C. COLOMBO

CENNI STORICI SUL PERSONAGGIO E LE OPERE

La vicenda di Faust è genuinamente tedesca e si situa nel XVI. secolo. Il primo Volksbuch, anonimo, fu pubblicato a Francoforte nel 1587 presso l’editore Spieß. Racconta la storia di un erudito che stringe un patto con il diavolo per ottenere conoscenza e potere al di là dei limiti stabiliti dalle facoltà umane. Questo motivo è ricorrente nel periodo tra il Medioevo e l’Età moderna, soprattutto all’interno della scienza alchimistica, che si può far nascere con la figura di Simon Mago [1]. È testimonianza della prima crisi del dogmatismo cristiano e dell’avvento della scienza nuova (Paracelso, Nostradamus, Bacone, Galileo). Occultismo, alchimia, magia sono le forme in cui spesso si manifesta il desiderio di autonomia nella conoscenza e di libertà nell’indagine della natura.

In questo senso, Faust [2] è rappresentante sintomatico di questa epoca in crisi: sue caratteristiche sono la sete insaziabile di conoscenza, lo spirito di avventura testimoniato dai viaggi, la versatilità degli interessi, la passione per il dominio sulla natura (alchimia), il ricorso alla magia come strumento per sfruttare le forze arcane della natura. Faust non vuole ricchezza e piacere soltanto, egli si propone di indagare gli elementi (er hat sich "fürgenommen, die Elementa zu spekulieren", cap. 6): "Dem trachtet er Tag und Nacht nach, nahme an sich Adlerflügel, wollte alle Grund am Himmel und Erden erforschen ..." (cap. 2)3.

Attraverso l’ipotesi del patto con il diavolo, tutto quanto non è conforme ai precetti cristiani viene attribuito all’opera del maligno, come nel caso della caccia agli eretici e alle streghe. L’anticonformismo e la diversità suscitano sospetto e generano forme violente di repressione. Tuttavia, è vero anche il contrario: la trasgressione e il trasgressore alimentano i sogni di evasione del lettore comune, il suo desiderio di trascendere i limiti umani, di realizzare desideri impossibili.

Si pone così contemporaneamente, in forma estremamente concreta e dinamica, l’eterno problema del conflitto tra il bene e il male, tra Dio e il demonio per l’anima dell’uomo, rappresentativo della divisione tragica tra sensualità e morale, autorealizzazione e solidarietà. Il patto è uno scambio: si baratta la salvezza dell’anima, cioè della parte divina dell’uomo, con beni terreni quali il potere, sesso incluso, l’onore, la ricchezza, il sapere, il successo. La scelta del male, il tradimento di Dio comportano la dannazione. Con l’evolversi dell’età moderna, questa interpretazione del patto diabolico subirà una sostanziale modifica: il male, se considerato sotto la prospettiva delle motivazioni e non degli effetti, può rivelarsi un prodotto del bene.

Il Volksbuch del 1587, Historia von D. Johann Fausten, è un prodotto manifesto di questa età di passaggio, mescolando la fede medioevale nel demonio con lo spirito scientifico, la condanna della vita mondana con il gusto dell’avventura e dello scherzo, la magia e la ragione come fonti di conoscenza. L’autore, luterano piuttosto bigotto, intendeva illustrare il temibile destino di chi disprezza gli insegnamenti della religione cristiana. Inteso come monito, il suo libro lascia involontariamente affiorare il significato rivoluzionario della figura faustiana. Gli stimoli di Faust non sono materiali, istintuali: egli desidera conoscere e indagare tutti gli elementi del cielo e della terra, disperandosi per i limiti conoscitivi suoi e dell’uomo in generale. E’ questo il motivo che lo spinge ad affidarsi al demonio. L’autore condanna la curiositas come hybris, tuttavia egli stesso infarcisce il suo libro di notizie di tutti i generi, veri compendi dello scibile umano: è vittima del medesimo vizio di Faust.

La tematica dell’uomo moderno, della sua volontà di tutto indagare e tutto conoscere era nell’aria, incarnata nelle figure di Erasmo, che cerca di coniugare spirito della Riforma e spirito umanistico, e ancor più di Paracelso, la cui sete di sapere conserva ancora un carattere esplicitamente religioso. Riconoscere l’armonia dell’universo significa riprodurre il pensiero e il disegno di Dio. Per Paracelso, la dottrina cristiana è la "luce della grazia"; esiste però anche una "luce della natura", una seconda rivelazione divina, che l’uomo può attingere studiando la realtà con i sensi e con la mente4. Questa posizione extradogmatica viene ritenuta eretica e diabolica, poiché intende superare i limiti dell’uomo attraverso l’indagine della realtà contingente. Di Paracelso si diceva che avesse un diavolo per compagno. I tratti fantastici sovrapposti alle due figure storiche di Helmstätter e di Paracelso, uniti alle caratteristiche trasgressive dell’uomo moderno, che pure ambedue in maniera diversa incarnavano, contribuirono a far nascere la figura immaginaria e pur così fecondamente rappresentativa del destino umano che sarà il Faust e in particolare quello goethiano.

