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CARLO MARINELLI

BEDRICH SMETANA

STORIA DELL'OPERA UTET, II,2, pp. 107-119.

Questa edizione è ormai da anni fuori catalogo ed
è confluita in parte nei sei volumi di

MUSICA IN SCENA.

Alcuni saggi sono stati affidati ad altri musicologi;
altri sono state ripresi e modificati,
come il presente di Carlo Marinelli

Bedrich Smetana, violinista e pianista precoce, allievo di Proksch, amico di Liszt, membro attivo del partito nazionalista dei «giovani cechi», non si era mai cimentato con il teatro in musica, né come compositore né come direttore. Era noto soprattutto come insegnante, fin da quando, con l'aiuto e l'incoraggiamento di Liszt, aveva aperto nel 1848 a Praga una propria scuola di pianoforte. Dal 1856 al 1861 aveva lavorato a Göteborg e, se ciò aveva indubbiamente giovato alla sua maturazione di uomo e di artista, non aveva certo accresciuto di molto la sua fama, data la posizione dei tutto periferica della città svedese nella cultura e nella vita musicale dei tempo. Il frutto più concreto del soggiorno di Goteborg erano stati i tre poemi sinfonici Richard III, Valdstynuv tabor (Il campo di Wallenstein) e Hakon Jarl, nei quali la critica vede (malgrado soltanto il secondo sia d'argomento riguardante la storia boema) altrettante anticipazioni delle tre opere epiche di Smetana, I Brandemburghesi in Boemia, Dalibor e Libuse.
Rientrato a Praga nel 1861, Smetana partecipò attivamente alla vita musicale della città. Divenne direttore della società corale «Hlalol», fondò nel dicembre 1862 la Società artistica. Ancor prima dei rientro definitivo di Smetana a Praga, il 10 febbraio 1861, era stato bandito dal conte Jan Harrach, presidente dei («Comitato per la costruzione d'un teatro nazionale ceco», un concorso per due opere in due atti, su temi nazionali, uno tratto dalla storia dei popolo ceco, l'altro, di carattere gaio, dalla vita popolare in Boemia, Moravia o Slesia. Il termine per la presentazione delle opere, fissato in un primo tempo al 30 settembre 1862, fu prorogato di un anno per mancanza di concorrenti. Smetana aveva intenzione di partecipare al concorso ma si mise al lavoro solo dopo aver conosciuto il poeta e giornalista nazionalista Karel Sabina. Già nel febbraio 1862 Smetana era al lavoro e in poco più d'un anno l'opera era terminata e presentata al concorso Harrach. I lavori della commissione (Kittl, Krejci, Ambros) si protrassero così a lungo che I Brandemburghesi in Boemia furono premiati tre anni dopo, quasi tre mesi dopo la prima rappresentazione che aveva avuto luogo il 5 gennaio 1866 ai «Prozatimni Divadlo», sotto la direzione dell'autore.
La fondazione di un'opera nazionale ceca appare in Smetana un problema prima linguistico che musicale. La preoccupazione di fondo è nella declamazione e nell'articolazione del canto di una lingua che lo stesso Smetana non possedeva proprio interamente e che presentava ancora alcuni problemi non risolti di accentazione e di pronuncia. Iniziando da un soggetto «storico», e quindi da un linguaggio per forza di cose aulico e colto, Smetana non poteva neanche far ricorso alla tradizione popolare. Del resto Smetana rifiutò sempre l'impiego puro e semplice, diretto, del canto, della melodia popolari:
«Copiare il profilo melodico e il ritmo dei nostri canti popolari non crea di per sé uno stile nazionale: nel migliore dei casi una debole imitazione senza verità drammatica» scrisse egli stesso in una lettera a Ludevit Prochazka del 1862. Musicalmente le influenze più evidenti sono in questo momento della storia creativa di Smetana quelle di Wagner (il primo Wagner, senza escludere Weber) e di Verdi, che si trovano comodamente giustapposte, senza disturbarsi e senza elidersi. E possono avvertirsi ancora derivazioni da Meyerbeer e soprattutto da Gounod, che Smetana studiò a fondo soprattutto tra la fine del 1862 e l'inizio del 1863, quando la composizione di I Brandemburghesi in Boemia era già molto avanzata. E poiché l'orchestra ha nell'operistica smetaniana fondamentale importanza non possono dimenticarsi i nomi di Mendelssohn e di Liszt. Nei cori, nelle scene di folla il nome di Musorgskij viene come una citazione d'obbligo, anche per l'intensità articolata di personaggio che la folla assume, vero e proprio popolo dotato d'anima e di volontà, e non massa amorfa. Più tradizionale di Musorgskij, Smetana non rinunzia tuttavia alla figura del «corifeo», o - meglio - dell'interprete univoco della volontà e del sentimento popolari. E del resto Musorgskij aveva dietro di sé due figure come Glinka e come Dargomyskij. Smetana non aveva praticamente nulla dietro di sé: anzi, aveva una tradizione esclusivamente tedesca, ormai, per quel che concerneva il teatro in musica.
I Brandemburghesi in Boemia è un lavoro sorprendentemente finito e compatto per essere un esordio nel campo teatrale. Con questo non si vuol dire che si tratti d'un capolavoro. La definizione dei singoli personaggi, ad esempio, lascia alquanto a desiderare.
L'ispirazione si coagula in certi momenti, l'interesse creativo si accende a tratti. Ma non è senza significato che i momenti più vivi siano in certo senso quelli collettivi: la preghiera delle donne nel quadro I dell'atto I, la scena della rivolta dei mendicanti nel quadro II dello stesso atto, la scena dell'addio dei contadini costretti a lasciare le loro case nel quadro I dell'atto II, il lamento delle tre figlie di Volfram nel quadro II dell'atto II, la scena notturna della fuga delle tre giovani nell'atto III. Giova qui a Smetana anche la matura esperienza corale, di compositore e di direttore, che lo porta a una felice inserzione nel tessuto operistico di elementi antifonali e responsoriali, piuttosto che polifonici e contrappuntistici. È questa capacità di scrittura corale, concepita come articolazione interna in senso spontaneo e naturale del cantare collettivo, che si affianca alla già accennata preoccupazione linguistica per conferire originalità e omogeneità a

