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ALEXANDRA ORLOVA

IPOTESI SULLA MORTE DI CIAJKOVSKIJ

18-28 ottobre 1893

«Com'è improvviso e semplice, come naturale e innaturale» (Lev Tolstoj, da una lettera a sua moglie)

La prima della Sesta Sinfonia (Patetica) di Ciajkovskij ebbe luogo il 16 ottobre 1893 presso la sala «delle riunioni dei nobili» a San Pietroburgo, diretta dal compositore. Qualche giorno dopo per la città si sparsero notizie allarmanti: Ciajkovskij era gravemente malato. Ma il 24 ottobre «La gazzetta delle notizie e della Borsa» n. 293 annunciava: «L'intero mondo della musica è allarmato per le notizie della grave malattia di P.I.Ciajkovskij. Fortunatamente, secondo l'ultimo 'communiqué', la malattia di PI. Ciajkovskij (che si presume sia tifoidea) dovrebbe avere un decorso favorevole».
Il giorno della morte del compositore, il 25 ottobre, lo stesso quotidiano (n. 294) includeva il seguente articolo: «L'epidemia virulenta non ha risparmiato neanche il nostro famoso compositore P. I. Ciajkovskij. Egli è caduto malato giovedì durante il giorno e la sua malattia si è rivelata subito pericolosa». Seguivano due bollettini medici e si affermava che «alle 2.30 del mattino i dottori se ne andarono, avendo deciso che il caso era senza speranza. Alle 3 Ciajkovskij non era più».
In seguito, i racconti dei testimoni di prima mano della malattia e della morte di Ciajkovskij si distinguono per la gran quantità di contraddizioni. Ma c'è già una contraddizione negli articoli sopra citati: il primo afferma che Ciajkovskij aveva evidentemente una malattia tifoidea e che il 23 ottobre sembrava migliorare all'improvviso. Ma nell'articolo che annuncia la sua morte, si afferma che la malattia si era rivelata subito un pericolo. È vero che la malattia non è nominata, ma dato che si menziona un'epidemia è chiaro che il colera è coinvolto (nell'estate del 1892 ci fu la più virulenta epidemia di colera in Russia. L'anno successivo tornò, sebbene con meno violenza. Di regola, l'epidemia sarebbe cessata verso l'autunno. Così fu nell'ottobre del 1893. Verso la fine dell'anno ci furono soltanto casi isolati, menzionati dai resoconti dei giornali sull'andamento dell'epidemia di colera).
Tutte le contraddizioni nelle interviste ai testimoni evidentemente attrassero l'attenzione del grande pubblico. Cominciò a spargersi per la città la diceria (forse anche prima che morisse Ciajkovskij) che il compositore si fosse suicidato.
Il giorno successivo alla sua morte «La gazzetta di San Pietroburgo» scrisse (294, 26 ottobre 1893): «Come avrebbe potuto Ciajkovskij contrarre il colera quando viveva in condizioni igieniche più che eccellenti ed era arrivato a Pietroburgo soltanto qualche giorno fa?»
La stessa edizione riportava un'intervista con il dottor Bertenson, «il primo medico ad essere chiamato da Petr Iljic». Le iniziali del dottore non sono date, ma si sa dalle memorie di Vasilij Bertenson, così come da Lev Bertenson e Modest Ciajkovskij, che il primo ad essere chiamato fu l'amico Vasilij Bertenson, che si occupava regolarmente di Ciajkovskij. Nell'intervista il medico diceva che Ciajkovskij aveva cominciato ad ammalarsi il giovedì (21 ottobre), ma per tutto il giorno e anche per una parte del giorno seguente (venerdì 22 ottobre), si era curato da solo e «non aveva cercato aiuto medico». Ma la sera di venerdì (cioè la sera del 22) «il dottor Bertenson venne chiamato» quando «era già necessaria la forza di sei uomini messi insieme» per alleviare la sofferenza del paziente. Più oltre si afferma che il giorno seguente (sabato 23 ottobre) era intervenuto un miglioramento significativo e Ciajkovskij era «salvo dal colera». Ma d'altra parte la stessa mattina i dottori cominciarono a essere preoccupati per un altro pericolo, «il continuo indebolimento delle sue forze». E cominciarono a sospettare un'infezione.