Col progredire dell’età moderna, la condanna del patto diabolico viene rimessa in discussione da posizioni antropocentriche: l’impulso conoscitivo, che assume connotazioni eroiche, riscatta l’empietà dell’atto in sé. Faust, da personaggio popolaresco in bilico fra tragedia e farsa5, viene a incarnare lo spirito individuale moderno, inquieto e in perenne ricerca di una verità ulteriore, autonomo, indipendente, libero. La questione del valore della conoscenza umana è ben viva già nel XVI. e XVII. secolo. Ficino, Paracelso, Bruno, Keplero, Leibniz desiderano come Faust conoscere "il mondo, che cos’è | che lo connette nell’intimo" (382 s.), senza ritenere empio questo loro bisogno. Chiamano questa conoscenza pansofia, ritengono che tutti gli elementi del cosmo organici e inorganici, materiali e spirituali, macroscopici e microscopici influiscano gli uni sugli altri e siano collegati da una segreta armonia, corrispondente al disegno divino dell’universo. La comprensione (pseudo)scientifica del mondo è la nuova strada della conoscenza di Dio. Con l’avvento della Goethezeit, l’attenzione si sposta dall’atto conoscitivo all’io conoscente, che viene tematizzato nel Faust come oggetto della creazione poetica.

Nel XVI. secolo, in Germania non esisteva una tradizione letteraria nobile in lingua tedesca: la letteratura erudita era scritta in latino, quella popolare in tedesco. La tradizione del Faust subisce una evoluzione particolare. Grazie al passaggio in Gran Bretagna, il Volksbuch originario rientrerà in Germania trasformato in opera drammatica dal genio di Marlowe, sviluppando una tradizione parallela a quella in prosa attraverso la volgarizzazione della tragedia inglese. La rielaborazione di Marlowe mette in risalto il titanismo del personaggio, introducendo il monologo iniziale con il rifiuto dell’erudizione a favore della magia. La tensione drammatica dell’opera si costruisce sull’ambivalenza morale tra la condanna dell’empietà e l’ammirazione per la prometeica grandezza di Faust, la cui temerarietà e i cui appetiti mondani assumono grandezza tragica per il loro sfrenato eccesso, che culmina nel desiderio di emulare Dio.

Mentre i Volksbücher, accanto a un moralismo più o meno accentuato, conservano tutti in qualche misura il tema pansofista dell’ansia conoscitiva, le versioni per il teatro e per le marionette6, che più o meno indirettamente fanno capo alla tragedia di Marlowe, attenuano la tematica del titanismo e danno ampio spazio agli aspetti farseschi della vicenda, pure presenti nella tragedia inglese oltre che nei Volksbücher.

Il tema dell’erudito assetato di conoscenza non poteva non attrarre gli spiriti dell’illuminismo, un’epoca che aveva posto il problema gnoseologico al centro del proprio pensiero. La volontà di conoscere tutto lo scibile non poteva essere condannata, poiché rappresentava uno dei tratti connaturali dell’uomo7. La ricerca della verità è un valore positivo sempre, anche quando induce all’errore. In questa prospettiva Lessing, famoso per le sue Rettungen (riabilitazioni), nel frammento D. Faust8 reinterpreta questa controversa figura presentandolo come un giovane saggio, perfettamente sereno e privo di passioni, dedito soltanto alla contemplazione, la cui unica debolezza è una sete inestinguibile di conoscenza. E tanto basta per offrire al demonio l’occasione per sedurlo: "... dann ist er mein, und auf immer mein, und sicherer mein, als bei jeder andern Leidenschaft9!". Infatti dice Lessing nel frammento faustiano "Troppa sete di conoscenza è un errore; e da un errore possono nascere tutti i vizi, se si perde la misura nell’abbandonarvisi".

In Lessing per primo, Faust è assunto a pietra di paragone del valore dell’uomo in una scommessa tra Dio e il diavolo. Il male tuttavia non può trionfare, poiché "la divinità non ha concesso all’uomo il più nobile degli istinti per dannarlo in eterno10". L’avidità di conoscere non è in sé empia, come voleva il luteranesimo ortodosso, diventa negativa quando intende uscire dai limiti umani, pretendendo di ottenere quella verità di cui all’uomo compete la ricerca, e non mai il possesso: "Non il possesso, ma la ricerca della verità espande le sue forze, e in questo soltanto consiste la sua perfezione sempre crescente. Il possesso rende inerti, pigri, superbi11". La chiave di lettura lessinghiana in cui traspare un Fortschrittsoptimismus sicuramente condiviso dall’amico Mendelssohn12 demonizza il possesso della verità in quanto sintomo di orgoglio, ma anche illusione che porta di fatto all’atrofia della tensione conoscitiva interiore da cui dipende il pregio della vita umana.