I Brandemburghesi in Boemia

Il soggetto di Karel Sabina si riferisce al periodo della storia del regno di Boemia immediatamente successivo alla morte di Premysl Otakar II (1278), quando la regina Kunhuta invocò l'aiuto di Ottone V, margravio di Brandeburgo, contro l'uccisore del marito Rodolfo d'Absburgo. Senonché gli alleati tedeschi si comportarono da conquistatori, si misero d'accordo con Rodolfo I d'Absburgo, imprigionarono la regina e il piccolo erede al trono, Václav II, iniziarono un'opera di snazionalizzazione favorendo in ogni modo i residenti boemi di origine tedesca. Già Josef Kajetán Tyl aveva tentato di trarre ispirazione da questo periodo storico, altamente significativo per la rivendicazione dell'indipendenza e della nazionalità ceca nei confronti sia aei tedeschi sia degli austriaci, con un lavoro drammatico iniziato nel 1834 ma non condotto a termine. Sabina si ispirò assai liberamente alla Cronaca di Dalimil, uno dei documenti più antichi della letteratura ceca, non molto attendibile in molti particolari storici, ma assai vivamente e polemicamente rappresentativa dei sentimenti nazionali e antitedeschi degli aristocratici di campagna dei primi anni del Trecento. Nel ritrovare un legame dei presente con il Medio Evo si rinnova così anche per la cultura ceca un motivo tipico dei movimento romantico europeo, strettamente connesso con l'esaltazione eroica di un passato assunto a motivo di edificazione morale per l'oggi, come esempio attivo, come invito all'operare. Di qui la necessità di una concezione drammatica semplice e incisiva, ricca di azione, ma di facile comprensione, capace di colpire e animare lo spettatore, di infiammare lo spirito col ricordo, piuttosto che di eccitarlo inutilmente a un agire immediato e inconsulto.
Le opere epiche di Smetana hanno quest'essenzialità drammatica: e forse
I Brandemburghesi in Boemia l'hanno ancora più che non Dalibor o Libuse; nel senso che la semplicità si fa a volte addirittura elementarità. È probabilmente per questo che la struttura in scene chiuse, giustapposte l'una di seguito all'altra, piuttosto che svolte l'una nell'altra, finisce per apparire confacente al taglio drammatico dell'opera, sostanzialmente episodico.
Pochi mesi separano la prima rappresentazione di
I Brandemburghesi in Boemia da quella di

