GINO AGNESE

BOCCIONI A PARIGI
L'INCONTRO CON AUGUSTA



Verso la metà di maggio, quando cominciano a spuntare le foglie nuove sugli alberi dei boulevards, Boccioni conosce tra i suoi amici est-europei una giovane signora russa, che subito gli manifesta speciale simpatia. Ha qualche anno più di lui, si chiama Augusta Popoff ed è la moglie di Sergej Berdnicoff, funzionario governativo in missione all'estero, adesso incaricato di speciali compiti presso il Consolato di Parigi. La simpatia è ricambiata, anche perché la signora è appassionata di pittura e segue perciò con intensa partecipazione il lavoro e i discorsi di Boccioni. E così, nel volgere di qualche settimana si sviluppa rigoglioso un sentimento reciproco di affettuosa amicizia, che potrebbe anche spegnersi in breve tempo, perché lui ha come un timore delle relazioni che si annunciano importanti, o perché le occasioni di nuovi incontri a Parigi sono tante. Ma lei intuisce tutto ciò e trova il modo di potergli stare vicina un giorno sì e un giorno sempre. «Desidero imparare a dipingere, caro Umberto; e se mi darete intanto lezioni di disegno, ve ne sarò grata. Ne ho parlato con mio marito, ed è d'accordo. Possiamo pagarvi un forfait di 50 franchi il mese, fin quando saremo qui. Sino alla fine dell'estate, credo».
Boccioni non se lo fa dire due volte. La signora Berdnicoff gli sembra un angelo che vuol prenderlo in custodia; e in realtà è la persona che il destino ha scelto per evitargli le bassezze della pittura commerciale, alla quale suo malgrado si sarebbe nuovamente piegato, dopo l'amara esperienza di Roma, per guadagnarsi da vivere a Parigi. Ma è anche una donna chic, alta quanto basta e di fattezze armoniose, con un ovale pieno, nel quale splendono due stelle scure, talvolta appannate da qualche pensiero segreto. È il rimpianto di non essere ancora diventata madre, che conduce qualche volta il suo sguardo lontano? Giorno dopo giorno, Umberto entra nella vita di Augusta, proprio come lei voleva; e le lezioni di disegno - chez lui o altrove - divengono incontri d'amore, con lei che ripete: «E quando poi tutto finirà?»
Mammà e Amelia sanno abbastanza; e benché Umberto, nelle lettere, scrive di Augusta come della «cara Signora che mi aiuta a non fare del commercio e a poter studiare», da alcune descrizioni capiscono tutto quel che c'è da capire: «L'ho veduta or ora ed era elegantissima con un vestito di pizzo nero e le braccia nude fin sopra il gomito come vuole la moda parigina. Era molto allegra perché suo fratello arrestato giorni sono in Russia per aver fabbricato bombe è riuscito a evadere gettandosi dal finestrino del treno. Ora è nascosto e forse raggiungerà Parigi». Chi sa tutto - e non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo - è Mario Sironi [*], sempre immerso nei grigi e nei neri della sua anima travagliata; il quale è depositario di tutte le confidenze di Umberto, anche quelle riguardanti Augusta, e si è fatto persino taciturno compagno di lui e di lei in qualche passeggiata, la mattina tardi, nel giardino del Lussemburgo, a quell'ora frequentato soprattutto dalle balie, dagli anziani che si attardano attorno alla fontana degl'Innamorati e dagli studenti che vanno svelti verso l'uscita di rue de Vaugirard, per andare alla Sorbona.
