RICCARDO MUTI A LUGANO CON
L'ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI

Per Riccardo Muti il direttore d'orchestra dovrebbe servire soltanto la musica e la composizione di cui si sta occupando: mai se stesso. "Se attira troppo l'attenzione su di sé con la sua tecnica e i suoi gesti, tradisce la musica invece di cercare di comunicare l'intimo contenuto dell'opera." L'orchestra diventa allora uno "strumento umano", il più grande degli strumenti musicali e il direttore è "il musicista più privilegiato perché è egli stesso che lo suona". Muti è uno dei pochi che sappiano farlo davvero, poiché non solo è dotato di una straordinaria capacità didattica, ma anche di quel misterioso carisma che egli definisce come una sorta di "elettricità che il direttore ha dentro e che riesce a trasmettere all'orchestra". La consapevolezza di questo "dono" elargito a pochi e la sua generosità spirituale che contraddistingue pochi altri suoi colleghi (penso ad Abbado, Barenboim, Boulez e Dudamel) lo hanno spinto a fondare nel 2004 un'orchestra giovanile che ha assunto il nome di un grande compositori italiano: Luigi Cherubini, di cui Muti è unanimemente riconosciuto come l'interprete più autorevole. Questa orchestra si è ben presto imposta all'attenzione del mondo musicale anche in sale leggendarie come il Musikverein di Vienna.

 

Venerdì sera, invitata dalla Cornèr Bank, la Cherubini si è esibita al Palazzo dei Congressi di Lugano sotto la direzione del suo fondatore Riccardo Muti.
In programma composizioni di Ciaikovskij, Stravinskij e Beethoven.
L'Ouverture-Fantasia Romeo e Giulietta inizia con il sommesso tema di Frate Lorenzo, un corale che rivela in nuce la cifra stilistica di gran parte della produzione musicale di Ciaikovskij, fondata su un compromesso tra lo stile occidentale e lo stile ortodosso russo. E in nuce l'intero gioiello sinfonico ha permesso a Muti di ribadire, ancora una volta, la cifra esegetica del suo modo di dirigere: da una parte la sua certosina cura del dettaglio (nel rispetto ostinato della partitura) che mai va a scapito della tensione narrativa dell'insieme; dall'altra la fluidità, la trasparenza del discorso musicale (senza quell'enfasi posticcia che non di rado snatura la vera essenza del linguaggio musicale di Ciaikovskij) che gli permette di evidenziare nitidamente i piani sonori della composizione. E ciò si palesa in sommo grado nello slancio melodico del tema dell'amore tra Romeo e Giulietta (Höhepunkt, ossia punto culminante, di tutto il brano).

L'Ouverture-Fantasia rappresenta una degna, ma soprattutto illuminante introduzione alla Suite nº 2 dall'Uccello di Fuoco di Stravinskij (eseguita per la prima volta a Morges nel 1919), vero e proprio banco di prova per tutte le orchestre sinfoniche. Solo con un'orchestra coesa e solida in tutti i settori come la Cherubini è possibile far scaturire le aspre e lussureggianti sonorità di questo capolavoro. Muti, consapevole della bravura del suo "strumento", esplora la partitura ricavandone con estrema naturalezza i timbri continuamente cangianti e la tessitura finissima che Strawinskij ottiene con combinazioni strumentali sempre nuove e funzionali alla rappresentazione musicale. Infallibile, poi, la resa dei forti contrasti e questo senza mai inseguire l'effetto plateale, bensì mettendo in risalto la loro dialettica e il loro valore narrativo. Non mi si fraintenda: "valore narrativo" per così dire "astratto", ossia in senso puramente musicale, senza necessariamente far riferimento alla fiaba che ha ispirato il compositore: "Perché non amare la musica in se stessa?" – scrisse Stravinskij stesso. "Perché non ammettere che la musica ha un valore intrinseco, indipendentemente da sentimenti e immagini che può evocare per analogia, e che possono solo falsare il giudizio dell’ascoltatore? La musica non ha bisogno di aiuto. Basta a se stessa."

Nella seconda parte del concerto, l'esecuzione della 5ª sinfonia di Beethoven, uno dei vertici assoluti nella storia della musica e nel contempo forse l'opera sinfonica più amata dal pubblico, è stata il corrusco coronamento della memorabile serata.
Berlioz riferì che durante un'esecuzione parigina nel 1834 il pubblico "in preda a una sorta di vertigine, coperse l'orchestra con le sue grida" e che "uno spasmo nervoso agitava tutta la sala".
Muti dirige questa sinfonia dalla struttura ferrea, ma nel contempo dalle innumerevoli sfaccettature, con piglio inesorabile regalando al pubblico un'interpretazione intensissima, elettrizzante, che fa ricordare le parole di E.T.A. Hoffmann: "il romanticismo che questa partitura esprime rivela l'infinito".

Il pubblico che affollava il Palazzo dei Congressi ha vissuto con intensa partecipazione la serata musicale, tributando un'ovazione agli orchestrali e al loro Maestro.

*

Ricordo che nel sito www.riccardomuti.ch che fa capo alla Cornèr Bank è possibile acquistare le illuminanti "lezioni concerto" del Maestro su CD e DVD.

COME MUTI SI AVVICINA ALLE NUOVE PARTITURE

"A un tratto mi viene l'idea di imparare una certa partitura, idea che si fissa nella mente prim'ancora che io cominci a prendere in mano l'opera. Poi, a un dato momento, vado nella mia biblioteca, tiro fuori l'opera e la lascio sul pianoforte ancora per qualche giorno, sempre continuando a occuparmi d'altro; ma mi serve da promemoria, mi ricorda che tra non molto dovrò cominciare ad affrontarla. So che potrà sembrare assurdo, ridicolo, folle. Ma è un po' come corteggiare una donna, o meglio come un tempo si usava corteggiare una donna [...]. Bene, questa fase del mio studio io la chiamo 'corteggiamento' rituale della partitura. Non voglio violarla o assalirla all'improvviso, ma accostarmici, piano piano...
Infine me la porto al pianoforte e la leggo tutta una prima volta, tanto per farmene un'idea, e da quel momento ha inizio lo studio reale, in profondità, durante il quale comincio a sentire come suona e ne analizzo la struttura, e questo prende molto, molto più tempo. Quanto, dipende dalla difficoltà dell'opera. Possono essere tre settimane o sei mesi o sei anni. Ma si continua a tornare a quella partitura, costantemente. La prendi, la lasci, torni a riprenderla in mano. Finalmente, avendola imparata più o meno a memoria e avendone ben chiara in mente la struttura e tutti i timbri strumentali, la fase dell'analisi mentale può dirsi terminata, così mi rimetto al piano con un'idea completa del suo suono già in mente, a sperimentare con vari timbri, o a tentare una gamma di diversi livelli d'intensità nelle parti dei fiati o degli ottoni. Sì, lo so che il pianoforte ha un timbro solo. I diversi timbri bisogna immaginarli nella mente, mentre si suona. Trovo che quest'ultima fase sigilli la mia immagine mentale della linea della partitura, e del suo flusso e riflusso."