La sposa venduta

che ebbe luogo, sempre al «Prozatimni Divadlo» il 30 maggio 1866. Smetana aveva cominciato a pensare alla nuova opera poche settimane dopo aver terminato la precedente e ne commissionò il libretto allo stesso Sabina, dandogli precise istruzioni sulle sue intenzioni. Ma iniziò a comporne la musica soltanto nel 1864 (probabilmente l'ouverture era stata già messa giù al pianoforte negli ultimi mesi dei 1863) per terminarla il 16 marzo 1866.
La più celebre delle opere di Smetana fu anche la più tormentata, sottoposta a quattro successive revisioni, nell'ottobre 1866, nei gennaio 1869, nel giugno 1869 e nel settembre 1870. Le prime tre versioni erano in due atti, la quarta e la quinta sono in tre atti. Solo nella versione definitiva dei 1870, quella che noi conosciamo, gli originali dialoghi furono sostituiti con recitativi. Questo fatto, da solo, dice già molto su quale sia il terreno da cui La sposa venduta nasce, quello del Singspiel, ma dei Singspiel già rivisto in boemo, e quindi - per li rami - indirettamente discendente dalle commedie rurali dei musicisti boemi di villaggio. Smetana ne aveva conosciuti gli ultimi epigoni, in quei musicanti girovaghi che dipinge così vivacemente proprio nell'ultimo atto di La sposa venduta. L'idea di un'opera comica nazionale fu un'idea propria ed esclusiva di Smetana, anche se una richiesta in tal senso aveva fatto il bando del conte Harrach dei 1861. Ma i presupposti erano ben più vasti e radicati: erano nell'anima, nella musica, nei canti dei popolo contadino ceco, il cui spirito semplice e vivace, gaio e lieto, festoso e spigliato Smetana riprendeva in una musica nella quale - ancora una volta - il canto, la danza, la melodia popolari compaiono come fonti indirette e liberamente rivissute (le poche eccezioni, come il furiant, in cui Smetana fa diretto ricorso a motivi popolari, non contraddicono ovviamente l'assunto generale, essendo in La sposa venduta fondamentale e significante proprio l'atmosfera d'insieme, l'impronta complessiva, assolutamente omogenea ed unitaria). In questo senso va ritenuto illuminante il paragone con le novelle e le memorie della poetessa e scrittrice Bozena Nèmcovà, parallelo che la critica musicale boema ha da tempo istituito e che la critica occidentale ha puntualmente ripreso.
La serena fiducia nella vita si traduce nell'opera di Smetana in semplicità di struttura e di scrittura. Pochi temi circolano per l'intera opera ed hanno il carattere di «reminiscenze motiviche» piuttosto che di veri e propri «temi conduttori». Fatta eccezione per il personaggio di Marenka, le individuazioni melodiche fanno riferimento piuttosto alle situazioni. Caso mai, almeno per i tre protagonisti della storia, Marenka, Jenik e Kecal, è da rilevare la loro collocazione pressoché costante all'interno di un modo (maggiore per Kecal e Maenka, minore per Jenik) e la marcata predilezione per una tonalità all'interno dei modo prescelto. Il personaggio di Vasek, che la balbuzie rende risibile all'apparenza, ma che Smetana vede con simpatia e disegna con patetica intensità, è risolto in un dualismo modale maggiore-minore. L'unità di misura prediletta è la croma. Il ritmo è in genere anapestico, nelle varie combinazioni ed amplificazioni possibili. I due elementi combinati danno scorrevolezza al discorso e lo spingono avanti con senso di progressione, più o meno incalzante a seconda dei tempi indicati o delle diminuzioni od aumentazioni operate nei valori fondamentali di durata. La base compositiva resta tuttavia quella della variazione piuttosto che quella della elaborazione. La variazione, che è essenzialmente motivica, e quindi sentimentale, investe anche la costruzione armonica e la stessa tessitura orchestrale, nell'uso della reminiscenza dall'una all'altra famiglia strumentale, che è di particolare efficacia. La capacità di variare attorno a un motivo fondamentale senza ripeterlo e senza propriamente svilupparlo, ma arricchendolo continuamente di piccole notazioni che lo modificano a volte impercettibilmente (altro elemento che giova alla scorrevolezza e al lieve, ma felice impulso dinamico dell'opera) si avverte particolarmente nei concertati, nei quali il sapiente ingresso delle varie voci, sapiente per dosatura di colori oltre che per progrediente intensificazione espressiva, deriva direttamente da Mozart ed anche - perché no? - da Beethoven.
Anche la vocalità, come timbratura e come registro, è piuttosto legata alla tradizione germanica (e qui dopo Mozart e Beethoven, potrebbero indicarsi Lortzing, Kreutzer, Nicolai) che non a quella italiana. Alla caratterizzazione dei personaggio, timbro e registro concorrono comunque in modo determinante: Kecal è un basso buffo addirittura convenzionale, Marenka è una soprano coloratura sbarazzina e vivace, piena di tenerezza, ma anche di decisione, non è insomma una soubrettina, Jenik è un tenore chiaro, limpido, «leggero» ma non lezioso, quindi semplice e gaio, ma anche risoluto e capace di condurre le fila dei gioco.
Non aveva ancora terminato la composizione di La sposa venduta che già Smetana poneva mano, nell'aprile 1865, alla musica di

