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GENESI DELL'OPERA

NELLE TESTIMONIANZE DEL COMPOSITORE

 

 

ALEXANDRA ORLOVA

CIAJKOVSKIJ. UN AUTORITRATTO

EDT, Torino, 1993, pp. 358-384

[con tagli e senza note]

Costruito come un’appassionante biografia, il libro nasce dal montaggio puntuale dei diari, delle lettere, degli appunti autografi del grande musicista russo. Il disastroso matrimonio, il lungo rapporto epistolare con Nadezda Von Meck, i trionfi musicali e le delusioni esistenziali. E infine il «giallo» della morte.

 

La mia vita attuale non è una vita, ma una galera: non ho cinque minuti di tempo non soltanto per la corrispondenza o la lettura, ma neppure per pensare. Corro avanti e indietro da tutte le parti come un ossesso, mi affatico durante la giornata fino all'abbruttimento; arrivato a casa casco morto sul letto e il giorno dopo, punto e daccapo. Chiedete perché mi carico di tali fardelli quando prima vivevo in modo così libero e perché lo considero mio dovere. Sono necessario e finché vivo devo soddisfare questa necessità. Certamente non posso neanche pensare di comporre!! È orribile e disgustoso, ma sento che sto invecchiando, mi rovino la salute, e non c'è niente da fare. Però ci sono anche bei momenti: quando qualcosa è riuscito bene.
Sono già quasi tre settimane che sto oziando a Pietroburgo. Dico oziando perché ritengo che il mio vero lavoro sia la composizione, mentre tutti gli impegni che riguardano la direzione dei concerti, la partecipazione alle prove del balletto e via dicendo sono qualcosa di casuale, privo di scopo, qualcosa che di continuo mi accorcia soltanto la vita perché è necessario un tremendo sforzo di volontà per sopportare il genere di esistenza che devo condurre a Pietroburgo. La cosa più tremenda è che non sono mai solo e mi trovo perennemente in uno stato di anormalità e agitazione. Durante queste tre settimane ho dovuto partecipare di continuo alle prove del mio balletto e, a parte questo, dirigere a un Concerto Sinfonico Russo.[...] Ho trascorso una settimana [a Mosca] in un pessimo stato d'animo. [...] Devo partire, partire per chissà dove il più presto possibile. Non vedere nessuno, non sapere niente, lavorare, lavorare e lavorare... Ecco adesso che cosa brama la mia anima. [...] Non ho più forze; ho deciso di rifiutare tutti gli inviti in patria e all'estero e di andare per quattro mesi a riposarmi da qualche parte in Italia e lavorare alla mia prossima opera. Ho scelto il soggetto: «La dama di picche» di Puskin.
Durante la prima metà dell'inverno ho dovuto dispiegare le mie forze in modo innaturale, viaggiando costantemente da Piter a Mosca, passando tutto il giorno alle prove, poi al concerto, sottoponendo i miei nervi a uno sforzo inverosimile. Tutto ciò mi ha portato dalla stanchezza a un istupidimento totale e ho cominciato a temere che insorgesse qualcosa di molto brutto, come la follia o anche peggio. D'altro canto, a poco a poco ho cominciato a provare un bisogno indifferibile di occuparmi del mio vero lavoro, cioè la composizione, come fosse una forma di riposo. E allora, neanche a farlo apposta, Vsevolozskij ha cominciato a chiedermi con insistenza di comporre un'opera sul soggetto de «La dama di picche». Il libretto era già stato scritto tempo prima da nient'altri che mio fratello Modest per un certo signor Klenovskij (che, però, non ha scritto niente). L'ho letto, mi è piaciuto, e così un bel giorno ho deciso di lasciare tutto, vale a dire Pietroburgo e Mosca, e molte città in Germania, Belgio e Francia, in cui ero stato invitato a dirigere alcuni concerti, e partire per qualche località all'estero dove lavorare senza interruzione.
È stata fissata una riunione per una commissione del tutto improvvisata, in cui mio fratello ha letto il suo libretto; poi ne sono stati discussi in dettaglio i pregi e i difetti drammatici, sono state progettate le scene, perfino distribuite le parti e via dicendo. Di conseguenza, presso la direzione dei Teatri già adesso si parla della messa in scena di un'opera di cui non è ancora stata scritta una nota. Ho molta voglia di lavorare e se avrò la fortuna di sistemarmi in un qualche angolino confortevole all'estero, mi pare che sarò in grado di spuntarla e di presentare lo spartito alla direzione per il mese di maggio, e di strumentarlo durante l'estate.
Il 14 gennaio Cajkorskij lasciò San Pietroburgo per recarsi all'estero. Prese con lui il cameriere di Modest, Nazar Litrov, dato che la moglie del suo, Aleksej Sofronov, stava morendo di tubercolosi.
Per tutto il viaggio non sono riuscito a decidere dove andare perché, a dire il vero, non voglio andare da nessuna parte. Ma oggi, infine, mi sono fermato a Firenze. Ah, come mi annoio, quanto sono di malumore senza sapere perché! Probabilmente il lavoro mi salverà da questa situazione insopportabile. L'Italia, Firenze, per ora non mi suscitano il benché minimo piacere. A parte il desiderio di fuggire, non provo niente. Mi sono sistemato in un albergo molto comodo [l'Hotel Washington]. Ho un appartamento completamente separato. La finestra si affaccia sul Lungarno. Sarà divertente guardare i passanti andare a Cascino [sic] nei giorni di bel tempo. Vedremo che cosa succederà quando domani mi metterò al lavoro. Se non andrà bene, tornerò in Russia. Non posso vivere fuori dalla Russia.
