IL CASO DI GUERRA BOCCIONI

 

EDIZIONE CRITICA

A CURA DI LAURETO RODONI

PUBBLICATA IN

TRA FUTURISMO E CULTURA MITTELEUROPEA

L'INCONTRO DI BOCCIONI E BUSONI A PALLANZA,

ALBERTI EDITORE - VERBANIA-INTRA
OTTOBRE 1998


 






 

PREMESSA

 

Scritto tra il 22 e il 30 agosto, l’articolo in memoria di Boccioni fu pubblicato sulla prima pagina della Neue Zürcher Zeitung il 31 con il titolo «Der Kriegsfall Boccioni». Busoni avrebbe voluto che fosse più lungo, ma temeva che la direzione del giornale non glielo avrebbe consentito. Ad H. Huber scrisse infatti il 7 settembre: «Über Boccioni hätte ich noch manches andere geschrieben, aber man hätte es nicht zum Drucke angenommen.» E aggiunse, amaramente: «Die Zeit steht im Zeichen des Maulkorbes. Die Menschen sind nicht gut und auch nicht ehrlich. Um so mehr freut man sich über die Einzelnen, Einsamen, heute völlig Isolierten. Ich rechne Sie dankbar zu diesen. Krampfhaft klammere ich mich an die Arbeit.» [1]
Siccome Boccioni e la sua opera non erano molto conosciuti a Zurigo, la redazione pubblicò insieme all’articolo anche una breve biografia del pittore.
«Der Kriegsfall Boccioni» ebbe larga diffusione anche perché il musicista lo allegò alle lettere indirizzate ai suoi amici più cari. Suscitò ammirazione negli ambienti intellettuali pacifisti, benché Busoni non lo considerasse uno «scritto pacifista» ma semplicemente «un piccolo feuilleton sulla morte di un eccellente pittore avvenuta durante il servizio militare; [...] in un accenno succinto l'arte vi è contrapposta alla guerra.» Con queste parole Busoni rispose all’amico Arnold Schönberg che, da Vienna, il 14 novembre 1916, gli chiedeva una copia dell’articolo:
«Caro, stimatissimo signor Busoni, sento che Ella è a Zurigo, che ha scritto un articolo sulla pace, che dunque la guerra La af-fligge - debbo quindi scriverLe subito. Questa guerra mi fa soffrire orribilmente. Ha interrotto tante relazioni intime con persone di prim'ordine. Ha messo sotto confisca metà dei miei pensieri e mi ha mostrato che, se non posso continuare ad esistere con la metà che mi rimane, non posso farlo nemmeno con quella confiscata. Per favore mi mandi il Suo articolo sulla pace e mi dia Sue notizie. Se fosse permesso a noi due e a persone simili a noi di tutti i paesi di radunarci e deliberare sulla pace, entro una settimana la regaleremmo al mondo, con in più mille idee che basterebbero per una mezza eternità, per una pace più o meno eterna. Sì, gli uomini sono malvagi. Ma non tanto malvagi che non si possa esser arbitri fra loro. Sono terribilmente malvagi - è stata la guerra a rivelarlo. In tempo di pace almeno non era tanto evidente - vien fatto di credere che non lo fossero ancora. Certo un arbitro avrà bisogno di un bastone, che raggiunga tutti coloro che portano la colpa. Ma è proprio necessario farli diventare prima malvagi e infelici? Vede, malvagio e infelice, è la stessa cosa nel mondo materiale. In quello spirituale è diverso: infelice, e perciò buono! [2]
Non si sa se Busoni abbia veramente spedito l’articolo. Il 30 gennaio del 1917 Schönberg non lo aveva ancora ricevuto poiché lo chiese di nuovo, usando questa volte le stesse parole di Busoni per definirlo: «Potrei avere il Suo feuilleton sulla morte di un eccellente pittore? Per favore, me lo mandi.» [BUSONI, «Lettere...», p. 561.]
L’articolo fu poi inserito da Busoni stesso nel volume di scritti teorici «Von der Einheit der Musik» [Max Hesses Verlag, Berlin, 1922, pp. 241-244.]
Per la prima volta i brani tratti dalle lettere di Boccioni sono pubblicati facendo capo agli originali e non alla ri-traduzione in italiano della traduzione tedesca fatta dall’autore. [3]
Zurigo, agosto 1916

