RITORNO A BERLINO - 1921

LA BIOGRAFIA DI GUIDO GUERRINI
[CON TAGLI MODIFICHE E AGGIUNTE]



CONCERTI DI MUSICHE BUSONIANE

A risollevarlo dalla critica situazione psicofisica sono i tre concerti dedicati a musiche sue, organizzati dal periodico musicale «Der Anbruch», i quali hanno grande risonanza, se non fra il grosso pubblico, fra i musicisti e i critici. Ecco i programmi [cfr. OPERE/MUSICA SINFONICA]

I. CONCERTO (7 gennaio 1921): «Ouverture di Commedia», op. 38; «Berceuse Élégiaque», op. 42; «Notturno Sinfonico», «Rondò Arlecchinesco», op. 46; Concerto per violino, op. 35a; Suite della «Sposa Sorteggiata». - Direttore d'orchestra: l'autore.

II. CONCERTO (13 gennaio 1921): Suite dalla «Turandot», Concerto per clarinetto, op. 48; «Gesang vom Reigen der Geister» (Canto della Danza degli Spiriti) dal «Diario Indiano», op. 47 (prima esecuzione); «Sarabanda e Corteo»; «Divertimento per flauto». - Direttore d'orchestra: l'autore.

III. CONCERTO (27 gennaio 1921): «Konzertstück» per pianoforte e orchestra, op. 31; «Fantasia indiana», op. 44; Concerto per pianoforte, coro d'uomini e orchestra. - Direttore: G. Brecher; al pianoforte: l'autore.

Il lavoro a Berlino è stato realmente più faticoso di quanto non mi rendessi conto mentre durava la tensione. [...] Sono lieto che Le sia piaciuto come ho diretto; se ne avessi l'occasione più frequentemente lo farei meglio! L'ultimo concerto [III] è stato affollatissimo e ho suonato particolarmente bene. La presa sul pubblico è stata immediata. Tuttavia (o per questo?) i critici tentano di passar oltre senza darvi peso. Una volta una vecchia signora, una specle di strega, mi offerse una rosa e — nel porgermela — mi conficcò le spine nella mano! In modo simile si comporta il dott. L[eopold] Schmidt quando mi fa il 'presente di un suo fiore' critico. (Lettera a Jarnach del 10 febbraio 1921)

Il terzo concerto richiamò veramente il maggior pubblico, attratto da Busoni pianista; nondimeno tutte e tre le audizioni assunsero un carattere di avvenimenti d'arte, e la critica e i rappresentanti dell'alta musicalità berlinese ascoltarono ed approrovano. Al Maestro restò da fare, tuttavia, l'umiliante constatazione che, pur avendo dedicato alla composizione poco meno che trent'anni, con una produzione ingente, pure, per vivere, gli conveniva, ancora e sempre, fare il virtuoso. La sua età, la sua autorità, la sua produzione, perfino la sua scossa salute, nulla valsero affinché egli potesse finalmente dedicarsi soltanto al suo lavoro. La composizione rendeva ben poco e del danaro guadagnato in passato troppo ne era andato disperso.
Per difendere il lavoro di compositore e per motivi di salute, Busoni rinunciò ai concerti che non fossero indispensabili e di suo assoluto gradimento (perfino a quelli di Parigi), ma non poté rifiutare quelli in Inghilterra, previsti nel mese di febbraio.

With the German currency depreciating daily he could not afford to neglect England, or even those odious provincial tours in England. And every hour that was spent in pianoforte practice, every day spent in travelling and in appearing on a platform, was a moment wasted, a moment that could never be recovered, an apostasy from the mission which he feared he might never live to fulfil.
This will be a letter that you will think ‘serious’. Do not think that I am mad, ill, or worn out - but I have been working like a horse (or a saint, or an idiot), and when I have finished with Berlin, I have to begin an absurd series of concerts and journeys in England.
I feel neither the energy nor the interest (nor the moral duty) for starting afresh to study programmes, to play them on certain agreed and unalterable dates; what a loss for me, and how deeply I regret it! but I am forced to deny myself Paris this season.
I know you will think me a criminal. I beseech you to try to understand me. I assure you I can do no more. Be kind and forgiving and I will bless you. Otherwise you will make me unhappy.
(Dent, pp. 256-257)

Trovò in questa nazione un livello intellettuale scoraggiante, che mutava quel giro di concerti in un vero tormento. Fortunatamente a Londra c'era Sibelius,


BUSONI E SIBELIUS A LONDRA

a Manchester i coniugi Brodsky, a Bradford Hamilton Harty, che gli diresse un'intelligente interpretazione della Fantasia indiana.
«
In London he played Beethoven's Sonata Op.111, his own new Toccata and the Sonatina on Carmen dedicated to Leonhard Tauber, Chopin's B flat minor Sonata and Liszt's Yenezia e Napoli. As an encore he played Liszt's St. franÇois de Paule.» (Dent, p. 257) Lo stato di salute del Maestro deve tuttavia essere allarmante se un giovane, presente a quel concerto, riferisce che tutta la sala ebbe un trasalimento all'apparire di Busoni che «pareva un cadavere» È di questo tempo una lettera da Londra: «La città non ha cambiato, ma io sono un altro. Io osservo che non aspetto più nulla dall'esterno, mentre prima tutto ne aspettavo. Ciò non mi rende affatto infelice, ma più silenzioso e più solo». Il concerto gli riesce anche più faticoso, il Governo inglese avendo vietato che egli suoni sul proprio Bechstein, né su qualsiasi altro strumento tedesco.