19/31 gennaio. Ho cominciato a lavorare. Non male. 23 gennaio/4 febbraio. Sono qui già da sei giorni; si è stabilita una certa routine, sono rientrato nei ranghi e posso scrivere senza lamentarmi per la malinconia. Mi sono sistemato molto bene. Il mio appartamento, nonostante l'arredamento straordinariamente banale (proprio come in qualche posto della provincia russa), è molto comodo e piacevole, ma soprattutto tranquillo e, completamente protetto da ogni tipo di invasioni sonore, a parte quelle provenienti dalla strada. Nazar mi sveglia alle sette e tre quarti; bevo il tè e leggo i giornali («Nazione» e «Figaro»). Poi lavoro fino alle dodici e mezzo. Mi vesto e vado a far colazione. Esco a passeggiare. Torno alle tre, bevo il tè e fino alle quattro guardo con Nazar le carrozze che passano in processione. Dalle quattro del pomeriggio alle sette lavoro. Alle sette vado a pranzo [= cena]. Faccio colazione e pranzo a un tavolo separato. Dopo pranzo passeggio o vado a teatro. Ecco la mia routine giornaliera. Se non vado a teatro mi dedico alla corrispondenza e leggo... Nazar o è molto soddisfatto o finge di esserlo, ma sembra raggiante. Da parte mia, sono molto contento di lui e sono molto felice che sia qui, perché se non ci fosse, la tristezza che si annida in me mi roderebbe molto di più.
Adesso ti [Modest] dirò del lavoro. Mi ci sono dedicato subito con molto impegno e ho già fatto relativamente molto. Hai scritto il libretto molto bene, ma c'è un difetto: è ridondante. Ho eliminato qualcosa. I versi a volte sono molto buoni, a volte duri, qua e là persino troppo. Ma in generale, posso dire, mettendomi una mano sul cuore, che il libretto è superto. 25 gennaio/6 febbraio. Sono arrivato fino alla ballata [di Tomskij]. Non è male per sette giorni di lavoro. Mi pare che riesca piuttosto bene.
Adesso è tutta un'altra cosa e, sebbene non ricavi alcun beneficio dal mio soggiorno a Firenze, la mia precedente tristezza morbosa è passata del tutto. Il mio lavoro ha preso il via in modo positivo e ciò ha modificato radicalmente le mie condizioni nervose.
Bisogna assolutamente che scriva l'opera per la primavera; mi si chiede se ciò che mi circonda e il mio modo di vivere rispondano alle mie esigenze consentendomi di lavorare bene. Rispondo: completamente. Non sono disturbato da niente e da nessuno, di sera ho la possibilità di distrarmi, apprezzo molto le passeggiate che il luogo offre, in breve ho tutto ciò che mi serve per disporre delle mie forze senza danno per la salute. Mi è del tutto indifferente dove ci si trova, purché si possa lavorare bene.
26 gennaio/7febbraio. Lavoro con grandissimo entusiasmo, con la consapevolezza che non sono ancora finito, come temevo, e che l'opera mi riuscirà bene. 27 gennaio/8 febbraio. Ho lavorato con un po' di difficoltà (Finale del primo quadro). Sono uscito da un periodo di merlechlundia [intraducibile, forse termine coniato dal compositore] per merito del lavoro che, grazie a Dio, va bene; ma non si può dire che io sia felice. È un bene che qui mi risulti facile scrivere senza interruzioni, perché voglio togliermi un capriccio assurdo: comporre l'opera per la prossima stagione. Tale è il desiderio della direzione che è assai ben disposta nei miei confronti. Inoltre devo ammettere che amo lavorare quando c'è fretta, mi piace essere atteso e sollecitato. E ciò non influisce in alcun modo sulla qualità delle mie opere. «La bella addormentata» è forse la migliore delle mie composizioni, eppure l'ho scritta incredibilmente in fretta.
29 gennaio/10 febbraio. Stamattina ho iniziato il secondo quadro. Ho lavorato bene. Ho letto alcune partiture antiche prese in prestito dalla direzione [dei Teatri]. 30 gennaio/11 febbraio. La lettera di P.I. J[rgenson] che mi dà notizia di A[ntonina] I[vanova] mi ha tremendamente sconvolto. Tutto il giorno sono stato come pazzo. Non ho lavorato. Sto vivendo una fase molto misteriosa nel mio cammino verso la tomba. Qualcosa succede nel mio profondo, qualcosa che è incomprensibile anche a me stesso: una certa stanchezza di vivere, un certo disincanto; a volte una malinconia pazza che non nasconde un nuovo impeto d'amore per la vita, bensì qualcosa che è privo di speranza, che è finale e persino, come è caratteristica dei finali, banale. Ma allo stesso tempo ciò si unisce a un desiderio appassionato di comporre. Dio solo sa cos'è: da una parte è come se sentissi che la mia canzone è finita, dall'altra c'è un desiderio travolgente di intonare o la stessa canzone o una nuova ancora migliore. Però, ripeto, io stesso non so che cosa mi succeda.
31 gennaio/12 febbraio. Il lavoro è migliorato: di sera, prima di pranzo, mi ha visitato una vera ispirazione. 1/13 febbraio. Ho lavorato bene. 2/14 febbraio. Oggi ho lavorato bene, seppure con sforzo. Questo quadro [la morte della contessa] è eccellente e molto musicale; nel complesso sono molto soddisfatto di te come librettista. Ho pensato molto al quadro sul lungofiume. Nonostante io desideri avere meno quadri possibile, per salvaguardare la concisione, temo che senza di esso tutto il terzo atto sia privo di personaggi femminili, e quindi noioso. A parte questo esso è necessario perché gli ascoltatori sappiano che cosa è successo a Liza. Non si può far terminare la sua parte nel quarto quadro. Sto già completando il secondo. Se il lavoro procederà come è andato finora si può sperare che lo terminerò davvero in tempo. Non so se riuscirà bene o male. A volte sono molto soddisfatto, a volte no, ma non sono un buon giudice.
5/17 febbraio. Difficile da realizzare (scena della morte della vecchia). 6/18 febbraio. Che cosa posso escogitare per dare al povero Figner un ruolo non troppo pesante? Sette quadri in cui deve agire continuamente! Non dovrei eliminare proprio per questo la scena sulle sponde del fiume? Sono terrorizzato quando penso a quanto abbia già scritto per lui e a quanto mi resti ancora da scrivere. Temo che al poveretto non basteranno le forze. E non soltanto Figner, ma qualsiasi artista sarebbe terrorizzato e tremerebbe sapendo che deve stare in scena e cantare quasi costantemente! È possibile che anche nella scena del ballo debba cantare molto? L'aspetto con impazienza, altrimenti rimarrò senza testo, perché ho l'ardire di sperare che tra una settimana avrò finito il quarto quadro. A volte scrivere risulta facile, a volte richiede sforzo. Ma non importa. Lo sforzo forse è la conseguenza del desiderio di scrivere nel miglior modo possibile e di non accontentarsi della prima idea che viene in mente.
