OPERNHAUS ZÜRICH

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RECENSIONI 2001-2002

RECENSIONI 2000-2001

DI LAURETO RODONI



RICHARD WAGNER
DIE WALKÜRE

VINCENZO BELLINI
BEATRICE DI TENDA

GIUSEPPE VERDI
MACBETH

GIACOMO PUCCINI
TOSCA

W.A. MOZART
DIE ZAUBERFLÖTE

G. ROSSINI
IL BARBIERE DI SIVIGLIA

Approaching Clouds
[balletto]

HOMMAGE À STRAWINSKY
[balletto]

CH. W. GLUCK
ORPHEE ET EURIDICE


CACCIATORI DI TESTE SENZA PIETÀ
Magistrale «Hommage à Strawinsky» di Heinz Spoerli

La prima rappresentazione del balletto di Igor Strawinsky Le Sacre du Printemps (Parigi, 29 maggio 1913) fu un fiasco clamoroso, ma segnò nel contempo, come scrisse Alfredo Casella (spettatore d'eccezione, profondo conoscitore delle avanguardie artistiche che pullulavano in quell'effervescente ed esuberante periodo prebellico a Parigi), «una data decisiva nella storia della musica e non è certo esagerato paragonare la sua importanza storica a quella della Nona sinfonia di Beethoven». Le sonorità «spaventose e dissonanti» e la 'folle' coreografia di Vaclav Nijinsky, che, scardinando la cosiddetta «danse d'école», inventava un nuovo linguaggio espressivo, scatenarono la «feroce bestialità» del pubblico. «Era impossibile udire qualcosa» - riferisce ancora Casella. «Ogni tanto, il baccano infernale del pubblico accennava a placarsi. Ma allora emergevano fuori dall'orchestra sonorità così spaventose, terrificanti e dissonanti che il chiasso riprendeva peggio di prima.» Tuttavia sulle «poche persone» in grado quella sera di comprendere la grandezza della «ciclopica e terrificante musica» strawinskiana, l'impatto dello spettacolo fu dirompente e le successive repliche segnarono in modi diversi, ma indelebilmente, il percorso artistico di molti compositori.
Ancora oggi la formidabile potenza espressiva del Sacre, mai affievolitasi nel corso dei decenni, può sconcertare il pubblico, ma in un senso quasi sempre positivo, almeno per quanto riguarda l'aspetto musicale.
Quando un coreografo del valore e del prestigio di Heinz Spoerli, a trent'anni (!) dal debutto, decide di cimentarsi per la prima volta con il capolavoro strawinkiano, lo spettacolo, ancora prima di andare in scena, diviene un evento artistico di risonanza mondiale. E le attese di pubblico e critica non sono state certo tradite.
Com'è noto, il sottotitolo di questa composizione è «Quadri della Russia pagana». Modificandolo in «Headhunting» [il cacciare teste umane], Spoerli ha consegnato ai fortunati fruitori del suo lavoro la più importante chiave di lettura. Il termine inglese va inteso sia in senso proprio, riferito quindi ai popoli primitivi che, per motivi magici o rituali, conservavano le teste dei nemici vinti, sia in senso figurato. Infatti, se da una parte il coreografo basilese rispetta il carattere originario del Sacre, ricreando anche sulla scena quel mondo primordiale e barbarico evocato dalla lussureggiante partitura strawinskiana, dall'altra, servendosi degli elementi scenografici di Florian Etti (una enorme putrella che lacera due contorte lamiere laterali), comunica allo spettatore che la vicenda si snoda identica ancora ai nostri giorni, o meglio che la sostanza non è mutata nel corso dei secoli. Anche gli odierni cacciatori di teste (headhunters), alla spasmodica ricerca di personale altamente qualificato (dirigenti e top manager) in grado di incrementare sempre più produttività e utili delle aziende, agiscono spietatamente, con ogni mezzo e anche al di fuori delle leggi etiche, pur di raggiungere i loro obiettivi connessi unicamente al lucro.
Il cumulo di polvere grigiastra posto a ridosso del fondale, continuamente alimentato da una copiosa pioggia che vi cade sopra a mo' di clessidra sembra simbolizzare proprio il lucro: da questa polvere tutti i danzatori traggono vigore (ma non purificazione!) e in essa, alla fine, sembra dissolversi la vittima femminile prescelta per il sacrificio estremo: sul demoniaco Todestanz dell'esile étoile dello Zürcher Ballett (la cinese Yen Han) confluiscono tutti i riti coreografici precedenti in un climax di incandescente pregnanza espressiva e di disperato (e inaspettato) vigore fisico.
In conclusione, un'interpretazione pregevole e stimolante del Sacre («lavoro magistrale» è l'espressione che ricorre con maggiore frequenza negli articoli della critica specializzata internazionale), con dotte citazioni della coreografia storica di Nijinsky e nel rispetto delle indicazioni di Strawinsky stesso, che si raffigurava questo balletto come una serie di movimenti ritmici di estrema semplicità eseguiti da compatti blocchi umani - uomini e donne separati e contrapposti - di effetto immediato sullo spettatore.
Nella prima parte della serata, altre due splendide composizioni strawinskiane che instaurano col Sacre una volutamente violenta antitesi: Pulcinella e Duo concertante, quest'ultimo con la coreografia ricostruita di George Balanchine. Improntato a una leggiadra levità e lepidezza, maliziosamente ironico e ironicamente macabro, delicatamente turbinoso e convulso Pulcinella (magnifica la prova di François Petit nel rôle en titre); sublime 'art pour l'art' la coreografia di Balanchine, il «poeta della linearità e della luce», come è stato autorevolmente definito.
Eccellenti le performaces dello Zürcher Ballett (dall'avvento di Spoerli è ai vertici mondiali sul piano tecnico-artistico, un vero e proprio fiore all'occhiello del teatro zurighese) e dell'orchestra (soprattutto nel Sacre); di buon livello le prove dei tre cantanti (in Pulcinella) e dei due solisti nel Duo concertante per violino e pianoforte.
Il pubblico internazionale della première ha tributato ovazioni a tutti gli interpreti.

