Bruno Goetz

DISCORSO COMMEMORATIVO IN ONORE
DI FERRUCCIO BUSONI
NEL 25º GIORNO DALLA SUA MORTE


Testo originale in tedesco in possesso del curatore del sito.
Traduzione di Augusto e/o Emilio Anzoletti.
Ringrazio di cuore il collezionista privato
che me ne ha donato una copia


«Natura lo fece e poi ruppe lo stampo» - queste parole, coniate qualche centinaio di anni fa da Ludovico Ariosto in onore di uno dei suoi contemporanei, ci servono da prologo in quest'ora nella quale commemoriamo il grande pianista e poeta compositore italo-tedesco Ferruccio Busoni nel venticinquesimo giorno della sua scomparsa. Un fenomeno eccezionale, inconfondibile, già oggi diventato leggenda, ha concluso la sua vita nel crepuscolo tempestoso a cavallo di due epoche: nella sua opera a partire da un'estrema e nobile spiritualizzazione di una musica antica, si leva la prima precoce voce di una nuova musica. Il mondo di catastrofi e sconvolgimenti nel quale viviamo ha la memoria corta: per l'orrore che lo ha colpito e per il chiasso col quale si stordisce, non sente e dimentica la voce del sublime e del profondo, che dà un significato all'intero meccanismo che parrebbe altrimenti insensato. Che cosa sa di Busoni la maggior parte della gente frenetica di oggi? Noi che abbiamo sentito il soffio del suo spirito, sentiamo sempre più il bisogno di lasciare una sua testimonianza: poiché anche le più grandi opere sopravvivono solo grazie al fuoco che hanno acceso nei cuori che palpitano.
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L'ultima e più notevole sua composizione, a dire il vero ancora oggi conosciuta solo da pochi, l'opera drammatica «Doktor Faust», è stata composta e messa in versi qui a Zurigo nel mezzo dei sussulti della prima guerra mondiale. Di poco anteriori, sempre durante l'esilio di Zurigo, abbiamo la snella opera fantastica «Turandot», di uno humour malinconico e trasparente, e l'entusiasmante pezzo in maschera «Arlecchino» - entrambi una felice rinascita della vecchia commedia dell'arte italiana in una nuova forma adeguata al tempo di oggi. I più anziani di noi si ricorderanno della memorabile prima a Zurigo nella primavera del 1917, quando questa musica ci incantò per la prima volta. Delle sue opere precedenti citiamo solo le più importanti: la «Berceuse» alla morte della madre [auf den Tod der Mutter] - un pezzo orchestrale che è come tessuto da delicati fili di ragnatela - le sonate per violino che si spingono in terreni musicali vergini; la «Fantasia indiana» e il «Diario indiano» nei quali la musica primitiva e piena di mistero dei pellirossa celebra le profondità della vita e la bellezza sulla terra svanendo in un coro mistico e ultraterreno; la costruzione a torre gotica della «Fantasia contrappuntistica»; e l'incubo grottesco dell'opera comica «La scelta della sposa» [Die Brautwahl] piena di ogni diavoleria di un fantastico diabolico. Tutte le opere citate provengono dagli anni antecedenti il 1914, ma non hanno praticamente nulla o veramente poco a che fare con il tardo-romanticismo post-brahmsiano e post-wagneriano allora ancora dominante o con l'emergente impressionismo musicale: si radicano in tradizioni più remote e tendono allo stesso tempo verso regni inesplorati: una nuova anima canta un nuovo canto [«sie wurzeln in älteren Traditionen und streben zugleich nochunerflogenen Reichen zu: eine neue Seele singt sich ein neues Lied»].


Qui non ci interessa inquadrarla in modo storico-musicale né di valutarla. Se in questo momento tentiamo di rievocare il ritratto di Busoni, non pensiamo a lui come a un defunto ormai relegato al passato, bensì come ad una potenza viva e fertile, che influisce ancora l'attimo presente come il futuro ancora lontano. Pensiamo a lui come a un maestro scomparso e tuttavia sempre attuale, del quale Goethe direbbe:

Dall'alto gridano
Le voci degli spiriti
Le voci dei maestri:
Non dimenticate di esercitare
Le forze del bene.
Là si intrecciano corone.
Nel silenzio eterno
Vengono ripagate
Con abbondanza le azioni.
Vi esortiamo a sperare! *