Il mito del patto con il diavolo rappresenta l’ossessione della perfettibilità, che porta a voler travalicare la condizione umana. Il desiderio di sapere rimane tuttavia l’istinto più nobile dell’uomo, proprio perché, nel profondo, nasce dalla coscienza sempre viva della propria inadeguatezza e dalla mai appagata aspirazione a superarsi. Di fatto, con Lessing la figura di Faust subisce un completo ribaltamento, che il goethiano Prologo in Cielo riassume nelle due parole con cui il Signore definisce Faust: "Il mio servo13". La tragedia di Goethe condivide con il frammento lessinghiano la riabilitazione di Faust, che tuttavia viene estesa ben al di là della sola sfera gnoseologica: la condizione umana consiste nel perenne errare. L’attività inesausta, il tentare continuo fanno l’uomo; la colpa peggiore consiste nell’inerzia e nell’autocompiacimento.

Faust si aggiunge così originariamente alla schiera dei Kraftkerle cari alla produzione letteraria dello Sturm und Drang14. L’Urfaust, infatti, nasce tra il 1773 e il 1775, quale espressione poetica catartica di due problematiche acutamente presenti nella vita del giovane Goethe il rapporto tra la conoscenza e la vita, ovvero tra contemplazione e azione, e l’amore15 riflesse rispettivamente nella Gelehrtentragödie e nella Gretchentragödie. Il problema del rapporto tra l’individuo e il cosmo, di cui l’uomo fa parte, ma che è insieme oggetto di conoscenza e teatro di azione, aveva già assunto forma poetica nelle due opposte e complementari figure di Prometeo e Ganimede. Il primo rappresenta l’aspetto titanico dell’io, che sente i limiti della propria condizione umana e individuale, ma è anche consapevole di poterli trascendere attraverso l’autonomia trasgressiva del proprio agire: questa concrezione della realtà intorno al nucleo del proprio io viene da Goethe definita SichVerselbsten. Ganimede, al contrario, trascende la propria individualità nell’unione con l’universo: la comunione con la natura stempera l’io nel tutto attraverso la spoliazione di sé, definita da Goethe SichEntselbstigen16.

Prometeo e Ganimede rimangono tuttavia delle figure simboliche, troppo lontane dalle esperienze quotidiane immediate che avevano generato in Goethe i travagli dello studioso che si chiede ragione del cosmo e del suo ordinamento, dell’uomo che cerca compimento nell’azione, dell’uomo che ama. La vicenda di Faust gli offriva la possibilità di affrontare insieme tutti questi aspetti della propria esperienza personale, che già avevano trovato espressione nelle odi, nelle liriche, nel Götz, nel Werther. Il Faust, che accompagna Goethe attraverso sessanta anni dal 1772 al 1832 è il bacino di raccolta delle esperienze e degli interessi di tutta una vita. In esso confluiscono tutti i vissuti di Goethe: le diverse epoche letterarie (illuminismo e rococò, Sturm und Drang, Klassik, Romantik); attività pratiche (amministrazione pubblica, direzione teatrale); studi scientifici (botanica, mineralogia, meteorologia, teoria dei colori); interessi filosofici (teologia, teosofia, pensiero magicomistico); studi filologici (mitologia classica).

Thomas Mann così commenta17: "Goethe ha attinto in fondo per tutta la sua vita alla fanciullezza, non fu un uomo di sempre nuovi tentativi e invenzioni: l’opera sua consiste essenzialmente nel riprendere e rielaborare concetti risalenti al primo periodo della sua vita e che egli ha portato con sé attraverso tanti lustri, riempiendoli di tutta la ricchezza della sua esistenza, sino a dar loro vastità universale. Il Faust, ad esempio, è, per la sua origine, una geniale farsa studentesca che si beffa di facoltà e di professori e tratta in versi popolareschi la dolce e sciagurata seduzione di una piccola borghese. Ma la forza germinante di quello schizzo giovanile fu tale e la fedeltà più semplice prodigatagli nell’ampliarlo fu così tenace, che col tempo ne poté sorgere un albero, il quale tutto sovrasta con la sua ombra, un poema rappresentativo insieme per il germanesimo e per l’umanità, un’opera che si apre come la Bibbia per vedervi espresso il verbo umano in forma consolatrice e possente". A questo giudizio, Mann premette una osservazione di Goethe a Eckermann: "Vi sono uomini eccellenti che non sanno far nulla improvvisando e superficialmente, ma la cui indole esige il compenetrare con calma e profondità ciò di cui comunque si occupano. Simili talenti suscitano spesso la nostra impazienza, giacché è raro che si ottenga da loro quello che al momento si desidera. E’ però per questa via che si compie il meglio". Altrove, Goethe parla del proprio talento poetico come di un istinto naturale18: "Ero ormai giunto a considerare il talento poetico in me totalmente natura, tanto più in quanto ero indotto a vedere la natura esterna come suo oggetto. L’esercizio di questo dono poetico poteva essere suscitato e indirizzato secondo le occasioni; nella maniera più gioiosa ed esuberante si manifestava tuttavia per istinto, se non addirittura contro la mia volontà".