Dalibor

tre atti dei poeta bilingue (tedesco e ceco) Josef Wenzig, ispirati da una eroica leggenda boema dei tempo degli Jagelloni, che fa di Dalibor un nobile difensore dei contadini, imprigionato e ucciso per la sua ribellione. Nei libretto di Wenzig la causa della cattura e della condanna di Dalibor è tuttavia assai diversa, l'uccisione del burgravio di Ploskovice, come ritorsione per l'assassinio dei musico prediletto di Dalibor, Zdenèk. Quali antecedenti del Dalibor di Smetana sono stati indicati il Lohengrin di Wagner, l'Euryanthe di Weber, il Fidelio di Beethoven (questo, soprattutto, con un diretto parallelismo tra la figura di Milada e quella di Leonore). Dalibor fu l'opera che scatenò contro Smetana l'accusa di wagnerismo. Eppure, musicalmente (o almeno vocalmente), quella che si avverte in modo particolare è l'influenza di Bellini. E la permanenza del modello di Gounod in certi momenti corali, o comunque nelle scene di massa e di movimento. In realtà Dalibor è l'opera nella quale Smetana porta alle estreme conseguenze ii principio della variazione motivica, tanto che qualcuno l'ha definita monotematica, con tale termine intendendo la possibilità di riferirne l'intero materiale melodico a un unico nucleo cellulare, che nella sua forma diretta appare soltanto in orchestra, in forma di ascensione scalare incatenata, SOL-FA, MI-REb, SI-LA, una settima distesa su tre ottave, in un ritmo basico di otto tempi (unità di durata la semicroma), due lunghe (una di quattro e una di tre tempi) e una breve (di un solo tempo: quindi un palimbaccheo irregolare, derivato per contrazione da uno spondeo più un dattilo), che si appoggia su una semibreve come punto d'arrivo dell'ascensione di settima. Già la modulazione tonale investe il nucleo cellulare stesso (alla terza inferiore e poi superiore: Si bemolle maggiore - Sol bemolle maggiore - Re maggiore), ma essa si fa ricchissima e variatissima nelle infinite manifestazioni che esso assume nel corso dell'opera. Altrettanto dicasi dell'aspetto ritmico, che nel persoiaggio di Milada, ad esempio, si fa ora cretico (lunga - breve - lunga), ora giambico (breve - lunga), nonché di quello melodico, in cui giocano non solo inversioni, aumentazioni e diminuzioni, ma anche aggiunte e riduzioni degli elementi che ne compongono il disegno. Questa assunzione della variazione motivica a centro motore dell'ispirazione e a pilastro della struttura fa di Dalibor un'opera romantica per eccellenza ed «opera romantica» appunto io la definirei (con preciso riferimento storico) anziché «opera tragica», come ha fatto generalmente la critica, anche per il fatto che è l'unica opera di Smetana le cui vicende si concludano negativamente, con la morte di entrambi i protagonisti, Milada e Dalibor.
Terminata alla fine dei 1867, Dalibor fu rappresentata al Novomèstské Divadlo il 16 maggio 1868, a conclusione della giornata che aveva visto la posa della prima pietra della costruzione del Teatro Nazionale, cerimonia di cui Smetana era stato protagonista. Dalibor non fu quei successo che Smetana si attendeva, ma rimase l'opera preferita di Smetana, il quale tuttavia non riuscì mai ad ottenere più di quel che si usa definire un «successo di stima». Come è stato da più parti osservato, a ciò non fu estraneo il successo, sempre crescente, di La sposa venduta: non solo il pubblico, ma anche la critica contemporanea non riuscirono a distaccare la personalità di Smetana dal cliché dei compositore nazionale popolare a carattere contadino e, chissà, forse, temettero sinceramente un inforestieramento di un teatro che era appena ai primi passi di una strada autonoma e indipendente.
Dalibor contiene probabilmente alcune delle più belle pagine scritte da Smetana per il teatro in musica, ma manca indubbiamente di unità e di omogeneità. Le parti liriche sono più riuscite di quelle epiche od eroiche. In certi momenti l'interesse creativo viene decisamente meno e lo svolgimento dell'azione è sorretto soltanto dall'indubbia abilità di orchestratore (soprattutto sotto il profilo del colore) di Smetana. Il nucleo cellulare che costituisce il nerbo della variazione motivica che sorregge l'intera opera è di indubbia bellezza e riesce a conferire all'insieme un andamento poematico: il senso di progressione fiera e volontaria di un destino verso il suo naturale scioglimento nella morte come affermazione di libertà nasce soprattutto nell'orchestra, che assai spesso spinge, trascina, travolge a sé le voci, inesauribile motore dinamico (e qui la lezione beethoveniana balza in tutta evidenza). Le parti più spettacolari (le più deboli, le meno convinte) non evitano all'ascolto l'impressione di una consuetudine col grand-opéra meyerbeeriano, magari corretto con Glinka, e ciò malgrado gli evidenti ed abbondanti wagnerismi (che restano episodici, locuzioni che non esercitano influenza sull'impianto dell'opera che si mantiene - tutto sommato, come ho già detto - tipicamente «romantico »).
Josef Wenzig, il librettista di Dalibor, presentò il testo di