Contemporaneamente all'intervista con Vasilij Bertenson, «La gazzetta delle notizie e della Borsa» pubblicò un'intervista con il dottor Nikolaj Mamonov, assistente di Lev Bertenson - che era un medico clinico di prim'ordine e dottore dello zar - chiamato da suo fratello Vasilij. Mamontov stette al capezzale di Ciajkovskij fino alla fine (faceva i turni con un altro assistente di Lev Bertenson, il dottor Aleksandr Zander). Mamontov raccontò che Ciajkovskij si era sentito poco bene già il mercoledì, il giorno prima di ammalarsi. (Mentre, secondo Modest Ciajkovskij, un giorno prima della sua malattia, il compositore stava benissimo ed era in perfetta salute persino a tarda sera - come risulta da una lettera all'editore, «Tempi nuovi», 6350, 1° nov. 1893).
Il 27 ottobre «Tempi nuovi» (n. 6345) pubblicò un articolo di Lev Bertenson. Come preambolo apparve quanto segue: «La varietà dei resoconti dei testimoni oculari, apparsi sulla stampa in relazione alla recente malattia di P. I. Ciajkovskij, ci ha costretti a rivolgerci al dottor L. B. Bertenson, che fu incaricato di curare il compositore ora deceduto».
Ad ogni modo, la descrizione fatta da Lev Bertenson non fece altro che aumentare le discrepanze. Contrariamente a suo fratello Vasilij, Lev Bertenson enfatizzò che c'era un pericolo d'uremia fin dall'inizio della malattia, ma sabato 23 ottobre, quando secondo Vasilij Bertenson questo pericolo era appena apparso, e quando le condizioni generali del paziente erano migliorate, il compositore non soltanto non stava meglio, ma stava già morendo e morì durante la notte di domenica (24 ottobre).
Come spiegare queste discordanze? Ci può essere una sola risposta: i dottori tentavano di nascondere la verità. Dato che c'era ancora qualche caso isolato di colera a San Pietroburgo in quell'ottobre, la versione originale che menzionava una malattia tifoidea venne modificata in colera, una malattia crudele e inesorabile che di solito ha un esito fatale.
C'è anche un'altra circostanza sorprendente: il resoconto del dottor Lev Bertenson non regge dal punto di vista medico. Egli disse che durante la sua prima visita a Ciajkovskij quando il musicista si era appena ammalato, trovò «la malattia allo stadio cosiddetto algido». Ma lo stadio algido è il secondo stadio del colera. Il terzo è lo stadio relativo, cioè quello in cui il paziente o guarisce o muore. Perché successe così? Perché il medico confuse gli stadi della malattia? La risposta si può trovare nelle memorie di Vasilij Bertenson: «Devo ammettere che non mi si era mai presentata l'occasione di essere testimone di un vero caso di colera prima di questo».
Ciò è del tutto comprensibile: la pratica medica dei fratelli Bertenson aveva a che fare esclusivamente con l'élite di San Pietroburgo, non toccata dal colera. Questo è il motivo per cui entrambi i dottori conoscevano il colera soltanto sui testi di medicina. Anche Lev Bertenson era costretto a descrivere la malattia di Ciajkovskij non in base all'osservazione del paziente, ma a ciò che una volta aveva letto. Profondamente sconvolto e spinto dalle circostanze a mentire, il medico usò la terminologia che riusciva a ricordare, ma in successione errata.
Questa è anche la sola spiegazione del motivo per cui un medico professionista potesse asserire che Ciajkovskij pronunciava consciamente alcune parole e rispondeva ad alcune domande quando si supponeva che fosse in coma, ed è risaputo che un paziente in coma non è in grado di produrre nessuna reazione conscia, dal momento che è «decerebrato» (è interessante notare che fu precisamente questa parte della testimonianza di Bertenson che Modest ripeté quasi parola per parola nel suo articolo - si veda sotto).
