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BIOGRAFIA, PENSIERI, FILOSOFIA DI

PETR ILJIC CIAJKOVSKIJ

ATTRAVERSO


LETTERE, RICORDI E TESTIMONIANZE


LA SINFONIA «PATETICA»
LA MORTE MISERIOSA


1892 - 1893

Nell'autunno 1892 aveva finito di comporre gran parte di una nuova Sinfonia, la quale però non resse alla sua critica severa e venne totalmente distrutta. Petr passò allora qualche mese in preda alla disperazione più fosca, con l'anima agitata da un furibondo tumulto. Non trovava più requie e la tensione del suo intimo era arrivata all'estremo. Infine, la liberazione giunse anche stavolta: fece appello a tutte le sie forze e le sfogò in un'esplosione di sentimenti, di passioni, di eccitazione febbrili.
L'ispirazione lo travolse come un'ubriacatura; in preda a vera ossessione si mise al lavoro: e nacque, così, la Sesta Sinfonia, la «Patetica».

Con quest'opera monumentale toccò il vertice della sua produzione e con essa incoronò la sua vita. Destinata a commuovere e a sconvolgere innumerevoli anime di tutto il mondo, la Patetica concluse il suo percorso esistenziale e artistico, denso di esperienze ma infelice.

Aveva avuto ragione Nadezna von Meck, molti anni prima, quando aveva scritto che, con la sua musica, Ciajkovskij avrebbe fatto felici un numero infinito di esseri umani, ma che a lui non sarebbe stato concesso di conoscere la felicità.

Com'è breve la vita! - confessa a un certo punto Petr nel suo diario -. Quanto ho ancora da fare, da pensare, da creare! Si rimanda di giorno in giorno, e la morte è già in agguato dietro la siepe.

Verso la stessa epoca scrisse a un amico:

Provo adesso un gran desiderio di comprensione, di affetto, di contatti con gente amica: mi trovo intatti in uno stato d'animo quanto mai misterioso, sulla via che conduce alla tomba. Avviene in me qualcosa di strano, di incomprensibile; sono in preda a una specie di tedio della vita. Soffro talora di un angoscioso abbattimento, di una sofferenza da cui poi non scaturisca una nuova volontà di vivere, ma piuttosto qualcosa di disperato, di definitivo e, come sempre in un finale, di un poco banale.

Nonostante i successi trionfali dei suoi concerti, la fama mondiale, le entusiastiche manifestazioni di omaggio che gli vengon tributate in patria e fuori, Petr avverte chiaramente che la via è segnata, che gli è concesso da vivere ancora un breve tratto di tempo, che il fato ineluttabile lo conduce verso la fine.
Anche nel fisico la decadenza si fa evidente. In quel periodo, il maestro, trovandosi in viaggio, passò da Vienna e un vecchio conoscente che lo ebbe a vedere così descrisse il suo aspetto: «Ciajkovskij è così invecchiato ch'io lo riconobbi unicamente per via di quei suoi occhi azzurri come il cielo. Un vecchio a cinquant'anni!

Feci ogni sforzo per non lasciar trapelare il mio stupore».
L'abissale disperazione di Petr, che abbiamo descritto più addietro, fu anche il colpo d'ala felice, il volo ardentemente auspicato e finalmente riuscito, capace di consentirgli ancora l'effusione nella musica, capace di chiamare a raccolta le estreme forze e di fargli portare a termine, nel tumulto dell'ispirazione il suo canto del cigno, vogliamo dire la Sesta Sinfonia comunemente detta «Patetica». Nel febbraio 1893 Petr scrisse da Klin al nipote Bob in questo tono:

Vorrei poterti descrivere il piacevole umore che devo al mio nuovo lavoro. Ti ricorderai che in autunno ho distrutto la maggior parte di una Sinfonia già compiuta e già strumentata. Feci benissimo perché valeva assai poco: un vacuo giocherello di note, senza ispirazione autentica.
Durante il viaggio a Parigi mi venne l'idea di una nuova Sinfonia sopra un programma che dovrà però rimanere misterioso per tutti, un programma così ben celato che nessuno sarà capace di scoprirlo anche dovesse rompersi il capo.


BOB

Questo programma riflette via via i miei sentimenti più intimi. In viaggio, mentre mentalmente ne andavo componendo l'abbozzo, scoppiai più di una volta a piangere come se fossi in preda alla disperazione. Al ritorno mi misi a scrivere e lavorai così intensamente che in men di quattro giorni portai a termine il primo «tempo», mentre gli altri son già nettamente delineati nel mio cervello.
La forma di questa Sinfonia è per molti lati insolita: per esempio il finale non sarà un fragoroso «allegro», ma un lento «adagio». Non puoi figurarti come sia felice di constatare che non è ancora finita per me, che sono ancora capace di creare.

E il 22 luglio 1893 il musicista confessa:

Sono immerso fino al collo nella mia Sinfonia. Quanto più procedo, tanto più difficile mi riesce l'istrumentazione. Vent'anni fa era un lavoro che mi riusciva di un fiato, semplicemente, senza doverci riflettere, e tuttavia assai bene. Adesso sono diventato vile e incerto.