La rielaborazione costante dei concetti e il processo istintivo della creazione poetica, sottratto quasi all’intervento consapevole dell’artista, trovano la loro conciliazione sul piano estetico, ove i contenuti della maturazione interiore si manifestano in forma poetica intuitiva e non speculativa astratta. A proposito del ‘messaggio’ espresso nel Faust, Goethe così commenta: "I tedeschi del resto sono persone proprio singolari! Con le loro idee e i loro pensieri profondi, che cercano ovunque e ovunque si inventano, si rendono la vita più complicata del dovuto. Ma abbiate una buona volta il coraggio di abbandonarvi alle sensazioni, di farvi divertire, commuovere, elevare ... Eccoli che arrivano a chiedere quale idea abbia voluto incarnare nel mio Faust. Come se potessi saperlo ed esprimerlo! ... Che il diavolo perda la scommessa e che un uomo, il quale nel suo gravoso errare non smette mai di tendere verso l’alto, debba essere salvato è senz’altro un nobile e fecondo pensiero, che qualcosa chiarisce, ma non è l’idea alla base del tutto né di ciascuna scena in particolare ... Il tentativo di incarnare qualcosa di astratto non è mai stato il mio costume di poeta. Il mio intimo accoglieva impressioni di carattere sensibile, ricche di vita, amabili, multicolori, di mille fogge diverse ... e io come poeta non dovevo far altro che tradurre in forma artistica compiuta queste intuizioni e impressioni19".

IL «FAUST» COME TRAGEDIA DELL’ESSERE UOMO

Con l’avvento dell’età moderna, la Riforma luterana, la scienza nuova, le scoperte geografiche scuotono le certezze fondate sul principio d’autorità: non esistono verità assolute al di là e a prescindere dall’uomo e dalla sua ragione20. Alla auctoritas subentra la curiositas. L’antroprocentrismo, l’autonomia dell’individuo e della sua ragione pongono il problema gnoseologico e morale con nuova urgenza. Il criticismo kantiano concentra l’interesse speculativo e pratico della ragione nelle famose tre domande: che cosa posso sapere, che cosa devo fare, che cosa posso sperare21, cercando di risolverle, sul piano speculativo e morale, attraverso leggi trascendentali pure che delimitano con rigore l’ambito di competenza della ragione e il canone della libertà.

Sebbene la figura di Faust storicamente preceda il criticismo, la tragedia di Goethe, almeno nella sua prima parte, cronologicamente si sviluppa in parallelo con esso e può essere interpretata in chiave antitetica rispetto al trascendentalismo. Faust è l’uomo che vuole sapere tutto, che vuole sperimentare e fare tutto, qui e ora: il teatro umano è quello terreno ed è in questo ambito che l’uomo mette in gioco la sua consapevolezza di essere immagine di Dio contro la compressione dell’io esercitata dalla sua condizione di creatura22. Goethe, nelle sue opere più diverse, ripetutamente torna su questa dicotomia ontologica che caratterizza la dimensione umana. Così, ad esempio, in Maximen und Reflexionen (1049): "Noi attribuiamo le circostanze della nostra vita talvolta a Dio, talvolta al demonio, e sbagliamo in entrambi i casi: l’enigma è racchiuso in noi stessi, che siamo parto di due mondi distinti". In Faust è rappresentata, nella trasfigurazione poetica, la dimensione eroica e insieme patetica (a volte anche spregevole)23 dell’uomo che intende vivere sino in fondo la contraddizione del proprio essere24.

A dispetto della redenzione finale, il Faust è definito da Goethe una tragedia, e di fatto il problema della umana esistenza è chiaramente posto in una prospettiva di irrisolvibile conflittualità. In una accezione più generale, tutta la vita terrena di Faust è tragica, in quanto segnata dalla sconfitta e dalla rovina, propria e altrui. L’erudito non ottiene la conoscenza che desidera; l’innamorato conduce la sua amata alla disperazione e quasi alla perdizione; l’avventura nel mondo dell’arte e della bellezza si conclude con la morte di Euphorion e la sparizione di Elena; il titanismo politico ed economico provoca la morte di persone innocenti ed è destinato a fallire, poiché il mare riconquisterà il terreno bonificato. Faust stesso finisce per essere vittima del proprio inutile attivismo: crede che i lavori procedano, mentre invece gli stanno scavando la fossa. Quando muore, Faust si è lasciato alle spalle un orribile carico di morti innocenti: Gretchen, la madre, il fratello, il bimbo, Euphorion, Filemone e Bauci, il Viandante.

Secondo la teoria letteraria, la tragedia richiede il coinvolgimento dell’eroe in conflitti insolubili, che lo rendono colpevole nonostante le intenzioni più elevate e pure. L’eroe è stretto nella impossibile scelta tra valori inconciliabili. In questo senso, è possibile dire che l’essere uomo rappresenta in sé una condizione tragica. La maturazione dell’io25 implica esperienze e quindi decisioni autonome e personali, che nel caso di Faust possono portare sino alla catastrofe. L’uomo, per la sua costituzione ontologica di essere in costante divenire, in forza di questa legge interiore continuamente si pone in situazioni conflittuali: è il suo agire a provocare la colpa, è la sua natura che lo porta a costantemente errare. Il suo essere uomo è insieme causa e giustificazione del peccato. La figura di Faust è posta come paradigma della condizione umana, in quanto si identifica con la sensibilità e le esperienze comuni degli uomini e insieme conserva l’insondabilità dello spirito individuale26.