Citiamo questi versi di Goethe perché il carattere di Goethe e quello di Busoni si sfiorano intimamente in certi aspetti seppure fossero così diversi e abbiano percorso strade differenti. In entrambi la profondità e la nostalgia nordiche si uniscono alla forza delle forme, alla fermezza e all'eleganza sensuale meridionali. Entrambi divennero troppo grandi per la sola patria natale e per il loro atteggiamento e la loro disposizione erano ciò che Nietzsche chiama «buoni europei». Entrambi erano conservatori contemporaneamente rivoluzionari, custodi e demolitori della tradizione. Entrambi erano radicati nel suolo materno del passato, ricercatori e sostenitori di un mondo futuro ancora non nato e al di là da venire. Entrambi erano, in senso antico e nuovo, uomini universali come Leonardo da Vinci. Entrambi erano, paragonati a tutti gli altri, entusiasti pedagoghi, poiché il loro amore contava sulla gioventù, contava su una nuova Europa in sviluppo: si pensi solo alla «Provincia pedagogica» nel «Wilhelm Meisters Wanderjahren" e alla attività pedagogica instancabile di Busoni in Germania, Russia, Italia e Svizzera, dove non aveva a che fare solo con la musica, ma con tutto l'uomo: una volta ha appunto detto in un discorso: «Un musicista, che è solo musicista, non è un musicista».
Ma lasciamo questi paragoni, poiché è possibile solo accennare appena a quale tipo di animo sia imparentato Busoni e dedichiamoci a lui in persona.

* Tutte le versioni originali dei brani poetici citati sono in fondo al testo.


Ricordiamocelo. È così che ci ritorna alla memoria: una figura slanciata, ben fatta, sulla quale troneggiava una testa possente con la criniera ingrigita; il viso quasi gotico, come scolpito nel legno, ma con delle labbra ben disegnate, sensuali; gli occhi grigi, ora che ti guardano dal profondo trasognati, ora che esaminano penetranti, ora remoti, come sbiaditi, ora scintillanti beffardi, ora infiammati d'amore, sempre diversi, con continui nuovi guizzi di luce, le mani affusolate, sensibili, nervose, piene di forza repressa, tutto il suo atteggiamento era di una libertà perfetta, nobile e regale. Questa era l'impressione esteriore che faceva e alla quale corrispondeva tutto il suo essere e il suo agire artistico e umano.
Dopo la fine di «Arlecchino», il protagonista compare davanti al sipario nel suo costume da buffone tutto toppe e dice:

Chi vince? Chi perde?
E chi ha ragione alla fine?
Quello che si abbandona
Seguendo il cuore,
Con il cervello desto,
Sceglie il cammino diritto:
Quello che si accontenta,
Se gli riesce,
Di salvaguardare il proprio essere,
Quello che anche se "rattoppato"
Non si sottomette mai,
L'ho sperimentato da me.


Questi versi sono un autoritratto del Busoni. Da questi si evidenzia non tanto di che
tipo fosse il suo temperamento quanto il lato etico della sua personalità: l'assoluta
fiducia in sé stesso; l'implacabile forza artistica, che non sopportava né in sé né negli altri falsi compromessi e mezze misure; il suo innato fascino sfrontato che rischiarava persino le cose più serie; l'intelligenza sempre desta e raggiante che stava al servizio di un'anima appassionata; e l'amore irrefrenabile per la libertà che gli rendeva impossibile il sottomettersi. «Seguendo il cuore, con il cervello desto» - non ci sono parole migliori per definirlo. L'aver messo in bocca al suo buffone Arlecchino questi semplici versi zoppicanti è riconoscere in modo divertente e moderato il ruolo che l'artista deve giocare nel nostro tempo così terribilmente grigio, serio e terribilmente pratico, se vuole conservare la propria libertà e il proprio io.


E tuttavia questo non è tutto Busoni. Ci sono due momenti nel suo «Faust», che possono completare il quadro. È lì che c'è quell'emozionante inno alla bellezza, quando arriva Elena. Colui che non si è sottomesso a nessuno, qui piega il ginocchio e dice:

Sogno di gioventù, meta del saggio
Perfezione dell'eterna bellezza
Presagirti, elogiarti
Servirti, questa era la mia missione.


