WILLY LEOPOLD GUGGENHEIM

VARLIN

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VARLIN

AUTOBIOGRAFIA

1900

Il 16 marzo la luce del mondo mi vede per la prima volta. Nato pesce, con una sorella gemella, abito nel vicolo del sagittario, fino ai 50 squattrinato: questi 4 segni zodiacali formano i presupposti per la nascita d‘un futuro genio. Come neonato, avrò avuto l’aspetto che ha mia figlia nei miei quadri, pianti diabolici e relativi odori. Più tardi, i primi passi nello spazio, il frugare in profonde scatole, lo sparire dentro armadi bui, la scoperta della terza dimensione, ignorata dai moderni artisti bidimensionali. Quando avevo 12 anni, mio padre morì, 2 mesi prima mia sorella maggiore.

Trasloco con la famiglia a San Gallo. Su San Gallo non c’è niente da riferire, «A San Gallo fa sempre bel tempo». Scuola cantonale, Scuola professionale d’arti e mestieri, un apprendistato di 1½ anno presso la Ditta litografica Seitz. Lavoro con lastre di Senefeld di color pergamena-cadavere, anche al tatto fredde come cadaveri. Manet, Daumier, Gavarni, Toulouse-Lautrec e Steinlen dettero vita a questi cadaveri. Io, l‘apprendista, dovevo disegnare stupide scritture sulle pietre, por­tarle in stamperia e correggere gli errori con un pennello appuntito. Ricordo d‘aver pennellato, per giorni e giorni, il riflesso mal stampato nel pince-nez dell‘allora Presidente Woodrow Wilson (siamo alla fine della Prima Guerra Mondiale). Giurato di non fare mai più in vita mia una litografia; giuramento mantenuto con poche eccezioni.

1918

Approdo a Berlino. Scolaro di Orlik alla Staatliche Kunstgewerbeschule. In dialetto berlinese: «Sa disegnare a memoria un orecchio? Nessuno lo sa. Georg Grosz ha disegnato centinaia di orecchie per me. Vada una volta da Cassirer, lì sono esposti i primi «Zes Annes». Per me, è troppo nebuloso. Ma, come, ci lascia di già? E per dove? Per Parigi? Di Lei non so ancora oggi se è capace o incapace?»

1923

Parigi. Rimasto 11 anni. I miei alberghi, con e senza cimici: rue Tournefort, rue Vaugirard, rue Bourgeois, rue St. Jacques, rue Vercingétorix.

Entrato all’Académie Julian.

1926

La madre perde il patrimonio. Consapevolezza che l’arte non sfama, che bisogna guadagnare qualcosa. Entro nella Ditta Risacher, Faubourg Montmartre. Vengo nuovamente allontanato: «Vous n’êtes même pas capable de tailler un crayon! ». Faccio disegni per riviste umoristiche come «froufrou» e «Ric-rac». L‘aspetto osceno è più importante di quello estetico. Esposto al «Salon des Humoristes».

1929

Affittato un atelier in rue de Vanves. Un quadro di quel tempo, sul cavalletto. Un divano sul pavimento di cemento. Un grammofono «His Master’s Voice». Sullo sfondo, un miserabile spazzolino da denti in un bicchiere.

Sul quadro della stanza da letto di Van Gogh, ad Arles, le coperte son belle pulite, un asciugamano è ben piegato vicino al muro. Io non mi son tagliato l’orecchio.

1930

Trovo un biglietto sul vaso da notte: «On l’a couvert. Cela sentait trop mauvais». Firmato Leopold Zborovski. Quello che ha scoperto Modigliani e Soutine e che adesso ha messo gli occhi proprio su di me. Contratto con Zborovski.

Mi ha mostrato una fotografia che assomiglia a Zborovski; non era lui, bensì il ritratto di un rivoluzionario francese che aveva rovesciato la colonna Vendôme con Courbet. Zborovski trovava che non avrei mai potuto aver successo con quel nome da bravo borghese, Guggenheim, il nome di magnati americani d’arte e di grandi proprietari di scuderie parigini, per di più considerando che i miei quadri rappresentavano il mondo dei reietti. Così ricevetti non solo un nome, ma già da vivo una strada dedicatami a Parigi.

Zborovski mi prende in affitto uno studio nel padiglione la Ruche, dove hanno vissuto Archipenko, Soutine, Chagall e Léger.

Vissuto per 1 anno a Cros-de-Cagnes, nel Sud della Francia. Mostra alla Galleria Sloden, Faubourg St. Honoré. Dato il grande successo, prolungata.

1932

Muore Zborovski.

1933

Iniziano i 1000 anni di Hitler.