Al nipote Bob scrisse di amare questa Sinfonia come nessun'altra delle sue composizioni. E al granduca Costantino:

È sconcertante come la mia ultima Sinfonia, quella che ho appunto finito, sia intrisa di un'atmosfera non diversa da un Requiem, particolarmente nel «tempo» finale.

In origine questa Sinfonia avrebbe dovuto chiamarsi «La tragica»; poi, su esortazione di Modest, Petr cambiò il titolo in «Patetica». Non vi è dubbio che in nessun'altra opera, come nella Patetica Ciajkovskij ha rivelato se stesso, in un modo così sincero e quasi spietato: l'ultimo «movimento», il celebre «adagio lamentoso», è tutto ricoperto da un'ombra, da un tetro presagio di morte.
La Sinfonia si trovò finita in agosto, a Klin, e, il 9 ottobre, Petr arrivò a Pietroburgo, accolto alla stazione da Modest, da Bob e dagli amici di questo.

Da poco tempo Modest e Bob avevano preso in affitto, nel quartiere di Morskaja, un appartamento spazioso, con una camera sempre disponibile per Petr.

Le prove giornaliere incominciarono subito sotto la direzione dell'autore e la prima esecuzione venne fissata per il 16 ottobre. Petr aveva la sensazione che i professori d'orchestra non lo seguissero con la dovuta attenzione e che la sua nuova musica li lasciasse piuttosto indifferenti.

La sera della prima esecuzione l'eco di pubblico apparve scarsa; mancò un vero e proprio entusiasmo. Avvilito ed immerso in cupi pensieri, Petr, dopo il concerto, si recò al ricevimento organizzato in suo onore dai più noti musicisti di Pietroburgo, Glazunov, Rimski-Korsakov, Napravnik

ed altri. L'atmosfera non riuscì neppure là a rasserenarsi; anche gli amici sembravano depressi e risultava evidente, ancora una volta, come perfino intenditori esperti al pari di quelli non fossero riusciti a cogliere, a un primo ascolto, l'importanza e il valore dell'opera.
Petr, tuttavia, non si lasciò ingannare; era profondamente convinto che quella Sinfonia superasse ogni altra cosa fino allora composta. Dubitò soltanto che la sua personale esecuzione non fosse stata all'altezza del compito e non avesse soddisfatto le esigenze del pubblico. Due giorni dopo scrisse così a Jurgenson:


Jurgenson, Petr Ivanovich (1836-1903)
Gründer und Eigentümer einer Verlagsfirma
und Notendruckerei in Moskau

Quanto è avvenuto con questa Sinfonia mi sembra assai singolare: non si può proprio dire che non sia piaciuta, ma piuttosto che ha lasciato perplessi. Per quel che mi riguarda ne sono orgoglioso come di nessun'altra mia creatura.

La Sinfonia venne dedicata da Ciajkovskij a Bob, nipote prediletto, cui legò pure, per testamento, tutti i profitti delle sue composizioni.
Il maestro non poteva allora prevedere come finirà quel ragazzo da tutti idolatrato e viziato. Morto lo zio, egli continuerà a menar vita scioperata in compagnia di amici altrettanto sconsiderati. Intelligente e dotato per natura di alte qualità, avrebbe potuto dedicarsi a una professione seria; al contrario, precocemente avvelenato dall'atmosfera di Pietroburgo, non pensò ad altro che a divertirsi e a sprecare futilmente il suo tempo. Caduto in preda agli stupefacenti, finirà per togliersi la vita a Klin, ultima dimora di Petr.

La fulminea catastrofe, seguita alla prima esecuzione della Patetica, non trova facilmente spiegazione. [**]
Alcuni anni dopo la morte del fratello, Modest pubblicava una biografia di Petr, prolissa, assai confusa e, in parecchi punti, assai poco attendibile. L'amor fraterno aveva indotto l'autore a tacere più d'un fatto e a raccontare certi avvenimenti in modo diverso da come essi si eran realmente svolti. Oltre a questo, parecchie persone alle quali si accennava nello scritto erano ancora in vita al tempo della sua pubblicazione, cosicché la circostanza imponeva di usare molta circospezione. Buon numero di fatti restano quindi avvolti nel mistero e non possono interpretarsi se non in via ipotetica.
Stravagante e poco persuasiva appare l'affermazione di Modest secondo cui, nei giorni che seguirono l'esecuzione della Patetica, Petr fosse di ottimo umore. Risulterebbe proprio vero il contrario. Presagi di morte rattristavano il musicista, gli toglievano la volontà di vivere e lo facevano guardare con disperazione all'avvenire. Soltanto la certezza di aver dato con la sua ultima opera il meglio di sé poteva temporaneamente rasserenare il suo umor nero. Del resto, Petr era uomo di mondo troppo consumato per lasciar trapelare in pubblico quanto si svolgeva nel suo intimo.
Apprendiamo che nei giorni successivi all'esecuzione vide amici e conoscenti e si recò spesso a teatro.
Il 20 ottobre, dopo uno spettacolo al Teatro Alessandro, s'incontrò con Modest, Bob e altri giovani per cenare insieme al ristorante Leiner. A Pietroburgo, in quei giorni, infuriava un'epidemia di colera; sicché la gente si asteneva con ogni cura dal bere acqua della Neva, senza prima bollirla, avendo paura che in essa si annidassero i bacilli del morbo terribile.