Ovviamente i medici erano persone oneste e rispettabili che divennero incompetenti quando si trovarono nella condizione equivoca di dover mentire. Per di più persero la testa sotto la tensione dell'imminente catastrofe e si confusero talmente da non riuscire a mettersi d'accordo sulla versione da dare. Probabilmente essi stessi lo notarono, poiché un nuovo articolo su «Tempi nuovi» del 28 ottobre (n. 6346) affermava: «Lev Bertenson, che assistette il defunto P.I. Ciajkovskij, ci ha chiesto di pubblicare quanto segue: in merito alla malattia di P.I. Ciajkovskij, alcuni quotidiani hanno riportato le mie opinioni e dichiarazioni in forma così distorta che sono costretto a smentirli e la mia smentita è confermata dal fatto che non ho incontrato nessuno dei giornalisti eccetto il giornalista di «Tempi nuovi» (vedi n. 6345). Per questa ragione non avrei potuto parlare a nessuno di loro. Dei tre bollettini apparsi sulla stampa, soltanto due, apparsi informa abbreviata [...] sono stati scritti da me». Questo si riferisce ai bollettini che vennero affissi alla porta dell'appartamento di Modest Ciajkovskij l'ultimo giorno di vita del compositore e che fornivano ora per ora informazioni sulle condizioni del paziente. Ma persino questi bollettini non coincidono con il resoconto di Lev Bertenson!
Naturalmente tutta questa confusione alimentava soltanto le dicerie. E allora il fratello del compositore prese in mano la penna.
Quando gli archivi di Modest Ciajkovskij vennero riordinati nel corso del 1938, furono scoperte due lettere del dottor Lev Bertenson, scritte dopo la morte del compositore. La prima è una breve lettera accorata con espressioni di dolore per la perdita terribile: la morte del caro Petr Iljic. L'altra missiva è estesa, una sorta di lettera aperta, o piuttosto spiegazione. È molto meno emotiva, più simile a una lettera d'affari, e il contenuto consiste per lo più in una descrizione dettagliata della malattia di Ciajkovskij. [La lettera breve fa scoperta ancor prima da un musicicologo americano, Nicolas Slonimsky, e pubblicato nel libro, Tchaikovsky, da Herbert Weinstock (New York, 1943), p. 364]. La seconda lettera si trovava al museo di Klin prima della seconda guerra mondiale. Non si sa se esista ancora o se sia stata distrutta insieme con numerosi altri documenti. In ogni caso quando chiesi il permesso di vederla nel 1950, nel corso delle mie ricerche, mi fu detto che non potevo perché la lettera era andata perduta. C'è ragione di credere che la seconda lettera abbia fornito le basi per l'articolo di Modest Ciajkovskij. Diversamente, come si può spiegare l'urgenza di Modest di raccontare il decorso della malattia del compositore quando era stato al capezzale del paziente per tutto il tempo?

18-28 ottobre 1893

Comunque Modest si trovava in uno stato tale da essere incapace di seguire tutte le dettagliate indicazioni del medico. Un quadro del tutto diverso stava di fronte a quest'uomo attanagliato dal dolore e, nonostante sapesse ciò che voleva fare, fu questo quadro che spinse nell'ombra per un certo periodo il documento di Bertenson.
La lettera di Modest Ciajkovskij all'editore apparve il 1° novembre su diversi quotidiani di San Pietroburgo (ho utilizzato «Tempi nuovi», 6350). L'articolo è intitolato La malattia di Ciajkovskij e comincia come segue: «A completamento della breve, ma del tutto accurata relazione sugli ultimi giorni di vita di mio fratello fatta da L. B. Bertenson, considero necessario, per mettere fine a varie e contraddittorie dicerie, consegnarVi per la pubblicazione una dichiarazione il più possibile completa su tutto ciò di cui sono stato testimone».