© LAURETO RODONI

L'impressione che sul pubblico inglese producono quelle audizioni è sconcertante. Busoni è entrato ormai in quella che si potrebbe chiamare la sua terza ed ultima fase: una sfera di arte così superiore alla corrente, che le sue interpretazioni possono dirsi rivelazioni di un ignoto mondo trascendentale. Esse sono rivolte, più che alle maggioranze, a pochi iniziati. Cosicché coloro che si recano ai concerti con la prevenzione di ascoltare i soliti autori classici, interpretati nel modo consueto, ne escono disorientati, disillusi, qualche volta addirittura indignati. Perché il Busoni era riuscito a trasformare il pianoforte in uno strumento nuovo, con nuove risorse, con inusitate sonorità.


© LAURETO RODONI

Di conseguenza la letteratura pianistica assumeva, sotto le sue dita, aspetti inattesi e sorprendenti. Avveniva che certe opere, già da lui interpretate secondo lo stile tradizionale, fossero poi ripresentate a distanza di tempo, in maniera affatto opposta alla precedente, e quasi rivoluzionaria. Perciò, specie negli ultimi tempi, i concerti di Busoni rappresentavano, oltre che un godimento spirituale eccitatissimo, anche un interessante studio sull'evoluzione dell'interpretazione pianistica.
Purtroppo ci rimangono di lui pochi dischi (e abbiamo già visto come a Busoni ripugnasse l'incidere, per la sua quasi impossibilità di abbandonarsi all'estro interpretativo dinanzi alla macchina d'incisione); ma potendo aver sotto mano la riproduzione di tutte le opere capitali del suo immenso repertorio, esse costituirebbero il più importante documento della Storia e della Letteratura del pianoforte; una specie di Monumentum dell'arte pianistica.
Il 1921 segna il culmine di questa sua esasperata ricerca estetico-interpretativa. Ancora e sempre Busoni guarda soltanto innanzi a sé.

[...] Dopo un viaggio di quaranta ore complessive da Berlino a Londra, dove ho finalmente trovato un letto vero e proprio, mi è toccato farne subito un altro a Bradford e ritorno, e tra i due viaggi ho avuto una prova e un concerto. — Risultato: uno stato fisico preoccupante, e soltanto quattro glorni di vita vegetativa e quattro notti di buon sonno mi hanno rimesso in sella, come si conviene a uno 'chevalier', e per giunta non più giovanissimo. [...]
Proprio ieri ho addottrinato per lettera un famoso novelliere inglese
[Arnold Bennett], il quale affermava che solo in Inghilterra, Francia e Russia si scrivono racconti brevi ('short stories'), e che quindi non conosceva nemmeno di nome il grande novelliere Pirandello! E questa è gente del mestiere. [...] Non sono del tutto imparziale, lo ammetto; ma in arte non mi sono mai piaciuti i giudizi a metà: da ciò le mie enunciazioni recise e volutamente esagerate, affinchè la situazione sia messa 'ben' in chiaro. Per es. so benissimo ciò che vi è di buono in Braunfels, ma devo 'separarlo' dal resto.
Lo stesso vale per il compositore svizzero esotico e selvaggio
[Othmar Schoeck], il quale — se dipinge un quadro alla parete [riferimento al libretto di Busoni Das Wandbild, destinato a Jarnach ma musicato da Schoeck] — non è certo il diavolo! Il diavolo dà anche a me gravi pensieri, non sono all'altezza della sua malvagità. A volte sì, ma nella totalità? Nous verrons. — Anche il tiranno in miniatura di Berna fa parte degli 'arrivisti onesti'? [allusione a Fritz Brun?]
[...] Questa non è una lettera, è una chiacchierata: mancano il vis-à-vis e la bottiglia di vino in mezzo a noi. Qui non si possono vendere alcolici fino alle sei di sera e non voglio aggiornare oltre — anzi 'asserare' il — il mio bicchiere di vino.
(Lettera a Jarnach da Londra, 10 febbraio 1921)

Da Manchester il 13 febbraio scrive a Gerda:

Il concerto di ieri è stato di piena soddisfazione, tutto esaurito, il pubblico caldo e cordiale, l'esecuzione buona. - Sono venuti a salutarmi i Brodski... La signora [Anna] Brodski mi ha domandato come stanno i ragazzi. - Bene, per quanto ne so. - Sono diventati 'buonne' persone? (con un sorriso animato) - Penso di sì. - Allora sono come la mamma. Lei è un 'buonn' artista, un grande artista - ma Sua moglie è 'buonna' persona... Brodski [Adolf, violinista, 1851-1929] si è arrabbiato perchè parlavo tedesco con Max Mayer [pianista di Manchester che Busoni conosceva da una trentina d'anni]. - (Una buffa coppia.)

VERSO IL TRAMONTO LA LUCE SI FA PIÙ ACCESA

Da Londra Busoni torna a Berlino, dove il 5 aprile scrive, in italiano, una interessante lettera al suo biografo Edward Dent.