E qui è l'altro momento in cui il Faust morente non conserva più la sua individualità ma l'abbandona e, secondo una volontà eterna, penetra magicamente in un fanciullo e procede nudo nella buia notte nevosa portando un ramoscello fiorito mentre Mefisto si impossessa delle spoglie vuote, esanimi.
Si tenga presente il senso più profondo di questi tre punti - l'epilogo comico-regale all'Arlecchino, la preghiera alla perfezione dell'eterna bellezza e l'autotrasformazione, e la rinascita mistica in un fanciullo - : ecco la chiave per penetrare il segreto della personalità di Busoni.
Non c'è nulla di ardore che brucia appena, né di risentimento deformato, irrigidito e
cieco, né di divagazioni filistee-sentimentali, né di intellettualismo freddo ed esasperato o di indifferente grettezza di sentimenti. Il suo essere era come una fiamma che brucia leggera e luminosa. Intorno a lui c'era un'atmosfera in un certo modo elettrica. La sua bontà umana era priva di ogni debolezza ed era sincera. La sua cattiveria - spesso poteva essere meravigliosamente perfido - aveva effetti liberatori e ripuliva l'aria.


L'essere a conoscenza dei tragici conflitti degli avvenimenti del mondo non lo paralizzava ma lo fortificava e lo rendeva soltanto più coraggioso. Perfino la malinconia profonda che a volte lo assaliva, era come uno scintillio nascosto in una pietra preziosa nera. E così brillante e sfavillante e spesso esuberante era la sua allegria. Molto tenero e multiforme nei suoi sentimenti, penetrante e chiaro nel suo intelletto, rapido e agile nel suo temperamento, risoluto fino all'estremo in tutte le avventure dello spirito: possedeva un istinto infallibile e un cuore inattaccabile quasi puro come quello dei bambini.
Tutte queste caratteristiche umane trovano la loro eco nella sua musica. Qui non è il luogo per soffermarci in modo teorico scientifico-musicale sulle innumerevoli innovazioni armoniche, contrappuntistiche, melodiche e ritmiche, che ha osato per primo. Nel totale contesto della sua opera queste imprese non significano soltanto la sperimentazione di tecniche musicali; non nascono da riflessioni intellettualistiche ma sono l'espressione del suo insinuarsi in nuovi ambiti sconosciuti dell'animo umano che finora non erano stati resi manifesti sotto forma di suoni, ma che grazie a lui sono diventati musica. La musica, che egli percepiva interiormente, esigeva un linguaggio sonoro piú ampio per poter risuonare nelle orecchie e nei cuori degli altri. Questa nuova realtà spirituale divenuta musica non era un'esperienza soggettiva di Busoni, ma una realtà ultrapersonale, generale, sperimentabile da ogni persona capace di riconoscere quegli spazi dell'anima nei quali si era arrampicato o si era insinuato e che altrimenti nessuno avrebbe potuto rendergli comprensibili. Ogni progresso nel regno di forze spirituali obiettive ancora sconosciute cambia il linguaggio dell'arte.


E quindi era inevitabile che Busoni trovasse presto alleati e seguaci, dapprima solo pochi e poi una schiera sempre crescente. Certo per molti di loro questa sequela significò una rottura disastrosa con tutto il passato, un perdersi nell'elemento vergine delle inesplorate terre spirituali - e il risultato era un goffo, spezzettato, disordinato balbettio farfugliato come ci giungono all'orecchio alcune opere della musica dei giorni nostri. La singolarità e la tipicità dell'arte di Busoni, al contrario, era che riusciva a miscelare organicamente il nuovo con il vecchio e dilatare il linguaggio musicale sconfinatamente senza frammentarlo. Tutte le sue imprese musicali servirono una radicale idea generale, che si manifestò attraverso forme perfettamente modellate genialmente padroneggiate.
Queste forme comunque non erano strutture schematiche rigide, nessuna «vistosa carta
da parati», come aveva detto scherzosamente Busoni una volta, ma erano il corpo vivo di un valore infinito, di una precisione tenera e di una libertà eterea, o per dirla coi versi del «Faust» di Busoni:

La musica non si cura dell'ordinario
il suo corpo è l'aria, il suo suono la vista,
è sospesa: il miracolo è la sua patria.