Modest Ciajkovskij probabilmente non era nella condizione di seguire le indicazioni di Lev Bertenson. Se si confrontano le dichiarazioni del medico e del fratello di Ciajkovskij sono manifestamente ovvi i seguenti punti. I sintomi del colera sono descritti in entrambi i documenti e il suo decorso è seguito puntualmente ora dopo ora, ma ognuno degli autori ne dà una descrizione diversa. Se l'uno sostiene che il paziente soffriva di terribili convulsioni, l'altro, riferendosi alla stessa ora, enfatizza il fatto che le convulsioni fossero cessate. Se, secondo l'uno, Ciajkovskij era completamente cosciente, l'altro afferma che in quel momento era incosciente. E, cosa più sorprendente di tutte, secondo il medico Ciajkovskij morì non il 25, bensì il 24 ottobre, cioè ventiquattro ore prima. A parte questo, i resoconti di Modest Ciajkovskij e Lev Bertenson divergono dai bollettini medici pubblicati. Emerge un dettaglio essenziale: Modest afferma che il primo giorno il paziente ebbe forti dolori al petto, e il giorno seguente una sete insaziabile. Nella dichiarazione dei medici la cosa non viene menzionata, perché non sono sintomi di colera. Ma è evidente che questo particolare si era fortemente impresso nella memoria di Modest Ciajkovskij, quando riviveva con tormento la sofferenza del fratello. (Secondo la letteratura medica e gli specialisti - epidemiologi e tossicologi - tali sintomi - il dolore lancinante e la sete - non sono sintomi del colera, ma dell'avvelenamento da arsenico).
Per ciò che riguarda le condizioni di Modest, abbiamo la testimonianza che segue: «M. I. Ciajkovskij era schiacciato dal dolore a tal punto che ha dovuto rinunciare al requiem; è in una stanza privata in compagnia di alcuni amici devoti» («La gazzetta delle notizie e della Borsa», 294, 25 ottobre 1893). Così non è sorprendente che le istruzioni di Lev Bertenson non potessero aiutare Modest Ciajkovskij a descrivere ciò che in realtà non successe mai.
Vale la pena di sottolineare due fatti ulteriori che hanno avuto peso nelle dichiarazioni dei testimoni summenzionati, e di altri, e che successivamente apparvero anche in diverse «memorie». In alcune interviste giornalistiche si menziona un bicchiere d'acqua non bollita che Ciajkovskij bevve, e che presumibilmente giocò un ruolo fatale. Tuttavia alcuni testimoni asseriscono che egli bevve l'acqua non bollita, il giorno prima, la sera di mercoledì (20 ottobre) in un ristorante, mentre Modest afferma che il bicchiere fatale fu bevuto durante la giornata di giovedì (21) a casa, quando il compositore aveva già cominciato a star male.
Comunque, in tutte le istruzioni per combattere il colera è proibito non soltanto bere acqua non bollita, ma persino usarla per lavarsi e l'acqua bollita è altresì raccomandata per lavare i piatti. Lasceremo da parte la versione del ristorante dato che questa figura principalmente nelle «memorie», spesso di seconda mano. Ma sarebbe stato impensabile che venisse portata acqua non bollita sulla tavola di una famiglia di una certa educazione (e sarebbe stato particolarmente impensabile nella famiglia Ciajkovskij, già una volta orribilmente colpita dal colera). Ma anche se il compositore avesse bevuto acqua non bollita lo stesso giorno in cui era già malato, non sarebbe cambiato niente nelle sue condizioni, dato che il colera di solito non si sviluppa istantaneamente.
Testimonianze diverse esistono anche sul bagno, essenziale per un paziente di colera (per stimolarne il funzionamento renale), ma non necessario in un caso di avvelenamento. Lev Bertenson afferma che a Ciajkovskij venne fatto tale bagno sabato, mentre Modest indica che fu di domenica. Ma è evidente che non gli fecero affatto il bagno, cosa tra l'altro confermata dal diario di Aleksej Suvorin: «Ciajkovskij è stato sepolto ieri. Sono oltremodo addolorato, sono disperato per lui. I fratelli Bertenson, che lo curavano, non gli hanno fatto prendere il bagno».
Si deve dire che proprio il fatto che la descrizione più dettagliata della malattia di un uomo importante e il metodo di cura fossero riportati ampiamente dalla stampa russa, quando sarebbe stato più appropriato che apparissero su un giornale medico, è senza precedenti. Perché fu necessario, dopo la morte del compositore, descrivere nei dettagli come fossero le sue feci, come funzionassero i suoi reni e quale cura gli fu somministrata? E perché sia suo fratello sia il medico considerarono necessario fare questo tipo di relazione? È chiaro che ciò fu fatto in risposta ai pettegolezzi, un desiderio di stabilire (o celare!) la verità. Se non ci fossero state discrepanze significative nelle dichiarazioni dei testimoni, si sarebbe potuto accettare la prima versione. Ma qualunque giurista confermerà che le dichiarazioni contrastanti di testimoni che cercano di convincere la corte della verità dell'una o dell'altra versione dimostra soltanto l'inconsistenza di quella versione.