Carissimo e stimatissimo signor Dent, la prima pagina — Chapter the first — del Suo bel volume su Mozart l'operista mi dà alquanto da pensare. Lei cita un compositore esimio e vivente, che asserisce la Trinità musico-scenica di Mozart, Wagner e Verdi. Non risulta chiaramente dalla citazione, se l'opinione dell'esimio compositore sia pur quella dell'Autore del libro. Però Lei procede, sviluppando quel punto di partenza, servendosene di base, e ammettendo silenziosamente di approvare la sentenza. A me sembra ardita cosa, il collocare Mozart e Wagner nella medesima linea, — Boito nel rango di Gluck, — Charpentier nella classe di Meyerbeer, e Rossini nella penombra.
Lei sa, meglio di me, che il favore che godette Meyerbeer e l'influenza che esercitò, eguagliano — almeno — quelli di Wagner; anzi, che Wagner stesso è una continuazione — più di Meyerbeer, che di Mozart, — e veramente, che Wagner si rapporta a Meyerbeer, come il Zola al Balzac. Meyerbeer (come Balzac) fù
[sic] il più teatrale, più geniale; Wagner (come Zola) il più pesante e coscienzioso, e sistematico, e conscio. — Ma dove trovare l'unicità d'un Barbiere di Siviglia?! Né in Verdi, né in Wagner, e forse neppure nel Mozart stesso! Se Lei cita Boito e Charpentier, perché tacere un Puccini?
Mi scusi questo sfogo, ma la mia onestà artistica lo giustificherà. Sono ansioso (qualora Ella trovi che ne valga la pena) di leggere una Sua replica.
Dal 16 Aprile al 1 Maggio: Roma, Augusteo.


A Roma consegue nuovi trionfali successi.
Mario Corti il 1º maggio interpreta suona con Busoni direttore il Concerto per violino e orchestra. «Nel giugno dello stesso anno l'Artista scrive all'amico italiano alcune parole che vibrano di ringraziamento sotto una appannatura di malinconia (a Roma il concerto fu criticato malevolmente) subito dissipata da una curiosa notiziola su una fanatica ammiratrice e da un netto pensiero, sulla varia forma del compositore, che, per la sintesi con la quale è dettato, mi sembra uno dei più efficaci di Busoni. Anche le due operine rappresentate con successo a Berlino sembrano rientrare in questo ordine di idee, nel quale si comprende che un vero artista deve rivolgersi ad aspirazioni sempre maggiori.» [MARCHESI 1958]

Mio carissimo Corti,
abbiamo pensato a lei, parlato di Lei, spesso, e sempre con affetto. Lei fu il mio buon angelo a Roma, ed io so esser grato. La collezione iniziata, e poi abbandonata, di articoli intorno al mio soggiorno colà, la considero di valore trascurabile (come così considero l'atteggiamento dei pubblici). Però qui abita una signora, che ha accumulato una specie di archivio Busoniano, e che non disdegna alcun documento, che possa accrescere il suo catalogo. Le accludo una busta col suo indirizzo, qualora Ella volesse prendersi la pena cli empirla di ritagli (s'intende: la busta). Notizie sui miei lavori suoneranno sempre «contradditorie» (guai all'Autore, che - sul colpo - gode o soffre d'un giudizio unanime!) però le posso asserire con buona coscienza che il successo fu ottimo, e che si mantiene. L'errore che commettono tutti, amici e avversari, sta nel considerare le due operine [Arlecchino e Turandot] come stile e risultato finale e definitivo delle mie creazioni; mentre in verità esse non sono che un «intermezzo», quasi uno scherzo, un mio divago, un riposo, per economizzare le forze, che si accingono a compito superiore...».

In seguito ai successi romani viene insignito della Commenda della Corona d'Italia. Busoni era assai fiero di questa onorificenza, tanto che, scrivendo il suo nome anteponeva quasi sempre questo titolo cavalleresco. Soleva dire che gli sembrava di essere il Commendatore del «Don Giovanni».
Scrive a Philipp Jarnach il 20 aprile:

Sono qui totalmente preso con sei concerti in due settimane [Busoni in realtà tenne a Roma, all'Augusteo, solo cinque concerti, rispettivamente il 7, 20, 24, 27 aprile, e, come detto, 1º maggio 1921]. Non vedo l'ora che il tempo passi: desiderio insensato; perché in realtà conta solo il presente più presente, e il tempo scorre in fretta da sé; anzi, è la sola cosa che sa fare! [...] Non sono nato per viaggiare e dar concerti, e il duro tirocinio in questo campo non ha risvegliato alcuna inclinazione in me. Mi sento sempre più estraneo a questa situazione, soprattutto in Italia, a Roma, dove l'artista è considerato il trastullo del pubblico e quasi una sua proprietà. (Al mio rifiuto di concedere altri 'bis', il pubblico si è fatto minaccioso e si è messo a fischiare...) Questa sera attraverso per la seconda volta questo Purgatorio. E mi aspettano ancora altre quattro volte. —


AUTORITRATTO DI JARNACH - CLICK TO ENTER

Il mio amico Brecher non ha trovato niente di meglio da fare che venire qui a dirigere il Parsifal! Con il suo matrimonio è entrato nella cerchia degli ebrei ricchi di Berlino e viene a trovarsi in una posizione falsa, pur senza una posizione stabile, avviluppato nell'atmosfera dell'aristocrazia del denaro come un uovo à la coque nei trucioli dorati. Si potrebbe anche ridere. — Gli uomini guardano sempre meno lontano, comprendono il valore del 'presente', ma non vanno oltre nemmeno di un secondo. —
Zurigo! Città del rifugio! [...]
Mi ci son voluti sei mesi per riprendermi. (Mi dicono che sono ringiovanito dei cinque anni di cui ero invecchiato là). [...]