Lasciai Boccioni poco meno di due mesi fa, sul lago Maggiore, dove aveva dipinto un mio potente ritratto. Tre settimane di soggiorno comune parvero averlo stimolato molto; tanto che quando ci separammo, animato da nuovi ideali, Boccioni si sentiva pronto ad affrontare un periodo di lavoro per lui decisivo, e perciò fu felice quando dal comandante locale apprese che la chiamata alle armi della sua «categoria» - della sua classe militare - era stata rinviata di nuovo. Ero però appena arrivato a Zurigo* quando una sua lettera mi annunciò che il suo richiamo era imminente: il 24 luglio, infatti, dovette presentarsi.
«Purtroppo le scrivo senza nessun progetto di lavoro. La mia classe è stata chiamata ed io sono stato dichiarato abile ed assegnato all’Artiglieria di campagna. L’assegnazione mi piace molto e sono contento. Lo sarei completamente se non vi fosse di mezzo la mia ansia di lavoro che dopo San Remigio non mi lascia e mi faceva sognare un periodo fecondo. Inoltre ho mia madre e oltre al suo dipiacere spiegabilissimo, c’è la mia preoccupazione di lasciarla con mezzi pecuniari che non aumentino le sue e mie preoccupazioni già grandi. [...] Non sono affatto territoriale e dopo tre mesi d’istruzione andrò al fuoco... Mia Madre non lo immagina. Se lei scrive non tocchi questo tasto. [...] Speriamo che non mi accada nulla di grave.» [4]
In queste circostanze incresciose questi tre mesi di «istruzione» furono di conforto per me, che amavo Boccioni di cuore e lo ammiravo vivamente.
In una lettera del 12 agosto mi diceva inoltre: «Tutto questo periodo della mia vita è sotto la sua influenza e a Lei devo la pace e la calma con le quali posso sopportare questa vita terribile. [...] D’arte, da qui, non posso parlare. La fatica è enorme e il cervello non funziona più. [...] I primi [giorni] sono stati atroci. La sera nella quale mi vestirono e dovetti portarmi sulle spalle paglia coperte tavole ecc. mi prese, confesso, un grande scoramento. [...] Da questa vita uscirò con una specie di sprezzo per tutto ciò che non è arte. Nulla è più terribile dell’arte. Tutto quanto vedo è giuoco in confronto ad una pennellata giusta ad un verso ad un accordo giusti. Voglio sviluppare questa idea se avrò tempo e voglia. Tutto è meccanico e facile e abitudinario. Pazienza e memoria. Non c’è che l’arte col suo soffio inconoscibile e i suoi abissi inscrutabili. Tutto il resto è raggiungibile basta darsene la pena.» [5]
Fin qui era arrivata la nostra corrispondenza, [6]quando un giorno (il 22 agosto) mi fu porto con esitazione (a me che leggo poco i giornali) il «Corriere»** del 19 agosto, nel quale si comunica la morte di Boccioni in seguito a una caduta da cavallo. L'annuncio ufficiale è accompagnato da qualcosa che vuol essere affettuoso elogio del giovane maestro, e infine da quanto segue:
«Quando scoppiò la guerra egli lasciò i pennelli, lasciò la fortuna che già sorrideva all'arte sua e s'arruolò nel battaglione volontari ciclisti [...]. [7] Il battaglione fu più tardi disciolto. Umberto Boccioni fu chiamato sotto le armi con la sua classe. Alla visita medica scopersero in lui un enfisema polmonare; ma egli volle a ogni costo essere soldato; e divenne artigliere. Al reggimento la sua fama, la vivacità dell'ingegno, gli guadagnarono le simpatie dei suoi ufficiali. Egli scriveva da Verona lettere felici. [8] Aveva trovato modo di lavorare qualche ora. La sua vita, tra queste due milizie, quella della patria e quella dell'arte, aveva raggiunto la sua più perfetta unità. La morte l'ha colto a trentaquattro anni in questo bellissimo fervore del suo spirito.»
Evidente è qui lo sforzo del «Corriere» di non sentire l'orrore dell'accaduto, e lo studio di soffocarlo con l'estasi patriottica, dato che, una volta tanto, il fatto non può passare sotto silenzio. [9] Non una parola di rimpianto per la perdita di una così sicura promessa dell'arte figurativa. Un confronto fra il trafiletto giornalistico e la lettera a me indirizzata dimostra però senz'altro la deliberata deformazione [10] della situazione. Perché avviene questo? Perché lo sdegno che tutta una parte degli italiani deve aver risentito non è apertamente espresso? A che mira e da che deriva questo sistema di prestabilita congiura del silenzio intorno a fatti imperdonabili, fatti originati da circostanze e azioni [11] che «sono un gioco in confronto ad una pennellata giusta?» [12]
Nel gruppo di acqueforti di Goya «Los Desastros [sic] de la guerra», [13] la penultima incisione porta il titolo «La verdad es muerta» [14] (La verità è morta) - «Ma essa risusciterà» - cosí si intitola l'ultima. [15]

* In realtà circa un mese dopo.

** Le parti tratte dal Corriere della sera sono riprese dall’originale italiano.