A parte la testimonianza contraddittoria dei testimoni oculari, c'è ancora uno strano dettaglio che non mancò di sorprendere i contemporanei di Ciajkovskij e che indubbiamente causò perplessità: l'inosservanza delle più elementari precauzioni sia al capezzale del paziente, sia dopo la sua morte. Gli ordini del governo in merito alle vittime del colera erano molto precisi e tutti ne erano informati: «In caso di morte per colera il corpo dovrebbe essere allontanato dall'abitazione il più presto possibile in una bara ermeticamente sigillata; si raccomanda altresì di evitare l'organizzazione di un servizio o di un banchetto funebre largamente frequentato».
Nella casa di Ciajkovskij tutte queste norme vennero violate. Quindici persone circondavano il capezzale del morente, senza contare il sacerdote che era venuto a portare i sacramenti per officiare l'ultimo rito. Il corpo fu esposto per due giorni, prima sul letto di morte, poi in una bara aperta (la bara fu sigillata soltanto la sera del secondo giorno, cioè il 26). «Il deceduto giace su un divano come se fosse vivo e pare addormentato. Una fotografia del defunto è stata scattata da un fotografo dei Teatri Imperiali», scriveva «Tempi nuovi» nel suo resoconto del 25 ottobre (6344, 26 ottobre 1893). Il corrispondente de «La gazzetta di Mosca» nel suo articolo del 26 ottobre descriveva come il giorno precedente, il 25, non aveva potuto partecipare al requiem, ma il 26 aveva partecipato a due requiem, e inoltre osservava: «Petr Iljic giace come fosse vivo, il suo volto è tranquillo, ma è come se il tremendo pallore esprimesse la sofferenza che il caro defunto ha sopportato durante gli ultimi tre giorni della sua vita» («La gazzetta di Mosca», 296, 27 ottobre 1893). Soltanto il terzo giorno, il 27 ottobre, la fila del pubblico sì esaurì e la bara fu sigillata.
I primi due giorni hanno avuto luogo messe di requiem alla presenza di una folla costante di persone. Il 25 ottobre alle due del pomeriggio (il corpo era sempre steso sul divano) e alle sette di sera il coro dell'Opera Russa ha cantato alla presenza di molte personalità della società di San Pietroburgo e del mondo musicale, uomini di lettere, ecc.». («Tempi nuovi», 6344, 26 ottobre 1893). Il giorno seguente (il 26) parteciparono al requiem i professori e gli studenti della Scuola di Giurisprudenza.
Nikolaj Rimskij-Korsakov ricordò: «Era strano che sebbene la morte fosse dovuta al colera, ci fosse libero accesso al requiem. Ricordo di aver visto Verzbilovic [...] baciare il viso e la testa del cadavere».
La sera del 25 ottobre lo scultore Tselinskij fece una maschera mortuaria. Questa maschera è un altro elemento evidente che si oppone alla versione della morte per colera. La maschera mortuaria di Ciajkovskij è esposta al Museo di Klin. Il volto del defunto è molto scavato, ma tranquillo, mentre coloro che muoiono di colera hanno il volto irriconoscibilmente stravolto dalle convulsioni.
Passò del tempo. Nel 1920 Vasilij Bertenson non nascose più la verità sulla causa del decesso di Ciajkovskij. E così raccontò al musicologo Georgij Orlov, un amico del figlio dell'allora anziano dottore, il pianista Nikolaj Bertenson, che Ciajkovskij si era suicidato. Circa nello stesso periodo il dottor Aleksandr Zander disse la stessa cosa a suo figlio Jurij (anche Jurij era amico di Georgij Orlov e gli raccontò ciò che il padre gli aveva detto). Di tutto ciò venni a conoscenza anch'io, dato che nel 1930 sposai Georgy Orlov e parlammo molto della morte di Ciajkovskij. Il professor Aleksandr Ossovskij, direttore dell'istituto di Ricerche per la Musica e il Dramma, dove lavorai dopo la guerra, parlò anch'egli del suicidio di Ciajkovskij. In altre parole, il suicidio del compositore aveva cessato da tempo di essere un segreto.