[Pubblicato sul Giornale del popolo il 23 marzo 2001]

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UN CAPOLAVORO COREOGRAFICO
All'Opernhaus di Zurigo nuovo allestimento
di «Schiaccianoci» firmato da Heinz Spoerli

Tchaikovsky è unanimemente considerato uno dei più grandi musicisti che si siano dedicati al teatro di danza. A lui si devono infatti tre capolavori popolarissimi e mai usciti dal repertorio: "Il lago dei cigni", "La bella addormentata nel bosco" e "Schiaccianoci". Quest'ultimo, rappresentato a San Pietroburgo nel 1892, fu composto in stretta collaborazione con Marius Petipa, le cui minuziose (e geniali...) indicazioni coreografiche e drammaturgiche risolsero al compositore non pochi problemi strutturali ed espressivi della partitura.
Sul manifesto che annuncia il nuovo allestimento zurighese di questo celebre balletto campeggia uno scoiattolo (uno schiaccianoci... vivente) sorpreso in una inequivocabile e buffa posizione di... danzatore classico. L'ironia dell'immagine è un segnale per il pubblico, una anticipazione della sottilissima, garbata ironia che pervade tutto il balletto: uno spettacolo di grande suggestione ("perfetto e semplicemente bello" è stato definito da un prestigioso quotidiano svizzero-tedesco) che fa dimenticare i bolsi allestimenti di routine, stucchevolmente olezzanti di naftalina.
In questo allestimento, la coesione tra orchestra e palcoscenico è improntata a una tale mirabile naturalezza da dare l'impressione che coreografia, scene e costumi siano suscitati dalla musica stessa, dai suoi originalissimi colori armonico-timbrici, dai suoi ritmi non di rado sbilenchi e bizzarri. Una musica che descrive la favola dal punto di vista dell'infanzia e che quindi si presenta come un'acuta e affascinante esplorazione sonora della psiche infantile. Spoerli ha valorizzato con estrema delicatezza questo aspetto fondamentale, dando tra l'altro grande rilievo, con una superba coreografia, al ruolo del ragazzo discolo Fritz (interpretato da un fantastico François Petit) e dei bambini suoi amici, non solo a quello della protagonista Marie (l'étoile Yen Han).
Moltissimi i momenti memorabili dello spettacolo. Tra questi, il poeticissimo Valzer dei fiocchi di neve e il rutilante Valzer dei fiori. Ma l'elenco potrebbe essere molto lungo...
L'imponente compagnia di ballo (compresi gli allievi della Schweizerische Ballettberufsschule) e i numerosi solisti hanno impressionato per l'elevata qualità tecnico-artistica della loro prestazione. Magnifici i costumi e le scene di Berner e Schavernoch. Di buon livello anche l'esecuzione musicale affidata al maestro Jacek Kaspszick. Pubblico... rapito e alla fine rumorosamente entusiasta.
Spettacoli finora esauritissimi, quindi occorre prenotare per tempo. [GdP]