Ed ecco Petr, a un certo momento della cena, precipitarsi all'improvviso sopra una caraffa di quell'acqua, versarsene a precipizio un bicchiere e inghiottirla d'un sorso. Tutto si svolse così inaspettatamente e in tal fretta che nessuno dei presenti riusd ad arrestarlo.
«Ma non è bollita quell'acqua!», gridò qualcuno inorridito. Era già troppo tardi.
Il mattino successivo, le conseguenze di quel gesto incominciarono ad apparire: disturbi viscerali si rivelarono in forma minacciosa. Petr volle fare ancora una passeggiata; ma dovette rincasare quasi subito e mettersi a letto. Sopravvennero dolori itroci, vomito e diarrea. Venne chiamato urgentemente Leo Bertenson, il più celebre medico di Pietroburgo, lo stesso che dieci anni prima era stato al capezzale di Musorgskij mortalmente malato. Bertenson fece immediatamente la sua diagnosi: colera! Prese tutte le misure del caso e invitò a consulto altri colleghi.
Frattanto erano intervenute convulsioni orribili, il degente soffriva crudelmente. Il giorno dopo subentrò un leggero miglioramento e tutti incominciarono a sperare. Modest, Bob e alcuni dei loro amici non si mossero più dal letto dell'infermo. Si tentò tutto quanto era nelle possibilità umane per determinare una svolta favorevole. Petr, quasi sempre cosciente, rammentava come sua madre, quarant'anni prima, si fosse spenta, in quella stessa città, vittima della stessa infezione e sentì chiaramente come anche per lui non vi fosse più scampo. La lotta durò ancora qualche giorno; il corpo si difese con tutte le forze contro l'invasione del veleno. Ma poi i reni cessarono di funzionare, macchie nerastre, sintomi funerei del morbo, presero a sfigurare il volto del malato. Ogni arte medica si mostrò inutile. Nella notte sul 25 ottobre, otto giorni dopo la prima esecuzione della Sesta Sinfonia, Petr chiuse gli occhi per sempre.
Qualche giorno dopo, con l'intervento di gran parte della popolazione, ebbero luogo i funerali nel cimitero del convento Alexander Nevski. A Klin, ultima dimora del compositore russo, venne istituito quasi subito un museo Ciajkovskij e in esso riuniti i più importanti manoscritti e i cimeli del defunto maestro. Questo museo fu amministrato dapprima dal fedele Aljoscia, poi passò sotto la direzione di Modest e di Bob.
Se ci si sofferma a considerare le circostanze di quella morte, si deve concludere che Petr, con ogni probabilità, abbandonò la vita volontariamente e deliberatamente. Certo, non per decisione maturata a lungo, ma in un momento di suprema depressione. Sappiamo come egli, lungo il corso di parecchi mesi, fosse stato oppresso, da presagi di morte quasi continui. La decisione di bere quel bicchiere d'acqua sospetto fu una specie di sfida al destino. Poteva infatti accadere ch'essa non gli trasmettesse alcun contagio, così come, in parecchi casi, si era già verificato.
Per prevenire qualsiasi chiacchiera Modest, sia a voce subito dopo la morte, sia più tardi per iscritto nella biografia, tenne a far rilevare come il fratello nei giorni che seguirono la prima esecuzione della Patetica si fosse dimostrato di umore eccellente e avesse già abbozzato piani per nuove composizioni musicali. Naturalmente, se tali affermazioni rispondessero a verità, l'ipotesi di una morte volontaria verrebbe a cadere.
Ora, tutte codeste oscure circostanze sembrano illuminarsi di una luce singolarmente rivelatrice se noi ascoltiamo, oltre che con l'orecchio anche col cuore, l'ultimo «tempo» e le ultime battute della Patetica. Abbiamo allora l'impressione che il maestro, con quelle note abbia cantato veramente il proprio Requiem ed abbia concluso la sua vita. A partire da quel momento non gli era più possibile restare sopra questa terra.

Sulla sorte di Ciajkovskij ebbero un peso decisivo gli anni di formazione. Già notammo come entrando al Conservatorio di Pietroburgo, il compositore venisse a trovarsi fin dalla prima giovinezza nella cerchia di Anton Rubinstein, vale a dire in un'ambiente dalle tendenze ecclettiche ed assolutamente privo di propensione per la musica nazionale. Per quel che riguarda l'evoluzione di Ciajkovskij può considerarsi una tragedia l'essersi egli trovato in contrasto, fin d'allora, con quei compositori del «Gruppo dei cinque» che lottavano contro la soggezione alla musica straniera, contro ogni imitazione e soprattutto contro «l'italomania» imperante a Pietroburgo.