Guido M. Gatti in contatto con Busoni dal maggio 1920 per l'edizione in italiano dell'Entwurf einer neuen Ästhetik der Tonkunst, si era recato a Roma per incontrarlo ma...

Stimatissimo Sigr. Gatti,
il Suo disparire da Roma, dopo averla appena intraveduta fu un colpo magico. Le prestò non so che di Cagliostriano, che non mancò l'effetto. Ma dicendo più sul serio, ne rimasi - a dir vero un po' sconcertato. Peccato. Sono tanti gli argomenti che avremmo saputo intavolare, a vantaggio reciproco, e che ci avrebbero accostati mutualmente: nel corpo d'una conversazione, d'uno scambio d'idee, d'una conoscenza più intima umana ed artistica. Perché: come può Lei eseguire un mio ritratto senza avermi veduto? - Son però convinto, che l'intuizione e la simpatia condurranno il numero del «Pianoforte»
[che sarebbe stato da Gatti interamente dedicato all'artista; cfr. «Il Pianoforte», giugno 1921, II, n. 6, nel quale sono racchiusi articoli di H. Leichtentritt (Busoni e Bach), A. Casella (Busoni pianista), E.J. Dent (Busoni a Berlino e il «Dottor Faust»), A. Brugnoli (La cerebralità e il paradossale nell'arte di F. Busoni), la traduzione dei Pensieri sull'arte e sulla musica dell'autore e una Nota bio-bibliografica stesa dal critico torinese - NICOLODI 1982, p. 247, dove è trascritta tutta questa lettera], di cui Ella mi onora, a risultati soddisfacentissimi. Di queste amichevoli intenzioni dunque La ringrazio sinceramente, come pure ringrazio il Casella, e altri, che vorranno confraternamente occuparsi del di Lei devotissimo e gratissimo F.B.

Laborioso il ritorno a Berlino a causa di uno sciopero nel Tirolo. Il 14 maggio scrive a Volkmar Andreae:

Sono arrivato qui sei giorni dopo, ancora in tempo per sorvegliare gli ultimi preparativi della rappresentazione delle mie opere. Rappresentazione che sembra molto promettente. L'orchestra è assolutamente all'altezza, così pure il direttore [Leo] Blech e l'Artôt-Padilla [Lola Artôt de Padilla (1886-1933), celebre mezzosoprano. Strauss scrisse per lei la pane del compositore nell’Arianna a Nasso]. nella parte di Turandot. Il suono della partitura mi ha pienamente soddisfatto, come mai prima. Il resto non è tutto alla stessa altezza, ma dicono che il tenore buffo berlinese ([Waldemar] Henke nelle parti di Truffaldino e di Leandro) sia eccellente, affidabile e capace; per il momento è completamente senza voce, ragione per cui non l'ho ancora sentito e la prima è stata rimandata dal 13 al 19. — Il che garantisce maggior sicurezza e offre una prova in più.


VOLKMAR ANDREAE
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— È stata una fortunata coincidenza che la penultima novità prima dei miei lavori sia stata una rappresentazione molto riuscita e applaudita di Così fan tutte. Dico fortunata perché tra Schreker, Reznicek e me, il pubblico e la critica hanno avuto modo di compiere questo bel passaggio artistico, aereo e leggero. [Il cartellone della Staatsoper di Berlino della primavera 1921 comprendeva Ritter Blaubart di Reznicek, Tiefland e Die toten Augen di d'Albert, Die Gezeichneten di Schreker e Mona Lisa di Schilling]. Al pubblico è stata 'fatta la morale', acciocché fosse nuovamente capace di sentire la trasparenza del suono e la concisione della forma, e di apprezzarle. — Un confronto con i miei atti unici non sarebbe certo tanto favorevole per me, ma il nocciolo sta nel fatto che la gente ha potuto capire di nuovo che chiarezza e piacevolezza sono cose preziose. Sei mesi or sono, quando sono venuto qui, su tutto ciò si arricciava il naso. — Ho trovato questo stato di cose più o meno dovunque e specialmente — cosa che non mi sarei aspettato — in Inghilterra! — Fra parentesi, ho visto Così fan tutte per la prima volta nella mia vita nell'occasione di cui sopra. — Per quanto conoscessi bene la partitura, molte cose mi hanno sorpreso e incantato (soprattutto nella sonorità). [...] Per la riapertura dell'Opera [Stadttheater di Zurigo] con i Suoi festival internazionali [dal 24 giungo 1921] avrei però immaginato qualcosa di diverso dal Parsifal [diretto da Bruno Walter, e con Karl Erb nella parte del protagonista]; quest'opera costituisce certo un bel portale: sebbene non si apra precisamente su qualcosa di internazionale, ma piuttosto su un salone di gala tedesco. — Credo di essere diventato 'durch Mit-Leid wissend'; solo che finora ben pochi credono a questa mia saggezza. Ma la reazione monta a poco a poco ed erode le fondamenta di questo palazzo nel gusto degli anni '70. La giovane generazione (soprattutto quella dei musicisti non professionisti) lascia, con tutta indifferenza, che la costruzione vada in rovina. Ciò procede senza odio e senza dimostrazioni: con tragico disinteresse. — Perciò, purtroppo, non ci si preoccupa di sostitutire al vecchio un nuovo edificio, ed è in questo senso che noi, divenuti — durch Mit-Leiden wissende — dobbiamo agire e insegnare .