7/19 febbraio. Sono stato molto nervoso per il lavoro. È curioso che io senta l'ispirazione persino fino ai limiti della follia e che la senta di ostacolo. Oggi ho scritto la scena dell'arrivo di Hermann dalla vecchia. Era così spaventosa che ne provo ancora terrore. Mi piace moltissimo come hai [Modest] adattato le parole di Hermann nella scena fondamentale della morte della vecchia. Il testo puskiniano è rimasto quasi intatto, ma vi è un certo ritmo. 11/23 febbraio. Ho terminato il quarto quadro e ho cominciato l'intermezzo. All'inizio ha presentato alcune difficoltà; poi è andato bene. 12/24 febbraio. Sto continuando l'intermezzo. Di tanto in tanto mi pare di vivere nel diciottesimo secolo e che dopo Mozart non ci sia stato niente. Ho cominciato direttamente dall'intermezzo, perché mi creava le maggiori difficoltà. Alla fine è necessario un coro e ho già scritto le parole per esso. L'ho fatto perché, dato che c'è il coro, sarebbe strano che alla fine non cantasse niente. Quando arriverò al punto in cui il Principe nel terzo quadro dichiara a Liza il suo amore, forse riterrò necessario aggiungere qualcosa per metterne in rilievo la parte. Allora scriverò le parole. Oggi ho finito l'intermezzo (scrivo alle undici e trenta) e verso le tre comincerò a comporre proprio il terzo quadro. Non penso che mi ruberà più di cinque o sei giorni. Se, con il volere di Dio, finirò l'opera, ne uscirà una chicca. A mio parere il quarto quadro avrà l'effetto piu sbalorditivo. Modja è bravo: mi ha fatto un libretto eccellente. Molto stanco. Salute e tutto il resto bene, ma sempre triste.
15/27 febbraio. Ho scritto bene. Aria del Principe. 16/28 febbraio. Ho ricevuto una quantità di lettere, e non tutte insieme, ma un po' alla volta. Ciò mi ha irritato, perciò ho lavorato peggio. Prima di pranzo non ho combinato niente. 17 febbraio/1 marzo. Ho scritto con gran fatica. [...]18 febbraio/1 marzo. Ho lavorato con impegno. A volte si lavora con facilità, a volte non senza sforzo, soprattutto dopo le lettere dalla Russia, in particolare da Mosca. Se la porterò a termine, sarà un'opera superba. 19 febbraio/3 marzo. Ho terminato il terzo quadro e l'ho suonato. Ho cambiato completamente il finale del terzo quadro, perché così come l'avevi concepito tu [Modest] era privo d'effetto e non c'era nessuna vera fine. Inoltre non è una buona idea terminare con una polonaise, con cui invece è meglio iniziare. Certo, non insisto affatto per le parole, ma per la scena. L'ho già composta così e non vorrei proprio cambiarla. Mi pare che sarà un finale di grande effetto. I versi sembrano andar bene nell'aria [del Principe], ma in alcuni punti temo che non abbiano senso. Per esempio, ha senso: «E piango le Vostre lacrime»? Mi pare di no. Il significato di ciò che vuole esprimere il Principe, e cioè che ama con altruismo ed è pronto a fare ogni sacrificio per Liza, non è chiaro. Sii gentile, rifai tutto, in modo che acquisti senso, ma che si conservi intatto sia il numero sia la forma dei versi, perché la musica è già stata scritta.
20 febbraio/4 marzo. Ieri sera ho finito il terzo quadro e stavo riflettendo su quello che avrei fatto oggi quando, proprio nel momento in cui mi stavo mettendo al lavoro, ho ricevuto la tua lettera con il quinto quadro. Mi sono messo subito all'opera. È stato insolitamente difficile cominciare. Del resto è difficile. E che dire del fatto che in aprile Liza si rivolge alla notte e le dice: «È cupa come te». In aprile a Pietroburgo ci sono notti cupe? 21 febbraio/5 marzo. Alesa [il suo servitore] scrive che Feklussa adesso «prega Dio clbe la prenda in fretta». Povera, povera sofferente!!! Ho cominciato a scrivere l'inizio del quinto quadro; ieri ho composto mentalmente il finale e stamattina l'ho messo sulla carta. Ho lavorato bene prima di pranzo. Ho cominciato a scrivere il quinto quadro non dall'inizio, ma dal momento in cui si sente bussare alla finestra, e ho già finito. Scrivi [Modest] nel libretto: dieto le quinte un canto funebre, ma non me ne mandi il testo. E inoltre devo avere una libera traduzione del requiem. Non mi serve la sua melodia, ma una qualche indicazione è necessaria. Le parole del canto fuori scena mi servono oggi. Dovrò scrivere qualcosa da solo.
22 febbraio/6 marzo. Ho terminato il quinto quadro. C'è qualcosa che non mi soddisfa. Non posso accettare alcune parti, ma non so cambiarle. Lavoro con impegno e mi pare che «La dama di picche» sarà un'opera molto interessante. C'è qualcosa in essa che terrorizza e a volte io stesso ne ho paura. [...] 23 febbraio/7 marzo. Mi sono tormentato tutta la mattina fino all'ora di colazione componendo i versi per l'arioso di Liza. Decisamente non sono un poeta. Ho fatto una passeggiata alle Cascine; oggi me la sono goduta molto. Ho scritto l'arioso. 24 febbraio/8 marzo. Ho ricevuto da Alesa la notizia della morte di Feklusa. Ho pianto. In generale il mattino è triste. Ad ogni modo ho lavorato. Ho fatto una splendida passeggiata alle Cascine. La sera, un atto de «I Puritani». Questo Bellini è sempre incantevole, nonostante un certo disordine.
