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BIOGRAFIA, PENSIERI, FILOSOFIA DI

PETR ILJIC CIAJKOVSKIJ

ATTRAVERSO


LETTERE, RICORDI E TESTIMONIANZE


MISANTROPIA

FEBBRAIO - MARZO 1879

In una delle sue lettere la signora von Meck gli chiede notizie di Turgenev


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che vive quasi sempre in Francia e soprattutto a Parigi con la celebre cantante Viardot-Garcia e che in Russia ha fatto soltanto fuggevoli apparizioni. Lo scrittore non ebbe mai occasione di incontrare personalmente Ciajkovskij, ma dimostrò sempre grande interesse per le sue composizioni.

Petr alla signora Nadezda:

Parigi, 19 febbraio 1879

Lei mi domanda, cara amica, perché io non frequenti Turgenev. Eccole la risposta esauriente: ho sofferto durante tutta la vita per la costrizione delle convenienze sociali. Ogni conoscenza con gente nuova fu per me sempre causa di grandi angoscie. Non saprei spiegare in che cosa consistano tali angoscie: forse è la timidezza che col passar del tempo è diventata una specie di mania, oppure uno scarso bisogno di contatti umani od anche il timore di mostrarmi diverso da quello che sono o, ancora, l'incapacità di tacere, senza far violenza a me stesso, tutto quello che penso (cosa tuttavia necessaria, ogni qual volta si incontra una persona nuova). In breve: non so come sia, ma fintanto che, per la mia posizione sociale non potei sottrarmi agli incontri, conobbi molta gente, mi comportai come se ciò fosse un piacere, fui costretto a rappresentare una parte (in società è inevitabile) e soffersi pene indicibili. Potrei raccontare a questo proposito molti episodi tragicomici.
Dio solo sa che cosa ho sofferto; così, se adesso sono tanto tranquillo e sereno è perché, vivendo qua o là in campagna, non ho bisogno di impormi nessun obbligo e vedo soltanto le persone di fronte alle quali posso liberamente apparire tal quale son fatto. Mai in vita mia ho mosso un passo per conoscere un qualsivoglia personaggio importante. Quando ciò avvenne indipendentemente dalla mia volontà, provai ogni volta delusione e fastidio...
A parer mio, si può goder la compagnia di una persona soltanto allorché una frequentazione di lunga data e la comunanza di interessi, particolarmente nell'ambito della famiglia, consentono di comportarsi spontaneamente, di mostrarsi come si è. Se ciò non avviene, lo star insieme si traduce in un peso insopportabile.
È questa la ragione, amica cara, per la quale non frequento Turgenev né alcun altro. Turgenev ha più d'una volta mostrato interesse per la mia musica e la Viardot ha cantato le mie liriche. Certamente dovrei andarla a trovare; mi sarebbe utile. Ma ormai mi son rassegnato definitivamente: so che la mia misantropia nuoce al mio successo, ma questo mi lascia perfettamente indifferente.
Sono perfettamente d'accordo su quanto lei mi scrive a proposito dei costumi e della civiltà della Francia, nazione che, sotto diverse apparenze, nasconde in realtà un'urtante scortesia. Sa, per me è un mistero come Turgenev abbia potuto fare di Parigi la sua seconda patria. Passare tutta la vita fra questi denigratori, fra questi presuntuosi routiniers, pieni di disprezzo per tutto ciò che non appartiene alla Francia e a Parigi, mi sarebbe insopportabile!

In quei giorni Colonne doveva dirigere la Tempesta, vale a dire la già ricordata Fantasia per orchestra, scritta dal maestro qualche anno prima:

È una sensazione insolita quella di sapere che ascolterò la mia opera in mezzo ad ascoltatori assolutamente ignari della mia presenza, - scrive all'amica -. Quanto al successo o all'insuccesso non mi preoccupo. Circa il valore delle creazioni musicali, il pubblico francese non si smuove dalle sue idee tradizionali. Perfino i musicisti nazionali riescono ad avere qualche riconoscimento soltanto molti anni dopo la loro morte; come potrebbe dunque uno straniero aspettarsi di meglio?!