E il signor Sergej Berdnicoff, che cosa pensa dell'insegnante di disegno di sua moglie? Possibile che non sia neppure sfiorato dal sospetto? Questo precisamente conferma il suo comportamento nei riguardi di Boccioni, improntato ad amichevole benevolenza: sicché veramente pare che egli non veda e non senta. Ma sono proprio i suoi modi che insinuano il dubbio e spronano al galoppo la fantasia di Boccioni. «E se invece finge di non sapere?» Augusta invece è un libro aperto, con delle pagine strappate, forse; ma è una passione che non gli dà respiro; e non è una ragazza, come le altre; bensì è una signora, che viene da una famiglia cospicua e, moglie d'un attaché ministeriale che ha grado di vice console, s'illumina di grazia nei ricevimenti dell'Ambasciata, tra strascichi e baciamani. La sua città, Tzaritzin, nella Russia meridionale, è in riva al Volga; ed ella spesso parla del «suo» grande fiume, che da quelle parti è forse tre o quattro volte più largo della Senna; e i suoi racconti spesso biancheggiano di ricordi invernali, s'increspano di trame politiche, si offuscano di oscuri intrecci, si accompagnano di violini ed echeggiano di spari: perché sembra appunto che non solo i russi, ma anche le russe, abbiano per le armi da fuoco la stessa irresistibile attrazione: tanto che lei ha fornito al suo 'italien', maestro di pittura, 'un pistolet à répétition très bon, très bon'.
Evidentemente, Boccioni adesso ha le stelle dalla sua parte. Infatti, un mese dopo aver conosciuto Augusta, per combinazione s'imbatte in uno straniero che gli darà in locazione il proprio appartamento a condizioni incredibilmente vantaggiose, addirittura simili a quelle che era riuscito a strappare, per aver diritto a una camera, alla proprietaria dell'albergo di rue de Vaugirard. E il 24 giugno, in una frettolosa lettera a mammà e ad Amelia, così narra della buona sorte che l'assiste.
«Carissime, [...] Ho incontrato per caso in un magazzino un signore polacco che ho conosciuto a Roma. Mi ha invitato a casa sua e dalla sua signora ho saputo che partivano per i bagni, in Italia sulla riviera ligure. Erano costretti perciò a lasciare l'appartamento di cui avevano già pagato l'affitto per tre mesi. Mi proposero di prenderlo con un amico e dopo un po' di dubbi io e Sironi [non Severini] abbiamo deciso di prenderlo a 40 franchi al mese. Perciò ai primi del prossimo mese avremo, per 40 fr. a testa, un appartamento al rez-de-chaussée (vale a dire che dalla porta di strada si salgono 3 gradini e si è in casa) con due camere da letto (la mia con mobili in legno nero) una cucina con acqua potabile e un salotto dalla parte di strada diviso dalle camere con un corridoio!!! Nel salotto vi sono circa 1.000 volumi, un divano lungo e basso con alcova turca tutta in seta, sedie di cuoio, scrivania, servizio da fumare, quadri e oggetti d'Arte! ! (statue, busti, ecc.)».
Più avanti, nella lettera, scritta di getto e senza neppure la minima cura stilistica, Boccioni completa la descrizione, racconta della soddisfazione sua e di Sironi e accenna ad Augusta, della quale aveva già detto loro in precedenza.
«Ci lasciano la cucina al completo con servizi da tavola e da the. La cucina si fa tutta col gas! Ci lasciano lenzuoli asciugamani e salviette per cambiare, pensando noi alla lavandaia. Ci fanno fare prima di partire due chiavi per poter entrare e mi dimenticavo di dirvi che un piccolo cortile con balaustra di ferro ci appartiene e potremo lavorarci. Tu non crederai ma io e quest'amico il giorno [in] cui si decise eravamo talmente eccitati che non potevamo lavorare. Immagina quali ricevimenti immaginiamo nel salotto dove noi saremo padroni. Il pavimento di noce lustro con la cera è una bellezza! Quando io portai da quei signori questo amico ci ricevettero con le lampade turche abbassate di modo che tutto il salotto era in una penombra. Nel servizio dei sigari ce ne erano di avana di grossi piccoli sigarette ecc. Anche noi offriremo agli invitati. La Signora russa è ansiosa di vedere che ricevimento le farò nel mio salotto e certo sarà contenta. A proposito si chiama Augusta Petrovna Berdnicoff. Non vi pare una bella fortuna? Una donna di servizio verrà tutti i giorni per un'ora (si paga 30 centesimi l'ora) a fare i servizi e vedrai che tutto andrà benone. Per i ladri se vengono, ho già un revolver prestatomi dalla mia signora e lo porto sempre con me. A Parigi è necessario. Cosa ve ne pare? Sarei curioso di sapere la vostra impressione. Non è vero che nella vita sono abbastanza fortunato?... e nell'Arte?»
