GINO AGNESE

BOCCIONI A PARIGI
(1906)


Boccioni parte per Parigi il 30 marzo 1906, un venerdì. [...] Chi c'è a salutare Boccioni che se ne va? Quelli della compagnia; forse più d'una dozzina. E tutti gli stanno intorno; e ognuno ha da dargli il consiglio dell'ultimo momento, la raccomandazione più affettuosa, il suggerimento più accorto: chi allegramente e chi sommessamente. Mancano però i due amici più cari: Severini che è in Toscana e Sironi [*], che è stato a Milano e ora è ancora più lontano. [...]
Boccioni ha l'impressione che in tutti gli aspetti di Parigi domini un'intonazione scura. Passano i fiacres gialli, al leggero trotto; c'è più vicina o più lontana qualche altra macchia di colore acceso; eppure nereggiano i muri delle case, i selciati, in gran parte le vetture e anche gli uomini, i quali portano quasi tutti il cappello a cilindro e, se sono degl'impiegati, indossano un crausino verde cupo, con calzoni d'una smorta tinta caffellatte. Già l'indomani, tuttavia, e poi ancor più nei giorni successivi, l'impressione che tutto, le persone e le cose, sia immerso in una tonalità grigio-nerastra si attenua, per dileguarsi infine. E allora Parigi gli si svela nella sua straordinaria varietà, nell'inesauribile declinazione della joie de vivre, che talvolta non appare, è gelosamente tenuta nascosta. [...]
Boccioni incontra subito alcuni giovani artisti, ai quali lo avevano indirizzato amici comuni di Roma; e in breve allaccia una serie di conoscenze, che lo portano anche a frequentare un gruppetto di coetanei dell'Europa dell'Est, soprattutto russi e polacchi, residenti più o meno provvisoriamente nella capitale francese per ragioni di studio o per motivi politici. Un flusso continuo di pittori, di scultori, di musicisti, di teatranti e di scrittori, ormai da tanti anni, proviene dai paesi dell'Oriente europeo e giunge a Parigi, città d'arte, d'invenzioni, di libertà e seconda patria di quanti conoscono il francese, posseduto nell'Est dai nobili, da molti borghesi e da coloro che han seguito gli studi superiori. Ma da quando in Polonia e in Russia s'è alzato il vento delle rivolte, alle quali han fatto seguito le repressioni, quel flusso si è ingrossato di profughi, fuggiaschi, orditori di complotti, spie, aristocratici in volontario esilio, eccetera. E quest'affluenza di persone sventurate o avventurose, generalmente a corto di denaro, ha suscitato da un lato reazioni persino sprezzanti, tanto che in qualche avviso di locazione si legge l'esclusione di russi e polacchi; ma dall'altro ha rinsaldato quelle relazioni di curiosità e di solidarietà che in una metropoli possono avvicinare degli stranieri così singolari, per tanti versi, ai circoli artistici e letterari più aperti, all'opposizione politica e a quanti altri, soprattutto forestieri, vivono anch'essi una condizione precaria.
Sceglie, dopo pochi giorni, di abitare nel Grand-Hotel de Lisbonne, che a dispetto dell'altisonante nome è un appena decoroso albergo, però ubicato in un posto veramente centrale del Quartiere Latino: rue de Vaugirard numero 4. [...] Quasi sempre va a letto presto, per potersi levare l'indomani di buon'ora. Ma talvolta, in compagnia di nuovi amici, passa il pomeriggio e la sera nelle strade e in qualche ritrovo della Butte, come i parigini chiamano la collina di Montmartre, prediletta dagli artisti e luogo deputato dei divertimenti notturni. [...]
Il 17 aprile, quando è ormai a Parigi da quasi tre settimane, Boccioni dedica alla madre e ad Amelia tre ore buone: quante gliene prende la stesura d'una «letterona», nella quale racconta per filo e per segno le emozioni vissute durante il viaggio e sinora nella scena ineguagliabile della ville que bouge, come la definirà un suo amico: la città che si muove, che è tutta un perpetuo movimento. Ed anche pensando all'eco che le sue parole desteranno nella tranquilla casa-laboratorio delle sue «carissime», nella piccola Padova, scrive tra l'altro quel che qui segue.
«...Sono in una città addirittura straordinaria. Qualche cosa di mostruoso, di strano, di meraviglioso! Poiché vi parlo di Parigi metto qui alcune cifre che vi daranno un'idea mentre a parole sarebbe impossibile. In tutta Italia vi è una sola agenzia telegrafica... a Parigi ve ne sono 17! Cento agenzie matrimoniali combinano in media 10.000 matrimoni all'anno. 3.000 architetti. 12 asili notturni che ospitano 52.000 uomini e 4.000 donne. 1.500 avvocati che esercitano. 500 fabbriche di calzature con alcune che confezionano 300 paia di scarpe al giorno. 180.000 stranieri dimoranti! Non compreso me che sono arrivato da poco. 400 dentisti! Buono per me! 40.000 operai e operaie per la fabbricazione delle piume e fiori artificiali. 40 fabbriche di guanti! 26 brigate [!!] di guardie di Questura e 6 compagnie di Riserva. 10 fabbriche di ghiaccio con una media in estate di 30.000 chilogrammi al giorno. 500 fabbriche di giocattoli con 12.000 operai e 20 milioni di affari annui! 2.700 medici che esercitano! 250 orefici con 3.000 operai. 200 fabbriche di profumi con 4.000 operai e 250 impiegati! 1.100 pompieri. 2.500 sarti!!