L’incommensurabilità di Faust nasce dalla sua insofferenza genetica per i comuni limiti terreni. Goethe interpreta questa intolleranza come tratto tipico dello spirito moderno e, considerando la realizzazione della seconda parte del Faust, dichiara la necessità di "sollevarsi dalla precedente sfera meschina per accompagnare un tale uomo in regioni più elevate ponendolo in situazioni più degne di lui27". Nella visione complessiva dell’economia dell’opera, la prima parte del Faust viene a essere interpretata in chiave propedeutica rispetto alla seconda: il viaggio attraverso il "mondo piccolo" (Faust 2053) è una fase necessaria, ma transitoria, quasi un rito di passaggio da una vita circoscritta dalle passioni individuali a un "mondo più elevato, ampio, luminoso, meno segnato dalle passioni, e chi non sia stato un po’ in giro raccogliendo varie esperienze" conclude Goethe "non saprà cosa farsene28".

Dice Goethe in Wilhelm Meisters Lehrjahre: "Dovere dell’educatore è di non proteggere dall’errore, quanto piuttosto di guidare chi erra, lasciandogli assaporare il suo errore a sazietà; in questo consiste la sapienza del maestro29". Nella cornice del Faust, Goethe pare risolvere la colpa indissolubilmente legata alla libera attività dell’uomo in un ordine superiore: l’errore umano è sanato attraverso l’imperscrutabile presenza di un ente superiore che di fatto sancisce il divenire tragico dell’io, inteso da Goethe come entelechia immortale, ovvero essere che reca in sé fin dalla genesi il proprio télos, consistente in una attività inesausta. "Non vi è nulla di più triste a vedersi della tensione spontanea verso l’incondizionato in questo mondo del tutto contingente30". La personalità umana è dunque destino tragico, che spinge l’uomo eccezionale al compromesso con il male nella sua ansia dell’incondizionato. Faust è pronto "a sfere nuove di opere pure31", ma questo è possibile solo attraverso la morte (il suicidio meditato: cfr. Faust 690 ss.) oppure accettando il dolore e la colpa, poiché "erra l’uomo finché cerca32". Il paradosso tragico della vita è che l’uomo può giungere a Dio solo con l’intervento del demonio, invece che nonostante la sua presenza.

La tragedia di Faust reca tuttavia un messaggio consolatorio evidenziato dalla cornice celeste della vicenda, che come ormai acquisito le dà il carattere di Sacra Rappresentazione medievale nella forma, benché nei contenuti riveli una connotazione di sapore illuminista33. Il Prologo in Cielo e l’epilogo (Gole Montane), in cui il cielo discende sulla terra, inseriscono la storia di Faust in un superiore ordine cosmico trascendente, ove le umane contraddizioni sono risolte ab aeterno per opera della grazia34. In una lettera a Karl Ernst Schubarth, del 3.XI.1820, Goethe notava: "Avete presagito correttamente anche la fine. Mefistofele deve poter vincere la scommessa soltanto a metà, e se a Faust rimane metà della colpa, ecco che immediatamente subentra il diritto di grazia del vecchio signore, di modo che il tutto si concluda nella maniera più felice". Il Faust non presenta certo una storia esemplare, quanto piuttosto l’esempio della redenzione possibile di un uomo: "Ogni cosa che passa | è solo una figura35". Il destino di Faust è simbolo di un ordine cosmologico che non è strutturato secondo le categorie del giudizio morale36 cristiano, deista, kantiano che sia ma risponde piuttosto a un principio di polarità tra opposti valori la luce e le tenebre, lo spirito e la materia che costituisce il motore del divenire inesauribile del mondo e dell’uomo.
 

N O T E

1. Secondo la Sacra Scrittura (At 8,924), Simon Mago era solito sbalordire gli abitanti di Samaria con le sue arti magiche. Fu battezzato da Filippo, ma non abbandonò le sue pratiche, offrendosi di comprare il diritto di far discendere lo Spirito Santo imponendo le mani. Pietro lo maledisse e Simon Mago gli chiese perdono. La tradizione vuole che in seguito sia tornato alle sue pratiche magiche e abbia contribuito a promuovere l’eresia gnostica. Si spacciava per una divinità e portava con sé una donna di nome Elena, esaltandola come l’eterno feminino. Svetonio racconta che tentò il primo esperimento di volo davanti a Nerone, morendo nel tentativo. Il volo è un antichissimo topos per indicare lo sconfinamento, la trasgressione dei limiti umani con il ricorso alla magia. In Goethe nel Werther e anche in Faust (109099; cfr. anche Prologo in Cielo 28790) la metafora del volo è tema ricorrente. Il romanzo Recognationes (inizio dell’era cristiana), narrando la storia di Simone, detto "magus", e di Elena, a un certo punto ricorda come assumesse il nome Faustus in occasione di una fuga. Intorno al 1526, a Basilea, il Faust storico, avendo letto la ristampa allora in voga delle Recognationes, si spacciò per "Magus II, Faustus junior" e si fece seguire da una donna chiamata Elena. In Goethe, la figura di Elena compare già nella Cucina delle Streghe come immagine ideale della bellezza muliebre (2601: "das Muster aller Frauen"), che tuttavia si incarnerà nella dimessa Margherita, tale restando sino all’epilogo della tragedia, quando ella sarà intermediaria della salvezza di Faust. Il verso 2613 descrive Margherita con le stesse parole impiegate per Elena nel Volksbuch del 1587. Cfr. Th. Mann, Sul ‘Faust’ di Goethe, in: Nobiltà dello spirito. Saggi critici, Mondadori, Milano 1953, p. 209 ss.