L'appartamento ceduto dall'agiato polacco a Boccioni e a Sironi è qualcosa di ben diverso da un 'meublé'. È un'abitazione certo non grande, però di tono borghese, nella quale Umberto, che dai tempi di Catania ha sempre vissuto in camere mobiliate, in pensioncine e in albergucci, si sente un signore: uno di quei signori parigini che restano in città e si difendono dal caldo di luglio accostando gli scuri e prolungando la siesta. Ma la mattina esce sempre molto presto per onorare il suo programma, che ha per piatto forte gli studi dal vero. Disegna non tanto gli angoli e gli scorci di Parigi, quanto piuttosto la vita della città e soprattutto i cavalli: da carretto o di elegante attacco, tra le stanghe o fuori di esse, visti davanti 0 visti da dietro. Poco dopo essere giunto a Parigi, in aprile, pensò di fare delle opere 'comme il faut'; e dipinse a olio, per esempio, una compiuta figura femminile: una donna seduta, assorta, un po' nel ricordo di Whistler, un autore assai prestigioso e riprodotto, e un po' nel gusto severo di Mario, i cui volti sono sempre immobili e seri. Adesso invece lavora specialmente con la matita, per migliorare il possesso delle forme e per dar seguito agli studi sull'immediatezza, sulle atmosfere ambientali, compiuti nel 'Moulin de la Galette', dove, nell'immenso salone da ballo ombreggiato da gigantesche kenzie, disegnò per parecchie sere.
Va poco a Montmartre. Il legame con Augusta, gl'impegni della mattina, le letture, i dubbi e gli entusiasmi relativi alla propria arte, gli acquietano la voglia delle avventure notturne. Ma al pari degli amici - Sironi prima di tutti e poi un paio di giovani artisti francesi e alcuni studenti russi - ha modo di osservare come nei bal e nei cabaret le danze fino allora in voga - quadriglia, polka, mazurka, berlinese - stiano ripiegando pian pianino, incalzate da un'esigua avanguardia musicale latino-americana e, specialmente, insidiate da un'altra lunga ondata di esotismo orientale, che lambisce i ritrovi della 'Butte' e di altrove: sicché si torna a parlare del 'Divan Japonaise', famoso per le esibizioni della non più giovanissima chanteuse Yvette Guilbert, e molto si discute d'una compagnia di danzatrici cambogiane, che ha travolto d'interesse una celebrità di cui lo stravagante Colini - ricorda Boccioni - diceva il peggio che si può dire: lo scultore Rodin, preso in giro per la posa del suo Pensatore. Gira la ruota del gusto, traballa la fortuna del realismo e, anche per effetto delle vittorie riportate dai nipponici contro i russi in Manciuria, c'è a Parigi un rinverdimento del 'japonisme', che nelle arti figurative afferma la signoria della linea: quella stessa signoria alla quale s'inchinano i pittori, ora più nominati, dell'àmbito tedesco e di altre culture del Nord-Europa, tesi a rendere in pittura le condizioni dello spirito. Sono giorni in cui il pensiero di Boccioni va talvolta ai discorsi di Raoul Dal Molin Ferenzona, uno dei pochi, tra gli amici di Roma, che alzano e dirigono le proprie linee verso i domini che non sono della materia.