E così non fu colera ma suicidio! Fu un modo premeditato di togliersi la vita, fatto sembrare una morte causata da una malattia fatale (si ricordi il tentativo di suicidio dopo il suo sfortunato matrimonio, quando, in una notte dell'autunno del 1877, Ciajkovskij «fece un bagno» nelle acque gelide del fiume Moscova!).
Naturalmente sorge una domanda: quando e perché il compositore arrivò a questa decisione disperata nel periodo in cui aveva raggiunto l'apice della fgma mondiale? Che cosa successe a San Pietroburgo durante l'ultima visita di Ciajkovskij nella capitale da indurlo a commettere questa azione terribile?
Ottenni una risposta a questa domanda nella primavera del 1966 dal defunto Aleksandr Vojtov, un tempo Conservatore del Dipartimento di Numismatica al Museo Russo di Leningrado.
Ecco ciò che mi disse:

Nell'elenco degli studenti che si erano diplomati alla Scuola di Giurisprudenza insieme con il cognome Ciajkovskij appare il cognome di Jakobi. Quando ero studente alla Scuola di Giurisprudenza trascorrevo i miei giorni di festa con la famiglia di Nikolaj Borisovic Jakobi, che morì nel 1902. Sua moglie era un'amica e una lontana parente dei miei genitori, mi voleva molto bene e mi faceva sempre una buona accoglienza. Nel 1913, quando frequentavo l'ultimo anno della Scuola di Giurisprudenza, il ventesimo anniversario della morte di Ciajkovskij fu ampiamente messo in rilievo. E allora, evidentemente sotto l'influenza dei ricordi che la assalivano, Elizaveta Jakobi mi raccontò, dietro giuramento di mantenere il segreto, la storia che, come ammise, l'aveva tormentata a lungo. Mi disse di aver deciso che era giunto il momento di rivelarmela perché stava invecchiando e sentiva di non aver il diritto di portare questo importante e terribile segreto con sé nella tomba. Disse: «Voi siete interessato alla storia della Scuola e al destino dei suoi studenti. Ecco perché dovete conoscere per intero la verità, tanto più che è così triste. [Vojtov dedicò la sua vita a collezionare i materiali sulla storia della Scuola di Giurisprudenza e possedeva una vasta biblioteca di libri sull'argomento. Si definiva «l'ultimo studente di giurisprudenza della pace», dato che si era diplomato alla vigilia della prima guerra mondiale, nel 1914].
La storia comincia nell'autunno del 1893. Ciajkovskij era minacciato da una seria sciagura. Il conte Stenbock-Fermor era stato messo al corrente delle attenzioni che il compositore rivolgeva al suo giovane nipote, aveva scritto una lettera ufficiale a Jakobi, che all'epoca era Capo Procuratore Deputato del Dipartimento d'Appello Criminale al Senato, affinché la recapitasse ad Aleksandr III. L'esposto avrebbe inevitabilmente causato a Ciajkovskij una disgrazia irreparabile. L'esposto avrebbe anche fatto cadere in disgrazia la Scuola di Giurisprudenza e tutti i diplomati che erano stati compagni di studi di Ciajkovskij. Ma l'onore dell'uniforme della Scuola era considerato sacro da tutti i suoi diplomati.
Per evitare che la cosa diventasse di dominio pubblico, Jakobi decise di agire: invitò tutti i vecchi compagni di studi di Ciajkovskij a casa sua, compreso lo stesso compositore e organizzò un giurì d'onore. In tutto c'erano otto persone (il numero citato da Elizaveta Jakobi corrispondeva esattamente a quello dei vecchi studenti ancora vivi che all'epoca abitavano a San Pietroburgo). La stessa Elizaveta Jakobi era seduta con il suo lavoro a maglia al solito posto nel salotto adiacente allo studio del marito. Si potevano sentire le voci che ne provenivano di tanto in tanto, a volte forti ed agitate, a volte ridotte a sussurri. La cosa andò avanti molto a lungo, quasi cinque ore. Poi Ciajkovskij uscì all'improvviso dallo studio. Era molto pallido e sconvolto, quasi corse dritto verso di lei, ma fece una sorta di curva da una parte e se ne andò senza dire una parola. Tutti gli altri rimasero ancora a lungo nello studio, parlando a bassa voce. Ma quando i visitatori se ne furono andati, dopo aver fatto giurare a sua moglie di mantenere il segreto, Jakobi le raccontò che avevano discusso della lettera di Stenbock-Fermor allo zar. Jakobi non aveva diritto di ostacolare il corso della lettera. E così i vecchi compagni avevano preso una decisione che Ciajkovskij aveva promesso di rispettare. La lettera poteva essere trattenuta soltanto nel caso in cui fosse morto... Dopo un giorno o due, la notizia della sua malattia fatale si sparse per San Pietroburgo.