Libuse

a Smetana già nell'aprile 1866, quando il musicista era impegnato con l'allestimento della prima rappresentazione di La sposa venduta. Smetana aveva anche in corso la composizione di Dalibor, ma ciò non gli impedì di decidere, già alla fine di maggio di quell'anno, di mettere in musica la nuova opera. La composizione certamente non fu tuttavia iniziata prima della rappresentazione di Dalibor al Novomestské Divadlo. Anzi, sembra che si debba arrivare ad una data ancora più avanzata, quella dei giugno 1869. La musica composta per il quadro vivente Il giudizio di Libussa, rappresentato il 12 aprile 1869, insieme a Il pescatore, tratto da Goethe, costituirebbe in effetti il primo assaggio dell'argomento da parte di Smetana. Libussa è la mitica principessa che, sposando Premysl, diede vita alla dinastia dei Premyslidi e all'indipendenza della nazione boema. La leggenda era stata resa di attualità dalla pretesa scoperta di alcuni frammenti dell'antica letteratura boema (in realtà apocrifi) a Dvur Králové e a Zelená Hora nel 1817 e nel 1818, ma aveva radici ben antiche, nel Chronicon Bohemorum di Cosma di Praga, vissuto tra ii 1045 e il 1125. Anzi la leggenda di Libussa si era diffusa anche al di fuori della Boemia, subendo varie deformazioni. Un «dramma per musica» Libussa di Bartolomeo Bernardi era stato rappresentato in Boemia nel 1703-1704. Costanza e fortezza di Johann Joseph Fux, rappresentata nei 1723 a Praga per l'incoronazione di Carlo VI, si riferisce a Libussa e alle sue profezie. Un'opera intitolata Praga, nascente da Libussa e Primislao, musica di Antonio Denzi*, fu rappresentata a Praga nel 1734. Nel 1818 una Libuse in due atti fu eseguita a Brno, fatica del compositore moravo Eduard von Lannoy. Una Libussa di Konradin Kreutzer fu rappresentata a Vienna nel 1822. Piuttosto recenti infine erano Le nozze di Libussa di Frantisek Skroup, composta nel 1835 ma rappresentata soltanto nel 1850. Smetana aveva molti antecedenti, ma nessuno aveva ancora colto pienamente il significato epico della leggenda, fermi piuttosto a quello mitologico o fantastico. Smetana vide in Libuse invece l'epos dei popolo e della nazione ceca: non per nulla il culmine dell'opera è la profezia dell'eroina, una profezia che non si limita alla storia già nota, ma si fa auspicio ed esortazione. Non per nulla, ancora, Smetana rifiutò per Libuse l'ordinario destino di una comune rappresentazione teatrale ma la destinò «soltanto alle occasioni festive che riguardano l'intera nazione ceca»: e, benché ne avesse terminata la composizione il 12 novembre 1872, attese paziente quasi nove anni finché con la sua opera fu inaugurato, i'11 giugno 1881, il nuovo Teatro Nazionale, costruito dal popolo ceco con i denari da esso stesso liberamente sottoscritti.
La prima parte di Libuse che raggiunse il pubblico fu l'ouverture, che venne eseguita per la prima volta il 14 aprile 1872, prima ancora che Smetana ponesse fine all'intera opera. Nell'ouverture compaiono i tre temi (o motivi) su cui è basata l'intera opera: quello di Vysehrad, la capitale del regno, che è rappresentato dalla frase iniziale delle trombe, quello di Libuse, di carattere pastorale, affidato all'oboe, e quello di Premysl, eroicamente atteggiato, nei corni. Come è nelle abitudini di Smetana, la connotazione del personaggio (anche Vysehrad è un personaggio, perché rappresenta la nazione boema) è affidata non soltanto a un disegno, ma anche a un timbro. Questo si ripete anche per i personaggi dei due fratelli rivali, Chrudos e Stáhlav, nei quali è incarnata la divisione della nazione ceca in due partiti che si dilaniano in una lotta fratricida (l'allusione ai due partiti dei Vecchi e dei Giovani Cechi è fin troppo trasparente): Chrudos ha una ruvida progressione di trombe, Stáhlav una più fluente ondulazione melodica dei violoncelli. E quando la pace torna tra i fratelli, Smetana non solo combina i due motivi, ma sostituisce i clarinetti ai violoncelli e i tromboni e la tuba alle trombe. La partecipazione del coro alle vicende è in Libuse assai più interna che in
I Brandemburghesi in Boemia e in Dalibor: esso non si isola in scene a sé stanti, ma interviene nel vivo, con una animazione e una vitalità di articolazioni che lo pongono ai centro dell'azione, o perlomeno ne fanno uno dei protagonisti.
Smetana definì Libuse «non un'opera... ma un quadro festivo». Mi sembra però eccessivo farne - come ha tentato qualche critico - una festa teatrale barocca. Più attendibile appare il riferimento a modelli più vicini come Les Troyens di Berlioz o Die Meistersinger von Nürnberg di Wagner. E ancora non trascurerei il poematismo sinfonico (e sinfonico-corale) di Liszt. «Opera festiva» in tre atti «Il giudizio di Libussa»; «Le nozze di Libussa»; «La profezia di Libussa», a loro volta bipartiti, in modo che si tratta in realtà di sei quadri. E questi sei quadri sono altrettanti pannelli a sé stanti, in loro e per loro conchiusi, anche se musicalmente relazionati dal tipico lavoro di amplificazione cellulare cui Smetana sottopone i motivi fondamentali, sul piano armonico e sul piano melodico. Sul suo taccuino Smetana annotava le idee così come gli venivano, poi le riduceva, le connetteva, le inseriva in un contesto di continuità, nel quale a volte si trasformavano sino a rendersi quasi irriconoscibili (altre volte erano invece calate tal quali). In questo lavoro minuzioso di incastro, Smetana opera secondo un itinerario di espansione progressiva, che pure ha il suo centro irrinunciabile di riferimento nella ideazione motivica originaria. E le varie intuizioni si adeguano, collocandosi su una linea di coerenza melodica e armonica (a volte con passaggi «scoperti», senza preparazione, che hanno una loro efficacia e una loro suggestione espressiva, proprio per la loro naturalità e semplicità, che qualcuno potrebbe anche dire «ingenuità»), e nello stesso tempo si plasmano alle necessità di una articolazione declamante, che tende essenzialmente a scoprire, a rilevare l'innata musicalità interna (accenti, cadenze, fluenze, ponti e cesure) della lingua nazionale, inserendola nello scorrere della musica, piuttosto che assumendola come sorgente primaria di un'intuizione dinamica o intervallare: una fisiognomica pre-intuita (ma non pre-ordinata) è sottoposta al vaglio della sperimentzione diretta sulla figurazione linguistica (ancor più o piuttosto che sulla fonetica) ed a questa ricondotta per adattamenti e aggiustamenti successivi, senza rinunciare all'originaria connotazione lirica, ed anzi in questa risolvendo la stessa declamazione, come accento e come articolazione e come respiro.
I sei pannelli (o quadri) di Libuse si prestano in modo assai puntuale a questo procedimento creativo, che trova la sua sublimazione in una certa staticità degli accadimenti, in una circolarità degli episodi, pur ampi ed ampiamente svolti, ma comunque racchiusi e circoscritti. La mobilità passa dagli accadimenti a quella che può chiamarsi un'azione musicale, in cui vengono in primo piano, come elementi dinamici, simboli e psicologie, sentimenti e propositi. L'azione è un'occasione: vuoi per un ambiente vuoi per un'affermazione. Il motivo, per di più identificato addirittura in una costante timbrica strumentale oltre che vocale, è assunto a simbolo: e la variazione permette di funzionalizzarlo alla molteplicità dei suoi significati.
Senza dubbio Libuse è il punto di maggior concentrazione motivica (e di più ampia espansione circolare) che Smetana raggiunge sul piano dell'affermazione (così come La sposa venduta lo è su quello dell'ambiente). Un'affermazione che concilia l'ardente partecipazione dell'attuale alla verifica equilibrante di un passato storicamente idealizzato in rappresentazione, e come tale «fermato», quasi immobilizzato, in «visioni», la cui composita e compiuta spettacolarità si giustifica musicalmente nella funzione esemplificativa che dalla loro giustapposizione risulta nella connessione narrativa che è propria di un alfresco che riesce alla multivoca contemporaneità di una serie di episodi apparentemente disposti in successione, secondo un ordine che anche qui è forse più visuale che cronologico (essendo la cronologia «scontata» dalla posizione ex adventu, o post adventum, in cui si colloca l'autore, non solo nella finale profezia, ma in tutta la narrazione).
Era ancora in corso la composizione di Libuse quando Smetana cominciò a pensare ad una nuova opera. Le aspre polemiche che conduceva contro di lui il partito dei «Vecchi Cechi», guidato da Frantisek Pivoda, non vertevano soltanto sul suo preteso «tradimento» della musica nazionale, ma anche sul suo silenzio di operista. Nessuno sapeva di Libuse ed era dal maggio 1868 che la voce di Smetana, per i praghesi, taceva. Smetana si rivolse alla giovane poetessa Eliska Krásnohorská, che suggerì un libretto basato sulla vita dei bardo Lumir e in seguito ne approntò uno tratto dalla Dodicesima notte di Shakespeare, intitolato Viola. Smetana accettò quest'ultimo nella primavera 1871, ma non ne fece poi nulla. Il suo interesse fu invece eccitato da una pièce di Jean-Pierre-Félicien Mallefille, Les deux veuves, che furoreggiava in quegli anni nei teatri di Praga. Nella primavera del 1873 si rivolse ad Emanuel Züngel [1840-1894], un linguista che gli approntò piuttosto rapidamente un ampliamento in due atti dell'originale francese. Smetana cominciò a musicare

