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CARLO MARINELLI

EUGEN ONEGIN

[STORIA DELL'OPERA UTET]


STORIA DELL'OPERA UTET

Questa edizione è ormai da anni fuori catalogo
ed è confluita in parte nei sei volumi di

MUSICA IN SCENA.

Alcuni saggi sono stati affidati ad altri musicologi;
alcuni sono stati ripresi e modificati,
come il presente di Carlo Marinelli

In una riunione di amici, il 13 (25) maggio 1877, Elizaveta Lavrovskaja suggerì al musicista di scrivere un'opera su Eugen Onegin di Puskin.

Sul momento l'idea gli parve inattuabile ma dopo averla assimilata e soprattutto dopo una approfondita lettura del poema di Puskin (un «romanzo in versi», scritto tra il 1822 e il 1831), Tchaikovsky si appassionò al soggetto (e soprattutto al personaggio di Tatjana), abbozzò le linee del libretto e si dedicò personalmente, con l'aiuto di Konstantin Silovskij, alla sua redazione, facendo largo uso dei versi originali di Puskin.
La composizione della musica iniziò nello stesso maggio 1877 e terminò il i febbraio 1878. All'interno di questo periodo si inserisce il disgraziato episodio del matrimonio di Tchaikovsky con Antonina Ivanovna Miljukova: le nozze furono celebrate il 6 (18) luglio; il 26 luglio (7 agosto) Tchaikovsky aveva già lasciato la moglie; un successivo tentativo di riprendere a convivere con lei lo portò sull'orlo della pazzia e il 24 settembre (6 ottobre), anche per ordine medico, la separazione divenne definitiva.
Sembra che nella decisione di Tchaikovsky avesse fortemente influito proprio la storia narrata da Puskin: Antonina si era offerta a lui come disperatamente innamorata e il musicista aveva voluto evitare di comportarsi come Onegin. Ma, a parte il fatto che Antonina era tutt'altro che una Tatjana, Tchaikovsky era in un momento di acuta crisi del suo rapporto con il femminino, alla ricerca illusoria di una soluzione al suo desiderio insoddisfatto e insoddisfacibile di un amore materno. Alla fine del 1876 aveva anche avuto inizio il curioso rapporto di amicizia con Nadezda Filaretovna von Meck, che è un altro aspetto della disperata ricerca di un equilibrio con il mondo femminile da parte di Tchaikovsky (equilibrio che non troverà se non nella rassegnazione all'impossibilità di ogni rapporto diretto: l'amicizia con la von Meck resterà puramente epistolare, senza che i due si incontrino mai, se non per errore e di sfuggita; nella von Meck, più anziana di lui di soli otto anni, Tchaikovsky vedrà sostanzialmente una madre, o - meglio - un surrogato di madre, e questo può spiegare la disinvoltura priva d'ogni imbarazzo con cui ne accettò il sostanzioso aiuto finanziario).
Contemporanea alla composizione di Eugen Onegin è quella della Quarta Sinfonia, che molti considerano come la più «autobiografica» di Tchaikovsky, anche grazie ai dettagli dallo stesso autore forniti in una lettera a Nadezda von Meck. Anche Eugen Onegin è considerata l'opera di teatro più «autobiografica» di Tchaikovsky: e non so quanto in questa qualificazione giochi la coincidenza dell'episodio del matrimonio. La prima rappresentazione di Eugen Onegin ebbe luogo al Malij Teatr di Mosca il 17 (29) marzo 1879, sotto la direzione dell'amico Nikolaj Rubinstejn, direttore del Conservatorio di Mosca in cui Tchaikovsky era stato insegnante di composizione fino all'autunno 1878, quando aveva rassegnato le dimissioni per esser libero di dedicarsi esclusivamente alla composizione (un passo resogli possibile dalla assegnazione di una pensione annua di seimila rubli offertagli da Nadezda von Meck alla fine del 1877).