La versione raccontata da Vojtov trova conferma nella testimonianza di Vera Kuznecova, nata Denisova, che l'aveva riportata a sua nipote Natalia Vladimirovna Kuznecova. Vera Kuznecova (che morì nel 1955), la sorella più giovane di Olga Cajkovskaja, moglie di Nikolaj Ciajkovskij, raccontò la stessa storia del verdetto su Ciajkovskij in casa di Jakobi. Ne era venuta a conoscenza dalla sorella, cioè attraverso notizie di prima mano: il fratello maggiore del compositore e sua moglie sapevano mantenere i segreti e non c'è dubbio che fossero a conoscenza della cosa fin dall'inizio (si ricordi che era la coppia che aveva adottato il figlio di Tatjana Davydova, George, e di conseguenza si era guadagnata la completa fiducia sia di Petr sia di Modest Ciajkovskij).
E questo è quanto Galina von Meck, (la figlia della nipote di Ciajkovskij, Anna, e del figlio di Nadezda von Meck, Nikolaj), morta di recente, raccontò. Nel 1981 Galina von Meck che viveva in Inghilterra dal 1930, pubblicò la sua traduzione di Lettere alla sua famiglia, che non va confuso con il volume Lettere ai suoi parenti che fu immediatamente ritirato dopo la pubblicazione nel 1940; Lettere alla sua famiglia è una selezione, persino ulteriormente abbreviata, dell'enorme corrispondenza di Ciajkovskij con i membri della sua famiglia, pubblicata nel 1955). Nell'epilogo alla traduzione, Galina von Meck scriveva che tre giorni dopo che Ciajkovskij ebbe scritto a Jurgenson in merito alla pubblicazione della partitura della sua Sesta Sinfonia (lettera del 18 Ottobre), il compositore ritornò a casa molto turbato per qualcosa, «non sapremo veramente mai per che cosa, e non sentendosi molto bene. Chiese a suo fratello un bicchier d'acqua. Quando gli dissero che avrebbe dovuto aspettare che l'acqua fosse bollita, Ciajkovskij «ignorò» le pretese del fratello, andò in cucina, si riempì un bicchier d'acqua fino all'orlo e la bevve, dicendo qualcosa come «dopotutto, che importa!» La sera stessa si sentì molto male.» [P.I. Ciajkovskij, Lettere alla famiglia. Un'autobiografia, traduzione di Galina von Meck con note aggiuntive di Percy M. Young, Londra, 1981, p. 555].
Tre giorni dopo il 18 era il 21. Questo è probabilmente ciò che accadde: al mattino Ciajkovskij scrisse alla moglie di Napravnik per dire che egli non sarebbe andato [a Mosca] quel giorno, poi si recò a casa di Jakobi, ritornò a casa «molto turbato» e non sentendosi bene, bevve un bicchier d'acqua non bollita (forse prendendo con essa il veleno), mormorando qualcosa come «dopotutto, che importa!». Il resto coincide esattamente con le interviste di Vasilij Bertenson (vedi sopra), che disse che Ciajkovskij cadde malato la sera del 21 ottobre, si curò da solo per tutto il giorno seguente, e decise di chiamare un dottore soltanto la sera del 22. Così in effetti ogni cosa accadde diversamente da quel che raccontano Lev Bertenson e Modest Ciajkovskij, sebbene quest'ultimo parlasse di dolori nella regione del petto e della sete estrema.