Questa nuova libertà della musica è un gioco divino, in cui si realizza il miracolo di una nuova rappresentazione di bellezza eterna. Qui la volontà agisce su ciò che Busoni ha chiamato «giovane classicità» [Junge Klassizität].
Certamente non ci rende facile il compito di comprenderlo. Ha un ritmo allegro intrinseco e non si ripete. Quando si crede di poterlo fissare, è sempre già altrove. La sua musica uguaglia quelle ariose colonne dei templi delle quali nella seconda parte del «Faust» di Goethe si dice:

Si insinua, fluttua come le nuvole,
allungate, ammassate, accavallate, spezzettate.
Ora si rivela un capolavoro soprannaturale:
mentre mutano, fanno musica.
Da toni ariosi sorge un nonsocome,
mentre si muovono diventa tutto melodia,
il fusto della colonna, persino il triglifo tintinna,
credo proprio che tutto il tempio canti.


Bisogna essere pieni di slancio e appassionati come il Busoni stesso se si vuole penetrare immediatamente la sua musica - oppure immergersi in essa continuamente con amorevole pazienza. Poi però ci si dischiude un mondo completamente nuovo. In quello stato d'animo, in cui egli ha trovato il suo fulcro e dal quale egli deriva la musica, emerge anche ciò che è estraneo l'uno all'altro, collegato in un'unità più elevata, e noi percepiamo accordi delle melodie intrecciate tra loro, che prima non erano mai suonate insieme e nelle quali diventa udibile qualcosa di mai sentito prima, una rappresentazione dell'indicibile. Il lontano si avvicina, il vicino si allontana.
L'incompatibile si combina in sciolti passi da ballo. Tutto il rigore si risolve in una forma sempre più spirituale. Tutto il nuovo è circoscritto nel remoto. Tutto l'antico si trasforma in una novità. L'intera vita è diventata più leggera, più varia, più variopinta e più ricca... Ma come si può rappresentare la musica mediante le parole? Ciò che noi esprimiamo di questa musica non può essere altro che un accenno, un abbozzo,un'approssimazione.


Data l'universalità di Busoni, non c'è da stupirsi se come molti artisti della sua patria italiana fu anche scrittore e poeta considerevole. Figlio di padre italiano, ha trascorso una parte della sua vita in Germania e scrisse e poetò in lingua tedesca. La sua «Ricerca di una nuova estetica dell'arte musicale» e la raccolta di saggi sulla «Unità della musica», a prescindere totalmente dalla loro elevata qualità musico-filosofica, sono capolavori di una prosa tedesca squisita e limpida. E i testi delle sue opere da lui stesso redatti, particolarmente l'«Arlecchino» e il «Doktor Faust», sono dal punto di vista linguistico vere poesie, della cui forza plastica i pochi versi qui già citati danno una seppur minima rappresentazione. Ciò che interessa nella forma operistica come quella del Busoni, è la novità della relazione tra parole e musica: qui non è la parola che serve alla musica come nelle opere antiche, né la musica serve alla parola come nel dramma musicale wagneriano e post-wagneriano, bensì parole e musica sono due aspetti contemporanei indipendenti le une dall'altra, derivati dalla stessa idea originaria, si rapportano le une all'altra in piena libertà, senza illustrarsi reciprocamente né compensarsi. Questo è possibile solo in opere spirituali, in opere fiabesche e in opere in maschera, poiché la musica non è in grado di unirsi mai con una realtà naturalistica, ma sempre solo con momenti di culto, mitici o di danza. Al compositore, poeta ed autore d'opere Busoni corrisponde il pianista di fama mondiale, mentre il vasto pubblico non prestava ancora orecchio alle sue opere, tranne una piccola schiera di quelli che furono catturati da esse nel profondo del proprio essere.