Gli interpreti della prima moscovita erano gli stessi studenti del Conservatorio di Mosca. La prima rappresentazione «professionale» di Eugen Onegin ebbe luogo due anni più tardi, l'11 (23) gennaio 1881, al Bolscioj Teatr, sotto la direzione di Edvard Napravnik (che aveva già diretto al Marijnskij Teatr di Pietroburgo le «prime» di Opricnik e di Kuznec Vakula e vi dirigerà ancora, successivamente, quelle della Pulzella di Orléans, della Dama di picche e di Jolanta). Solo nel 1885 Tchaikovsky aggiunse alla partitura originale la «scozzese» che inquadra l'incontro fra Onegin e Tatjana divenuta principessa Gremina nel primo quadro dell'atto III. Complessivamente, queste «scene liriche in tre atti» comprendono ventidue numeri più un'introduzione.
Il vero protagonista dell'Eugen Onegin di Tchaikovsky è il personaggio di Tatjana; in essa si concreta il vagheggiato e vago ideale di un impossibile amore femminile. Ma è da chiedersi se non sia proprio questo amore anelato e impossibile il vero protagonista dell'opera: il suo accento inconfondibile investe il personaggio di Tatjana fino al grande rifiuto di Onegin, ma poi trapassa nel Lenskij dell'assurdo duello e dell'assurda morte (e le parentele tematiche, o motiviche, son lì a ricordarlo) e, poi, ancora, nello stesso Onegin, quando Tatjana si è ormai fatta inaccessibile (e qui si giunge fino alla citazione esplicita). Potrebbe dirsi che questo tema dell'amore «circola» intorno al personaggio di Tatjana, a lei più o meno direttamente legato (nel caso di Lenskij, per il tramite della sorella Olga, leggera e sventata, quanto Tatjana è seria e appassionata): e in effetti finisce per investire anche un personaggio «minore», che si può considerare totalmente inventato da Tchaikovsky rispetto all'originale di Puskin, il principe Gremin, «vivo» soltanto per la sua aria dell'atto III, il cui stesso involo è uno slancio d'amore nostalgico e quasi incredulo del suo stesso essere, eppure intenso e pieno, illuminato di virtù e di tenerezza, quasi «paterno». Vi è forse un riflesso autobiografico della vicenda personale di Tchaikovsky con Antonina Miljukova, di lui più giovane di nove anni. Vicenda assurda e infelice in cui Tchaikovsky costruì con le proprie mani la propria miseria. Ma, a parte il riferimento autobiografico, che investe tutto l'Eugen Onegin, ma piuttosto come influsso della fantasia sulla realtà che viceversa, certo è che - se si tien conto del fatto che Cerevicki è il rifacimento del precedente Kuznec Vakula - da Eugen Onegin in poi l'amore dei giovani è in tutte le opere di Tchaikovsky destinato all'infelicità, alla non realizzazione, e ciò fino alla Dama di picche compresa, con la sola eccezione, quindi, dell'ultima opera, Jolanta.