25 febbraio/9 marzo. Ho terminato il sesto quadro, ma non del tutto. 26 febbraio/9 marzo. Ho finito il sesto quadro e ho cominciato a comporre l'introduzione-ouverture. Appena avrò terminato la brutta copia, comincerò subito con lo spartito. Per questo lavoro, che sarà noioso, ma molto facile, voglio stabilirmi in un'altra città, ma non voglio andare a casa. Ci andrò quando avrò finito lo spartito. Se domani non arriverà il settimo quadro sarò molto dispiaciuto. Mi è odioso dover interrompere proprio questo lavoro in brutta copia. Mi pare che il sesto quadro sia riuscito bene e adesso sono molto contento che ci sia, senza di esso l'opera non sarebbe sufficientemente formata. 27 febbraio/11 marzo. Ho ricevuto il settimo quadro. Modest è bravo. Il quadro è fatto alla perfezione. Nel Brindisi è necessario un altro couplet. Grazie Modja! Ti meriti la mia gratitudine più profonda, non soltanto per le qualità del libretto, ma per l'accuratezza particolare con cui l'hai scritto. È sorprendente che ieri sera abbia terminato il sesto quadro e oggi abbia già il settimo in mano!
28 febbraio/12 marzo. Il lavoro è andato bene. Dopo il tè, ottimamente. Sono stato seduto a lungo davanti alla finestra aperta, meditanto sul luogo in cui recarmi quando partirò da qui; mi sono innervosito molto pensando all'ultima scena dell'opera. Finirò l'opera in tre giorni.
A parte l'aria di Eleckij, Tchaikovsky scrisse le parole dell'arioso di Liza e del coro «Dai, mia cara Masen'ka». Inoltre rielaborò il finale del terzo quadro e fece aggiunte e modifiche praticamente in ogni scena. Modest lasciò inalterato tutto ciò che Tchaikovsky aveva scritto nel libretto. In testa all'abbozzo dell'arioso di Liza c'è un'annotazione: «Oh, che seccatura sono queste righe!»
1/13 marzo. Non ho dormito bene. Ho avuto persino un incubo terribile all'inizio della notte (un fruscio di carta e movimenti nella mia camera). Ho lavorato con diligenza. Mi sono goduto la solitudine (???) durante il tè. Ho lavorato con impegno. 2 marzo. Dormo male, probabilmente per la stanchezza che il lavoro mi provoca. Oggi ho finito il settimo quadro (mi resta ancora un'aria). Ho pianto senza freni quando Hermann ha esalato l'ultimo respiro. È il risultato della stanchezza o forse dipende proprio dal fatto che è ben scritto. È necessario un secondo couplet per il Brindisi; non ho telegrafato perché la cosa non mi ostacola affatto. Come hai potuto pensare [Modest] che avrei tollerato personaggi femminili nell'ultima scena? Non è assolutamente possibile, sarebbe una forzatura scandalosa. E, in ogni caso, le uniche donne che si potrebbero trovare in una casa da gioco sarebbero prostitute.
3/15 marzo. Fino all'ora di pranzo sono stato alle prese con il Brindisi. Dopo il tè ho finito l'introduzione. Ho finito tutto prima di pranzo. Ringrazio Dio che mi ha dato la forza di terminare l'opera. Oggi ho scritto il Brindisi (a cui avevo pensato già in precedenza) e ho portato a termine l'introduzione. Ieri, prima di pranzo ho composto la fine vera e propria dell'opera e quando sono arrivato alla morte di Hermann e al coro finale, ho provato un tale dispiacere per Hermann che improvvisamente ho cominciato a singhiozzare forte. Questo singhiozzare è proseguito molto a lungo e si è trasformato in un piccolo attacco isterico dalle caratteristiche molto piacevoli: piangere mi era infinitamente dolce. Poi ho capito perché (perché non mi era mai capitato prima di singhiozzare in questo modo per il destino del mio eroe e per lo sforzo di capire perché avevo un tale bisogno di piangere). Ho scoperto che Hermann per me non rappresentava soltanto un pretesto per scrivere questa o quella musica, ma era anche una persona in carne e ossa, che oltretutto, mi riusciva davvero simpatica. Dato che Figner mi piace molto e dato che di continuo prestavo a Hermann le sembianze di Figner, ho partecipato con il più vivo interesse alle sue disavventure. Adesso penso che probabilmente il calore e l'emotività di quest'atteggiamento nei confronti del protagonista dell'opera si sia riflesso in modo favorevole sulla musica. In questo momento, mi pare che nel complesso «La dama di picche» sia un'opera con i fiocchi.
Non sono del tutto d'accordo con te [Modest] quando sostieni che sia necessario fare due atti dei primi due quadri. In primo luogo, non ha importanza che il primo atto sia lungo purché sia breve l'intervallo prima del secondo quadro. La cosa non funziona quando gli atti successivi sono lunghi. Nella riduzione per pianoforte, l'opera sarà divisa in tre atti. Ma potete suddividerla come volete, non importa che sullo spartito ci sia scritto tre atti e sui manifesti quattro. Mica sarà sempre data al Mariinskij; ne verrà fatto un nuovo allestimento con adattamenti e allora, credimi, sarà molto meglio fare (come si fa a Vienna e Parigi) un cambio a vista delle scene complicate tra i primi due quadri. L'ho scritta in modo che il primo quadro finisca e il secondo cominci non come atto, ma come quadro. C'è una differenza!
Laros mi ha scritto che lui e Napravnik brontolano perché l'ho scritta così in fretta. Come fanno a non comprendere che la rapidità del lavoro è la mia caratteristica fondamentale; non posso lavorare se non in fretta. Ma la rapidità non significa affatto che io abbia scritto l'opera alla belI'e meglio. Ci sono state opere che ho scritto con lentezza, come ad esempio «Carodejka», la «Quinta Sinfonia», e non sono state successi, mentre il balletto l'ho composto in tre settimane, e anche Evgenij Onegin è stato fatto incredibilmente in fretta. Tutto sta nello scrivere con amore. E ho scritto «La dama di picche» proprio con amore. Dio, come ho pianto ieri quando il mio povero Hermann ha intonato le sue ultime note! Adesso sono fermamente convinto che «La dama di picche» sia una cosa buona, ma soprattutto che sia originale (non parlo dal punto di vista musicale, ma in generale).