Però anche questa fama mondiale non fu effettivamente un equivoco? Che cosa si ammirava nel suono del pianoforte di Busoni? Quella tecnica agevole mai sperimentata prima e anche in seguito mai più eguagliata che si avvicinava alla magia, il fuoco spirituale del suo temperamento? La delicatezza e la policromia dei tocco, la chiarezza immacolata del tratteggio, l'architettura trasparente della costruzione, la finezza poetica dell'espressione? Certo tutto quanto - che pure è stato così prodigioso e superiore alla media - non era l'essenziale nella sua esecuzione - era solo la premessa di ciò che accadeva realmente quando egli sedeva al piano. Anche le opere più famose dei compositori che egli eseguiva già rappresentate centinaia di volte, suonavano così come se nessuno le avesse mai sentite, per così dire traspariva attraverso la loro sonorità un'altra forma trasfigurata. Questo mistero dipendeva dal fatto che Busoni concepiva l'annotazione della musica in base a note e segni grafici come una trascrizione ma inadeguata alla musica sentita intimamente dal compositori. Quello che gli importava, immergendosi in meditazione nella rigida scrittura delle note, era riconoscere la visione sonora originaria e farla risuonare nella sua esecuzione. E così senza che lui avesse cambiato una nota, noi sperimentavamo un'evocazione magica, una vera rievocazione dell'opera dei nostri grandi maestri in una spiritualizzazione così sublime e una smaterializzazione come non s'era mai udita prima né mai più si udirà. Non si pensava più al salone del concerto né al piano, né al compositore, né all'interprete - ma si viveva nel regno etereo della musica e si restava sospesi nella ridda di un indicibile interpretazione in cui tutto l'individuale diventava sovrapersonale in una struttura musicale trasfigurata; si aveva parte a una festa allegra e seria che purificava l'animo, quindi, come trasformati, rinvigoriti e illuminati interiormente, si poteva ritornare al proprio lavoro quotidiano. Questo non lo potremo più sentire. E quei pochi dischi che solo per caso sono stati preservati, e hanno fissato alcuni di questi attimi, possono dare solo una debole rappresentazione di quella magnificenza perduta. Al maestro, che ci ha resi partecipi di un tale miracolo grazie alle sue interpretazioni, al soccorritore e consolatore che ci ha rafforzati, incoraggiati ed entusiasmati negli anni bui grazie alla sua nobile arte e la sua condotta esemplare; al grande uomo ed artista, al buon europeo Ferruccio Busoni, noi oggi diciamo a gran voce il nostro grazie.


** «Die Welt der Katastrophen und Umwälzungen, in der wir leben, hat ein kurzes Gedächtnis: über dem Grauen, das sie befallen hat, und über dem Lärm, mit dem sie auch betäubt, überhört und vergisst sie die Stimmen der Höhe und Tiefe, die dem ganzen sonst unsinnigen Getriebe erst einen Sinn verleihen. Was wissen die meisten schnellebigen Menschen der Gegenwart von Busoni? Umsomehr drängt er uns, die wir noch den Hauch seines Geistes verspürt haben, Zeugnis für ihn abzulegen: denn auch die grössten Werke leben nur fort durch das Feuer, das das sie in lebendigen Herzen entzündet haben.»


Sie rufen von drüben
die Stimmen der Geister,
die Stimmen der Meister: Veroäumt nicht zu üben
die Kräfte des Guten!
Hier winden sich Kronen
In ewiger Stille,
die worden mit Fülle
die Tätigen lohnen:
wlr heissen Euch hoffen!


Wer siegt? Wer fällt?
Und wer behalt zuletzt sein Recht?
Der, auf sich selbst gestellt,
dem Harzen nach,
Im Hirne wach,
den graden Weg erwählt:
der sich begnügt,
wenns ihm geglückt,
die Selbstheit alch zu wahren;
der, auch geflickt,
sich niemals bückt -
ich hab's an mir erfahren.


Traum der Jugend, Ziel des Welsen,
Ew'ger Schönheit Bildvollendung,
Dich zu ahnen, Dich zu preisen,
Dir zu dienon, war mir Sendung.


Musik ist dem Gemein abgewandt,
lhr Körper ist die Luft, lhr Klingen Sehnen,
sie schwebt; dan Wunder ist Ihr Heimatland.


Es schleicht sich ein, es wogt nach Wolkenart,
gedehnt, geballt, verschränkt, gespaart.
Und nun erkennt ein Geistermeisterstück:
so wie sie wandeln machen die Musik.
Aus luft'gen Tönen quillt ein Wasnichtwie,
indem sie ziehn, wird alles Melodie,
der Seulenschaft, auch die Triglyphe klingt;
Ich glaube gar der ganze Tempel sngt.