Agli inizi di agosto i coniugi Berdnicoff partono per l'Inghilterra, dove il signor Sergej deve svolgere una missione della durata di qualche settimana. Di che cosa si tratta? È un compito affidatogli dal Ministero degli Esteri, che vuole ragguagli. Londra - come dicono anche i giornali di questi giorni - è divenuta ultimamente la mèta di una duplice emigrazione russa: vi giungono nuclei di terroristi e d'altre specie di rivoluzionari, che contano di riprender fiato in riva al Tamigi, per poi tornare in patria meglio armati e organizzati; e di conserva, o in tempi di poco successivi, vi giungono gli inviati del Governo: diplomatici, dirigenti di polizia e funzionari diversi, che con questa o con quella scusa soggiornano nella capitale inglese al solo scopo di tener d'occhio i sowersivi e conoscerne i programmi. Verosimilmente Sergej Berdnicoff - che è nella carriera consolare, ma è autonomo, e pertanto non figura nell'organico del Consolato russo di Parigi - è andato in Inghilterra proprio per questo; ma delle sue attività, a Boccioni importa ben poco. Per la testa ha ben altro.
Prima di partire per l'Inghilterra, Augusta ha insistito su di un suo desiderio, che sin dalla seconda metà di giugno non l'ha mai abbandonata: vuole che Umberto l'accompagni in Russia, prima della fine del mese, e che resti a Tzaritzin almeno per il resto della stagione buona. Alcune ragioni sentimentali presiedono a questo desiderio; e Umberto le condivide con entusiasmo, perché sarebbe quasi un sogno fare un viaggio simile e visitare il paese di Dostoevskij e di Tolstòj, e navigare sul Volga magari, e vivere in quella casa e in quei luoghi che tante volte Augusta gli ha descritto. Ma c'è un motivo infinitamente più importante, sigillato in un'ora di maggio, custodito nel segreto del seno, per cui lei vuole condurre Umberto tra i propri affetti e nella propria casa paterna: ed è che è incinta di lui, ormai di quasi tre mesi.
In attesa del ritorno di Augusta, Boccioni oscilla tra speranza e pessimismo. Ce la farà a raggranellare i denari occorrenti per il viaggio? Nonostante i 50 franchi al mese passatigli da Augusta per le galeotte lezioni di disegno, Boccioni è vissuto sinora sul filo del rasoio, bene attento anche ai centesimi, cucinando da sé, divorando baguettes con la frittata in mezzo e andando soltanto qualche volta a 'partager l'absinthe' con Sironi e con gli altri compagnons de bohème. Eppure i risparmi portati da Roma son quasi tutti volati via. E non v'è dubbio che, comunque, l'esperienza parigina è ormai agli sgoccioli, anche per Mario? il quale, se il suo amico partirà per la Russia, o per l'Italia, non potrà certo pagare da solo l'intera pigione del rez-de-chaussée. Boccioni trascorre giorni di tensione, ma un presentimento gli dice che sì, riuscirà ad andare in Russia; e potrà dipingere Visioni del Volga, il quadro al quale più volte ha pensato intanto che Augusta gli raccontava di Tzaritzin e dei dintorni, che subito oltre la riva sinistra del fiume s'impolverano di deserto e si popolano di genti dall'occhio mongolo. In quel quadro Boccioni vuole «accennare con la forma ai voli dell'anima»; e vuole raffigurare nella tela «cammelli, mugik, Volga e altre cose».
Torna Augusta da Londra, il presentimento si rivela fondato, Boccioni parte per il viaggio più lungo della sua vita. E prima di lasciare Parigi dalla Gare du Nord, scrive a mamma Cecilia e ad Amelia, informandole anzitutto di come, in extremis, è riuscito a mettere insieme i soldi necessari per il biglietto e per il resto.
