Assai complesso, e un poco offuscato dai molti simboli che vi compaiono, il quadro della taverna di Wittenberg è formalmente uno Scherzo vocale-strumentale di brillantissima, virtuosistica scrittura e di magistrale taglio drammatico. Si pensi soltanto a quella disputa 'teologica' fra gli studenti che Busoni giudicava non a torto il suo pezzo 'tecnicamente più perfetto nel contesto di un'opera': allorché, per rappresentare appunto la disputa con un contrasto anche musicale, fa sì che i cattolici, divisi in due gruppi, intonino in latino il Te Deum (un Te Deum grottesco e licenzioso, dove la musica diviene una caricatura bella e buona dello stile polifonico sacro) e i protestanti rispondano indignati con il corale luterano Ein' feste Burg ist unser Gott (in rigoroso, severo contrappunto imitato d'impianto dottrinale e accademico), prima di andarsene - altra fulminante, agghiacciante premonizione - "al passo della marcia dell'oca e con la mano alzata". Un piccolo capolavoro è il couplet in forma di ballata di Mefistofele, altro esempio di forma chiusa inserita nella partitura per creare e insieme esaurire una determinata situazione scenica (in questo caso un racconto). Tutta questa prima parte del Quadro II anticipa in modo impressionante la quarta scena dell'atto secondo del Wozzeck ("Giardino d'osteria"), sia nell'impianto in forma di Scherzo sia nella sovrapposizione simultanea di diversi ritmi di danza e di variopinti interventi vocali e corali, in un'atmosfera eccitata e perturbata da oscuri presagi.
Non si potrebbe immaginare contrasto maggiore rispetto alla scena dell'incantesimo e della evocazione di Elena, "pura immagine d'immensa bellezza", come Faust la invoca vedendo in lei l'ideale della perfezione classica. L'atmosfera soprannaturale dell'apparizione e ottenuta con una cura specifica dello sfondo tonale (così mutevole e vago che cade ogni riferimento a centri tonali anche allargati), con indistinti rilievi melodici, con sovrapposizioni di timbri e di colori strumentali in un ambito tenuemente cameristico, sì che il progressivo trapasso dall'ombra alla luce avviene in modo impercettibile, quasi di dissolvenza onirica. Per il grande monologo di Faust Busoni prescrive un canto intenso ma allo stesso tempo smaterializzato ed estatico, sognante e lontano, cui fa eco il piccolo coro "disposto in orchestra, piano e dolcissimo". Mistici segnali, fra i quali il frammento ritmico del tema iniziale della Sarabanda - divenuto quasi un Leitmotiv - nel momento in cui Elena si sottrae all'abbraccio di Faust, risuonano in orchestra, ora isolati plasticamente, ora luminosamente trasfigurati, ora stravolti cromaticamente; e segnali mistici sono anche l'ostinato ritmico e il cromatismo discendente insistentemente ripetuto che accompagnano l'annuncio, da parte degli studenti, della scadenza fatale: citazione pressoché letterale del controsoggetto di quel breve episodio fugato che nel 'Flauto magico' (atto secondo) fa da sfondo al canto dei due uomini armati, prima che la purificazione con l'acqua e con il fuoco di Tamino e Pamina abbia inizio. Anche Faust è sulla soglia di una purificazione. Solo, sconfitto ma non vinto, egli si appresta a vivere l'ultimo atto della sua storia: sul suo canto di serena accettazione del destino si distende ora, liricamente e con immensa pietà nella melodia dolcissima dei violini, il tema che concludeva la Sarabanda, fino a sfociare, trascolorando, nella luminosità improvvisa di un accordo perfetto di do maggiore. [SABLICH, pp. 240-241]

L'apparizione di Elena avviene anche nel racconto popolare in questo ambiente; nella mia intenzione, essa rappresenta l'ideale irraggiungibile con il quale Mefistofele inganna Faust per sviare la sua attenzione dall'importanza e dal significato del bambino. [BUSONI I, p. 426]