DIAVOLO


Personaggio comune a tutte le tradizioni religiose, popolari e letterarie, nelle quali appare sotto diversi nomi: Diavolo, Demonio, Lucifero, Satana, Belzebù, Mefistofele, e anche soltanto il Nemico, il Maligno, ecc. - Diavolo, Demonio sono entrambi vocaboli greci ai quali il Cristianesimo ha dato un senso nuovo; tanto che nella identificazione del primo vocabolo col secondo, e nella loro trasformazione è segnata la storia dell'evoluzione dell'idea del male, passando dal mondo greco-romano a quello cristiano. Il Greco conosce veramente il Demonio ma non il Diavolo. Il Demonio non è se non una forma inferiore di divinità dotata di un potere superiore a quello dell'uomo, ma che serve all'uomo stesso, quasi tramite tra lui e le divinità superiori: si ricordi il dèmone che dava utili consigli a Socrate. Solo il popolo ebreo crea il concetto che sarà personificato nel Diavolo, nel significato greco-cristiano del vocabolo.*

* Nel "Vecchio Testamento", la prima menzione del Demonio è nella primissima pagina della Bibbia: il primo capitolo del Genesi narra la tentazione di Eva da parte del Serpente. Altra menzione famosa è nel libro di Giobbe nel quale è chiamato per la prima volta Satana, che il greco traduce con [...] e vale istigatore, avversario piuttosto fraudolento che non violento. Saul era tormentato e tratto al male dallo "spirito cattivo" (I Samuele, XVI, 14-15). Qualche altro ricordo di Satana è nei libri del "Vecchio Testamento"; ma rado, e sempre vago. A Satana è ascritta una tentazione di Davide (I Paral., XXI, 1). Il profeta Zaccaria (Zach., III, 1-2) vede Satana. Nel libro di Tobia è dato il nome d'un demonio, Asmodeo, ed è narrata la sua opera nefasta. Non pare possano considerarsi demoni quei "figli di Dio" che si univano con le donne (Genesi, VI, 2); ma l'apocrifo libro di Enoch (II-I sec. a. C.) su questo passo costruì un vasto mito che ebbe in seguito straordinaria fortuna. In realtà, mentre i libri canonici del "Vecchio Testamento" sono molto sobri circa il Demonio, tutt'altro che sobri sono i libri apocrifi. Oltre all'apocrifo citato, può vedersi il libro dei Giubilei. Da codesti apocrifi nacque tutta una letteratura sul Demonio, che dominò per secoli. L'Ebreo ellenizzato Filone risentì, in proposito, della sua cultura greca; e il suo concetto del Demonio è metà ebraico e metà ellenistico. I Vangeli sinottici riproducono, sul Demonio, parole numerose e nettissime di Cristo: i demoni son detti da Gesù esseri reali, facenti parte d'un regno governato da Satana; superiori per natura agli uomini, ma interessati agli uomini, che essi tentano e tormentano allo scopo di farli peccare come essi peccarono e punire come essi sono puniti: unirli insomma alla loro sorte, ascriverli al loro regno, sottraendoli al regno di Dio. Gli Atti degli Apostoli descrivono la primitiva Chiesa la quale, in proposito, segue la dottrina e la prassi di Gesù circa i demoni, la loro natura, la loro azione. Nelle Epistole di san Paolo, il quadro si amplia e si precisa in modo prodigioso: la redenzione operata da Gesù (né venne in terra per altro, Gesù) non è se non un riscatto degli uomini dalla signoria a cui Satana li aveva assoggettati sin dall'attimo della tentazione di Eva. Per primo san Paolo ha definito la storia dell'uomo come il conflitto tra Dio e Satana che vogliono l'uno salvare, l'altro perdere gli uomini, in questa vita breve e poi nell'altra eterna. San Paolo, che pure disse tanto sull'opera del Demonio, disse pochissimo sulla sua natura. San Giovanni precisa di più, tanto sulla natura, quanto sull'opera: e dimostra la vita stessa di Gesù insidiata dal Diavolo, e la storia umana (l'Apocalisse) come opera, per ciò che è male, del Diavolo. I Padri cosiddetti Apostolici restano nell'ambito degli scritti citati del "Nuovo Testamento", salvo piccole aggiunte. Non così gli apologisti, i quali, debitori per tanta parte alla cultura contemporanea, mutuarono in misura eccessiva concezioni e particolari dai libri apocrifi giudaici e dalla tradizione greca. Gli Gnostici crearono in proposito innumerevoli e indescrivibili fantasie mitiche. Una teologia (degna di questo nome) circa il Demonio si suol far cominciare da Origene, il quale respinse i dati degli apocrifi, e inaugurò la dottrina che poi dominerà nella Chiesa (salvo alcuni particolari, come la redenzione finale di essi, che Origene sosteneva). Alla fine dei primi cinque secoli cristiani codesta dottrina può dirsi già formata nelle sue linee essenziali: i demoni sono spiriti senza corpo; furono creati da Dio come esseri buoni, ma da Dio prevaricarono per orgoglio, capitanati dal loro condottiero, Lucifero. La loro defezione accadde prima della creazione dell'uomo, e li portò lontani da Dio per tutta l'eternità, nella dannazione. Combattono Dio nel cuore degli uomini. Siffatta dottrina era ormai comune e prevalente al sec. VI d.C.; sino al sec. XI poco si accrebbe e precisò; nella Scolastica invece - così nella prima Scolastica dei secc. XII e XIII, come nella cosiddetta seconda Scolastica dei secc. XVI e XVII - fu riaffermata, meglio elaborata e portata a quella cristallizzazione che è oggi nell'insegnamento e nel sentimento cattolico. G.D.L.