«Carissime, finalmente ho vinto! Lunedì sera 27 (agosto) a mezzanotte parto per la Russia! Solo quando vi sarò vicino a viva voce potrò efficacemente descrivere le ansie di questo mese. Fino a questa sera alle cinque io sono stato nel dubbio più feroce sulla mia partenza e già mi preparavo a continuare le valigie e prendere lunedì il treno per Padova perché a Parigi non potevo più reggere. Che sforzo! Finalmente ho vinto! Alle 5 e mezza di questa sera [25 agosto] ho venduto per 50 lire quattro disegni che giorni sono preparando le valigie avevo deciso di disegnarci sopra o buttarli. Era robaccia della caccia alla volpe senza alcun valore! Speravo che me ne dessero 10 franchi e invece ne ho avuti 50!! Questi uniti a 10 che mi ha dato un pittore italiano e 10 la signora Clelia di Chatou fanno 70 lire, che unite alle vostre 40 e alle 20 che avevo formano 130 lire nette!!! Chi avrebbe sperato una somma simile? Io potrò pagarmi il viaggio di 90 lire, pagare il passaporto russo e farmi qualche cosa per vestiario! Perciò parto senza ambagi e senza pene e arriverò decentemente equipaggiato!»
Più avanti, nella lettera, Boccioni spiega che a Tzaritzin si disobbligherà dell'ospitalità eseguendo dei ritratti; e comunica alle sue «carissime» come si svolgerà il viaggio.
«Mi domandate se quei signori mi considerano? Credete voi che mi porterebbero là se fosse il contrario? Naturalmente che vado ospitato in tutto in casa loro, altrimenti come vivrei? Intanto verranno fuori i ritratti ma non ho nessuna angustia per questo. Non vi sembra una fortuna? Ora vi voglio dare alcune istruzioni. Volevo scrivere una lettera straordinaria ma un po' per l'agitazione e un po' per la stanchezza non mi riesce formulare un pensiero. Mi sfogherò dandovi dei dati materiali su questo viaggio. Volevo mandarvi una carta geografica dell'Europa per potermi seguire ma tutti i negozi erano chiusi e ve la manderò lunedì. Ancora non è certo se facciamo la via del Volga. Ci sono pochi denari: ma forse si farà. Per adesso abbiamo accorciato l'itinerario e il viaggio si riduce a 5.000 km: si compie in 7 giorni viaggiando giorno e notte senza alcuna fermata. Se facciamo questo, l'itinerario è il seguente: Parigi, Liegi, Berlino, Varsavia, Smolesco, Mosca, una città russa di cui non ricordo il nome e Tzaritzin. Attraverso perciò la Francia, il Belgio, la Germania, la Polonia, la Russia! E scusatemi se è poco!»
Ma la madre e Amelia, che cosa possono sapere di Tzaritzin? Umberto dà loro qualche notizia, racconta d'aver cominciato a studiare il russo e nasconde la verità del suo rapporto con Augusta, continuando a indicarla come «la Signora».
«Tzaritzin ha press'a poco gli abitanti di Padova, è piccola in piena campagna e per ciò nessun movimento politico o poco. Io essendo straniero non sono toccato e poi ho tutte le mie carte in regola. Partendo da Parigi il 27 agosto, si arriva in Russia il 21 agosto perché il calendario russo è indietro di 13 giorni, perciò secondo questo noi partiamo il 14 agosto. Il russo, non so se lo sapete, ha calligrafia diversa dalla nostra. Qui accluso vi mando il mio indirizzo di Tzaritzin come lo dovete scrivere sulla busta. Manterrete la stessa disposizione' così non ci saranno sbagli. Nelle lettere naturalmente potrete domandarmi quello che volete perché nessuno ci capirà una parola. Tutto però con la dovuta delicatezza. Da lunedì sera dopo passata la frontiera Francese e Belga io non potrò piu parlare che francese con i due signori Berdnicoff e basta. Tutte le mie comunicazioni con il mondo saran finite non conoscendo una parola di Tedesco, di Polacco, di Russo. Quest'ultima lingua la studio e comincio un po', perciò con qualche mese mi arrangerò. Una buona notizia è che nei treni russi si dorme come nei piroscafi, perché date le distanze immense, si morrebbe di fatica. A Mosca ci fermeremo due o tre giorni e vi scriverò. Vi scriverò inoltre, forse, (viaggiando diretti) da Berlino e da Varsavia. Sul facsimile di busta che vi mando potete vedere come dovete disporre i caratteri. Vi mando inoltre la carta dove ha scritto la signora Berdnicoff l'indirizzo, così essendo più chiaro potrete copiare meglio».