Ho deciso di fermarmi a Firenze sulla base della verità inconfutabile che «chi si accontenta gode». Qui lavoro bene e la mia sistemazione è eccellente. 4/16 marzo. Il luogo è molto noioso, molto monotono, ma non si possono immaginare condizioni migliori per il lavoro. Così starò qui finché non avrò finito lo spartito. 6/18 marzo. Per ora sono molto soddisfatto dell'opera e a volte mi pare che piacerà a tutti. Ma gli autori non sono mai buoni giudici verso le creature della loro fantasia. Vedremo! Se, Dio permettendo, terminerò felicemente la strumentazione dell'opera, mi pare che ne uscirà una cosa che supererà tutto ciò che ho scritto finora per la scena. La composizione non mi ha stancato molto, ma adesso la riduzione per pianoforte che sto facendo mi affatica veramente. Esattamente due mesi fa cominciavo a comporre l'opera! Oggi ho quasi finito la riduzione per pianoforte del secondo atto [19/31 marzo]. Ne resta ancora uno! Per me questo è il lavoro più orribile, quello che mi logora i nervi. Ho scritto l'opera con entusiasmo e piacere; ma fare la riduzione! È qualcosa di tremendo per me! Si deve continuamente distorcere ciò che si è concepito per orchestra. Mi annoierò ancora una settimana sul terzo atto e poi voglio andare da qualche parte per tre settimane, per provare a strumentare se non tutto il primo atto, almeno il primo quadro. Non voglio assolutamente tornare in Russia senza portare con me almeno un pezzo di partitura.
Soltanto quando ne sarà realizzata una parte, allora crederò che l'opera esista. O commetto un errore tremendo e imperdonabile o «La dama di picche» sarà davvero il mio capolavoro. In alcuni punti, come ad esempio nel quarto quadro di cui ho fatto l'arrangiamento oggi, provo una paura, un terrore e uno sconvolgimento tali che non è possibile che non si trasmettano anche soltanto in parte agli ascoltatori.
«La dama di picche» è composta. Vorrei dirVi con certezza che la musica de «La dama di picche» mi è riuscita bene, ma ho paura perché l'esperienza insegna che gli autori, soprattutto immediatamente dopo la composizione di una nuova creatura, provano nei suoi confronti una debolezza veramente esagerata e spesso ingiustificata. Posso dire soltanto che l'ho scritta con trasporto ed entusiasmo e ho messo in questo lavoro tutta la mia anima. A Firenze, negli ultimi tempi mi sono sentito poco bene, e sebbene ci fossero tutti i sintomi di un raffreddore, mi pare che il vero motivo sia stata la stanchezza, provocata proprio dalla riduzione per pianoforte. Obbligare qualcun altro a farla era assolutamente impossibile perché a parte me, nessuno capisce le mie brutte copie.
Finalmente lascio Firenze. Non sapevo bene dove andare perché in realtà non volevo recarmi in nessun luogo che non fosse la Russia. Infine ho deciso di andare a Roma. Oggi, per la prima volta dopo nove settimane di lavoro, non ho fatto niente. Ho passato tutta la mattina agli Uffizi, divertendomi moltissimo, ma in modo del tutto diverso dagli altri. Per quanto mi sforzi di accostarmici, devo ammettere che la pittura, in particolare la pittura antica, in realtà, è assolutamente inaccessibile alla mia comprensione e mi lascia freddo. Apprezzo poco tutti questi chef-d'oeuvres. Ma ciò nonostante ho trovato una fonte di piacere congeniale ai miei gusti nel passaggio che conduce a Palazzo Pitti. Ho trascorso due ore intere contemplando i ritratti antichi di tutti i possibili e immaginabili principi, re, papi e di diversi personaggi storici. Sembra che a parte me, non li guardi nessuno.
Mi sono trasferito a Roma. Che cosa succederà dopo non so, ma per il momento sono molto soddisfatto. Ho scelto l'Hotel Molaro dietro raccomandazione della proprietaria dell'Hotel Washington e anche perché i piccoli alberghi in generale mi piacciono molto. Adesso si è liberato un delizioso appartamento a un piano più alto e ci siamo trasferiti là. Sono molto soddisfatto della sistemazione. Dal sentimento di gioia che ho provato oggi quando sono uscito per strada, ho annusato l'aria familiare di Roma e ho rivisto i luoghi a me noti un tempo, ho compreso di aver fatto un'enorme sciocchezza non stabilendomi subito qui. D'altra parte, non biasimerò la povera Firenze, nient'affatto colpevole, che senza sapere perché ho cominciato a detestare e alla quale, tra l'altro, devo essere grato, perché vi ho scritto senza interruzioni «La dama di picche». Sono stato nella cattedrale di San Pietro e al Pantheon. Non ho ancora visto il Foro. Starò qui esattamente tre settimane. Se potessi finire il primo atto! Cara, cara Roma! Poi intendo andare a Pietroburgo perché ho promesso ai miei parenti di trascorrere il mio cinquantesimo compleanno là con loro. Compirò cinquant'anni il 25 aprile. Dopo questa festa familiare, tornerò a Frolovskoe dove ho nuovamente preso in affitto una casa perché ho rinunciato per sempre all'idea e ad ogni tentativo di stabilirmi in una città qualsiasi in modo permanente. L'esperienza di quest'inverno ha provato definitivamente che posso vivere in una grande città soltanto come visitatore temporaneo.
Roma è tremendamente cambiata. Molte cose sono del tutto irriconoscibili. Per esempio, la seconda metà di via del Tritone è diventata ampia, ricca, e non conduce più come prima per forza alla fontana di Trevi, ma sfocia direttamente in via del Corso. Nonostante tutti questi cambiamenti, provo in piacere straordinario a trovarmi di nuovo nella mia città prediletta. A questo sentimento si mischia la consapevolezza malinconica degli anni che si dileguano. Non sono stato in alcun museo, eccetto i Capitolini, e probabilmente non vi andrò. [...] Qui il mio umore è straordinariamente migliorato; ma ti dirò con franchezza che vivo soltanto in attesa della felicità inimmaginabile e della beatitudine di ritornare a casa!!! Ancora due settimane di esilio volontario dalla mia patria. Non oso ancora pensarci sul serio!