* Nella tradizione popolare medievale, il Diavolo, distinto coi nomi più diversi (Lucifero, Satana, Belzebù, ecc.), apparendo come capo supremo di una gerarchia, espone i piani generali della lotta, mentre i suoi dipendenti ne attuano il disegno secondo le loro capacità personali, il che implica un'individualità anche nei diavoli minori. Qui assume importanza anche l'aspetto fisico del Diavolo: è brutto, orribile, terrificante e ripugnante; così almeno attestano tutti quelli che l'hanno veduto, e sono moltissimi, come sono molti quelli che l'hanno dipinto più o meno dal vero. Tra quelli che l'hanno visto ci sono anche santi e teologi, come Lutero, che lo scorgeva perfino nella sua cella disturbare le sue meditazioni, perché il Diavolo è anche dispettoso. Ma i veri familiari del Diavolo, quelli che ne hanno dato le notizie più precise, sono gli stregoni. Il Medioevo non solo ha conosciuto le "messe del Diavolo", cioè le profane parodie della liturgia, ma ha creato la credenza nei "patti col Diavolo". (La continuità delle tradizioni della messa nera dal Medioevo ai tempi moderni sarebbe un fatto accertato secondo J. K. Huysmans, che in un suo celebre libro, Laggiù [Là-bas], dà tutta una serie di satanisti quali Gilles de Rais, l'abate Guibourg, ecc. Diverso per altro sarebbe stato il rito, ché nel Medioevo avrebbe servito da altare il sedere della donna, nel Seicento il ventre, ecc.). Il Diavolo si è accorto dell'infinito divario tra ciò che l'uomo cerca in terra e ciò che Dio promette nell'altra vita, e astuto com'è, ne ha approfittato, insinuando nell'uomo l'idea che un bene certo, per piccolo che sia, val più di un bene grande, ma incerto e lontano. I beni che il Diavolo promette sono caduchi, ma rispondono alla nostra natura e alle nostre passioni: il piacere dell'intelletto, il piacere della carne, il piacere della potenza e delle ricchezze. Per questo corrono a lui gli uomini sempre più numerosi; dalle donnicciole "che lasciaron l'ago, la spola, il fuso e fecersi indovine" fino al dottor Faust. Il Diavolo partecipa il suo potere ai suoi adepti, pur che questi lo paghino con un valore che l'uomo trova in se stesso nascendo, e che non gli costa nulla: l'anima. Il baratto non è poi difficile. Quando si tratta di personaggi secondari che desiderano acquistare a prezzo dell'anima il potere della stregoneria, la scena si svolge collettivamente davanti al Diavolo, che per lo più appare in forma di caprone nella profondità della notte montana. Per tenere più strette a sé le vittime, che Dio potrebbe all'ultimo momento sottrargli, egli assume un aspetto virile, tiene commercio con le streghe e genera da esse anche dei figli, lasciando ai teologi la spiegazione della possibilità di un simile fatto. Quando si tratta invece di uomini importanti come il dottor Faust la scena resta individuale, perde il carattere pittoresco per assumere quello legale. Il patto viene steso con precisione notarile, specificando i termini fino nei particolari, la firma viene sottoscritta col sangue della vittima. Se il Diavolo ricorre a tante formalità, ha le sue ragioni, perché sa per esperienza che Dio non abbandona l'uomo e che "una lacrimetta" può sempre salvarlo in punto di morte. Il motivo del patto col Diavolo si fissò nella Leggenda di Teofilo che nel Cinquecento si fuse e penetrò in tutte le letterature d'Europa. Teofilo, maggiordomo d'un vescovo a Adana in Cilicia (la storia è fatta risalire al VI sec.), declina per modestia l'offerta della dignità vescovile alla morte del vescovo; il nuovo vescovo, a cui Teofilo è calunniato, lo priva del posto; per ricuperarlo, egli ricorre all'aiuto di un mago ebreo che gli fissa un appuntamento col Diavolo; questi esige da Teofilo un documento solenne in cui promette di abbandonare l'anima e di rinnegare Cristo e la Vergine; il giorno dopo il vescovo reintegra Teofilo nella sua posizione; ma dopo sette anni di vita sregolata, Teofilo si pente, e per quaranta giorni e quaranta notti implora la Vergine, che finalmente intercede presso il