2. Il Faust storico si chiamava in realtà Georg Helmstätter (14801540). Contemporaneo di Paracelso, studia magia, medicina, astrologia, alchimia, si guadagna da vivere girovagando per tutta l’Europa centroorientale e offrendo al pubblico trucchi e predizioni. Intorno alla sua persona ben presto si coagulano numerose dicerie che concorrono a trasformarlo in un personaggio paradigmatico, inquietantemente misterioso e ‘moderno’: evocazioni necromantiche (tra cui Elena), miracoli (cavalcata della botte nell’Auerbachs Keller di Lipsia), poteri magici al servizio dei potenti, patto con il diavolo.

3. A questo attende giorno e notte, vorrebbe avere le ali di un’aquila, per poter studiare tutte le cose del cielo e della terra."

4. Cfr. «Philosophia sagax», 1537.

5. Tra il 1587 e il 1725, il Volksbuch conosce altre quattro rielaborazioni e integrazioni. L’ultima versione, del 1725, è quella conosciuta da Goethe fin da bambino. Nel frattempo, entro la fine del XVI. secolo, la storia viene esportata in Inghilterra e drammatizzata da Christopher Marlowe (The Tragical History of Doctor Faustus, composta intorno al 1592, pubblicata nel 1604). La tragedia di Marlowe rientra quindi in Germania con le compagnie itineranti, in versione corrotta adattata al gusto popolare (effetti speciali, comicità farsesca attraverso azioni parallele). Goethe assiste alla tragedia nel 1768 a Francoforte e nel 1770 a Strasburgo. Da bambino aveva visto l’analoga versione per il teatro delle marionette. La tragedia di Marlowe, invece, la leggerà soltanto nel 1818.

6. La tradizione teatrale del Faust è, come quella del Volksbuch, molteplice e varia. Tuttavia, si sono conservate soltanto le versioni più tarde, della fine del ‘700, e non è dato stabilire quali fossero quelle conosciute da Goethe.

7. E’ impossibile non ricordare il famoso passo lessinghiano sulla verità e la sua ricerca: "Non la verità, che un uomo possieda o creda di possedere, bensì l’impegno sincero con cui si è adoperato per conseguirla costituisce il valore dell’uomo ... Se Dio tenesse chiusa nella destra tutta la verità e nella sinistra l’anelito soltanto, ma sempre vivo, verso di essa, seppure con la chiosa che sempre e in eterno sbaglierò, e mi dicesse: "Scegli", con umiltà gli prenderei la sinistra, dicendo: "Padre, dammi! La verità pura è soltanto cosa tua!" (Eine Duplik, 1778, in: G.E. Lessing, Werke, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1996, Bd. VIII,, p. 32 s.).

8. Scritto tra il 1755 e il 1758, pubblicato nel 17o Literaturbrief del 16 febbraio 1759. E’ da supporre che Goethe conoscesse questo frammento fin dalla adolescenza.

9.  Schreiben über Lessings verloren gegangenen Faust. Vom Hauptmann von Blankenburg, in: G.E. Lessing, cit., Bd. II. p. 779: "... allora è mio, e mio per sempre, con tanta maggior certezza che se si trattasse di qualsiasi altra passione!"

10. Cfr. G.E. Lessing, cit., Bd. II. p. 780.

11. Cfr. G.E. Lessing, cit., Bd. VIII., p. 33.

12. Come estimoniano p.e. il «Fedone» (1767), le «Anmerkungen zu Abbts freundschaftlicher Correspondenz» (1782), la «Jerusalem» (1783).

13. Faust 299. Le citazioni in italiano sono tratte dall’edizione Mondadori 19958, collana I Meridiani, con testo tedesco a fronte.

14. Il contesto tedesco, il titanismo, il conflitto tra erudizione e azione, la tematica sociale dell’amore proibito e dell’infanticidio non potevano mancare di attrarre gli «Stürmer und Dränger». Infatti, oltre a Goethe, Maler Friedrich Müller scriverà un dramma nel 177678 e Friedrich Maximilian Klinger un romanzo nel 1791.

15. È noto come l’abbandono di Friederike Brion fosse accompagnato da un profondo senso di colpa che trova riscontro in numerose opere di questo periodo, come ad esempio il «Goetz», «Clavigo», «Stella», l’«Urfaust», il Werther.

16. Cfr. i componimenti Prometheus e Ganymed, nonché Dichtung und Wahrheit, in: HA 9 (J.W. Goethe, Werke, Hamburger Ausgabe in 14 Bänden, München 1982), 353, 2224; HA 1, 46 s. e nota.