In vista della prospettiva imminente del mio ritorno a casa dopo un esilio volontario di tre mesi dalla Russia, mi trovo in uno stato d'animo eccellente a cui ha contribuito non poco la consapevolezza di un'impresa compiuta con successo. È molto probabile che «La dama di picche» sia un'opera pessima; è assai probabile che tra un anno la detesterò, così come non posso soffrire molte delle mie opere, ma in questo momento mi pare che sia la migliore delle mie composizioni e che scrivendola io abbia concluso qualcosa di importante.
Non potete immaginare, caro amico mio [von Meck], quanto brami la Russia e con quale sentimento di beatitudine pensi alla mia solitudine in campagna. Sembra che adesso in Russia le cose non vadano bene. Coloro che circondano l'imperatore lo spingono alla reazione, la qual cosa è molto triste. Lo spirito reazionario è arrivato al punto che le opere del conte Lev Tolstoj sono perseguite come proclami rivoluzionari. La gioventù si ribella e l'atmosfera in Russia è davvero molto cupa. Ma tutto ciò non mi impedisce di amare la Russia di un amore appassionato. Mi sorprende come in precedenza io abbia potuto vivere all'estero così a lungo, provando persino un certo piacere in questa lontananza dalla mia patria. [...]
Devo fuggire via da Roma, mio caro amico [von Meck]. Qui non posso mantenere il mio incognito. Alcuni russi mi hanno già fatto visita allo scopo di invitarmi a pranzi, serate e così via. Ho fermamente rifiutato ogni invito, ma la mia libertà è già stata compromessa e tutto il piacere di stare nella mia cara Roma è finito.
Ho trascorso tre settimane a Roma, e le ho trascorse molto bene, ma soltanto perché non era lontana la prospettiva di tornare presto a casa. Vivere all'estero in completa solitudine ha dato buoni frutti. Ma forse è soltanto un'illusione e il futuro che attende «La dama di picche» è ancora più misero di quello di «Carodejka».
Mi pare che la storia del mondo si divida in due periodi. Il primo periodo comprende ogni cosa che è accaduta dalla creazione del mondo fino alla creazione de «La dama di picche». Il secondo periodo ha avuto inizio un mese fa, quando «La dama di picche» è stata composta. [...]
[A Frolovskoe] lavoro il doppio, perché nelle ore lavorative lavoro e nel resto del tempo correggo le bozze [dello spartito de «La dama di picche»]. Il lavoro non procede particolarmente in fretta perché ciò che adesso sto strumentando (quarto e quinto quadro) richiede un'attenzione e uno sforzo enormi.
Adesso sto attraversando un periodo di particolare amore per la vita. Ho la consapevolezza che sia stata portata a termine felicemente una grande fatica. Dopo tutto, forse mi sembra soltanto che «La dama di picche» sia un'opera ben riuscita. Non so, ma per il momento sono certo che avrà un futuro brillante. A Roma sono riuscito a terminare la strumentazione della prima metà dell'opera; qui ho cominciato a strumentare la seconda. Poi voglio scrivere l'abbozzo di un sestetto per archi.
Sull'atteggiamento dell'artigiano verso il lavoro in campo artistico. Da quando ho cominciato a scrivere, mi sono posto l'obiettivo di essere per la mia attività ciò che furono per la loro i grandi maestri della musica: Mozart, Beethoven, Schubert; non per essere altrettanto grande, ma per comporre come loro alla maniera dei ciabattini e non a quella degli aristocratici, classe a cui apparteneva il nostro Glinka, il cui genio, del resto, non intendo negare. [...]
<Sono> fermamente convinto che il musicista, se vuole pervenire a quelle altezze che può aspettarsi di raggiungere a seconda dei suoi doni naturali, debba coltivare in sé l'artigiano, non penso affatto che in altri campi dell'arte ciò sia necessario. Ad esempio, nei versi lirici non basta lo stato d'animo, ma occorre l'idea e quest'ultima è provocata da un caso, da un evento. La volontà non può influenzare il caso e l'evento. Tra l'altro alla musica è sufficiente invocare uno stato d'animo particolare; posso farmi malinconico per un'elegia; a un poeta invece è necessario che questa malinconia si esprima, per così dire, concretamente e per questo è necessario uno stimolo esteriore, un impulso. D'altra parte in tutto ciò ha un peso enorme la differenza creativa che c'è da individuo a individuo e ciò che va bene per un artista, per un altro può non avere valore alcuno. La maggioranza dei miei colleghi, ad esempio, non ama scrivere su commissione; io invece non sono mai così ispirato come quando mi viene richiesto di fare qualcosa, quando mi viene fissato un termine, quando si attende con impazienza la fine del mio lavoro.
Ho terminato l'intera opera e inoltre per due settimane ho lavorato alle ultime correzioni, cioè ho messo le lettere, i numeri di pagina, ho cucito e rilegato. Poi l'ho portata a Jurgenson a Mosca 1'8 giugno. Così l'opera è stata scritta fra il 19 gennaio e l'8 giugno, vale a dire in quattro mesi e mezzo. L'ho scritta con inimmaginabile passione ed entusiasmo, ho sofferto vivamente, ho partecipato emotivamente a tutto ciò che succedeva in essa (al punto che una volta ho avuto paura che apparisse il fantasma della «dama di picche») e spero che tutti i miei entusiasmi, rapimenti e ardori d'autore troveranno rispondenza nei cuori degli ascoltatori sensibili. Ciò nonostante non ho dubbi che quest'opera sia afflitta da molti difetti tipici della mia personalità musicale, [inclusi] errori nella declamazione. A questo riguardo sono incorreggibile. Non penso di aver commesso errori di tal sorta nel recitativo e nel dialogo, ma nei momenti lirici, là dove la sincerità dell'umore complessivo mi appassiona, semplicemente non noto gli errori e ho bisogno che qualcuno me li indichi con precisione affinché me ne accorga. Ma, a dire il vero, da noi c'è un'eccessiva attenzione verso tali dettagli.