1935

Ritorno con madre e sorella al seno sicuro di Madre Elvezia. Affittiamo un appartamento di 3 locali alla Seestrasse, a Wollishofen, pensando di lasciarlo entro breve tempo, ci rimaniamo 35 anni. Per 2 anni utilizzato l‘appartamento come studio. L’arredamento in stile Ensor , la credenza finto Rinascimento, il pianoforte nero con i candelieri in stile Liberty. Sul comò il cervo intagliato da Brienz, i vasi giapponesi macchiati di colore. Il tappeto persiano pidocchioso, una volta portato nel cortile e posto sulla stanga, sbattendolo causa un’eclisse solare. Una lettera dell‘amministrazione dell’immobile: «Se continuate a sbattere tappeti di quel tipo, vi sfrattiamo.»

 

1936

Affittato un atelier al «Venedigli», una casa pronta per la demolizione, senza ringhiera delle scale, con cartone incollato al posto dei vetri. Con me ci abitano i pittori Leo Leuppi, il danese Olsen, Gusti Vogt, lo scultore Louis Conne, gli scultori, prematuramente scomparsi, Hans Hippele e Meinrad Marti.

I nostri balli affissi sui muri, famosi in tutta la città DI GANA DU, (vuol dire: «die ganze Nacht durch; per tutta la notte»). Una volta un potenziale acquirente scomparve per sempre quando trovò davanti alla mia porta due occhi di vitello destinati al cane dell‘amministratore.

1937

Protestato con Righini, a quel tempo il papa dell‘arte, per non aver ricevuto la borsa di studio federale, benché avessi mandato un bel nudo di schiena visto da dietro. Righini: «Non ho mai visto un nudo di schiena dal davanti».

L‘anno successivo e per i due anni successivi ricevo la borsa di studio federale.

Demolizione del «Venedigli». Affitto, come atelier, una stanza contadinesca, buia come il ventre d‘una mucca.

L’arte, quando non si possiede nulla, di contentarsi delle gioie più primitive, per esempio: lasciarsi scappare una saponetta nella vasca e riprenderla, spellare una salsiccia, dare una zolletta di zucchero a un cavallo di Welti-Furrer.

1939

Con il pittore basilese Wiemken faccio un viaggio in Alsazia. Lui mi propone di mostrare alcuni quadri a Georg Schmidt, il curatore del Kunstmuseum di Basilea. Dopo aver visto i quadri, Schmidt domanda: «Dipinge già da tempo?».

Scoppia la Seconda Guerra Mondiale.

1940

Nell‘atmosfera «voletevi tutti bene» di quegli anni, esistevano solo Hodler, Amiet e altri quadri di paesaggi alpini e di gerani. Tutto questo generò in me una sensazione di «Kipfer-Gfeller-Rindlisbacher-Chüechli».

1941

Vengo chiamato a scuola reclute a Uster. Visti i ripetuti ordini di marcia prendo a calci i mobili. Durante l‘oscuramento butto dalla finestra chiusa il «Konversationslexikon» di Meyer. Non faccio più niente. Bighellono nella Langstrasse, trascorro i pomeriggi al cinema Roland. Non dipingendo più, basta per 3 pacchetti di Gauloises al giorno. Per mia fortuna finalmente trovo una buona compagnia, frequento un parigino della legione straniera e un vallesano, che già solo per questo motivo era superiore a me, poiché conosceva un penitenziario, da me dipinto, anche dall‘interno. Una volta attorno a mezzogiorno, mentre il droghiere mi stava imbottigliando, in fondo al suo negozio, del bianco in polvere, i due scoprono la loro predilezione per «Chanel e Coty-Oh dö Cologne». Con agilità inimitabile per chi non ha esperienza i due si intascano i prodotti. Ho ancora oggi lo spavento in corpo. Mia madre si consulta con uno psichiatra.

1942

Max Eichenberger diventa critico del «Tat».

1943

Affitto un’enorme serra al Türler-Gut nella Beethovenstrasse; irriscaldabile in inverno.

2 famosi collezionisti d’arte nel mio atelier: il dott. Mayenfisch e il signor Bär. Vivendo ritirato, ignorante nei confronti delle celebrità zurighesi, non bado ai nomi, li chiamo Meyerbeer, Wolf o Fuchs. Di nuovo niente.

Compare un nuovo fanatico d’arte, di nome Sopraterra. Mi sostiene, ciò vuol dire, lui crede di sostenere se stesso con la mia arte. Controllo settimanale, formando con indice e pollice un anello davanti all’occhio, due passi indietro: «Contini così!»

La serra viene demolita.

Eichenberger inaugura una mostra di Varlin nella Galleria Aktuaryus dal seguente titolo: «Shakespeare o Charlie Chaplin?»

1944

Manuel Gasser scrive la prima critica su di me nella «Weltwoche». Titolo: «È un bluff o di più?».