Figlio, ottiene dal Diavolo la fatale pergamena del patto e fa che Teofilo se la trovi sul petto al suo risveglio; egli la brucia, fa pubblica confessione della sua penitenza e del miracolo, e muore in pace, ottenendo perfino d'esser messo nel novero dei santi come Teofilo il Penitente. La storia di Teofilo fu tradotta nel IX sec. dal greco in latino da Paolo Diacono; Vincenzo di Beauvais la incluse nel suo Speculum Historiale (v. Specchio maggiore) e Jacopo da Varagine nella Leggenda aurea; la monaca Rosvita (X sec.) la trattò nel poemetto latino: Lapsus et conversio Theophili vicedomini (v. Poemetti agiografici), in Francia ricevette forma drammatica (Miracolo di Teofilo, v., di Rutebeuf), e penetrò anche nelle letterature inglese e spagnola; una sua variante è la leggenda di Militarius (trattata da Gotefridus Thenesis). Il motivo del patto col Diavolo fu pure introdotto nella leggenda medievale di san Cipriano, che Calderón de la Barca scelse a soggetto del suo Mago dei prodigi. Cipriano ricorre al Diavolo per piegare alle sue voglie la bella Giustina, ma costei frustra le tentazioni invocando Dio; Cipriano allora non vuol più avere a che fare col debole Diavolo, e si converte soffrendo il martirio con Giustina sotto Diocleziano. Come nel Faust del Goethe, il Diavolo di Calderón non è capace di adempiere esattamente ai patti, e perde la partita. La leggenda del patto col Diavolo s'attaccò a molti personaggi storici; tra i filosofi e gli scienziati che avrebbero venduto l'anima al diavolo si nominarono Socrate, Apollonio di Tiana, Apuleio, Ruggero Bacone, Raimondo Lullo, Scaligero, Cornelio Agrippa, Paracelso, Nostradamo, Serveto, Giordano Bruno, Galileo. Nel Seicento, Cagliostro fu sospettato di intesa coi poteri infernali. Anche papi furono sospettati di tale patto, specialmente Gerberto (Silvestro II), secondo vari testi medievali (per esempio Gesta Regum di Guglielmo di Malmesbury). Gerberto, come Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone, fu riputato inventore d'una testa magica d'ottone (motivo trattato da Robert Greene in Frate Bacone e Frate Bungay, v.). Il mito di Faust è la versione più nota della leggenda del patto col Diavolo. Nell'epoca romantica codesta leggenda fu spesso fonte d'ispirazione; così nei "romanzi neri", Il monaco di M. G. Lewis, Melmoth l'errante di Charles Robert Maturin, Le memorie del Diavolo di Frédéric Soulié. L'idea delle "memorie del Diavolo" ispirò pure parecchi scrittori, prima di tutti forse Jean Paul Richter (1787, Scelta dalle carte del Diavolo). Nel Diavolo zoppo, Lesage aveva introdotto, a scopo di satira, un personaggio che grazie al suo sapere universale poteva mettere al corrente di tutte le vicende, i misteri e le ipocrisie dell'umanità. Bisogna riconoscere che, sebbene il Diavolo sia "padre di menzogna" i suoi patti li mantiene meglio dell'uomo. Ma l'uomo, essendo simile a Dio, vuole sempre avere ragione, ed è capace di intentare anche dei "processi al Diavolo" come quelli di cui parla il giureconsulto Bartolo di Sassoferrato nel suo Trattato della questione ventilata innanzi al Signore Gesù Cristo tra la Vergine Maria dall'una parte e il Diavolo dall'altra. Con una simile avversaria è naturale che il Diavolo abbia spesso la peggio, anche se legalmente ha ragione, e allora viene a trovarsi anch'egli nella condizione di vittima dell'ingiustizia di un essere che, perché più forte di lui, gli strappa il premio meritato. Come ogni vittima, anche il Diavolo può così ispirare, sia pure attraverso il ridicolo, un po'di compassione. Infine il Diavolo è costretto a fare il male come un condannato ai lavori forzati. Santa Teresa aveva compassione del Diavolo perché non poteva amare. Così dal concetto del "povero diavolo" si potrà gradatamente passare a quello di "buon diavolo". Queste però sono complicazioni che verranno sfruttate come motivo letterario nell'Ottocento. Si può affermare che col sec. XVI la figura e l'idea del Diavolo ha ricevuto tutti gli sviluppi possibili, così nella tradizione popolare