Eugen Onegin è diviso in tre atti e sette quadri. Ciascuno dei tre atti mette a fuoco una delle tre figure protagoniste, Tatjana, Lenskij e Onegin. L'atto I si divide in tre quadri, l'attesa di Tatjana, un'attesa vaga eppure ansiosa di amore, che si concreta con l'arrivo di Onegin ed esplode nel secondo quadro, la famosa «scena della lettera»; il terzo quadro conclude la parabola, con il rifiuto di Onegin. Nell'atto II, il primo quadro, la scena del ballo in casa Larin, offre l'occasione a Lenskij: la provocazione involontaria del fatuo Onegin e della civetta Olga ne fa scattare l'ingenuo entusiasmo, l'ardore fideistico in un amore senza ombre e senza inganni. Il secondo quadro, la scena del duello, chiude la seconda parabola, questa volta con la morte.
Nell'atto III, primo quadro, il ballo a San Pietroburgo, la «nuova» Tatjana dà ad Onegin coscienza di sé: l'aria del principe Gremin vi aggiunge il senso della perdita, di quel che poteva essere e non è stato per propria colpa; il definitivo rifiuto di Tatjana nel secondo quadro, una Tatjana ancora innamorata ma ormai inattingibile, chiude la terza parabola, che è poi la parabola di tutta l'opera, che si racchiude fra un'attesa e un rifiuto, passando per un precedente rifiuto e una morte, secondo una precisa struttura ternaria, drammaturgicamente conchiusa e linearmente condotta secondo un processo di tensioni e di delusioni. Il tema di fondo è la impossibilità dell'incontro d'amore: quando non lo spezzano la morte o le vicende della vita, lo vieta l'incapacità psicologica, che impedisce che le tensioni coincidano e convergano: il destino di chi ama è di non incontrarsi mai con la persona amata, perfino l'amore ricambiato si disloca nell'uno rispetto all'altro in modo che la reciprocità sia resa impossibile.
È questa sottigliezza psicologica che Tchaikovsky coglie in Eugen Onegin, e poi coglierà nuovamente nella Dama di picche: ed è proprio questo aver messo l'impossibilità dell'incontro «dentro» e non «fuori», nella natura stessa dell'uomo e della donna e non nelle vicende che li condizionano dall'esterno, che fa la superiorità di queste due opere rispetto alle altre nelle quali l'incontro sarebbe voluto e psicologicamente possibile, ma è impedito con la forza, come in Carodejka e, tra le opere che sono precedenti a Eugen Onegin, in Opricnik, in Snegurocka. Quanto alla Pulzella di Orléans e a Mazepa le complicazioni politiche offuscano la sensibilità psicologica.
In Eugen Onegin il tema dell'impossibilità dell'incontro d'amore prevale su quello del fato, che si pone invece come prevalente nella Dama di picche. Non manca però questo del tutto: il duello che porta alla morte di Lenskij appare ad un osservatore esterno talmente immotivato che non può essere considerato che «fatale». Ma è una fatalità che è insita negli stessi protagonisti dell'avvenimento; e questo carattere della «fatalità» come un dato della psiche, come un portato ineliminabile del proprio modo di essere, vorrei dire come un elemento «naturale», costitutivo dell'uomo, è a mio parere distintivo dell'arte di Tchaikovsky in modo individualizzante e differenziante. È una fatalità «soggettiva», è un destino da cui non si può prescindere proprio perché è interno all'uomo, al suo stesso «carattere».
Eugen Onegin è un'opera che richiede un'attenzione più da lettore che da spettatore, un'attenzione volta ai motivi intimi dei comportamenti piuttosto che ai comportamenti stessi e tanto meno alle vicende o all'ambientazione. Un'opera che è piuttosto una serie di «scene liriche» l'una all'altra giustapposta, vere e proprie «variazioni» su un tema, che non è soltanto sentimentale ma che è anche musicale, con una puntualità «motivica» rivelatrice. Non si tratta soltanto del fatto, rilevato da Hofmann, che «il motivo di Tatjana serve da cardine a tutta la struttura musicale dell'opera». Questa è un'osservazione che discende naturalmente dal fatto che Tchaikovsky iniziò la composizione dell'opera da quella che egli sentiva come la scena centrale dell'opera, la scena della lettera: si può dire che intorno a questa scena egli costruì l'intera opera, che ne è una sorta di proiezione. E lo è fino al punto che se ne può considerare cellula motivica germinale la breve frase di quattro battute, due affidate all'oboe e due al corno, che contrassegna l'andante (piano, molto espressivo) che costituisce il culmine della scena della lettera, cellula motivica che ricompare sia nella sua interezza sia nell'una o nell'altra metà, più o meno modificata, ma spesso ripetitivamente identificata, dall'introduzione al duetto finale.
Tchaikovsky partì dunque emotivamente e musicalmente dal personaggio di Tatjana. Tanto che cominciò a mettere in musica la scena della lettera ancor prima di stendere il libretto, nel quale lasciò largo spazio ai versi originali di Puskin.