Durante le prove di Arlecchino e Turandot tiene, in maggio, due concerti con orchestra:

In May he gave two concerts in Berlin at which he played six concertos of Mozart. Gustav Brecher


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was to have conducted for him, but there was a painful scene at the rehearsal, Brecher utterly refusing to accept Busoni's tempi. No self-respecting German conductor of the front rank could allow a mere pianist to dictate to him the right pace for a concerto, and Brecher declined to have anything more to do with the concerts. Busoni was quite unabashed and with Italian indifference to German musical etiquette called upon Otto Marienhagen, the leader of the orchestra, to take the conductor's place. Marienhagen was an honest German craftsman of music, who had had plenty of experience conducting popular symphony concerts to the accompaniment of beer and sausages. Busoni, it need hardly be said, showed him the respect and consideration which a musician of his type deserved. He conducted the first concert without rehearsal, and Busoni was perfectly happy to play under him for the second as well. (Dent, p. 262)

Come detto, assiste poi alle prove di Arlecchino e di Turandot al Teatro di Stato, che si svolgono sotto la direzione di Leo Blech. La Sovrintendenza del Teatro pone ogni più scrupolosa cura nella realizzazione dei lavori e dimostra devota sottomissione al Maestro per assecondarne tutti i desideri. Così il 19 maggio, quando si giunge alla esecuzione, le due opere sono presentate in edizione perfetta e in veste scenica sontuosa. Il successo è cordialissimo, da parte del pubblico e da parte della stampa; e Busoni, riconoscendo che gran parte del buon esito è dovuto alla eccezionale esecuzione, vuole tributare un pubblico ringraziamento a tutti i suoi collaboratori, in una divertente lettera aperta, pubblicata sulla «Vossische Zeitung».

Il pubblico - dice tra l'altro la lettera - accoglie le cure più complicate [di uno spettacolo] come cosa naturale, mentre poi giudica con fredda severità ogni più trascurabile deficienza. I nostri benevoli giudici - strane figure ammantate di giornali e nascoste da maschere di inchiostro tipografico -hanno il potere di distruggere la fatica costruttiva di anni con una sola frase.

Turandot e Arlecchino di Busoni furono eseguiti cinque volte nel maggio-giugno 1921; l'allestimento era di Franz Ludwig Horth. Dopo il successo del Dittico, già si progetta, al Teatro di Stato, l'esecuzione del «Dottor Faust», come si trattasse di opera compiuta. Soltanto Busoni sa quanto grande lavoro gli resti ancora per portare a termine questa sua immane concezione, che gli si ingigantisce fra le mani, quasi suo malgrado.

Ogni compimento di un progetto - [lettera a Philipp, dopo la rappresentazione del Dittico] - è una specie di piccola morte, così come ogni inizio di nuovo lavoro è una specie di rinascita. Io mi sento sempre depresso quando ho compiuto qualcosa. La speranza, che è molla principale del meccanismo mentale, si scarica e cessa di funzionare; bisogna sempre ricaricarla con nuovi sforzi. Al lavoro!

Il 27 maggio scrive (in tedesco) una significativa lettera al Marchese di Casanova:

Da quando sono rientrato qui alla fine di settembre, la mia vita si è molto trasformata e fortemente consolidata. La posizione in vista che mi conferisce la qualità di Professore alla Accademia dello Stato fa sì che mi arrivino proposte dalle parti più lontane: molte richieste mi giungono ogni giorno. Se considera l'emozione che provai nel mettere di nuovo piede nella mia vecchia casa, dopo sei anni di assenza e di insicurezza; se aggiunge la somma di lavoro e di responsabilità che mi è improvvisamente piombata addosso, comprenderà forse con più mdulgenza che era ben possibile che mi sfuggisse una lettera di Kempff, o che senza intenzione io abbia dimenticato di rispondergli. Nel frattempo sono stato assente per diverse settimane, a Londra e in Italia.