come nella teologia. Se il Seicento è, sotto un certo aspetto, una ripresa dello spirito medievale e quindi delle credenze nel Diavolo, esso segna semplicemente una ripetizione di vecchi motivi. Ormai il mito religioso-artistico del Diavolo stava esaurendosi. Del resto non si può negare che la ricchezza di questo mito è fatta più di elementi esterni che intimi, si estende più in superficie che in profondità. Il pensatore cristiano infatti diventa profondo psicologo del male solo quando lascia nell'ombra il mito di Satana e studia il male nell'animo stesso dell'uomo. Per questo, quando si sviluppa il razionalismo critico come nel Settecento, constatiamo che diminuisce l'interesse vivo per il Diavolo. La figura del Diavolo non interessa più le classi colte, la Chiesa stessa non vi insiste, i sacerdoti colti, gli abati scettici evitano di parlarne, al massimo può essere sfruttata come materia d'arguzia letteraria. La stessa discussione intorno alle streghe, che per la prima volta in questo secolo viene affrontata con piena coscienza storica e psicologica, è la riprova della morte del Diavolo. Anche il Marchese De Sade, ch'è comunemente ritenuto un satanista, presenta una figura piena di contraddizioni. Da un lato rifiuta credenza alla religione tradizionale; dall'altro si diletta a descrivere orgie sataniche, messe nere, "orrori" perpetrati colle ostie consacrate. La risposta del De Sade è che la voluttà deriva dal pensiero dell'orrore che quegli atti provocano nei credenti; egli, ateo, godrebbe insomma della tortura morale inflitta al credente. Sicché, pur rimanendo un ateo materialista, il De Sade immagina personaggi satanici come Saint-Fond. Per Huysmans il sadismo sarebbe necessariamente un "bastardo del Cattolicismo", presupporrebbe una religione da violare; sadismo e Cattolicismo diventarono, nella letteratura decadente francese della seconda metà dell'Ottoccento, i due poli tra cui oscillavano le anime di scrittori nevrotici e sensuali; sulle loro orme si misero anche scrittori d'altri paesi (per esempio Ramón del Valle-Inclán, Divine parole, ecc.). Naturalmente l'attività artistica in genere, e quella letteraria in ispecie, hanno trovato nel mito del Diavolo una materia assai abbondante d'ispirazione. La pittura e la scultura sacre cercarono di rappresentare il Diavolo all'occhio atterrito dei fedeli. Dal grottesco terrificante si passa a poco a poco a figurazioni cupamente solenni e grandiose; da Giotto all'Arena di Padova, a Simone Martini e all'Orcagna in Santa Maria Novella, a Luca Signorelli nel Duomo d'Orvieto fino alla Cappella Sistina di Michelangelo. Nelle rappresentazioni grottesche e terrifiche del Diavolo rimasero insuperati gli artisti nordici (Pieter Bruegel, Hieronymus Bosch). La letteratura naturalmente presenta un'elaborazione più varia e più complessa. Qui non troviamo solo la descrizione del suo aspetto personale e di quello del suo regno, ma anche il dramma dei suoi rapporti con l'anima dell'uomo. Si comincia colle descrizioni generiche del regno infernale, come la Visione di Tundalo (v.) e La Babilonia infernale (v.) di Giacomino da Verona per arrivare all'"Inferno" dantesco, dove veramente i diavoli in genere non hanno grandissima importanza; li troviamo solo come custodi violenti e stizzosi della città di Dite e poi come guardiani dei barattieri, non privi di una selvaggia comicità rissosa; e poi come vincitori nello strappare l'anima di Guido da Montefeltro (v.) a san Francesco, e come vinti, nel cedere quella di Buonconte (v.). Più terribilmente spaventosa e gigantesca la figurazione dell'"imperador del doloroso regno", di Lucifero dalle tre teste e dalle sei ali che, ventilando gelide, provocano la diaccia che serra i traditori. Egli è, sì, genericamente il superbo, ma è qui essenzialmente il traditore del suo Creatore. Comunque Dante rimane ligio alla tradizione medievale: la sua concezione del Diavolo non supera affatto quella popolare. A maggior ragione dicasi delle Sacre Rappresentazioni, dove però non si celebrano solo