17.Cfr. Th. Mann, «Goethe esponente dell’età borghese» (1932), in: «Nobiltà dello spirito». Saggi critici, Mondadori, Milano 1953, p. 134.

18. Cfr. «Dichtung und Wahrheit», IV. Teil, XVI. Buch (HA 10, 80). È da notare come queste osservazioni furono scritte non prima del 1813 e rielaborate nel 183031; vanno dunque pensate non come la cronaca di una esperienza immediata, ma come il frutto di quel lavoro di compenetrazione rappresentativo di tutta l’opera di Goethe.

19. Cfr. J.P. Eckermann, Gespräche mit Goethe in den letzten Jahren seines Lebens, hrsg. von H.H. Houben, Wiesbaden 1975, 6.V.1827 (qui citato come Eckermann, seguito dalla data del colloquio ovvero dalla pagina del volume).

20. Come diceva Leonardo: «Chi disputa allegando l’autorità, non adopera lo ‘ngegno, ma più tosto la memoria».

21. Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, Dottrina trascendentale del metodo, cap. II., sez. II.

22. Cfr. la replica di Faust alla proposta di Mefisto di servirlo sulla terra in cambio dei servizi di Faust dopo la morte: "Dell’al di là poco m’importa. | Mandami a pezzi questo mondo | e poi l’altro potrà venir su. | Le mie gioie scaturiscono | da questa terra; il sole brilla | sui miei dolori. Se io mai dovrò | separarmene, capiti che può. | Non voglio più sentir discutere, | se nella vita futura si odi o si ami | o se anche in quelle sfere esistano | un di sopra o un di sotto" (Faust 166070).

23. Giustamente W. Keller nota: "Ogni interpretazione contemporanea del Faust deve includere una imparziale critica ideologica, poiché lo scetticismo nei confronti di tutto quanto può definirsi "faustiano" non può escludere il Faust di Goethe, che conserva sì il suo valore paradigmatico, ma quale protagonista di un dramma, che rientra nel genere della tragedia, perde qualsiasi tratto esemplare. ... Che Goethe l’abbia posto con estrema consapevolezza tra Prometeo e Lucifero non è sfuggito alla critica più attenta; che la sua figura non tolleri di essere eroicizzata è un’osservazione già fatta a suo tempo da Luden e Schubarth, interlocutori di Goethe" (cfr. Faust. Eine Tragödie, in: W. Hinderer (Hrsg.), Goethes Dramen. Neue Interpretationen, Reclam, Stuttgart 1980, p. 259 s.).

24. In Dichtung und Wahrheit, Goethe rappresenta la condizione umana attraverso il mito di Lucifero. Dopo la caduta di Lucifero, l’economia della creazione richiedeva la presenza di un essere che ristabilisse l’originario collegamento con la divinità: "... così venne creato l’uomo, che in tutto doveva essere simile, anzi uguale, alla divinità, ma che per questo motivo venne a trovarsi nella identica situazione di Lucifero, e cioè di essere incondizionato e limitato insieme, e poiché questa contraddizione doveva manifestarsi in lui attraverso tutte le categorie dell’esistenza e le circostanze della sua vita dovevano essere accompagnate da piena consapevolezza e da una volontà esplicita, era da prevedersi che sarebbe stato la creatura insieme più perfetta e più imperfetta, più felice e più infelice" (cfr. Dichtung und Wahrheit, II. Teil, VIII. Buch, HA 9, 352). Questa intrinseca contraddittorietà della natura umana provoca l’allontanamento dell’uomo da Dio, tuttavia la redenzione è un atto deciso, anzi necessario, ab aeterno, poiché "l’intera creazione altro non è, da sempre, che un distacco e un ritorno all’origine" (cfr. Dichtung und Wahrheit, II. Teil, VIII. Buch, HA 9, 353).

25. È tuttavia lecito domandarsi se e in quale misura la personalità di Faust si evolva attraverso l’arco della tragedia, sebbene Goethe veda in Faust "una attività sempre più sublime e pura sino alla fine" (cfr. Eckermann, 6.VI.1831) e distingua quattro livelli gerarchici progressivi di Genuß (godimento, piacere, inteso come partecipazione alla vita attraverso l’esercizio delle proprie facoltà), corrispondenti ai diversi stadi dell’esperienza di Faust (cfr. «Paralipomena a Faust I», WA 16 [J.W. Goethe, Werke, Weimarer Ausgabe], p. 287).
Cfr. in proposito W. Böhm, che si chiede se il volontarismo di Faust di fatto riesce a elevarlo allÈthos dell'umanità, ovvero se Faust rimane uguale a se stesso, giungendo alla conclusione che il nucleo tragico dell'opera risulta proprio dall'incapacità di Faust di maturare: "Faust non cresce interiormente rimanendo in un'unica e sempre uguale sfera di vita esteriore, al contrario, rimane interiormente sempre lo stesso nelle più diverse sfere di vita" (cfr. W. Böhm, Das neue Bild, in Aufsätze zu Goethes 'Faust I', hrsg. v. W. Keller, Darmstadt 19913, p. 59.