Le due vedove

il 16 luglio 1873.
Dopo sei mesi, la partitura era terminata e il 27 marzo 1874 andava in scena al Teatro Provvisorio. Come La sposa venduta anche Le due vedove fu dapprima concepito da Smetana come un Singspiel. Ma anche per Le due vedove Smetana approntò una seconda edizione, tra il giugno e il luglio del 1877, aggiungendovi alcuni numeri e trasformando i dialoghi in recitativi. La nuova versione andò in scena ii 15 marzo 1878, sempre al Teatro Provvisorio.
La critica non ha avuto molte esitazioni a riferire Le due vedove a Così fan tutte di Mozart. Ma le analogie sono veramente assai esteriori: due protagoniste, amiche, anzi cugine, e giovani, pur se vedove, un soprano e un mezzosoprano; un personaggio disinvolto e scanzonato, senza illusioni sulla natura umana ma sorridente e comprensivo, che guida l'intero gioco secondo la propria volontà (ma è una delle due vedove, non un terzo); un amore respinto, non confessato, infine non più trattenuto (ma non è un «tradimento», né v'è incrocio di coppie: il mezzosoprano e il tenore non debbono fare altro che riuscire ad incontrarsi); un basso, la guardia forestale Mumlal, che è decisamente un buffo e nulla ha a che vedere con il cinismo amaro, la saggezza antica di un Don Alfonso; l'intera azione, infine, si esaurisce in un solo giorno. Le due vedove è piuttosto una commedia sentimentale, nella migliore tradizione borghese dell'Ottocento. Ed è un'opera di atmosfera, di ambiente, sulla scorta della Sposa venduta, solo che l'ambiente è precisamente quello della ricca borghesia della Praga contemporanea di Smetana. Che l'azione si svolga in una residenza di campagna anziché in una casa di città, a parte che non costituisce certo una novità, è utile a Smetana per introdurvi quegli elementi di luminosità naturistica e di ariosità spaziante che costituiscono la sua vena di autentico poeta dei campi, dei boschi e delle acque correnti, risolti nella loro vibrazione sonora e musicale (e non soltanto onomatopeicamente riprodotti). Commedia musicale Le due vedove, e come tale richiama così a certe intensità patetiche del Donizetti più maturo come a certe limpide trasparenze dell'operetta di Johann Strauss. La stessa struttura a numeri ben definiti e conchiusi fa di Le due vedove un'opera tradizionale. Ma è soprattutto un'opera «chiusa» in un ambiente ristretto nelle sue convenzioni sociali (la presenza del coro non ha la vitalità di La sposa venduta, è appena uno sfondo, un'episodica occasione conclusiva nel gaio, brioso, brillante 'zdkolanskou' che chiude l'opera). È quindi una opera di situazioni definite e risolte nella scorrevolezza, nella vivacità, nella brillantezza dell'invenzione musicale. E situazioni appaiono anche le pagine di maggiore approfondimento psicologico, come la grande aria di Aneka nell'atto II, nella quale vibra veramente un sincero slancio appassionato, ma senza che pur tuttavia ciò riesca a costituire Aneka in personaggio individualizzato, ché piuttosto in essa si estrinseca ed esemplifica la condizione della donna «beneducata» che sente fremere e prorompere in sé la vita e non sa resistervi e nell'abbandono lirico trova motivo di contrasto e di dramma, senza che a ciò vi siano giustificazioni esterne: sì che questo momento di verità resta isolato (e in fondo sorprendente anche per l'ascoltatore), ben presto ricondotto nell'alveo dei gioco delle convenzioni della commedia di società, nella quale - come è stato giustamente osservato - non si ride ma si sorride. Nessuna meraviglia quindi che i vani personaggi finiscano per essere «definiti» dai registri vocali: Karolina, soprano leggero, è vivace, sbarazzina, un po' frivola e civetta, ma intelligente e indipendente, vera e propria meneuse de jeu; Aneka, mezzosoprano, è piena di ritegno e di contegno, e nello stesso tempo appassionata e patetica; Laclislav Podhaisky, tenore leggero, è sospiroso, tenero, amoroso fedele e trepido; Mumial, basso buffo, è il tipo convenzionale dei paesano bonario e pacioccone, con le sue piccole manie e i suoi tics, ridicolo ma non troppo, qasi una riprova «per assurdo» che tutto va per il meglio nella migliore delle società possibili, che tutto è al suo posto, ben collocato, immutabile e fermo. Ed è indubbio che in Le due vedove Smetana sia riuscito a una rappresentazione felice, vivace, brillante, di questa «società», di questo ambiente.
Nel 1874 Smetana fu colpito dalla sordità e dovette abbandonare il suo posto di direttore dell'opera al Teatro Provvisorio. Iniziò per lui un lungo periodo (gli ultimi dieci anni di vita) di grandi amarezze e di gravissime ristrettezze finanziarie. Per circa due anni egli non pensa al teatro. La crisi non arresta tuttavia il suo impulso creativo. Tra il settembre 1874 e l'ottobre 1875 compone i primi quattro poemi sinfonici dei ciclo La mia patria. Era rimasto intanto in contatto con Eliska Krásnohorská per il libretto di Viola, l'opera tratta dalla Dodicesima notte di Shakespeare cui Smetana lavorò negli ultimi quattordici anni di vita, dal 1871 al 1884, senza mai andare al di là di una serie di frammenti. Fu la Kràsnohorská a far conoscere a Smetana le novelle dedicate ad episodi di vita nelle campagne della scrittrice Johanna Muzákovà, che si firmava con lo pseudonimo Karolina Svetlá. Fu ancora la Krásnohorskà a convincerlo a mettere in musica una di queste novelle,