le sue vittorie, ma anche le sue sconfitte, che permettono di vedere il Diavolo in un aspetto comico che lo avvicina all'uomo, come avviene in molte novelle folcloristiche destinate a sopravvivere nel popolo fino ai nostri giorni. Questo conferma che nel Diavolo non si nasconde un concetto filosofico, ma piuttosto una vivente personalità individuale che tende ad assumere un aspetto sempre più simile a quello dell'uomo. Questa personalità del Diavolo tende a manifestarsi specialmente nella letteratura del Rinascimento, quando è trattata da uomini che hanno perso la semplice ingenuità medievale. La descrizione che il Folengo (v. Baldo) fa del Diavolo è semplicemente grottesca; comico più che grottesco è lo Scarapino del Boiardo (v. Orlando innamorato); più complessa la figura dell'Astarotte (v.) del Pulci, perché non si presenta come semplice elemento decorativo-comico (v. Morgante maggiore), ma cela una pensosità che tradisce nel poeta una viva preoccupazione di problemi filosofici e religiosi. Astarotte è un buon diavolo servizievole, ma è anche dotto e ama le discussioni di carattere religioso, come quelle intorno alla salvazione delle anime, discussioni nelle quali la Chiesa ha sentito odore ereticale. Semplice buon diavolo è il Belfagor (v.) del Machiavelli, servizievole, e che pure finisce gabbato. Solo col Plutone tassesco la figurazione del Diavolo riassume un'"orrida maestà nel fiero aspetto". Non manca nel suo discorso solennità e fierezza di vinto che si sente grande anche nella sconfitta, come quando ricorda nostalgicamente l'epicità della pugna: "Quando di ferro e d'alte fiamme cinti - Pugnammo già contro il celeste Impero". Il Tasso si accontenta di un vago accenno alla grandezza nella sconfitta ("Rimase a noi d'invitto ardir la gloria"), ma è un cenno prezioso come indice di un sentimento nuovo, ignoto al Medioevo, il sentimento della propria grandezza individuale, che troviamo solo nel Capaneo (v.) dantesco, che però è un uomo. Il Rinascimento, sviluppando il concetto della individualità, doveva portare a questa trasfigurazione della figura di Satana, il grande vinto, e dal vinto al ribelle la metamorfosi non è impossibile. Ma il Tasso personalmente non sente velleità di concezioni irreligiose, e meno ancora prova di queste velleità il Milton, un protestante che con tanta solenne serietà cerca di sviluppare poesia epica dal mito del Paradiso perduto (v.). Un nuovo elemento alla concezione di Satana fu aggiunto da G. B. Marino che nella Strage degli innocenti v.), ricalcando con qualche esagerazione il Satana del Tasso, insinua negli occhi del mostro la mestizia, laddove il Tasso aveva parlato solo di "terrore e morte". Il Satana del Marino è mesto perché prima di tutto sente d'essere un angelo caduto: il poeta insiste su questo aspetto prometeico di Satana, sulla bellezza del suo essere d'un tempo. Questo aspetto di Satana impressionò Milton che aveva letto la Strage degli innocenti nella versione fattane da Richard Crashaw (1612-49). Col Milton Satana assume definitivamente un aspetto di decaduta bellezza, di splendore offuscato da mestizia e da morte; egli è "maestoso pur tra la rovina". La bellezza maledetta diventa così un attributo permanente di Satana in cui il Milton vedeva un esempio di energia eroica, e non già perché il poeta fosse "del partito del Demonio senza saperlo", come ebbe a dichiarare William Blake (1757-1827) nel Matrimonio del cielo e dell'inferno (v.), ma perché, poeta, non poteva non dare una potente caratterizzazione del male, e, ciò facendo, non poteva non creare un essere che facesse appello alla fantasia. La poesia vince la mano al Milton: un Lucifero come quello di Dante, ficcato immobile in mezzo alla terra, non può ricevere un aspetto epico, ma se un poeta sviluppa il mito di Lucifero come protagonista in un poema solenne, la figura stessa del Diavolo deve necessariamente assurgere all'altezza dell'epica; così il Milton alla fine nobilita il suo Satana-Lucifero con la grandiosità stessa del compito che gli fa