26. "Il successo ovunque riscosso ... può ben dipendere dalla rara caratteristica di aver fissato per sempre l’evoluzione di uno spirito umano, il quale è stato tormentato da tutto ciò che affligge l’umanità, è stato scosso da tutto ciò che la disturba, è stato confuso da tutto ciò che essa esecra, e ha goduto di tutto ciò che essa desidera" (cfr. Über Kunst und Altertum, v. 6, Anzeige von Faust, tragédie de monsieur de Goethe. Paris 1828).
Parlando con Eckermann, tempo dopo diceva: "Il Faust è proprio qualcosa di incommensurabile e tutti i tentativi di comprenderlo con il solo intelletto sono vani. Bisogna anche pensare che la prima parte è nata a partire da una condizione un poco oscura dell’individuo. Ma è proprio questa oscurità ad attirare gli uomini, che vi si affannano intorno come succede con tutti i problemi insolubili" (cfr. Eckermann, 3.I.1830).

27. Cfr. Zweiter Entwurf zu einer Ankündigung der "Helena", in: Goethes Faust. Kommentiert von Erich Trunz, Hamburg 1968, p. 438 (anche HA 3).

28. Cfr. Eckermann, 17.II.1831.

29. Cfr. Maximen und Reflexionen 6 (HA 12, 365): "Vere tutte le condizioni degli oggetti. Soltanto nell’uomo l’errore. Nulla di vero in lui, tranne l’errare, l’incapacità di trovare una sua relazione con se stesso, con gli altri, con gli oggetti". Nei suoi appunti, Goethe notava il 26.III.1780: "Sorprendente! ho compiuto alcune cose che ora vorrei non aver fatto, e tuttavia, ove non fossero accadute, del bene indispensabile non si sarebbe verificato. E’ come se un genio spesso oscurasse il nostro hgemonikon, affinché compiamo degli errori a vantaggio nostro e del prossimo" (cfr. Aus Goethes Tagebüchern. Ausgewählt und eingeleitet von Hans Gerhard Gräf, Insel Verlag, Leipzig 1908, p. 25).

30. Cfr. Maximen und Reflexionen 252 (HA 12, 399).

31. Faust 705. In una dimensione ultraterrena, l’azione dell’uomo può essere affrancata dalla contingenza che la condanna al fallimento: è questo che Faust spera di ottenere con il suicidio.

32. Faust 317.

33. Cfr. W. Keller, cit., p. 277; circa la trasfigurazione della tragedia in mysterium cfr. W. Böhm, cit., p. 55.

34. A commento dei famosissimi versi 1193641, Goethe diceva a Eckermann: "In questi versi è contenuta la chiave per la salvezza di Faust: in Faust stesso una attività sempre più elevata e pura sino alla fine, e dall’alto l’amore eterno che gli viene in soccorso. E’ tutto in perfetta armonia con le nostre convinzioni religiose, secondo le quali la beatitudine ci viene non in virtù del solo nostro impegno, ma anche con l’intervento fattivo della grazia divina" (cfr. Eckermann, 6.VI.1831). Th. Mann giustamente ricorda la professione di pelagianismo di Goethe (cfr. Th. Mann, cit., p.198 s.).Parlando dell’Ebreo Errante, Mann nota come l’argomento offrisse a Goethe l’opportunità di affrontare la questione "più che teologica, se il cuore dell’uomo sia destinato a una corruzione totale senza rimedio e non abbia quindi che da rimettersi alla grazia, o se pure, come voleva la setta pelagiana, non sia in esso restato ancora tanto di buono da potere, con sforzi veraci e buone azioni, favorire, se non proprio costringere, l’intervento della grazia". A sostegno della seconda tesi, Mann fa riferimento ai due versi sopra citati e vi accompagna i vv. 32829 (Un uomo buono nel suo oscuro intimo impulso | sa bene qual’è la retta via), precisando che "l’audacia di far conoscere in forma drammaticodialettica le proprie opinioni mettendole in bocca a Dio è certo in qualche modo sorretta dalla coscienza del proprio rapporto intimo e fiducioso con la bontà eterna". Del resto, Goethe stesso dice in Dichtung und Wahrheit (II. Teil, VIII. Buch) che "fin dalla giovinezza avevo creduto di essere in ottimi rapporti con il mio Dio" (HA 9, 340).
Ancora Goethe ricorda a Eckermann: "E’ come se tutto fosse avvolto nel mantello della riconciliazione ... Vi è soltanto compassione e la più profonda pietà. Non si tiene giudizio e non è questione se l’abbia o no meritato, come potrebbe succedere di fronte a un tribunale umano" (cfr. Goethe über den Faust, hrsg. von A. Dieck, Göttingen 1958, p. 21).

35. Faust 121045

36. È certamente suggestiva l’interpretazione di R. Friedenthal, Wolfgang Goethe. Biografia critica, Mursia, Milano 1974, p. 505: "La salvazione di Faust, faccenda estremamente problematica se tentiamo di spiegarla in termini eticoreligiosi, si compie per opera della grazia poetica. Il trionfo appartiene alla forza poetica di Goethe e riporta la vittoria su ogni interpretazione".