STANDING OVATION PER HEINZ SPOERLI
Tre prime assolute e una prima svizzera
per uno spettacolo di grande suggestione

Dal 1996 Heinz Spoerli, coreografo basilese di fama mondiale, è direttore dello Zürcher Ballett, ormai diventato, sotto la sua guida, tra i migliori del mondo: lo attestano gli elogi della critica specializzata internazionale e i trionfi di pubblico non solo a Zurigo, ma anche durante le frequenti tournée europee ed extraeuropee.
Sabato sera il Teatro dell'Opera di Zurigo, gremitissimo, ha tributato a questo artista, tra i più profondi e creativi sulla scena svizzera, una lunghissima e simpaticamente rumorosa standing ovation dopo una serata coreografico-musicale di altissimo livello. Ben tre le prime assolute proposte da Spoerli: «Phase» su musica di Steve Reich, «Approaching Clouds», coreografia basata su un capolavoro della musica del Novecento, la Sonata per violoncello e pianoforte di Alfred Schnittke e «Folks Songs» sulle suggestive musiche omonime di Luciano Berio. Quanto alla prima svizzera, si tratta di «Szenen» («Kinderszenen» per pianoforte di Schumann è la base musicale) presentato nel 1994 a Düsseldorf.
Quattro parti apparentemente senza legami, suscitate da musiche diverse per non dire antitetiche, sia per ciò che evocano a livello emotivo, sia per gli strumenti che vengono impiegati, nell'ordine: violino e banda magnetica; violoncello e pianoforte; pianoforte solo; piccolo ensemble orchestrale con una mezzosoprano quale solista. La diversità è poi sottolineata sul piano cromatico-scenografico dalle splendide scene di Florian Etti.
Tuttavia alla fine dello spettacolo si ha un'impressione di granitica unità, non solo sul piano della cifra stilistica (coreografica e scenografica), ma anche su quello strutturale e simbolico, come se i quattro momenti fossero paesaggi diversi di una stessa anima. Scene e coreografie contribuisco a dare unità, sorprendentemente, anche ai quattro pezzi musicali che, separati dall'aspetto visivo, non avrebbero, come detto, punti in comune.
«Approaching Clouds» («Nuvole che si avvicinano») dà il titolo a tutto lo spettacolo e questo lo si capisce soprattutto alla fine quando con spettacolari effetti di vapore e lame di laser sul fondo della scena, i ballerini sembrano materializzarsi da nuvole inquiete di colore verde in cui poi svaniscono e da cui ricompaiono più volte, dando l'illusione di una magia. Di grande sapienza drammaturgica in quest'ultimo spezzone la commistione tra balletto e teatro, preludio forse a una nuova fase della sperimentazione spoerliana.
Lo straordinario virtuosismo coreografico non è mai fine a se stesso, come sempre avviene negli spettacoli di Spoerli, ma sempre connesso a ciò che la musica suscita sul piano delle emozioni e del significato. Encomiabile la prestazione di tutti gli interpreti, ballerini e musicisti.
Da vedere assolutamente per chi ama il balletto moderno. [GdP]