Il bacio

e la stessa allestì il libretto sul quale Smetana cominciò a lavorare nel novembre 1875. L'opera fu presentata al Teatro Provvisorio il 7 novembre 1876, sotto la direzione di Adolf Cech, che era stato il fedele sostituto di Smetana durante la sua direzione dei teatro.
Il bacio riporta all'ambiente di villaggio della Sposa venduta ed ha anche innegabilmente qualcosa delle Due Vedove. Ma non è un'opera di ambiente, è un delicato racconto d'amore, fatto - come scrisse Rosa Newmarch - «di lacrime e di sorrisi». Anzitutto la partitura non è divisa in numeri. La scrittura è continua. La divisione in recitativi e arie risulterebbe arbitraria. Vi sono piuttosto una serie di scene ben caratterizzate e definite, di ampio respiro e di articolato sviluppo, che tra l'altro non si chiudono in sé stesse ma si aprono aile scene successive, e comunque mantengono una loro funzionalità anche quando sembrano estranee alla vicenda, come il coro dei contrabbandieri all'inizio dell'atto II che si rivela elemento essenziale per la definizione di quella magica atmosfera notturna, luminosa e vibrante, che aleggia su tutta l'opera come un contrappunto naturale alla non meno luminosa e vibrante magia dei sentimento d'amore. Tutta l'opera è immersa in un tessuto strumentale arioso e lucente, ricco di spazi e di sfumature, intenso e delicato. È su questa continuità lirica dello strumentale che trovano il fondamento per la loro definizione le figure dei due innamorati, le uniche che veramente contino come personaggi, l'ardente, focoso, impulsivo, ma generoso e appassionato, Lukás e la dolce, sognante, tenera ma ferma e ostinata Vendulka. È come se nei due personaggi l'amore trovasse la sua esplicazione dialettica, l'estrinsecazione delle sue contraddizioni, e nello stesso tempo l'evidenziata affermazione della sua unità nella varietà, in una molteplicità che è il segreto stesso della sua vitalità. Smetana canta l'amore con intensità e con compiutezza: e la tenerezza materna con cui Vendulka si piega sulla culla del bimbo di primo letto di Lukás testimonia proprio questa capacità di intendere e cantare l'amore nella tonalità delle sue manifestazioni umane. Il vero segreto della riuscita de Il bacio è quindi proprio nella sua omogeneità, che è funzione della sua continuità: un semplice racconto d'amore (le analogie con la Bisbetica domata di Shakespeare sono meramente apparenti e possono solo indurre in errore sulla natura dell'opera), con le pene e le gioie, le tenerezze e i ripicchi che sono di qualunque amore, un amore che in Lukás e Vendulka si traduce naturalmente in canto, in musica, senza pretese simboliche, senza «messaggi», ma con ingenua e spontanea verità, con sentita immedesimazione (e nella tornitura di una compostezza compositiva che la circoscrive e racchiude in racconto, ancor qui con naturalezza e semplicità di itinerari, svolgimenti e raccordi).
Non appena terminato Il bacio e mentre era in corso la composizione dei Quartetto in mi minore «Dalla mia vita», già Smetana era in contatto con la Krásnohorská per un nuovo libretto. La sua fedele collaboratrice gli proponeva il soggetto de