assumere, e la serietà con la quale egli cerca di condurlo a effetto. Non altrettanto invece si può dire del Diavolo (Mefistofele) nella Tragica storia del dottor Faust del Marlowe, dove risentiamo ancora lo spirito medievale e la tradizione cristiana dell'uomo conteso tra l'Angelo custode (bene) e il Demonio (male), con la vittoria finale di quest'ultimo. Se nel Faust del Marlowe non manca, secondo lo spirito stesso della leggenda popolare, l'influsso del Rinascimento che vede nel dotto il mago che desidera scoprire e padroneggiare i segreti della natura per una sempre maggior pienezza di vita e di piacere, però lo spirito che anima la tragedia e la sua cupa soluzione sono pur sempre un riflesso medievale. Ci avviciniamo invece di più allo spirito scettico e comico del Settecento colla leggenda del Diavolo zoppo del Lesage, o addirittura col Diavolo in amore (v.) del Cazotte, dove non sopravvive che il gioco dell'agile fantasia letteraria. Il Faust del Goethe si eleva solitario, e storicamente sta a sé. La leggenda su cui si fonda è un precedente meramente cronologico, e non genetico; il Faust è veramente una creazione personale del poeta. Non bisogna però sforzarsi di vedere in essa più filosofia di quella che c'è. L'Illuminismo qui non si trova veramente rispecchiato; il lato drammatico e poetico del Faust è ancora l'amore; è l'amore che veramente redime e genera la fede che salva, mentre la scienza da sola può dannare. Faust è il protagonista; non Mefistofele. Se la scienza può rivelarsi come una forza che nega, l'amore è sempre una forza che afferma. Però la vera diabolicità del mito cristiano nel Mefistofele di Goethe è ormai esaurita, mentre nel Marlowe essa vige ancora intera, e per questo trionfa mentre in Goethe è vinta. Il Boito invece, romantico, intitolerà il suo dramma Mefistofele (v.) e non Faust, perché il Romanticismo ottocentesco amerà tornare fantasticamente a concezioni e a miti medievali, e s'illuderà di conservare lo spirito popolare ricostruendolo con dottrina soverchia perché possa conservare il suo aroma di ingenuità. L'Ottocento segna veramente una ripresa letteraria di motivi satanici con spirito affatto nuovo e assai più complesso di tutti i precedenti. Variazioni di un tema sentimentale, sono nel Dèmone (v.) di Lermontov, in cui il Diavolo appare ancora innamorato, ma seriamente, di una fanciulla mortale. Così un tema che nel Rinascimento era sceso al livello della grossolana oscenità delle streghe, viene ora elevato a tragedia sentimentale. Ma più interessante è un altro aspetto svolto dal Romanticismo, quello del Diavolo creatore del male, che lotta con dignità d'angelo decaduto, ma pur sempre di principe delle tenebre. È il Diavolo dei decadenti, dei poeti maledetti, che amano drappeggiare il loro fastidio della piccola vita mediocre e borghese nella fosca grandezza del respinto dal Dio borghese. Lucifero acquista qualcosa del superuomo fulminato; è il titano vinto, in cui risorge lo spirito di Prometeo. Il Byron si può considerare il creatore di questa nuova interpretazione di Lucifero, evidente in ispecie nel dramma Caino (v.), dove non solo si svolge il relativismo del concetto di bene e di male (il bene è la causa del vincitore, il male è la causa del vinto), ma Lucifero spesso è presentato come colui che fu colpito per aver avuto compassione dell'uomo, compassione però non ispirata a un senso di pietà, troppo basso sentimento per Lucifero, che è il bel tenebroso, individualista come tutti i grandi. Si riattacca in parte a questa concezione quella del Baudelaire che si rivolge a Satana come "al più bello e al più grande degli angeli" caduto vittima della gelosia divina, perché abbia pietà della "grande infelicità del poeta"; perché solo Satana, il vinto, può avere pietà di quell'altro vinto che è l'uomo, e non Dio chiuso nella sua inaccessibile vittoria. Più ottimistica la concezione di Victor Hugo nel poemetto La fine di Satana. Per l'Hugo l'antinomia Dio-Diavolo, cioè bene e male in eterna opposizione, deve gradatamente