I dizionari Baldini&Castoldi

Tarare di Antonio Salieri (1750-1825)
libretto di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais

Opera in un prologo e cinque atti

Prima:
Parigi, Opéra, 8 giugno 1787

Personaggi:
la Natura (S), il genio del fuoco (B), Tarare (T), Atar (B), Astasie (S), Arthénée (B), Altamor (B), Urson (B), Calpigi (Hc), Spinette (S), Elamir (S), un sacerdote (B), uno schiavo (B), un eunuco (B), una pastorella (S), un contadino (B); ombre, schiavi, sacerdoti, visir, emiri, seguito del re, popolo, soldati



Beaumarchais completò Tarare , l’unico suo libretto d’opera, nel 1784, dopo una gestazione durata circa dieci anni. In un primo momento egli aveva pensato a Gluck come all’autore ideale per musicare il suo dramma, ma il maestro tedesco aveva ormai definitivamente chiuso con Parigi e con il teatro. Fu dunque un fatto automatico ripiegare su Salieri, allora in servizio presso la corte di Vienna e visto come il continuatore accreditato dell’opera di Gluck. Salieri ricevette il libretto di Tarare dalle mani dell’autore, mentre si trovava a Parigi per darvi le sue Danaïdes . Lavorò all’opera nei due anni successivi, a Vienna e poi nuovamente a Parigi, dove tornò verso la metà del 1786. In dicembre un altro suo lavoro, Les Horaces , cadde all’Opéra, ma mesi dopo Tarare ottenne un largo successo.

Con Tarare Beaumarchais intende proporre un nuovo genere di spettacolo operistico che sia fusione di tragedia e commedia, nonché veicolo di idee filosofiche. Si dichiara inoltre convinto che la musica debba passare in secondo piano rispetto al testo, anche a costo di rinunciare alla piacevolezza melodica. Il suo dramma è un apologo volto a celebrare l’uguaglianza naturale degli uomini.

Nel prologo l’allegoria della Natura, assistita dal genio del fuoco, infonde vita in due ombre, fissandone il destino futuro: la prima sarà un sovrano, la seconda un soldato. La vicenda vera e propria si situa quarant’anni dopo: Atar, sovrano dispotico della città di Ormus, situata sulla costa del Golfo Persico, è geloso dell’amore che i sudditi nutrono per Tarare, il più valoroso dei suoi soldati; gli fa dunque bruciare la casa e rapire la sposa Astasie. Frattanto per decreto dell’oracolo pronunciato dal fanciullo Elamir, Tarare – che pure è di umili origini – viene nominato generale dell’armata, tra le ovazioni dei soldati. Aiutato dall’eunuco italiano Calpigi, l’eroe penetra nel palazzo reale in cerca di Astasie, ma viene scoperto e condannato a morte insieme alla sposa. Una rivolta militare impedisce tuttavia il supplizio e depone il tiranno, che si dà la morte; Tarare viene innalzato al trono dal volere del popolo. Ricompaiono infine la Natura e il genio del fuoco per enunciare la morale: la grandezza dell’uomo sulla terra dipende dal merito, non dalla condizione sociale. L’arditezza del soggetto è accentuata da una forte polemica anticlericale, che fa leva sulla descrizione dei maneggi del grande sacerdote Athénée per assicurarsi il potere tramite la superstizione.

Assecondando gli intenti di Beaumarchais, Salieri abolisce quasi del tutto i pezzi chiusi e le simmetrie formali, facendo trascolorare l’uno nell’altro, senza cesure, diversi registri compositivi: recitativo, arioso, coro e concertato. Pur senza riuscire a evitare il rischio della frammentarietà, la partitura riesce a infondere alle perorazioni egualitarie un forte spirito epico. L’ epos coinvolge anche momenti tragici come il choeur funèbre (“Avec tes décrets infinis”) che accompagna i due sposi al supplizio, con la solenne melodia in sol minore raddoppiata dai tromboni e l’ininterrotto rullo dei timpani ‘coperti’ (per attenuarne la sonorità). La rinuncia al canto spianato e all’aria in grande stile (secondo i desideri di Beaumarchais) rappresenta sì un impoverimento, ma al tempo stesso produce pagine di straordinaria arditezza, quali i due ariosi del grande sacerdote (“O politique consommée”) e del protagonista (“De quel nouveau malheur”). Entrambi i brani rivelano infatti un impiego originalissimo del declamato, sostenuto da una condotta armonica quanto mai pregnante. L’opera conobbe molte riprese successive e grazie a opportuni ritocchi del testo risultò adattabile a tutte le stagioni politiche, Restaurazione compresa (con la sola eccezione del Terrore). Rarissime le riprese moderne: al Festival di Schwetzingen (1988) e a Strasburgo (1991).

Pochi mesi dopo la ‘prima’ parigina Giuseppe II volle che Tarare fosse rappresentato a Vienna in una versione italiana curata da Da Ponte. L’opera divenne Axur, re d’Ormus e prese l’appellativo di ‘dramma tragicomico’ a causa della eterogeneità dei generi. L’articolazione prevedeva in origine cinque atti (così almeno indica il libretto a stampa), ma in seguito si ebbero allestimenti in quattro atti, con il primo e il secondo atto riuniti in uno solo. Non si tratta di una semplice traduzione, ma di un parziale rifacimento. La trama rimane immutata (salvo l’eliminazione del prologo e delle allegorie), ma cambiano i nomi dei personaggi: il nome ‘Atar’ viene trasferito all’eroe e ‘Axur’ diventa il nome del re. Il contenuto ideologico non è cancellato, ma solo attenuato e in sostanza ricondotto nel quadro dell’assolutismo illuminato (in accordo con i principi politici del giuseppinismo). Quanto alla veste drammatica e musicale, si può parlare di una trasformazione in opera italiana, con un aumento dei pezzi chiusi e dei concertati nello stile del dramma giocoso, anche se poi la suddivisione in ‘numeri’ presente nell’autografo viene contraddetta dalle numerose concatenazioni fra un brano e l’altro, realizzate mediante recitativi accompagnati o transizioni strumentali. Tali concatenazioni rivelano tra l’altro la vocazione alle arditezze armoniche già riscontrata in Tarare . Un certo grado di continuità tra le due versioni è assicurato dalla presenza di diverse pagine rimaste immutate e semplicemente adattate ai nuovi versi italiani. La novità più appariscente di Axur rispetto a Tarare risiede in un più pronunciato flusso melodico, che circola un po’ ovunque, ma soprattutto nella parte di Aspasia (la ex Astasie). L’esempio più significativo in questo senso è la grande aria in due tempi della protagonista femminile, “Son queste le speranze” (assente in Tarare ), che rientra in pieno nel codice stilistico dell’opera italiana e costituisce una delle prove più ispirate del Salieri melodista. Il tasso di ‘musicalità’ è rialzato inoltre dall’accentuazione della comicità, che permette un recupero dello stile buffo. Quest’ultimo domina le parti di Biscroma (nuovo nome delll’eunuco Calpigi) e della schiava Fiammetta, e trionfa nella godibilissima farsa con maschere inscenata nel serraglio del sultano. Nel suo complesso, dunque, Axur risponde meglio di Tarare alle aspettative di un pubblico abituato all’opera italiana, e non a caso rappresenta il massimo successo di tutta la produzione teatrale di Salieri; tra le sue non molte riprese moderne ricordiamo quelle di Siena (1989) e Verona (1994).

f.b.

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