviene al termine di una ‘azione’ dal flusso continuo ( Handlung , così Wagner indica in testa alla partitura: non opera, né dramma musicale), nella quale prolungate sospensioni ricche di eventi interiori sono bruscamente interrotte da colpi di scena tanto improvvisi quanto esteriori, già prefigurati da quelle attese, è determinato dall’annullarsi del desiderio, ogni passione spenta, nel puro ideale: ossia nella realizzazione simbolica fuori dai confini del mondo – di ogni mondo possibile – di una condizione di pienezza assoluta e di completa liberazione. Ciò avviene non soltanto nelle ultime parole di Isolde, nelle quali la gioia di riunirsi a Tristan nella morte per amore diviene emblema di una gioia più cosmica, quasi estasi di un’unione mistica «nell’alitante Tutto», ma anche – ed è ciò che più conta – nella musica: allorché il motivo del desiderio, lo stesso con cui aveva avuto inizio l’opera, distende il suo cromatismo avvolgente in una risoluzione ascendente finalmente compiuta nella chiusa risonante di un’armonia perfetta. È la musica stessa a rappresentare, con un atto non di negazione e rinuncia, bensì di superba volontà di potenza, sia lo scioglimento del dramma che la perfezione dell’ideale; nella quale Tristan e Isolde affondano, quasi ignari essi stessi, con gioia suprema. Sotto questo rispetto, Wagner ha eretto un monumento non soltanto al più bello dei suoi sogni – la vera felicità dell’amore nel ‘non essere’ – ma anche alla capacità suprema della musica di redimere, dopo aver abbattuto ogni barriera linguistica e formale, perfino la pietà: per ‘essere’, con smisurato orgoglio, sogno e realtà concreta a un tempo.

s.s.

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