diminuire, e non può diminuire che per opera della redenzione del bene sul male. Mentre Satana è sprofondato nell'abisso, una piuma staccatasi da lui diventa, sotto un raggio dell'occhio divino, l'angelo Libertà. E Satana da ultimo sarà salvo per il bene recato agli uomini dall'angelo sua figlia. La fede democratica di Victor Hugo si ripresenta nell'Éloa vigniana (v. Poemi antichi e moderni): Satana, seducente di colori byroniani e prebaudelairiani, trascina nell'abisso l'angelo Éloa, tratta dalla sua pietà pel Caduto. Per la stessa pietà di lei, che piange per tutti i dannati, si spietrerà il cuore di Satana, che salirà al cielo, e l'Inferno, il male, non esisteranno più: questo doveva raccontare il progettato Satan sauvé, a compimento di Éloa e del pensiero vigniano. Così deve finire Satana, tornato a Dio, per il maggior bene della stessa umanità, che non sarà più dilaniata dal tragico conflitto. Sviluppa invece un motivo più decisamente polemico la concezione poetica Rapisardi-Carducci, che è come il frutto maturo in cui si condensa tutta la filosofia che dall'Illuminismo dell'ode montiana Al Signor di Montgolfier (v.) giunge fino al positivismo della seconda metà dell'Ottocento (un precedente di questa concezione può trovarsi nel Matrimonio del cielo e dell'inferno, del Blake, pel quale il Male dell'etica e della religione tradizionali si identifica con l'elemento attivo, con l'Energia, la Fantasia creatrice, mentre il Bene dei sacerdoti e dei moralisti è l'elemento passivo che obbedisce alla Ragione). Il concetto di Dio, fusosi intimamente con quello di religione cristiana, e quest'ultimo concretatosi in quello di Chiesa cattolica, non poteva, specialmente nei popoli latini, non subire il contraccolpo che la storia della Chiesa doveva subire nel sec. XIX, il secolo della libertà di pensiero, della critica e della scienza. La Chiesa aveva considerato queste aspirazioni: scienza, filosofia, critica, amore alla libertà politica, come aspirazioni diaboliche, e allora per reazione Satana riacquista tutto lo splendore di Lucifero, la cui etimologia (portatore di luce) è già una profezia di rinnovamento; il secolo, che aveva ereditato la passione dell'Illuminismo, sente in lui rivivere il mito del greco Prometeo (v.), il datore del fuoco all'uomo, l'incatenato dalla rabbia di Giove sul Caucaso. Se lo Shelley canta la liberazione di Prometeo (v. Prometeo liberato), il Rapisardi canta il trionfo di Lucifero su Dio. Troviamo in questo poema Lucifero (v.), il Diavolo innamorato come nel Lermontov, l'offerta di una redenzione da parte di Dio come nell'Hugo, il trionfo finale di Lucifero come nel Carducci. Lucifero, l'eroe della luce, visita Prometeo sul Caucaso e gli promette vendetta; egli sarà l'esecutore della condanna storica contro il Dio creatore della superstizione e della malvagità degli uomini, che sparirà vinto davanti alla luce del pensiero e della scienza. A Prometeo, Lucifero spiega la sua essenza e il suo significato. Egli era stato a suo tempo l'unico angelo non soddisfatto della felicità celeste, insipida e inerte; egli era lo "spirito inquieto", più che lo spirito negatore, la cui negazione del resto era la necessaria protesta senza la quale la vita finirebbe nell'inerzia del dogma: "Di strane opre, di voli, - Di turbini, di ebbrezze, e di battaglie - Tal m'invase un desio, che sfere ed astri - Corsi, cercai sempre inquieto". Egli non è pago di esistere, vuol sapere il perché. "Chi m'ha fatto così?" chiede a Dio; ma Dio invece di dare spiegazioni lo fulmina; "Io caddi né pugnai già. - Sentii ch'era più grande - De lo sdegno di Dio la mia caduta". Egli ora non personifica già l'odio, anzi l'amore; ma l'amore è passione, è moto, è lotta, è dubbio, è critica, è progresso. I pavidi e i servili videro in lui tutte le forme del male, egli incurante proseguì la sua lotta contro il vincitore, che continuava a giudicare riprovevole. "La sitibonda brama - D'ogni saper, frutto vietato il vero, - Colpa il voler, la libertà delitto, - E allora, o allor, superbamente