Vinco un concorso bandito dalla città (tema: città di Zurigo) con un dipinto dell‘Ospedale Cantonale. I critici di quel tempo: «Signor Presidente, Lei appenderebbe un quadro simile nel Suo salotto?». Sul «Zürcher Nachrichten»: «Dipinge caserme sghembe. Deprimente pittore di grigi».

Espongo alla Galleria Moos sul Limmatquai. Sul «Zürcher Nachrichten»: «Adesso è colorato, peccato che non abbia più i suoi bei grigi».

Con mia madre e mia sorella mi trasferisco al Castello Goldenberg, una villa oscura a Feldbach. Un dipinto di quei tempi: mia madre in cucina, mentre sorveglia topi e ratti.

Mia madre: «Lo sguardo del fittavolo non mi piace per niente».

Il fittavolo: «Nella stanza dove Lei dipinge s‘è sparato il banchiere Reichlin. Nel salotto s‘è impiccata la ballerina Lucrezia. E il principe Starenberg, chissà che fine ha fatto? Si dice che sia annegato nel lago.» - Belle aspettative!

Le poesie di Eichenberger mi salvarono la vita. Una sera lui stesso le legge in mia presenza, nella sede d‘una corporazione zurighese. Perdo l‘ultimo treno per Feldbach. Quella stessa notte il soffitto crolla sul mio letto.

1945

Termina la Seconda Guerra Mondiale.

Viaggio in Italia. Soggiorno a Parma, ammiro Corregio, il Mozart della pittura italiana.

 

1946

Non avevo nemmeno più un atelier. Cosa fare? Niente: non potevo farci niente. Torno a dipingere nell‘appartamento di mia madre. Se Cézanne aveva scritto che si sentiva il più grande pittore di Francia e Gauguin il più grande del mondo, allora io non ero nemmeno il più grande pittore del quartiere di Wollishofen, perchè ci viveva la pittrice Gret Niggli, specializzata in genziane.

1948

Dall’amministrazione municipale ricevo un atelier, un padiglione rococò nel Beckenhofgut. Lì per 8 anni divieto di bisogni corporali, perché il cesso era alla fine del parco ed era chiuso di notte. Per lavarmi e sciacquare i pennelli, una fontanella davanti all’atelier. Franca Giovanoli compare nell’atelier come modella, s’informa prima su di me, scopre che sono innocuo, che sono principalmente specializzato nel dipingere ombrelli.

1951

Esposizione al Kunstmuseum di Lucerna con Max Gubler.

1952

Muore la mia cara madre.

1953

Scopro la mia simpatia per domestiche e sguattere, come Baudelaire, che nell‘amore le preferiva alle duchesse. Come prima compare Brigitte, la serva di contadini bernese, scappata; viene alloggiata nel padiglione. Capisco subito lo sbaglio di Baudelaire. All’approccio mi dice: «Vattene, sciocco, stupidotto!». Nel padiglione viene istallato un angolo-cottura. Altri stralci della sua conversazione: «Porta il colaticcio, chiudi la porta, altrimenti vengono altri a mangiare.» L’anticipazione del «Biedermann e Hotz» di Frisch si avvicina a grandi passi. Brigitte scompare nelle nebbie autunnali. Le succede la sguattera italiana Livia. Durante il Carnevale lascia un cappotto di nylon sopra il fornello. L‘interno del padiglione brucia in preda alle fiamme. Avete mai visto un padiglione rococò stuccato di bianco diventare nero come una galleria? 40 quadri inceneriti, altri hanno l’aspetto alla «Rem Brand». Non sono assicurato. La mattina dopo al Buffet della stazione: «Livia, che danno mi hai fatto!» – «Hai sempre da brontolare».

1954

Arnold Rüdlinger inaugura la mia esposizione alla Kunsthalle di Berna.

1956

Soggiorno a Venezia. In sei mesi sono salito sui 400 ponti con scalini e ho visto tant‘acqua che mi son dovuto arrendere all‘alcool. Porto con me, a Zurigo, un soldato della Marina disoccupato. Ho un maggiordomo, ma solo per poco tempo; lui fa la corte alla figlia d‘un consigliere nazionale e la Polizia degli stranieri lo fa espatriare. Viaggi in Inghilterra, Spagna e Marocco.

1958

Esposizione nel Kunstmuseum di San Gallo, la inaugura Georg Schmidt. Le prefazioni nelcatalogo sono di Manuel Gasser e Max Frisch.

1960

Biennale di Venezia. Premio Guggenheim.

Ora, sessantenne, posso esporre anche al Kunsthaus di Zurigo. Grande folla. Si tratta di dare un‘occhiata a un cinico «ritrattista e pittore d‘aneddoti». Solo un certo signor Blass di Zumikon compra un quadro, anzi, tre quadri. Lodato sia il brav‘uomo! Manuel Gasser mi dedica un intero numero della rivista «DU». Anche la città di Zurigo si fa generosa: mi dà uno studio chiaro-scuro nel Neumarkt, è ombreggiato da alberi verde-insalata. Mi dipingo da maggiolino.