Che cosa successe in realtà? Nessuno lo saprà mai. La versione che Galina von Meck riportava le fu raccontata dal cugino di secondo grado del compositore, Aleksandr Litke, con cui aveva stretto amicizia. Galina stessa aveva due anni nel 1893, quindi non può essere considerata testimone. Ad ogni modo Sanja Litke era uno dei parenti che erano presenti alla morte di Ciajkovskij e fu testimone oculare della tragedia.
Ma è possibile che questo sacrificio sia stato fatto invano? Secondo le dicerie, la corte chiudeva un occhio sull'omosessualità - molti parenti dello zar e molti dei suoi alti ufficiali erano omosessuali. Soltanto in caso di aperto scandalo gli ufficiali che occupavano alte cariche venivano esiliati in province lontane, ma non erano processati, e neppure mandati in Siberia. (Si fa menzione della punizione per l'omosessualità con la privazione dei diritti civili e dell'esilio in Siberia nell'art. 995 del Codice Penale dell'Impero Russo, San Pietroburgo, 1868 e 1885).
Certamente non era il castigo che Ciajkovskij temeva, ma il discredito gettato sul suo nome. Non era terrorizzato dalla punizione, ma dalla perdita del suo onore... e il gesto terribile fu eseguito.
Sembra che il segreto del giurì d'onore di Ciajkovskij e il suo suicidio forzato siano stati sepolti con lui (quelli che ne erano al corrente, i suoi fratelli Modest e Nikolaj, nascosero la verità per molti anni a tutti i parenti). Ma evidentemente esistevano documenti negli archivi. In tutti i casi, nel 1960 a una lezione di medicina legale presso il Primo Istituto di Medicina di Leningrado, il caso di Ciajkovskij fu citato come esempio di suicidio forzato (me lo raccontò un dottore di Leningrado che era studente a quell'epoca ed era presente alla lezione in questione. Dato che vive in Unione Sovietica [All'epoca della stesura e della pubblicazione dell'edizione americana di questo volume l'Unione Sovietica non era ancora diventata Unione degli Stati Indipendenti (C.S.I.)], non posso fare il suo nome per ovvie ragioni).
In segno di riconoscenza al genio del grande compositore, Aleksandr III organizzò un funerale grandioso, a spese del Ministero della Corte Imperiale. Il servizio funebre ebbe luogo nella Cattedrale di Kazan, era la prima volta che tale onore veniva riservato a un cittadino comune. Delegazioni di varie società e istituzioni accademiche, di varie città, e una folla di molte migliaia di persone accompagnò il compositore nel suo ultimo viaggio. Il traffico sulla Prospettiva Nevskij fu fermato per diverse ore.
Ciajkovskij venne tumulato nel cimitero Tichvin, vicino al Monastero Aleksandr Nevskij (adesso una «necropoli» per le eminenti personalità artistiche), vicino alla tomba di Glinka. Tra coloro che fecero un discorso spiccò un compagno di studi di Ciajkovskij, Vladimir Gerard, un uomo che in gioventù Ciajkovskij aveva amato teneramente, senza esserne corrisposto. Poteva essere uno di quelli che avevano condannato Ciajkovskij al suicidio in casa Jakobi. Il discorso di Gerard a lato della tomba fece un'impressione penosa per il suo tono caricato, ufficiale e duro.
La morte prematura dell'amato compositore fu una perdita grave per i suoi contemporanei. Cechov era un grande ammiratore del talento di Ciajkovskij e quando seppe della sua morte spedì a Modest un telegramma: «La notizia mi ha sconvolto. Tremendamente triste...». Fua sempre in questo periodo che Tolstoj scrisse a sua moglie da Jasnaja Poljana: «Mi dispiace tanto per Ciajkovskij... Più che per il musicista mi dispiace per l'uomo intorno a cui c'era qualcosa di non completamente chiaro. Quanto improvviso e semplice, naturale e innaturale, e quanto vicino al mio cuore».
Ciò che Tolstoj non disse chiaramente è altamente significativo: serve come confutazione sufficientemente eloquente e definitiva della falsa versione della morte di Ciajkovskij.

Il mio più appassionato desiderio è che la mia musica sia ampiamente conosciuta e che aumenti il numero di coloro che la amano e trovano conforto e sostegno in essa.