Don Chisciotte della Mancia
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CAPITOLO LXIV

SI VIENE A SAPERE CHI FOSSE IL CAVALIERE DALLA BIANCA LUNA,
LIBERAZIONE DI DON GREGORIO ED ALTRI AVVENIMENTI.

CAPITOLO LXIV

Don Antonio Moreno tenne dietro al cavaliere dalla Bianca Luna, e lo seguitarono e perseguitarono molti ragazzi, finché lo videro entrare in un'osteria, nel centro della città. Don Antonio, desideroso assai di conoscerlo, si cacciò pure nell'osteria, ed intanto uno scudiere venne a disarmare l'incognito, che si rinserrò in una stanza a pian terreno. Don Antonio gli si mise d'attorno, che non poteva trovar posa sino a tanto che non arrivasse a saperne il nome. Ora vedendo quello dalla Bianca Luna che l'altro gli stava ostinatamente a lato, gli disse: — Signore, bene mi avviso che voi mi venite appresso per sapere ch'io mi sia: e non essendovi ragione alcuna di farvene un segreto, mentre questo mio servitore mi disarma, ve lo dirò colla più candida verità. Sappiate dunque che io mi chiamo il baccelliere Sansone Carrasco, e che sono dell'istesso paese di don Chisciotte, le cui pazzie e balordaggini muovono a compassione tutti quelli che lo conoscono, e me sopra tutti, persuaso come sono che dipender possa la sua salute dal suo riposo e dallo starsene nel suo paese e a casa sua. Ho studiato il modo di ottenere questo intento, e corrono già tre mesi da che escii alla campagna, fingendomi cavaliere errante, chiamandomi il cavaliere dagli Specchi, con intenzione di combattere seco lui, di vincere senza recargli nocumento, e di mettere per condizione della nostra battaglia che il vinto restasse alla discrezione del vincitore. Divisava allora di chiedergli (poiché lo riteneva già per vinto) che tornasse al suo paese, e che non escisse per un anno intero, nel qual tempo potesse essere medicato: ma la sorte dispose altrimenti, perché egli vinse me, e mi fece stramazzare da cavallo, né il mio proponimento ebbe effetto. Allora egli continuò baldanzoso delle sue follie, ed io tornai a casa vinto, smaccato e pesto per caduta assai pericolosa: ma non per questo venne meno in me il desiderio di tornare in traccia di lui e di abbatterlo come oggidì mi è riuscito e come voi avete veduto. Egli ch'è esattissimo nella osservanza delle leggi cavalleresche, sarà rigido esecutore senza dubbio di quella che gl'imposi in adempimento di sua parola, e questo o signore, è il fatto, senzaché mi resti altro a soggiungere. Ora, io vi prego quanto so e posso che non mi discopriate, né facciate sapere a don Chisciotte ch'io mi sia, affinché il mio disegno ottenga buon effetto e si possa veder tornato in cervello quest'uomo che lo ha ottimo, purché dia bando alle fantasticherie della cavalleria. — Oh, signor mio, disse don Antonio, Dio vi perdoni il discapito che vi proponeste di recare a tutto il mondo col voler far rinsavire il più grazioso pazzo che possa trovarsi. Non vi accorgete, o signore, che il profitto della saviezza di don Chisciotte non sarebbe mai tanto grande quanto il gusto ch'egli dà a tutti co' suoi vaneggiamenti? Io per altro credo che tutta l'accortezza del signor baccelliere non varrà a ridonare la sua ragione ad uomo fuori di cervello: e se non fosse contro la carità, vorrei che non guarisse mai don Chisciotte, perché colla sua sanità non solamente andremmo a perdere le sue facezie, ma quelle ancora di Sancio, suo scudiere, che sono di natura tale che una sola può mettere la gioia nella stessa melanconia; dopo tutto questo io prometto di tacere, né dirò certamente cosa alcuna, e starò a vedere se riesca vero il mio sospetto che non abbiano punto a conseguire il desiderato intento tutte le cure e le diligenze del signor Carrasco.» Rispose questi che l'affare poteva già dirsi bene incamminato, e che ne sperava fortunato successo: ed essendosi don Antonio offerto di fare quanto potesse da lui dipendere, e licenziatisi, fece Sansone legare sopra un mulo l'arme sue, se ne escì dalla città sul cavallo medesimo su cui era entrato in battaglia, e ritornò alla patria senzaché gl'intravvenisse cosa degna d'essere riportata in questa veritiera istoria.

