I dizionari Baldini&Castoldi

Socrate immaginario, Il di Giovanni Paisiello (1740-1816)
libretto di Giambattista Lorenzi

Commedia per musica in tre atti

Prima:
Napoli, Teatro Nuovo, ottobre 1775

Personaggi:
Donna Rosa (S), Lauretta (S), Cilla (S), Emilia (S), Ippolito (T), Don Tammaro Promontorio (B), mastro Antonio (B), Calandrino (B); discepoli di Socrate, finti demoni



Un esponente di punta dell’illuminismo napoletano (Ferdinando Galiani), il più brillante librettista comico nella Napoli del secondo Settecento (Lorenzi), un musicista ormai pienamente affermato e alle soglie del grande salto internazionale (Paisiello): questi i tre autori di un’opera buffa tra le più felici del secondo Settecento. Si è molto discusso sul ruolo avuto dai due letterati nella stesura del libretto; nella prefazione all’edizione a stampa Lorenzi parla in prima persona e non accenna a una collaborazione con Galiani. Questi, dal canto suo, usa l’espressione «ma pièce comique» in una lettera a Madame d’Epinay, ma altrove dice solo di essersi «divertito a far comporre una commedia». L’ipotesi più accreditata è che Galiani abbia dato l’idea o poco più, Lorenzi la stesura dei versi. Difficile comunque provare un più diretto coinvolgimento di Galiani, e stabilirne la misura.

Le vicende sceniche del Socrate immaginario furono travagliate: incuriosito dal successo che l’opera stava riscuotendo al Teatro Nuovo, il re Ferdinando IV volle farla rappresentare a palazzo il 23 ottobre e la trovò «indiscreta, né da doversi rappresentare al pubblico», come si legge nell’ingiunzione fatta pervenire dal ministro Tanucci all’impresario del teatro. La voce allora diffusa, e poi raccolta dalla letteratura storica, era che gli autori avessero preso di mira l’erudito e gentiluomo di corte Saverio Mattei. Dire che tutta la commedia miri a colpire una persona in particolare sarebbe una forzatura, ma certo le frecciate contro le manie erudite del Mattei (soprattutto in fatto di musica antica) ci sono, e dovevano essere all’epoca ben percepibili. Dopo solo sei recite tutte affollate di pubblico, il titolo venne cancellato dal cartellone. Fu riproposto, questa volta senza problemi e con immutato favore, solo alla fine del 1779.

La presa in giro di filosofastri e maniaci dell’antichità è, come si sa, uno dei temi privilegiati del teatro settecentesco (musicale e non). Qui lo pseudofilosofo è un possidente delle Puglie, Don Tammaro Promontorio da Modugno, uomo ignorante e ingenuo che ha perso il senno a forza di leggere le vite dei filosofi antichi. L’elenco delle sue stramberie è interminabile: si fa chiamare Socrate e dà a sua volta nomi greci a quelli che lo circondano; è contento di essere maltrattato dalla moglie, perché ha letto che anche il vero Socrate lo era; decide di prendere una seconda moglie, sempre per imitare Socrate; vorrebbe far sposare la figlia al barbiere, suo seguace in filosofia. Per sventare i suoi progetti, i parenti devono ricorrere all’inganno: prima lo mandano a consultare il suo demone nella grotta del giardino, e qui organizzano una finta apparizione di Furie con l’intento di spaventarlo; poi gli danno da bere la cicuta, in realtà un potente sonnifero. Quando si risveglia, Don Tammaro è finalmente guarito dalla follia filosofica.

A Paisiello non mancano occasioni per dare sfogo alla sua vis comica . La vena grottesca e surreale dell’opera buffa napoletana celebra il suo trionfo in un vasto organismo musicale come il finale primo, con il coro dei discepoli il lingua greca, fintamente solenne (una sessantina d’anni dopo farà ancora ridere Leopardi), la tarantella scatenata da Donna Rosa per irridere il marito e la sfrenata baruffa conclusiva. La scena dei demoni e delle Furie dà luogo alla più esilarante fra le molte parodie dell’ Orfeo gluckiano che popolano l’opera del Settecento. Ugualmente riuscita risulta la parodia del contrappunto severo, al momento in cui il finto Socrate riceve la tazza della cicuta. Accanto alla comicità caricaturale, Paisiello realizza un pungente ritratto dei personaggi, muovendosi entro un ampio ventaglio di atteggiamenti (rabbia stizzosa, vivacità popolaresca, tenerezza amorosa) e fissando im modo definitivo un’ampia tipologia musicale, destinata a giungere fino a Mozart.

f.b.

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