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UN MONOPATTINO PER IL CONTE
Nuovo allestimento del Barbiere di Siviglia di Rossini

Com'è noto, il ricchissimo Conte di Almaviva, per non farsi riconoscere dal diffidente, bisbetico dottor Bartolo e dalla sua spasimante Rosina, si traveste da povero e si fa chiamare Lindoro. Nello spettacolo zurighese, per rendere più credibile il travestimento, compare sulla scena spingendo, con la consumata perizia e disinvoltura del ragazzo discolo, un monopattino. Un vero e proprio coup de théâtre, ma anche una chiave di lettura. Figaro sopraggiunge subito dopo alla guida di un elegante sidecar nero, targato Sevilla 74, simbolo della sua sfrontatezza e del suo status, raggiunto esercitando soprattutto la professione di sensale in questioni di cuore, piuttosto che quella di barbiere. Esuberante, a tratti spaccone, scaltrito, sempre ottimista, Figaro è interpretato dal giovane baritono Manuel Lanza che sfoggia un ideale physique du rôle, ma soprattutto una splendida, robusta voce dal timbro chiaro e, nel registro acuto, agevolmente squillante.La componente adolescenziale del Conte e il vivo desiderio di Figaro di conseguire un'elevata posizione sociale grazie al denaro sono gli aspetti che il regista Grischa Asagaroff, in collaborazione con lo scenografo Luigi Perego, ha voluto porre subito in rilievo in questo nuovo allestimento del capolavoro rossiniano, ambientato ovviamente a Siviglia, ma in tempi più recenti rispetto alle indicazioni del libretto: nei primi decenni del Novecento.L'acerba personalità del Conte e la sua propensione alla goliardia, ben evidenziate sul piano scenico e vocale dal tenore Reinaldo Macias, contrastano in modo sorprendente con la maturità e la posatezza di Rosina: la figura piuttosto austera, la voce possente e lo splendido timbro brunito di Vesselina Kasarova conferiscono infatti alla fanciulla uno spessore psicologico e una profondità inusitati. Non è esagerato affermare che una Rosina così matura e amareggiata per la sua condizione di donna segregata da un vecchio che la vuole a ogni costo sposare usurpa il ruolo di protagonista a Figaro stesso.La rivisitazione del ruolo di Rosina è senza dubbio l'aspetto più interessante e innovativo dello spettacolo. Essa ha avuto a mio parere un influsso anche sull'interpretazione del direttore d'orchestra: Nello Santi, conoscitore come pochi del melodramma ottocentesco, rispetto a precedenti esecuzioni adotta infatti tempi meno frenetici. Smorzando un poco gli aspetti effervescenti e spumeggianti della partitura, riesce a meglio evidenziare non solo i molteplici registri presenti nell'opera (non solo quello burlesco...), ma anche le preziosità dell'orchestrazione, le prodigiose architetture sonore, l'inesorabile, stupefacente coesione drammaturgica, le mille sfumature cromatiche. Nei concertati sa ottenere inoltre dalle voci effetti di una ricercatezza strumentale.Di alto livello anche il resto del cast: il luciferino Don Basilio è impersonato da un ancora autorevole e raffinato Nicolai Ghiaurov; Don Bartolo è Carlos Chausson, oggi insuperabile in questo ruolo. Elisabeth Magnuson interpreta con efficacia vocale e scenica la lunatica e scontrosa serva Berta.Pregevole la prova del coro: l'esperimento del sovrintendente Alexander Pereira di affidare la parte corale al Zusatzchor del teatro è quindi pienamente riuscito. *Numerose le repliche: 14, 16, 19, 21 aprile; 24 maggio, 24 giugno e 4 luglio. Segnalo in particolare le due Volksvorstellungen a prezzi ridottissimi (da 10 a 59 franchi) il 16 aprile e il 24 maggio. Potrebbe essere un'occasione ghiotta per avvicinare anche i bambini al fantastico mondo dell'opera: Rossini non li deluderà di certo. [GdP, 13 aprile] SU