I nostri critici musicali, perdendo spesso di vista la cosa più importante nella musica vocale - la riproduzione sincera del sentimento e dell'umore - cercano prima di tutto gli accenti sbagliati che non corrispondono al fluire del linguaggio parlato, e in generale ogni più piccola svista nella declamazione, che colgono con un certo compiacimento e di cui rimproverano l'autore con una solerzia degna di miglior scopo. In queste cose si distingue soprattutto il signor Kjui. Per ciò che riguarda la ripetizione di parole e persino di intere frasi, devo dire che ci sono casi in cui tali ripetizioni sono assolutamente naturali e riflettono la realtà. La persona sotto l'influenza di un affetto molto spesso ripete la stessa esclamazione, la stessa frase. Non trovo niente di inverosimile nel fatto che una vecchia governante dura di comprendonio ripeta, ogni qual volta le sembri il caso, attraverso sermoni e rimbrotti, il suo eterno ritornello sulle convenienze. Ma anche se nella realtà non succedesse mai niente di simile, non avrei esitazioni ad allontanarmi dalla verità del mondo reale, pur di servire la verità artistica. Si tratta di due verità assolutamente distinte; non voglio e non posso perseguire troppo la prima a scapito della seconda, perché se la ricerca del realismo nell'opera si spinge al limite estremo, si giunge inevitabilmente alla negazione dell'opera stessa.
Gente che invece di parlare canta: è la più grande menzogna nel vero senso del termine. Certamente sono un uomo del mio tempo e non desidero ritornare alle convenzioni datate e ai controsensi dell'opera, ma altrettanto certamente non intendo sottomettermi alle esigenze dispotiche della teoria del realismo.
Soltanto uno specialista può comprendere quale impresa inverosimile io abbia compiuto. Adesso sono tremendamente, incredibilmente stanco!!! E che cosa mi serve ora per ritornare alla normalità? Divertirmi, gozzovigliare? Niente affatto! Mi dedicherò subito a un nuovo, grande lavoro, ma di genere del tutto diverso: un sestetto per archi.
Tutti i miei amici sono entusiasti de «La dama di picche». Mi pare che l'opera sia in effetti riuscita bene, ma va detto che il libretto è splendido nel vero senso del termine. Devo confessare che mi piace più di tutte le altre che ho composto e che non riesco a suonare molti passaggi come si deve per l'emozione traboccante. Mi toglie il respiro e ho voglia di piangere! Mio Dio, è possibile che mi sbagli? Vedremo. [...]
Sono stato da Figner [in campagna]. È entusiasta della parte, ne parla con le lacrime agli occhi; è un buon segno! Ne sa già un pezzo; mi sono convinto di quanto sia intelligente e afferri in fretta le cose. Tutte le sue intenzioni corrispondono per intero ai miei desideri. Una sola cosa mi affligge: pretende che gli trasporti il Brindisi di un intero tono sotto. Dato che, con tutta probabilità, altri tenori troveranno questo Brindisi troppo alto, ho bisogno che venga pubblicato come supplemento dello spartito, con la modolazione realizzata nella tonalità in cui la canterà Figner. [...]
È stato molto, molto doloroso per me trasportare il Brindisi per Figner, ma non potevo fare diversamente. Ho già fatto alcune modifiche della tessitura grave, dopo essere stato da lui. Spero che nella scena del temporale l'orchestra non copra la voce del cantante, ad ogni modo vi ho prestato molta attenzione. Se sbaglio, durante le prove l'abbasserò fino al volume necessario.
Sono stato [a Pietroburgo] cinque giorni. Il mio viaggio è dovuto al fatto che Figner non può cantare alcuni numeri nella tonalità in cui sono stati scritti. Ho dovuto trasportarli e ciò ha richiesto una nuova orchestrazione; dato che adesso stanno copiando le parti nell'archivio musicale del teatro pietroburghese, sono stato costretto a lavorare qui. Oggi [30 luglio] finirò questo lavoro e domani andrò a casa a Frolovskoe. Poi lascerò il nord per un lungo periodo. All'inizio di settembre voglio trovarmi a Tiflis e durante il viaggio voglio fermarmi dai miei fratelli Nikolaj, Modest e Ippolit e anche a Kopylovo [La tenuta di Anna e Nikolaj von Meck] e a Kamenka. Mi aspetta una vera odissea. Questo viaggio mi rallegra molto e costituirà un riposo eccellente per me dopo tanti mesi di lavoro. [...]
Ho una tendenza all'ipocondria e temo che venga il momento in cui essa possa degenerare in qualcosa di spiacevole. Che cosa mi affligge? Il presente è positivo; in futuro mi aspetta la messa in scena dell'opera di cui sono orgoglioso; in generale tutto va bene, eppure sono scontento di qualcosa, depresso, soccombo a una segreta, ma a volte tormentosa, merlechlundia. Perché? [...]
Appena avrà luogo la prima esecuzione de «La dama di picche» a Pietroburgo, potrò andare direttamente a Kiev, ma la questione è questa: devo dirigere io? Dall'anno scorso ho rifiutato di dirigere opere e non dirigerò a Pietroburgo. Il fatto è che un compositore-direttore, soprattutto uno nervoso e poco esperto come me, può rovinare un'opera o persino provocare uno scandalo. Per un pelo non è successo l'anno scorso a Mosca. Ma indipendentemente dallo scandalo, penso che un compositore che dirige comunichi a tutti gli esecutori un nervosismo molto indesiderabile, un senso di sfiducia e di incertezza. I cantanti, il coro e l'orchestra cantano e suonano con più tranquillità e con maggior fiducia se li dirige la mano esperta e sicura del loro abituale direttore.
[Pietroburgo,] Hotel Russia. Ho uno splendido appartamento, del tutto indipendente. Sono cominciate le prove; le cose si stanno muovendo e penso che andranno bene. La vita scorre in perenne attività. Una volta mi sono sentito così male per l'affaticamento che è stato necessario chiamare il medico. L'opera non va male. L'allestimento sarà eccezionalmente sontuoso e l'esecuzione eccellente.