«Con queste poche cifre che tolgo dalle curiosità parigine immaginate cos'è questa città. Pensate alle migliaia di carrozze e centinaia d'omnibus, tramvai a cavalli, elettrici, a vapore, tutti con l'imperiale e gli automobili da piazza, alla metropolitana che è una ferrovia elettrica che passa sotto tutta Parigi e i biglietti si prendono discendendo in gran sotterranei tutti illuminati a luce elettrica; i vaporini identici a quelli di Venezia e sempre colmi di gente. È qualche cosa d'inverosimile. In mezzo a questo movimento mettete migliaia di biciclette, di carri, carrettini e carrettoni, di automobili privati, di biciclette porta roba come quella che aveva Bonaldi a Padova; il lastrico è pieno di réclame; le insegne fin sui tetti; i caffè a migliaia tutti coi tavoli fuori e frequentatissimi in mezzo a questi tre milioni di gente che smania, che corre, che ride, che combina affari e via via fin che ne volete...
«Tra i caffè concerti vi sono i così detti cabaret, che sono una cosa stranissima. Uno è intitolato 'Il Cielo'; la porta e l'interno sono azzurri cosparsi di stelle. Alla porta chi riceve i clienti e l'introduce è uno vestito da san Pietro in tunica barba e chiavi. [...] Entrate in fondo, e chi vi dice bon soir monsieur è il proprietario vestito da padre eterno, e i camerieri naturalmente sono tutti uomini vestiti da angeli! Un altro cabaret chiamato 'L'Inferno' sta vicinissimo al primo nella stessa strada: la porta è un'enorme bocca di diavolo con la testa che fa da stipite; il soffitto e le pareti sono rosse e piene di lampadine rosse: un diavolo t'introduce, dentro è semibuio; delle donne bellissime bruciano tra le fiamme, i camerieri vestiti da diavoli servono inappuntabilmente. Questi stanno a Montmartre e se non li avessi visti non crederei.
«'Le Néant' altro cabaret, questo invece è macabro: servono la birra su casse da morto; i camerieri sono vestiti da becchini e appaiono degli spettri. Poi altri chiamati con nomi strani, dei 'Nottambuli', degli 'Assassini', delle 'Quattro Arti', della 'Lepre agile', eccetera. Tutti questi ritrovi sono poi pieni ricolmi di cocottes... A Parigi di segnate in Questura ce ne sono 80.000!!! E questa credetemi è la cosa caratteristica di Parigi. Io ho veduto donne come non avrei mai immaginato che esistessero! Sono tutte dipinte: capelli, ciglia, occhi, guance, labbra, orecchi, collo, spalle, petto, mani e braccia! Ma dipinte in un modo così meraviglioso, così sapiente, così raffinato da diventare opere d'arte. E notate che questo fanno anche quelle di basso rango. Non sono dipinte per supplire alla natura, sono dipinte per gusto, con colori vivissimi: capelli del più bell'oro con sopra dei cappellini che sembrano delle canzoni: meravigliosi! Il volto pallido, d'un pallido di porcellana bianca; le gote leggermente rosee, le labbra di puro carminio, tagliate nette e ardite, le orecchie rosee; il collo, la nuca e il seno bianchissimi. Le mani e le braccia dipinte in modo che tutte hanno mani bianchissime, attaccate con polsi dolcissimi a braccia musicali. Taratan taratan taratan! !! Voi riderete ma io sono in un godimento continuo. E ciò che mi fa piacere è che queste donne non hanno per me alcuna attrattiva sensuale; sono troppo diverse dalle donne che ho sempre osservate e queste mi sembrano oggetti. Non vi parlo poi degli abiti; anche questi sono una perfetta musica: elegantissimi, così le calzature così tutto.
«[...] Sono stato a una delle cose più caratteristiche di Parigi: al ballo chiamato 'Moulin de la Galette'. È uno dei più sfrenati. Anche qui dovevo riportare una di quelle impressioni che non dimenticherò facilmente. Si pagano 2 franchi d'ingresso ma io ho ottenuto dal proprietario l'ingresso gratis per poter disegnare. Sono entrato in un'immensa sala (alla porta siccome al collo avevo una sciarpa m'ànno fatto scoprire per vedere se portavo il colletto) dove sotto una luce sfolgorante ci saranno state 500 persone tra uomini e donne. Lì ho veduto le donne che v'ho descritto! Che tipi! Che spettacolo! Chi si abbracciava, chi si baciava; molti stavano ai tavoli, gli uomini tra le braccia delle donne: era un abbandono generale. Cominciò un valzer e io mi dovetti domandare dove mi trovavo. Le posizioni di ballo più strane erano in uso. Ognuno cerca inventare una posizione di ballo e ognuna è più voluttuosa dell'altra. Le donne erano leggerissime, vaporose; sembrava un ballo di duchesse e tre quarti erano antiche sartine e modelle. Con quel pittore francese venne a parlare una donna così elegante di figura e d'abito che a Roma l'avrei creduta una gran dama, invece era una modella. L'orchestra suonò un ballo spagnolo ora in voga e allora vidi delle coppie ballare con tali ondulazioni e contorcimenti veramente mai visti. I corpi si piegavano a destra e a sinistra, ondulavano, volteggiavano tra gli sguardi entusiasti di chi non ballava. Due donne specialmente danzavano in modo tale che mi fu detto essere alcune volte costretta la guardia dei costumi che sta lì di intervenire perché non si vada a finire chissà dove. Credetemi che io sono stato per tutta la sera sbalordito e quando ritornai a casa mi domandai come diavolo pensasse tutta quella gente per godere in simili modi. Domani sera torno. Vorrei portar via un quadro di tale spettacolo.