Il 30 maggio scrive a Edward Dent:

Questa sera per la quarta volta si ripetono le opere [Arlecchino e Turandot] al Teatro dello Stato. E si ridaranno ancora sabato prossimo, e probabilmente pure nel corso di Giugno. Il successo fu bellissimo, e suscitò discussioni. La terza esecuzione dell'Arlecchino fu quasi perfetta. — Non so se Lei abbia letto la critica del Bekker sul Wellesz nella Frank[furter] Zeitung [L'opera Die Prinzessin Girnara, op. 27, di Egon Wellesz


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su libretto di Jakob Wassermann, aveva avuto la sua prima rappresentazione il 15 maggio 1921 a Hannover. La critica di Paul Bekker fu una complessa stroncatura; tuttavia, Wellesz fece una revisione del lavoro, che fu ripresentato a Mannheim nel 1928]. Non so, in quanta stima Ella tenga il B. come critico musicale. A me sembra, che in quell'articolo (del 17 Maggio) dica delle cose assai significanti; specialmente in un certo passo intorno alla paura dl non essere 'up to date' nell'arte contemporanea. Sottoscrivo l'osservazione. Del resto il giudizio sull'opera di Wellesz è acerbamente condannante. Nega a questo lavoro il Bekker qualsiasi qualità. Mi dispiace per l'autore e per il poeta: ma mi rallegro di alcune sentenze generali e sanissime, a cui l'avvenimento ha dato occasione.

Con la sua singolare capacità di far procedere simultaneamente più lavori, Busoni compie, durante l'estate, la trascrizione per due pianoforti della «Fantasia Contrappuntistica»; compone un nuovo tempo da aggiungere a quel «Konzertstück» per pianoforte e orchestra col quale aveva vinto il Premio Rubinstein nei suoi giovani anni; scrive due piccole composizioni da unirsi ad un vecchio «Albumblatt»; crea infine una nuova cadenza per il Concerto in fa di Mozart. A cercare riposo, fra lavoro e lavoro studia i Madrigali di Claudio Monteverdi, che sono per lui una luminosa rivelazione. È tale l'entusiasmo suscitato in lui dai madrigali ch'egli non può fare a meno di scrivere al Ministro dell'Istruzione Pubblica d'Italia, dimostrando quale immenso significato avrebbe un'edizione di Stato di tutta l'opera del Cremonese. A questo proposito, il 10 giugno scrive al Leichtentritt:

Stamane, mentre li leggevo, alcuni madrigali di Monteverdi [Leichtentritt aveva pubblicato proprio allora da Peters un volume di Madrigali di Monteverdi] mi hanno inondato di luce e di calore: belli e costruiti con grande arte, sembra quasi che respirino veramente con una tale intensità di sentimento, che sempre meno arrivo a capire come, dopo aver scalato cime tanto alte, cose tipo il ringraziamento al Cigno [Lohengrin] o «am stillen Herd» [Maestri Cantori] possano passare per modelli di espressività!
Benchè non conosca quasi questa musica italiana antica, la sento a me molto vicina: deve sonnecchiare in me un impallidito atavismo, che mi collega ad essa. - Nel Faust troverà alcune frasi che rivelano un'origine che non mi so spiegare altrimenti.

Stesso entusiasmo in una lettera a Volkmar Andreae del 15 giugno:

In questi giorni ho letto alcuni madrigali di Monteverdi (editi da Leichtentritt, presso Peters) che mi hanno fatto un'impressione enorme. L'intensa espressività, che respira e parla, la libertà e la bellezza della forma li collocano al vertice, accanto a Bach e Mozart. Quel che questo musicista dovrebbe rappresentare - ora! - per l'Italia mi è apparso talmente chiaro che ho scritto apposta una lettera sulI'argomento al Ministero delle belle arti a Roma.

Ha molti progetti per l'estate imminente («e sarò contento se ne realizzerò la metà» confessa al Leichtentritt):


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Questo piano fu allegato a una lettera a Edith andreae del 13 giugno 1921:

Vorrei che Ella desse un'occhiata al programma dei miei lavori per quest'estate: ne concluderebbe che mi sono addossato più di quanto presumibilmente porterò a compimento. Questo stato di cose mi preoccupa molto ed economizzo le mie forze più che posso: alle volte - lo ammetto - senza arrivare a concludere molto in questo o quel campo, ma, in complesso, con fruttuosi progressi!
E così mi sembra che il tempo passi sempre velocemente, mentre il lavoro procede a rilento; ne deriva una forma di nervosismo che vorrei definire avarizia morale. - Ma anche l'attività esteriore divora le forze e le giornate.


In questa stessa lettera annuncia all'amica l'imminente inizio delle lezioni all'«Akademie der Künste»:

Il 1 luglio cominciano 'ufficialmente' le mie lezioni all'Accademia. Ciò significa presentarsi corazzato di fronte a una dozzina di giovanotti critici, fare a botta e risposta, rintuzzare obiezioni e contraddizioni, mostrarsi 'maestro'. - Una rivista, «Faust», mi vuole incaricare della redazione della sezione musicale. - Nuovi concerti orchestrali, progettati in grande stile, mi chiamano sul podio di direttore. Suonerò anche il pianoforte. - La vita si accorcia. [...] Sono in buona forma e più sensibile che mai: meno impetuoso, in compenso più profondamente (spesso dolorosamente) sensibile. - Posso e devo fare solo ciò che sono in grado di fare meglio: e questa regola, penso, se fosse universalmente seguita, sarebbe proficua per ogni singolo individuo e per la società nel suo complesso.