VERTIGINOSE SOMMITÀ WAGNERIANE
Die Walküre secondo Bob Wilson all'Opernhaus di Zurigo

Il grande direttore d'orchestra Felix Mottl scrisse nelle sue memorie di non aver saputo trattenere le lacrime e di aver visto Wagner stesso piangere di commozione durante le prove per la prima rappresentazione di Walküre a Monaco nel 1870. In effetti quest'opera, seconda parte della tetralogia L'Anello del Nibelungo, è una tra le più strazianti di tutto repertorio. E non è facile trovare in ambito musicale e letterario un personaggio lacerato, tormentato, angosciato come Wotan, capo supremo degli dèi nordici.
Die Walküre è anche una delle opere più (mis)conosciute di Wagner, soprattutto per la famigerata «Cavalcata delle Valchirie», un pezzo roboante (non per caso finito anche nella pattumiera musicale dei telefonini) che, se staccato dal suo contesto musicale, risulta volgare e fuorviante: può far credere infatti che l'opera tutta sia una sorta di kolossal ante litteram. Essa è invece, sul piano drammaturgico, un'opera per così dire «da camera», essendo incentrata sui rapporti padre/figlia: Wotan/Brunilde; marito/moglie: Wotan/Fricka; fratello/sorella/sorellastra: Siegmund/Sieglinde/Brunilde, figli gemelli di Wotan e di una donna mortale i primi; di Wotan e della dea Erda la Valchiria.
Wotan nutre un amore sconfinato sia per i gemelli-amanti sia per Brunilde, che è anche il simbolo vivente del suo desiderio nobile e l'interprete del suo volere. Eppure l'«onnipotente» è costretto a punire quest'ultima nel modo più severo e spietato a causa di remoti patti che lui stesso volle per ambizione stipulare e che non può violare essendone anche il garante assoluto. La colpa della Valchiria (la protezione di Siegmund nella lotta contro il perfido e rozzo Hunding, marito imposto a Sieglinde) è paradossalmente ciò che Wotan desidera con sconvolgente intensità d'amore paterno. Quando però Fricka, la gelida, burocratica moglie, gli rinfaccia con cinismo e veemente protervia il «peccato originale» connesso ai patti e la grave colpa di Siegmund che ha infranto un ordine sociale (di cui lei stessa è garante come dea della famiglia) strappando Sieglinde a Hunding, il dio supremo china il capo compiendo suo malgrado due sacrifici che lo squassano interiormente: agevola l'uccisione dell'eroe adorato e, come detto, punisce severamente Brunilde da cui si staccherà per sempre. Il terzo sacrificio (la morte di Sieglinde che porta Sigfrido in grembo) gli è precluso dalla prontezza e dal coraggio di Brunilde, favorita forse da un'apparente, voluta e quindi colpevole distrazione del padre, convinto che solo l'eroe libero Sigfrido potrà salvare gli dèi dall'annientamento.
Nell'«Addio di Wotan» alla figlia, finale dell'opera, Wagner raggiunge forse la vetta più alta del suo percorso artistico, riuscendo ad unire con la musica e con il canto dolcezza e scoramento, amore disperato e volontaria rinuncia, amara serenità e lacerante tenerezza: «Addio o fiera, superba fanciulla, santissimo orgoglio del mio cuore! Addio, addio, addio!»
Quante mises en scène hanno profanato nel corso degli anni questo momento sublime! Bob Wilson, regista geniale e pudìco, se ne accosta con l'umiltà di chi è consapevole di dover rappresentare l'irrapresentabile. La scena è vuota: in un deserto roccioso, livido e spettrale Wotan adagia la figlia su una roccia inclinata e la addormenta. Con un ultimo, perentorio, quasi doloroso sussulto della sua potenza, ordina poi a Loge, il dio del fuoco, di proteggere la dea divenuta donna mortale con fiamme impenetrabili ai vili. E tristemente esce di scena come all'inizio dell'opera, quando, colpevole burattinaio, guidava la fuga di Siegmund nella tempesta verso la casa di Sieglinde.
Stupefacente spettacolo sul piano visivo, impreziosito da un uso parco ma pregnante di gesti, luci e colori che valorizzano al meglio l'intricata struttura dei Leitmotive. Orchestra in forma smagliante, guidata con magistrale padronanza dello stile wagneriano da Franz Welser-Möst. Il cast è quanto di meglio ci si possa augurare oggi: su tutti il soprano Gabriele Schnaut, una Brunilde che viene a capo con disarmante facilità della paurosa tessitura di questo ruolo, considerato ai limiti delle possibilità vocali umane.
Successo clamoroso per tutti. Una decina di spettatori, tra cui forse chi considera ancora la musica di Wagner come una colonna sonora pre-hollywoodiana per paccottiglie scenografiche abitate da esagitate Valchirie a cavallo di lignei destrieri che scorrono su cavi sopraelevati e da cui penzolano buffi manichini di guerrieri uccisi, hanno sonoramente fischiato l'astratta, rarefatta, tenue e raffinata regia di Bob Wilson, per nulla rabbuiato (anzi sornionamente divertito) dalla sparuta ma feroce contestazione.