Ella la sarta si sistema nel retrostanza dell’atelier. Per due anni dipingo sulle orme di Degas, dipingo la sarta, la donna delle pulizie.

1963

Sposo Franca.

1964

Harry Szeemann mi espone alla Galleria Municipale di Bienne. Prefazione nel catalogo di Hugo Loetscher.

1966

Col tempo scopro il masochismo degli intellettuali che vengono a farsi ritrarre da me. Il loro piacere per il male altrui mi porta sempre nuove raccomandazioni, a Frisch segue ben presto Dürrenmatt, infine Anna Indermaur, che si trova una compagna in madre Zumsteg della Kronenhalle. L‘Associazione che tutela i danneggiati da Varlin annovera nomi sempre più illustri. Menziono solo l‘apostolo della pace Daetwyler, il Sindaco della città di Zurigo, avvocati di brevetti e di altra sorta, il dott. Willy Staehelin, il pediatra Fanconi e il professor Corbetta di Chiavenna, lo scrittore Hugo Loetscher, l‘attore Ernst Schröder, il grande fotografo francese Cartier-Bresson. E, via via, altri nomi illustri. Si vede che le cose vanno bene.

1967

Una casa in campagna. Una bambinaia, naturalmente con il relativo bambino, una lavatrice, il Premio all’arte della città di Zurigo, una lavastoviglie, mia moglie con l’ostentata pelliccia d‘ocelot, una Fiat, le unghie sempre pulite e i pantaloni sempre in piega.

Come dice sempre la mia cara sorella gemella Erna: «Adesso sei completamente imborghesito, più in basso non puoi più cadere».


 

1968

Varlin soggiorna a Montreux-Territet. Espone alla Galleria Jolas-Galatea di Roma presentata da Giovanni Testori; nessun opera in mostra risulterà venduta.

1969

Soggiorna per tre mesi all'Albergo Chelsea di New York. Percorre giornalmente una trentina di chilometri, attraversano tutta la città e appuntandosi su un taccuino alcuni schizzi. L'artista, premiato dalla Città di Zurigo, riceve dal comune un appartamento nella Froscaugasse. Prepara delle litografie per un'edizione da bibliofili. In occasione del suo 70° compleanno.

1970

Compie un Viaggio a San Remo. Per la celebrazione del suo compleanno, la rivista “DU” gli dedica un intero numero, con contributi di vari amici. Esce la monografia di Hugo Loetscher. Ernst Scheidegger cura l'edizione per bibliofili, con una litogra-fia originale. Ludi Kessler, della televisione ticinese, gira un film sul maestro. Prima dell'inaugurazione della Mostra, alla Helmhaus di Zurigo, cui aveva rifiutato di partecipare, Varlin lacera le sue tele esposte contro la sua volontà, scatenando una vivace polemica sulla stampa.

1971

Definitivo addio allo studio di Zurigo.

1972

Lunghi preparativi per una esposizione a Milano, Heinz Dichman, della seconda rete televisiva tedesca, gira un film su Varlin. Dopo la messa in onda. molti curiosi fanno un pellegrinaggio a Bondo per conoscere personalmente il pittore. Sulla porta dello studio, però, trovano solo un cartello: “Chiuso per ferie”.

1974

Con i bambini di Bondo Varlin compie una gita scolastica a Zurigo, facendo loro da guida. Muore la cagna Zita.

Nell'autunno subito un intervento chirurgico.

1975

Espone a Vaduz, nel Lichtenstein, insieme a Max Bill, Hans Erni e Ferdinand Gehr e l'erdinand Gehr. Fa seguito al vernisage un ricevimento al Castello. Espone alla galleria Scheregger di Zurigo.

1976

Col patrocinio del Comune dì Milano e per iniziativa di Giovanni Testori si apre, in primavera, alla Rotonda di via Befana, una grande mostra di 59 quadri, dal 1967 al 1976. La prefazione, in catalogo e dello stesso Testori e risulta "talmente scandalosa" da costringere l'assessore a prendere garbatamente le distanze.

In seguito all'aggravarsi della malattia Varlin viene ricoverato all'Ospedale di Bondo.

1977

Il 30 ottobre muore nella sua casa di Bondo. Quello stesso giorno giunge la notizia che gli è stato conferito dalla città di Firenze il Premio "II Fiorino". Le esequie, nel piccolo cimitero del paese. Govanni Testori e Friedrich Dürrenmatt leggono gli elogi funebri.

Varlin scrisse questa autobiografia per il catalogo della mostra alla Kunsthalle di Basilea nel 1967. Le notizie biografiche posteriori a questa data sono redatte dai curatori della mostra.

Dal catalogo Silvana editoriale - FONTE WEB: CPL