Petr a Modest:

Parigi, 26 febbraio 1879

Ieri fu una giornata emozionante. In mattinata ebbe luogo l'esecuzione della mia Tempesta. Le pene che ebbi a soffrirne sono la miglior prova che non dovrei vivere altrove che in campagna. Perfino ascoltar le mie opere, cioè quello che una volta era un godimento grandissimo, mi procura adesso soltanto tormento. Fin dalla sera precedente cominciai ad avere diarrea e nausea. La mia eccitazione continuò ad aumentare, sicché, quando si levarono i primi accordi e poi durante tutta l'esecuzione, io ebbi la sensazione di star per morire, tanto il cuore mi faceva male! Non ero tanto agitato per paura di un insuccesso, ma perché da qualche tempo, ogni volta che ascolto le mie composizioni, provo un senso di profonda delusione. Prima della Tempesta, venne eseguita la Sinfonia della Riforma di Mendelssohn e io potei ammirare la straordinaria maestria di questo lavoro. A paragone, quelle che ho scritto fin qui non son altro che composizioni di un giovincello non privo di un certo talento, dal quale ci si può ancora attendere molto. Soprattutto mi urta il brutto effetto della mia orchestra, la sua sonorità così diversa dalle mie intenzioni. Certo, il mio buon senso mi dice che adesso forse esagero i miei difetti, ma ciò non mi dà molta consolazione. Non si può neppur dire che la Tempesta sia stata eseguita male. Gli esecutori si davano abbastanza pena, anche se non erano animati dal fuoco dell'entusiasmo. Quando gli ultimi accordi svanirono si udì un applauso alquanto fievole, interrotto da tre o quattro fischi, mentre qua e là per la sala si levavano grida di protesta contro i fischi. E poi silenzio. Tutto questo è passato senza turbarmi. Mi affligge soltanto dover riconoscere che La Tempesta che avevo finora considerato una delle mie opere migliori è piuttosto insignificante. Lasciai la sala immediatamente e feci, con un tempo splendido, una passeggiata di due ore.
Oggi mi sono abituato all'insuccesso della Tempesta e mi conforto con la speranza che dopo La Fanciulla d'Orléans e dopo la Suite, riuscirò finalmente a creare un'opera sinfonica esemplare. Sono certo che tenderò alla perfezione fino all'ultimo respiro, ma che non arriverò mai a raggiungerla.

Petr, che si concede un breve periodo di «dolce far niente» ha voglia di dedicarsi alla lettura. Infatti, scrive all'amica:

Leggo ora, per la prima volta in vita mia, le Confessioni [testo integrale in italiano] di Rousseau. Esito a raccomandarle questo libro, nel caso ella non lo avesse ancora letto. Infatti accanto a molti lampi di genio vi si leggono confessioni di un cinismo estremo, non adatte per una donna. Tuttavia sono pieno di ammirazione per lo stupefacente vigore e per la bellezza dello stile così come mi impressiona la profondità e la verità dell'analisi dell'anima umana. Mi procura inoltre un piacere inesprimibile ritrovare nelle Confessioni tratti della mia propria natura, che non sono stati descritti in alcun altro libro con uguale delicatezza. Interessantissimo mi è parso il modo con il quale Rousseau spiega il fatto, in apparenza inspiegabile, che uomo di tanto ingegno come lui non poté mai dare, in società, l'impressione di essere intelligente. La soluzione vien ricercata nella sua misantropia, nell'orribile tormento provato nel tener viva una conversazione, nel dover spiattellare frasi inutili e prive di senso pur di non lasciar cadere il discorso. Mio Dio, con che verità Rousseau descrive tutto questo e come coglie nel segno, rilevando questa piaga della vita di società!

Stavolta Parigi ha deluso Petr; tanto ch'egli non vi si trattiene a lungo e, al principio di marzo, ritorna in patria passando per Berlino. Invece la signora von Meck rimane ancora per qualche tempo nella capitale francese.