Il 18 giugno scrive al figlio Raffaello una lettera la cui prima parte è un tassello fondamentale del suo pensiero estetico incentrato sulla «nuova classicità»:

Mio caro ragazzo, come sai, già da più di due anni ho lanciato nel mondo il termine nuova classicità profetando che sarebbe divenuto popolare. Mi suona oggi curioso, visto che circola senza che si sappia più chi lo abbia coniato. E così capita di dire che anche Busoni è un seguace della nuova classicità...! Ma a escogitarlo non occorreva un profeta. Dopo una preoccupantemente lunga serie di esperimenti, di iniziali 'secessioni' - dalle quali controsecessioni e infine sciamanti gruppetti continuarono giù giù a suddividersi - il bisogno d'una completa certezza nello stile ha da farsi sentire.
Ma come in tutto il resto, anche in questo sono stato frainteso; perché la gente s'immagina la classicità come qualcosa che si rifà al passato. Se ne ha la conferma nella pittura, per esempio con la riabilitazione di Ingres, che in se stesso è un maestro, è però uno scoraggiante modello di forme morte (si capisce che esagero un po').
La mia idea (o piuttosto sensazione, necessità personale più che stabile principio) è che nuova classicità significhi compiutezza in duplice senso: come perfezione e come compimento. Conclusione di tentativi precedenti. È importante che l'accento venga messo sulla parola 'nuova', per distinguere la classicità dal convenzionale classicismo. Ogni mezzo, nuovo o nuovissimo che sia, deve essere accettato e impiegato se è in grado di esprimere qualcosa che non può venir espresso altrimenti; scartare intenzionalmente nuove conquiste valide mi sembra un'insensatezza e un impoverimento. Pari insensatezza e impoverimento si manifesta però nel sistema di tirar fuori un certo modo di esprimersi e di proclamarlo unico, negando validità a ogni altro. Tutto ciò avviene inintenzionalmente nell'artista sincero. Egli cerca di arrivare a quella che gli appare la perfezione secondo le sue proprie concezioni e la sua natura - e l'epoca in cui vive esercita automaticamente la sua influenza - e, nel caso abbia una sua autentica personalità, crede di aver fatto qualcosa di normale mentre altri ne restano stupiti e sconcertati. Quando ero giovane cì si metteva semmai in guardia dal seguire le tendenze del giorno. Il rlmprovero era: questo è troppo 'wagneriano', 'brahmsiano' 'scandinavo'. Sii te stesso, più che puoi, e che la forma sia accurata. [...]

Il 26 giugno scrive ancora a Gatti, sia sul problema della traduzione italiana della sua Estetica sia sul numero de Il Pianoforte, appena uscito (cfr. supra):

Pregiatissimo Sign. Gatti,
per quanto io sappia, la causa dello Schmidl
[L'editore triestino Schmidl aveva pubblicato in lingua tedesca nel 1907 la prima stesura dell'Entwurf. Gatti stava cercando di risolvere il nodo dei diritti editoriali per tradurre il volume presso Zanichelli] era terminata, conclusa, e


© LAURETO RODONI

condotta a fine con la cessione dell'opuscolo all'Insel Verlag di Lipsia. Quel benedetto ragazzo (mio amico d'infanzia e tutt'ora affezionato) è di quelli, che perdono il pelo e non... le abitudini: ormai ritirato dagli affari, soccombe ai vecchi istinti, cede all'antica smania di operazioni affariste. Troppi sono i pesi giuridici che pendono alla scuola dell'arte! Ma - per concludere - io credo che il polo Insel Verlag sia capace di dare a Lei e Zanichelli informazione sicura sul nostro argomento. Le sono debitore d'una bella onorificenza per i tipi dell'ultimo numero del «Pianoforte».
Creda, che sò ampiamente e cordialmente apprezzare la lusinghiera forma, la nobile intenzione, le Sue premure letterarie intorno alle varie traduzioni, la manifestazione di stima. Simpatico assai il dono del Casella. Onesto il Brugnoli; quantunque la citazione d'un articoletto di Londra mi sembri argomento un po' leggiero come contrappeso al lavoro d'una lunga vita di sforzi e di esperienza...
[Brugnoli citava la recensione londinese comparsa poco prima sul «Pianoforte» nella quale si sottolineavano aspetti «cerebrali» e «paradossali» delle esecuzioni di Busoni]. Non mi conosce abbastanza da vicino, e per luogo, e per tempo, e per spirito. Sono però riconoscente a tutti Loro.
E con ciò la saluto con stima e amichevolmente. Suo devmo F.B.

[NICOLODI 1982, pp. 247-248]

Il Faust intanto, sia pure lentamente, progredisce; l'entusiasmo di Busoni è ardentissimo. Le poche lettere che di lui ci rimangono di questo periodo non parlano quasi d'altro:

Come un fiume sotterraneo, che si ode e non si vede, la musica del Faust scorre e fluisce ininterrottamente, quasi a dispetto della mia stessa ispirazione; e già comincio a vedere il momento in cui esso sortirà alla superficie.
La partitura
[del DF] cammina da sola; essa mi trascina innanzi, anziché trattenermi, proprio come fa Giotto!
Ho terminato in questo momento di strumentare la scena degli studenti. Essa è forse, tecnicamente, il brano più perfetto che io abbia composto per teatro. La mia mente è nel miglior stato possibile grazie a Dio (tocca legno!) e sono impaziente di dare un nuovo assalto al libretto...