il dico, - Menzogna error colpa e delitto io fui". Siamo davanti a una inversione di valori. "O solenni cadute, o gloriose - Sconfitte a cui libera vita io deggio: - Ricordando mi esalta". Lucifero è sceso dall'inutile cielo, è venuto sulla terra per vivere con l'uomo, a cui si sente più affine. "Con l'uom piansi ed amai; scrissi col sangue - Le sue vittorie". Ma appunto per liberare l'uomo egli assale Dio e lo vince, lo dissipa, ed eliminato così il trascendente, torna sul Caucaso per dare la nuova della liberazione a Prometeo: "Levati - disse - il gran tiranno è spento". Non diverso concetto riassume in forma più concisa il Carducci nell'Inno A Satana (v.). Satana è l'eterno ribelle, l'avversario di ogni trascendenza spiritualistica e d'ogni costrizione dogmatica. "Materia inalzati: - Satana ha vinto!". Egli è la forza vitale in tutte le sue manifestazioni, dalla bellezza femminile all'audacia del pensiero, alla forza della ribellione contro il tiranno; è la scienza e il progresso che corre la terra col "bello ed orribile mostro"; egli è degno degli incensi e dei voti, come colui che "Ha vinto il Geova - Dei sacerdoti". In conclusione due cose sono da notare in questa palingenesi catartica di Lucifero-Satana. Anzitutto l'aver voluto personificare il male, invece di considerarlo unicamente nella sua realtà concettuale, non solo ha reso possibile una interpretazione più poetica che filosofica del male, ma ha fatto sì che essendo il male diventato creatura individuale, si è avvicinato alla natura dell'uomo, mentre Dio è rimasto a infinita distanza. Il Cristianesimo col mito di Cristo ha cercato di togliere questa pericolosa distanza tra il Creatore e la creatura, ma Cristo è subito tornato in cielo, invece sulla terra è rimasto Lucifero, per partecipare intimamente alla storia dell'uomo; questa intimità alla fine ha creato una specie di simpatia, quella simpatia che si stabilisce fra i subordinati di fronte all'unico padrone. Quando poi coll'Illuminismo comincia a chiarirsi criticamente il relativismo del concetto di bene e di male, si predispongono i germi della futura trasfigurazione-redenzione di Lucifero. Si pensi alla orgogliosa esaltazione che il Monti fa dell'ardire umano: "Che più ti resta? Infrangere - Anche alla morte il telo, - E della vita il nettare - Libar con Giove in cielo". Si pensi a Lessing che scopre come la verità ferma e immobile sia solo di Dio, e che sia proprio dell'uomo solo lo sforzo e la ricerca, in modo che ciò che poteva sembrare una deficienza della mente umana si rivela come la sua caratteristica e il suo canto; si pensi al Kant, che pone la ragione dell'individuo al centro della realtà, (è un kantiano G. B. Ehrard, che scrisse l'Apologia del Diavolo - saggio sulla natura del bene e del male), si pensi allo Hegel che nel contrasto fra tesi e antitesi scopre la legge dialettica che governa la realtà la quale nella sua stessa continua mutabilità, esprime la sua essenza eterna: e si vedrà che tutti questi sono naturali precedenti che dovevano logicamente condurre alla concezione del Lucifero ottocentesco. L'essenza della vita è dunque nel dubbio, nel contrasto e nella lotta; non esiste il male in sé come realtà assoluta di fronte al bene; "Il bene e il male son le foglie alterne - D'un ramoscello, e il saggio non discerne - Il ver dal falso, l'un dall'altro lato" (D'Annunzio). Se Dio è la tesi, Lucifero è la sua necessaria antitesi: se per secoli la tesi ha celebrato il suo trionfo, è venuto il momento del trionfo dell'antitesi; dopo il tempo di Giove viene quello di Prometeo liberato (Shelley), dopo quello di Geova viene quello di Lucifero (Rapisardi), insieme a quello del Superuomo (Nietzsche). Nuovo, diverso sapore ha la figurazione di Lucifero, ironicamente scettico, rassegnato, nella Rivolta degli angeli (v.) di Anatole France, degnissimo di essere ricordato anche per la finzione genialmente felice in cui è introdotto a recare la sua disincantata saggezza. A.S.N.

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