«[...] Le ragazze che vivono sole è a Parigi una cosa normale. Quasi tutte hanno l'amante: le studentesse, le sartine, le operaie. Andando a vedere una camera la padrona dell'hotel mi disse che me ne avrebbe dato una dove stava una giovane sarta, con i parenti in provincia, ma disse con ingenua disinvoltura, la benedetta figliuola ha l'amante e torna a casa ogni 15 o 20 giorni perché si corica sempre presso di lui. E credetemi così fanno moltissime. Immaginate che in un corteo fatto di studenti pro vittime delle miniere, gli studenti marciavano in colonna abbracciati con ragazze giovanissime, alcune erano sartine. Di tanto in tanto le baciavano... In mezzo poi sgambettavano studentesse vestite completamente da uomo. M'hanno detto che questo è un uso in questi cortei! Tutto questo la gente guarda e passa oltre.
«A Parigi tutto costa poco. Casa, vitto, vestiti. Io spendo per mangiare 90 centesimi al giorno. Faccio tutto da me. Una bellissima signorina polacca (che ho conosciuta in casa della Sig. Tomascetwzka dove vado di tanto in tanto), e che vive sola a Parigi facendo la scultrice, mi ha regalato una grossa macchina a spirito, due piatti e una casseruola. Io mangio sempre o uova o formaggio, o cotechini, ecc. Per bere bevo sempre the. È un'abitudine presa a Roma. Me lo faccio tre, perfino quattro volte al giorno. Mentre scrivo l'acqua bolle e me ne faccio un'altra tazza. Le uova si comprano in scatola di 12, a 24 soldi. La grande economia che faccio mi permette di tirare innanzi senza troppo angustiarmi e poter studiare. Tutte le sere sono in casa alle 8 e alle sette di mattina già al lavoro. Lavoro tutto il giorno perché mi son trovato indietro. [...]
«La mia camera è a mezzogiorno, piena di luce, e ciò mi fa molto piacere. La casa è una vecchia casa francese con tetti agozzi e le finestre quadrate a piccoli vetri, nella mia ce ne sono 16. È piena di poesia. C'è anche il caminetto per quest'inverno. Pago 20 franchi e 2 per il servizio. Papà mi ha scritto, dice che vi dica di venire ad un accomodamento. Come va l'affare? Il mio indirizzo ora è questo: Rue Vaugirard Bureau n. 6. È il numero dell'ufficio postale vicino a casa mia; la posta centrale è lontana qualche chilometro. Avete notizie da Roma? Scrivete parlando della mia partenza e fingendo di non sapere come sono andate le cose e che non l'ho salutati partendo. Scrivetemene. Maria Capobianco forse verrà a raggiungermi tra qualche mese. Poverina! Sento di volerle un po' bene. Lei mi scrive di volermene tanto. Lei ha qui una cugina ricca, credo. Scrivetemi di tutti e di tutto per compensarmi di questa letterona durata 3 ore! Baci. Vostro
Umberto.

«Scusate se ho scritto in pessimo italiano e me ne vergogno, ma a correggere perderei troppo tempo... Tanti saluti affettuosi alla Signorina Adriana. Mandatemi chiaro il nome del gerente. Ho avuto la sua cartolina. Salutatelo per me»'.
In fretta aprile se ne va. Ma - evviva! evviva! - viene a Parigi uno dei due migliori amici di Umberto: Mario Sironi, che da tempo aveva progettato a sua volta un soggiorno di studio all'ombra della Tour Eiffel, ch'è divenuta da una quindicina d'anni il simbolo della città. Così le visite ai luoghi d'arte, le riflessioni, le discussioni e tutte le altre esperienze sono condivise, nel senso più profondo della parola. E perciò ben presto gli amici del Caffè Pascal, e di qualche ritrovo studentesco del Quartiere Latino, si abituano a veder arrivare les deux italiens: Boccionì con la sua giubba singolare, che un po' somiglia alla tonaca di un prete tagliata a metà; e Sironì, che sfoggia invece un bell'abito da giovin borghese, con gilet chiaro e cappello a bombetta.

AGNESE, pp. 85-96, con tagli e senza note.
Per il testo integrale si rinvia il lettore al magnifico volume.