DANIEL SCHMID... ALL'OPERA
Beatrice di Tenda di Bellini in scena a Zurigo

Poiché contestare le regie è ormai diventata una consuetudine alle prime zurighesi, Daniel Schmid non credeva alle proprie orecchie, quando, con comprensibile ansia, è uscito sul palcoscenico per ascoltare il verdetto del pubblico: il consenso, questa volta, è stato infatti plebiscitario. E ben meritato! Una regia pregnante e profonda, la sua, caratterizzata da una minuziosa, ma mai soverchiante guida dei personaggi. Con la collaborazione di Bernhard Kleber, autore di magnifiche scene garbatamente attualizzate, il regista grigionese è riuscito nell'ardua impresa di conferire una solida struttura drammaturgica al debole libretto di Felice Romani senza forzature interpretative, senza introdurre elementi estranei alla vicenda.
Una vicenda tragica, imperniata sul personaggio di Beatrice, contessa di Tenda, ingiustamente accusata di adulterio dal marito (Filippo Maria Visconti) a sua volta fedifrago, poiché amante di Agnese, una giovane dama d'onore della duchessa. L'irruento duca di Milano, pur turbato dai rimorsi, farà condannare a morte la moglie e il suo presunto amante.
Star della serata il soprano slovacco Edita Gruberova, osannata dal pubblico, anche a scena aperta. Benché la voce di questa grandissima interprete del belcanto non sia più impeccabile come qualche anno fa (per esempio il registro superiore, pur sempre sicuro, è a volte stridente e metallico), la sua interpretazione, valorizzata da una superba presenza scenica, è ancora oggi difficilmente eguagliabile per magistero tecnico, per la purezza della linea vocale, per gli sbalorditivi passaggi di registro, di una fluidità e naturalezza veramente uniche... Una degna erede di Giuditta Pasta che fu la prima interprete di Beatrice nel 1833.
Quanto al resto del cast, eccellente la performance di Piotr Beczala, tenore lirico tra i migliori del momento: voce bellissima sostenuta da una solida tecnica. Pure notevoli interpreti scenici e vocali il baritono Michael Volle nel difficile ruolo di Filippo e Stefania Kaluza in quello di Agnese. Marcello Viotti, specialista di questo repertorio, ha saputo mantenere costante la tensione narrativa dell'opera, assecondando quindi al meglio il lavoro del regista. Una direzione ricca di contrasti, ma anche di abbandoni lirici.