Naprarnik diresse la prima de «La dama di picche» il 7 dicembre 1890 al Teatro Mariinskij. Il ruolo di Hermann fu interpretato da Nikolaj Figner, quello di Liza da Medea Figner e quello della contessa da Marija Slavina. Il pubblico riservò all'opera un'accoglienza entusiastica, il compositore ebbe innumerevoli chiamate e i biglietti furono venduti per molte rappresentazioni successive. Ma i critici, come era divenuto abituale per Tchaikovsky, se ne fecero beffa: «Ha messo una gran quantità di buona musica in un soggetto assolutamente privo di interesse, nel tentativo di fare fortuna», «una questione di carte»; tali furono le recensioni dell'opera da parte dei sofisti reazionari e insensibili che all'unanimità giunsero alla conclusione di poter difficilmente prevedere un successo per «La dama di picche». Queste «prognosi» furono totalmente smentite dalla realtà dei fatti: il successo trionfale de «La dama di picche» crebbe da una rappresentazione all'altra, nonostante il concionare della stampa. Dopo la prima di Pietroburgo, Tchaikovsky si recò a Kiev in modo da controllare anche lì la preparazione dell'opera.
Ogni giorno ci sono prove. È difficile descrivere che strane sensazioni ho provato, assistendo di nuovo all'allestimento dell'opera, tanto più in un teatro così piccolo e relativamente povero. Però tutti fanno davvero del loro meglio e, presumibilmente, la messa in scena sarà per quanto possibile splendida. Tra gli interpreti il migliore è Medvedev. Tutti gli altri sono inferiori a quelli di Pietroburgo. Certo, anche Medvedev non è Figner, ma possiede una grande qualità: la musicalità. Tutti gli esecutori sono, in grado maggiore o minore, peggiori e più deboli di quelli pietroburghesi. Ma con un'eccezione: Prjanisnikov per il coro dei fanciulli della cantata e del requiem ha chiamato il famoso coro di Kalisevskij che è risultato essere semplicemente superbo. Le voci dei bambini, vuoi per qualità naturali, vuoi per il lavoro di Kalisevskij, hanno raggiunto una tale bellezza quale non avrei mai potuto immaginare. In particolare nel requiem il suono di queste voci mi ha fatto venire ogni volta le lacrime agli occhi. Sarebbe ridicolo anche soltanto paragonare Kiev a Pietroburgo per l'accoglienza entusiasta. È stato qualcosa di incredibile. Entrambe le produzioni - l'allestimento straordinariamente sfarzoso sul palcoscenico della capitale e quello provinciale, modesto ma elegante - mi hanno interamente soddisfatto e sono molto contento di tutti gli esecutori. Ma le cose più straordinarie e particolari sono Figner e l'orchestra di Pietroburgo, che hanno fatto veri miracoli.
Mi pare di avere davvero il dono di esprimere in musica fedelmente, con sincerità e semplicità i sentimenti, gli umori e i caratteri dei personaggi che il testo suggerisce. In questo senso sono un realista e un vero russo. Quale valore artistico, quale grado di potere creativo mi abbia donato il destino è un'altra questione. Non ho la benché minima pretesa di essere geniale. Sono cosciente dentro di me che la mia natura musicale ha quelle caratteristiche che avete [Pogozev] individuato: avete rivelato una sensibilità particolare esprimendo la Vostra opinione su di me. Vi assicuro che una persona sensibile che ama la musica, la giudica in modo infinitamente più corretto e accurato dei musicisti provetti. Sapete che tutta la stampa russa per molto tempo ha incondizionatamente ripudiato in me il compositore vocale e ha sostenuto con testardaggine l'opinione che non sarei mai potuto andare oltre le sinfonie? [...]
Ho sempre risolto, risolvo e risolverò la questione su come si debba scrivere un'opera con semplicità estrema. Si deve scriverla (esattamente come tutto il resto) così come viene. Ho sempre cercato di esprimere in musica - con la maggior veridicità e sincerità possibile - ciò che era nel testo. Ma la veridicità e la sincerità non sono affatto il risulato di meditazioni, bensì il prodotto spontaneo di un'emozione profonda. Affinché questo sentimento fosse vivace e caldo ho sempre cercato di scegliere soggetti capaci di appassionarmi. E possono appassionarmi soltanto quei soggetti in cui agiscono persone realmente vive che provano gli stessi sentimenti che provo io. Perciò mi sono odiosi i soggetti wagneriani, nei quali non c'è nessuna umanità; e neppure avrei scelto un soggetto con [...] misfatti mostruosi, con le Eumenidi e il Fato come personaggi. E dunque dopo aver scelto il soggetto e deciso di comporre l'opera, ho dato libero sfogo ai miei sentimenti, senza seguire la ricetta wagneriana, senza imitare i modelli classici e senza sforzarmi di essere a tutti i costi originale. Facendo ciò, non mi sono opposto allo spirito dei tempi.
Sono consapevole che se non ci fosse stato Wagner avrei scritto diversamente; ammetto anche che nelle mie composizioni operistiche c'è qualcosa che mi deriva dal «possente mucchietto»; è verosimile che anche la musica italiana, che ho amato appassionatamente durante l'infanzia, e Glinka, che ho adorato durante la giovinezza, abbiano avuto una prepotente influenza su di me, per non parlare di Mozart. Ma non ho mai fatto ricorso all'uno o all'altro di questi idoli, bensì ho permesso loro di disporre della mia essenza musicale come volevano. Forse è per questo che nelle mie opere non è espressa chiaramente l'appartenenza all'una o all'altra scuola; forse, di frequente questa o quella forza ha sopraffatto le altre e sono caduto nell'imitazione, ma tutto ciò, in ogni caso, è venuto da sé e se sono certo di una cosa, questa è che nei miei scritti mi mostro così come Dio mi ha creato e come mi hanno reso l'educazione, le circostanze, le caratteristiche del secolo e del paese in cui vivo e opero. Non mi sono mai tradito. E se sono bravo o mediocre, lasciamolo decidere agli altri.