Sole parentesi al suo lavoro sono per l'appunto le lezioni di composizione ad alcuni giovani, lezioni che da qualche tempo il Maestro tiene in casa propria anziché all'Accademia, per mancanza di spazi didattici e per risparmiare il tempo di far la strada:

Finora [...] ho quattro [allievi]: un russo testardo, che vuol avere sempre ragione e compiccia poco [Wladimir Vogel (1896-1982). Busoni cambiò poi opinione su du di lui]; un croato alquanto profumato, che è già 'professore' a Zagabria [forse si tratta di Bozidar Sirola (1889-1956) che aveva studiato a Zagabria e a Vienna]; un piccolo ebreo molto intelligente (che certamente farà strada) ed è già una specie di factotum dell'istituto [Kurt Weill (1900-1956)];

e infine un piccolo e rotondo giovanotto che sembra un pallone gonfiato, con due enormi lenti sul naso, e che senza dubbio è dotato [lo svizzero Robert Blum (1900-1994)]


ROBERT BLUM NEGLI ANNI '90

I due ultimi mi danno soddisfazione.
Ma da dove incominciare l'insegnamento, ecco ciò che è molto difficile stabilire in questo momento. Sanno molto e d'altra parte non sanno le cose più semplici, sono complicati ma non possiedono la ricchezza delle forme e si arrogano il diritto comune alla gioventù d'oggi di proclamare che ogni linea sghemba significa personalità e libertà. Da dove incominciare? Si può portarli alla ragione solo gradatamente e con pazienza. Se li prendessi subito di punta, mi renderei ridicolo ai loro occhi, senza convincerli. Non sono io forse uno degli 'esponenti di punta della modernità'? Non realizzano - così pensano - i miei sogni più arditi? - Oh, quali malintesi!
[Al figlio Raffaello, 15.7.1921]

Anche alla consueta passeggiata serale egli ha quasi completamente rinunciato, e la sua vita si svolge in modo esclusivamente spirituale.
Compone Romanza e scherzoso, completamento del giovanile Konzertstück op. 31a e i nn. 2 e 3 dei drei Albumblätter; trascrive per due pianoforti la Fantasia contrappuntistica e termina 54 pagine di partitura del Doktor Faust. Il 22 agosto scrive a Jarnach di essere «molto stanco di tre mesi di lavoro ininterrotto».
In quei giorni riprende i contatti anche con Mario Corti.
«Nell'agosto gli riscrive sempre da Berlino. Le sue speranze, i suoi contatti, le sue vedute, riaffiorano ancora, quasi d'impeto, malgrado la stanchezza delle tournèes. Parla dei musicisti italiani, dei suoi gusti di irrequieto viaggiatore che ora più che mai gli sono rientrati nel sangue (e ancora quel senso di universalità ricompare), del Tagliapietra, del Casella e infine dei suoi progetti e delle sue conquiste di compositore. Venezia, esaltata dal Corti, gli sembra troppo snervante per i suoi desideri di movimento. Di nuovo la calligrafia comincia ad inclinarsi dal basso verso l'alto, volitiva. Nomina dieci composizioni terminate a Berlino, fra le quali certamente la toccata per pianoforte, il Tanzwalzer, la Romanza e scherzo per pianoforte e orchestra...»


Il 12 settembre scrive a Edith Andreae di trovare Berlino, «dove risiedo oggi da un anno esatto», «molto risollevata. La trovo stimolante [...] la vita pulsa.»

PRIMI ASSALTI DEL MALE

Il suo benessere fisico, però, è più apparente che reale. Un prima attacco di malattia si manifesta in autunno, obbligandolo al riposo e costringendolo a una rigorosa cura. Vuole, ciò nonostante, dirigere un concerto nel quale il suo allievo Eduard Weiss esegue la Fantasia indiana, come pure non rinuncia a suonare a due pianoforti, in altro concerto, con Egon Petri.
Egli non parla a nessuno del suo stato di salute. Soltanto all'amico Philipp confida segretamente la verità, proponendosi di nascondere la gravità del suo stato, specialmente per non creare ansietà in Gerda. La quale invece, coscientissima della situazione reale, si finge a sua volta ignara per non allarmare il marito. Il Maestro si sottrae a poco a poco ad ogni fatica superflua, rinunciando perfino al piacere della corrispondenza con gli amici, pur di continuare il lavoro dell'opera. E sa trovar in se stesso tanta energia da eseguire, in due serate, sei Concerti di Mozart, che portano il pubblico berlinese a un vero delirio.
La malattia sembra avergli concesso una tregua e la speranza torna a sorridergli. Può abbandonarsi nuovamente al lavoro («Faust» per cinque sesti è ormai compiuto), e dedicarsi con maggior cura all'insegnamento. Per la prossima primavera già fioriscono nella sua mente nuovi progetti, nuovi sogni, nuove mète: Roma, Londra, Parigi..., sempre che il medico voglia concedere il «nulla osta».
Prima della fine del 1921:

The illness passed, and he finished the year with a feeling of confidence and hope. He had settled down happily to life in Berlin and was well satisfied with what he had been able to achieve there. Doctor Faust was making progress; there remained but one-sixth of it yet to be written. The five composition pupils were a source of genuine happiness to him. (Dent, p. 265)

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