UN MACBETH VERAMENTE... REGALE
Allestitoa Zurigo il capolavoro verdiano.
Un trionfo sul piano musicale. Qualche dissenso
per la regia di David Pountney

Macbeth fu rappresentato per la prima volta nel 1847, ma subì una vigorosa revisione una ventina d'anni dopo, nel 1865, in occasione delle rappresentazioni parigine dell'opera. In quel lungo lasso di tempo lo stile di Verdi, la sua visione della realtà e dell'arte, l'approccio al mondo shakespeariano mutarono profondamente. E radicalmente cambiato era anche il contesto storico-sociale in cui il compositore viveva e agiva: essendo Macbeth un'opera sulla degenerazione del potere, anche la situazione politica scaturita dall'unificazione dell'Italia non poteva non influire sul lavoro di riassestamento musicale e drammaturgico. Fu un intervento singolare, perché non coinvolse tutta la partitura: Verdi infatti lasciò ampi spezzoni della prima versione, sostituendone altri che riteneva deboli o stereotipati. In Macbeth il cosiddetto "primo Verdi" coesiste quindi con il "Verdi maturo", miracolosamente...
Le leggendarie esecuzioni scaligere di Claudio Abbado, per nostra fortuna riassunte in una memorabile registrazione discografica, e la folgorante regia di Giorgio Strehler ad esse legata, hanno infatti inequivocabilmente provato che questa commistione stilistica non cagiona squilibrio alcuno; è anzi, essa stessa, una componente fondamentale dell'opera, soprattutto nel suo rapporto con il composito testo shakespeariano da cui deriva. In quel Macbeth i protagonisti, subdoli, efferati e deliranti, si stagliavano in una dimensione atemporale e in uno spazio semideserto, plumbeo, dalle linee essenziali e scarne, che conferiva risalto estremo alla musica e agli intricati rapporti tra i personaggi.
Agli antipodi rispetto alla lineare concezione strehleriana sta quella del regista americano David Pountney, estremamente (troppo secondo alcuni) complessa e densa, basata sulla contrapposizione tra elemento maschile (soldati, Macbeth) e femminile (streghe, Lady Macbeth), con palesi riferimenti alle interpretazioni psicanalitiche del dramma shakespeariano. Il re Duncano in quest'ottica sta... nel mezzo: è infatti un eunuco informe, malfermo, mellifluo, molle, giallo, vizioso e... arabo, simbolo di un potere equivoco, debole e malato.
Se per Verdi i protagonisti dell'opera erano soltanto tre (Macbeth, sua moglie e le streghe), per Pountney diventano quattro, proprio per l'importanza data al coro dei guerrieri. E forse cinque, se si pensa all'inusitato rilievo che il regista assegna al figlio di Banquo, a cui affida la conclusione, amarissima, dell'opera: il bambino, solo sulla scena, depone sul pavimento la "regal corona", subito trafitta da un enorme, lunghissimo raggio rosso-arancione dal significato inequivocabilmente ferale.
Spettacolo magnifico, a parere di chi scrive, che però forse non susciterà entusiasmi in quei fruitori legittimamente legati a scene e a regie più tradizionali e non trasgressive.
Thomas Hampson ha debuttato nel massacrante rôle en titre giganteggiando sul piano scenico; la sua interpretazione è stata stupefacente pure vocalmente, nonostante qualche (inutile) eccesso, per esempio nella scena delle apparizioni; eccellente anche la performance di Paoletta Marrocu nel ruolo impervio della perfida moglie; buoni gli altri interpreti, ad eccezione del tenore Luis Lima che si è trovato in palese difficoltà impersonando Macduff.
Superba e illuminante la direzione di Franz Welser-Möst. Mai vi son state cadute nella routine: tutta l'opera, anche quelle parti che sotto una direzione scialba potrebbero sembrare musicalmente volgari o banali, è sostenuta nella più alta dignità. Un'interpretazione cesellata, differenziata, limpida, coesa e non di rado sorprendente per i colori che il direttore austriaco ha saputo sprigionare dall'orchestra. Alla prima del 7 luglio si è a tratti udito... l'inaudito. L'entusiastico coro finale, a livelli interpretativi abbadiani, risulta agghiacciante in antitesi alla visione politica pessimistica per non dire marcescente di Pountney.
Applausi lunghissimi e fragorosi. Ovazioni per la coppia regale e per il direttore d'orchestra. Lievi contestazioni al team di regia.