Proprio in riferimento ad Eugen Onegin Gerald Abraham ha messo in rilievo una caratteristica tipica delle melodie di Tchaikovsky: «Sono tutte decisamente convolute nel profilo, procedono per salti piuttosto che per gradi, si muovono arditamente su e giù come una calligrafia piena di carattere.»
Vorrei aggiungere che il segreto di queste melodie è nelle prime note, è nell'involo che subito le definisce, intervallarmente e direzionalmente, ne determina lo «scatto» e al tempo stesso l'ambito, ne profila la scansione ritmica: l'invenzione di Tchaikovsky è di brevi cellule motiviche piuttosto che di ampie frasi tematiche: la melodia non cresce in se stessa, in sempre nuova invenzione, piuttosto «ripete» la cellula fondamentale, sia pure con nuovi svolgimenti successivi, svolgimenti che sono piuttosto variazioni fisiognomiche che sviluppi conseguenziali. Da un lato perciò Tchaikovsky è sempre pronto a cogliere qualsiasi spunto melodico, anche minimo, gli offra il testo, dall'altro è indifferente a qualsiasi esigenza di identificazione tematica dei singoli personaggi.
Tatjana, Lenskij, Onegin possono risalire alla stessa cellula motivica se e in quanto partecipi di una stessa condizione psicologica e sentimentale: un analogo impulso emotivo anima Tatjana e Lenskij, entrambi sono giovani, appassionati, ingenui, i loro caratteri sono chiaramente definiti, senza che vi sia bisogno di una maturazione «in corso d'opera»: le vicende debbono soltanto fornire l'occasione perché si manifestino. Quanto a Onegin, ha osservato John Warrack: «Accanto a Tatjana, Onegin risulta lontano e distaccato, a volte 'vuoto', come in Puskin, un personaggio che nell'opera vive più per il contrasto con il calore di Tatjana e di Lenskij, la vivacità di Olga, la semplice bonomia dei Larin e dei loro amici di provincia e la burbera umiltà di Gremin che per una qualsiasi propria caratteristica ben marcata. Musicalmente è descritto come riservato, solo nell'ultima scena appassionato e disperato; e ben lontano dall'essere il fallimento di un ritratto, questo tipo di approccio risponde allo scopo di Tchaikovsky di sottolineare la sua mancanza di un qualsiasi vero centro emotivo finché giunge troppo tardi a riconoscere dove dovrebbe trovarsi».
A mio parere è dalla morte di Lenskij e dalla rinunzia di Tatjana che desume un carattere Onegin, plasmandolo come su cera informe, e sarà lo stesso carattere appassionato ed impulsivo, solo gli sarà negata dall'esperienza l'ingenuità, e ciò lo condannerà alla sofferenza e al dolore, senza possibilità di liberarsi nella morte o nella rinunzia.
Dato che l'interesse preminente di Tchaikovsky è la confessione sentimentale e l'introspezione psicologica, non è molto probante il gioco delle derivazioni. È difficile dare un valore che superi quello di una semplice reminiscenza o magari analogia di situazioni (un'analogia creata dalla reazione soggettiva di Tchaikovsky più che oggettivamente esistente) alle riscontrate derivazioni di elementi della cellula motivica fondamentale da Meyerbeer o da Bizet. Ancora più generico mi sembra vada considerato il riferimento al Demone di Rubinstejn. E nel quadro dell'impiego di quelle che ho già chiamato le «locuzioni didascaliche» di Tchaikovsky porrei richiami come quello del doppio duetto della scena del giardino dal Faust di Gounod alla prima scena del primo atto.
E così ancora per le derivazioni dall'operistica italiana, Donizetti, Bellini, Verdi, anche quando - in quest'ultimo caso - ad esserne investito non è soltanto il profilo esterno (come avviene ancora nell'aria del principe Gremin) ma l'ambientazione e la collocazione drammaturgica (come è nell'introduzione alla seconda scena del secondo atto, quella del duello). Non meno funzionale è l'artificio (di cui Verdi offre innumeri esempi) di far scoppiare una tragedia su un ritmo di danza, anzi su un vero e proprio ballo in scena, come avviene per la disputa fra Onegin e Lenskij che induce quest'ultimo a sfidare l'amico a duello. Ma in Tchaikovsky manca il senso del tragico che era invece in Verdi. La danza non ha sapore acre e amaro, è splendida e brillante, rutilante e fastosa: è un momento di gioia sincera e spensierata, una cornice piuttosto che un contrasto, ed in genere una disposizione perenne dell'animo allo slancio e all'abbandono. Così come le danze in casa Larin e nei saloni di San Pietroburgo cornice sono i cori dei contadini e delle fanciulle, le une e gli altri destinati a rendere viva la pittura di un ambiente, di «in paesaggio familiare e ben conosciuto», come annota John Warrack, «figure di una Russia alla quale lo stesso compositore apparteneva». E nello stesso quadro di ambientazione «umana» vanno posti episodi apparentemente transeunti e superflui, come i couplets di Monsieur Triquet in onore di Tatjana che interrompono le danze durante la festa per il compleanno della fanciulla. Sono tutti elementi che servono a «collocare» i personaggi, vorrei dire autobiograficamente; di modo che è difficile trovare in Eugen Onegin qualcosa che sia inutile o fuori di posto.