Il segreto,

vagamente ispirato a una favola di La Fontaine, in pratica sua autonoma invenzione, che lega insieme un ambiente familiare a Smetana per i suoi lunghi soggiorni presso il genero a Jabkenice e il gusto tipicamente romantico per il misterioso e il soprannaturale (il tesoro di frate Barnabà), come sfondo ad un tipico e tradizionale conflitto fra notabili di villaggio con l'altrettanto tradizionale amore contrastato fra giovani delle due famiglie. Smetana iniziò la composizione de Il segreto subito dopo aver terminato la seconda versione delle Due vedove. Il segreto andò in scena il 18 settembre 1878 al Nové eské Divadlo, sotto la direzione di Adolf Cech, ma non fu un grande successo. La critica ha del resto mantenuto le sue riserve su quest'opera nella quale la grandiosità dei mezzi messi in opera da Smetana non sembra rispondere alla relativa mancanza di peso del soggetto. Lo si avverte già dall'ouverture che è quasi un poema sinfonico a sé stante. Anche in Il segreto Smetana parte da due motivi fondamentali come cellule della struttura musicale di tutta l'opera: uno è il motivo del «segreto», una solenne progressione di ottave in tempo «largo», l'altro è il motivo di Kalina, di carattere discorsivo. Le trasformazioni cui questi motivi sono sottoposti sono assai ingegnose e rivelano una grande maestria contrappuntistica. Ma non riescono ad assicurare l'unità dell'opera che in definitiva non riesce a trovare una reale messa a fuoco. L'importanza essenziale dell'orchestra diviene a volte preponderanza, e in senso non espressivo, ma sinfonico, sì che all'impressione dell'integrazione nella continuità e nell'omogeneità (che aveva costituito la felice riuscita di Il bacio) si sostituisce quella dell'applicazione e della sovrapposizione.
I contatti con la Kràsnohorská per un nuovo libretto cominciarono poco dopo la prima rappresentazione di Il segreto, mentre era in corso la composizione dei due ultimi pannelli di La mia patria, Tabor e Blanik. Ancora una volta fu la Krásnohorská a suggerire il soggetto, tratto dalle leggende esistenti intorno alla fondazione dell'abbazia di Vyssy Brod. Originariamente intitolato Vok z Rozmberk, il libretto, col titolo definitivo Il muro del diavolo, non fu dapprima di completa soddisfazione per Smetana. In realtà, questi non aveva le idee molto chiare: in un primo tempo spinse la riluttante Kràsnohorskà a fare di un soggetto naturalmente fantastico un'opera comica, poi quando, finalmente, contro la propria stessa ispirazione, la Krásnohorská gli offrì una commedia, una vera e propria parodia dei soggetti romantico-cavallereschi con apparizioni diaboliche, Smetana cminciò a trattare il testo seriamente, così sottolineando l'assurdità di certe situazioni. I rimaneggiamenti furono tali e tanti che la pur fedele e paziente Krásnohorskà si stancò e, dopo aver messo in guardia il musicista dai pericoli cui andava incontro, gli abbandonò il libretto rifiutando ogni ulteriore collaborazione. Smetana proseguì imperterrito, accollandosi anche la parte di librettista per i rifacimenti. La composizione, iniziata nel 1879 e condotta avanti con difficoltà, nel progredire della malattia che l'avrebbe condotto alla pazzia, fu terminata il 17 aprile 1882. Nel giugno, su consiglio di alcuni amici, l'autore vi aggiunse l'introduzione strumentale al primo atto. La prima rappresentazione ebbe luogo il 29 ottobre al Nové eské Divadlo, direttore Adolf Cech. Non fu certamente un successo. Smetana rimase comunque ostinatamente convinto del valore della sua ultima opera, forse la più autobiografica di quelle da lui scritte, se è vero che nel personaggio del maturo Vok e nel suo sempre vivo amore per una fanciulla conosciuta e perduta in gioventù sono adombrati Smetana stesso e il ricordo della prima moglie, mentre nella figura di Hedvika, la giovane che salva e riscatta alla vita con il suo amore Vok, è probabilmente da vedersi l'aspirazione segreta di Smetana, afflitto da gravi difficoltà familiari per la rottura con la seconda moglie. Ma se questa è la verità, ancora più incomprensibile risulta l'ostinazione di Smetana nel non ascoltare i saggi, affettuosi consigli della Kràsnohorská. Non basta definire un'opera «comico-romantica» per assicurare l'unità tra una congerie di elementi che assolutamente non stanno insieme. Alla complessità dell'intreccio si aggiunge l'assoluta mancanza di unità della realizzazione. Le varie componenti stanno ognuna per conto proprio e l'opera va avanti come una serie di pagine staccate e indipendenti, alcune riuscite, altre no, e le prime sono decisamente in minoranza rispetto alle seconde, e afferiscono comunque, sempre, quelle parti dell'opera che - per stare all'indicazione dell'autore - potremmo definire «romantiche». I personaggi comici, sia il «diavolo» Rarach, sia il «cavaliere» Michálek sono decisamente indisponenti, fuori quadro, come se provenissero da un'altra opera.

*Shortly after the coronation, the opera company of Venetian Antonio Denzi arrived in Prague. It performed for ten years in the Prague theatre of Count Sporck; it gave some 50 musical-dramatic works, including the opera Praga Nascente da Libussa e Primislao (Prague, founded by the legendary Czech Princess Libuse and her husband Premysl).