Sempre scrivendo in tutta fretta, trascuratezza di forma e persino incorrendo nuovamente in qualche vistoso lapsus calami, Boccioni esaurisce la serie delle istruzioni e viene a quanto gli aveva consigliato la sorella, per lettera, qualche settimana prima.
«In un punto Amelia mi diceva di dire con coraggio ai signori Berdnicoff che era pei denari che non potevo partire. Ma pensa che pur di farmi partire era disposto a far dare alla signora il viaggio di rimpatrio e così avere i denari per me... Lui lo avrebbe fatto ma come funzionario non può farsi vedere nel passaporto un viaggio di rimpatrio. Al consolato invece hanno rifiutato e se io non trovavo i denari non potevo partire. Quando tornarono dall'Inghilterra mi vennero ad avvertire a casa che erano tornati e che se ero pronto si sarebbe partiti... Io non avevo un soldo e immaginate come rimasi».
Quindi Boccioni rassicura le sue «carissime»: esse soltanto sono nel suo cuore. Gli altri ne sono fuori. E non parliamo di quelli di Roma.
«Prini non mi ha risposto ma ora non importa più: io parto! E ora, care, voi siete le sole persone di cui mi possa fidare. Quando ci rivedremo mi troverete profondamente cambiato. Non credo più in niente e in nessuno. Non ho un solo amico. Nessuno!! Non mi apro più con nessuno, non mi fido più di nessuno. In questo stato di guerra con tutti cerco ansiosamente qualche cosa su cui posarmi. E non ho ancora trovato nessuno. Tutti mi hanno offeso o tradito. Non vi impressioni questo sfogo all'ultimo momento, perché è da tutti questi disinganni che verrà fuori la mia individualità e nauseato di tutto e di tutti mi ritirerò solo con l'arte sull'altezza che con l'amore per lo studio potrò arrivare. Credevo dunque d'essere solo e voi mie care mi avete dato una tale prova di amore che tutte le mie idee si sono sconvolte. Voi mi avete raddolcito in un momento in cui la mia tensione contro tutti era estrema. La vostra proposta il vostro aiuto m'ha accennate mille cose che il mio cervello maturerà. L'unica cosa che posso dirvi è che io lavorerò e continuerò a salire se non mi son fermato. Io farò belle cose e voi assisterete al mio trionfo. Io non posso che promettervi questo».
La conclusione della lettera riprende l'assicurazione che Boccioni ha già dato alla madre e alla sorella nelle prime righe: non temano che egli si perda in qualche convivenza, lontano nel mondo. Tornerà presto in Italia e vivranno insieme, in tre.
«Dopo la Russia io verrò a Padova e ciò sarà tra qualche mese. Noi vivremo insieme, ci capiremo e io lavorerò per mettere bene giù il primo gradino. Siete contente? Ora via tutte le pene. Non paura per me e per la mia situazione. Abbiate coraggio, che a me tutto andrà secondo la mia ferrea volontà. Io vi scriverò il più possibile così mi seguirete nelle nuove visioni che mi aspettano. Se volete, dopo quattro o cinque giorni che avete ricevuto questa, scrivete una cartolina a Tzaritzin così avrò il vostro saluto al mio arrivo. Ma forse non importa, è meglio attendiate che io vi scriva di là. Dunque arrivederci. Vi bacio e vi abbraccio con tutto l'amore di cui sono capace e vivete felici. Vostro Umberto».

AGNESE, pp. 96-105, con tagli e senza note.
Per il testo integrale si rinvia il lettore al magnifico volume.