Raccontò don Antonio al viceré quello che Carrasco gli aveva detto, del che egli sentì gran piacere, non senza osservare che per la ritirata di don Chisciotte sarebbe mancato quel diletto che potevano avere tutti quelli ai quali eran note le sue pazzie. Sei giorni se ne stette don Chisciotte a letto, sbigottito, mesto, pensieroso e maltrattato, andando e tornando incessantemente col pensiero sul disgraziato successo della sua disfatta. Andavalo Sancio racconsolandolo, e fra le altre cose le diceva: — Signor mio, alzi la testa e se può si consoli e ringrazi Iddio, che essendogli piaciuto di farla stramazzare, non ne sia escito con qualche costola rotta; e poi ella sa bene che chi la fa l'aspetta, e che non vi è sempre carne secca dove sono gli uncini ai quali appenderla; e facciasi beffe del medico, ché per questa sorte di malattie non ve n'è bisogno, e torniamo a casa nostra, cessando di andar cercando venture per paesi e per luoghi sconosciuti: ché se bene la si consideri, nessuno ha perduto più di me, quantunque vossignoria sia stato peggio trattato. Anch'io dopo avere abbandonato il governo non sono più governatore; e quantunque mi fosse venuta la voglia di diventar conte, neppure questa avrà più effetto se vossignoria non diventa più re e se lascia l'esercizio della sua cavalleria; ed ecco anche le mie speranze convertitesi in fumo. — Di grazia, Sancio, sta cheto, disse don Chisciotte: ché già la mia reclusione e ritiro non ha a durare più di un anno; e compìto questo, tornerò ai miei onorati esercizi, né potrà mancarmi il conquisto di un regno, e quindi di qualche contea da regalarti. — Voglialo il Cielo, disse Sancio, ed il peccato sia sordo; ché sempre ho udito dire ch'è meglio buona speranza che cattivo possedimento.»

Si trattenevano in questi discorsi, quando entrò don Antonio, dicendo con apparenza di somma contentezza: — Buone nuove, signor don Chisciotte, mentre don Gregorio, col rinnegato che andò per lui, è giunto salvo alla spiaggia: ma che dico alla spiaggia? egli si trova in casa del viceré, e lo vedremo qui a momenti.» Si rallegrò don Chisciotte un cotal poco e disse: — In verità, sto per dire che bramato avrei che avvenuto fosse il contrario, mentre ciò mi avrebbe obbligato a passare in Barberia, dove col valore del mio braccio avrei donata la libertà non pure a don Gregorio, ma ben anche a quanti schiavi ivi si trovano. Ma che dico io, miserabile di me! Non sono io il vinto? Il caduto non sono io? Non sono io quello che per un intero anno non potrò più toccare arme? Dunque, e che voglio io promettere? Di che mi vanto ora che dovrò maneggiare la rocca in luogo della spada? — Non si parli di queste cose, disse Sancio: viva la gallina per quanto abbia la pipita, che oggi per te, domani per me: e in questa materia d'incontri e di percosse non è alcuno che ne possa sapere il netto: perché colui che oggi stramazza per terra, può rizzarsi domani, quando non preferisce di starsene a letto; e voglio dire, di lasciarsi sbigottire senza pigliar nuovo animo per nuovi contrasti. Si alzi adesso vossignoria per ricevere don Gregorio, poiché mi pare che tutta la gente stia sottosopra, e debba essere già venuto in questa casa.» Diceva Sancio la verità, perché avendo già don Gregorio ed il rinnegato data notizia al viceré di sua andata e ritorno, desideroso il primo di vedere Anna Felice, erasi recato subito col rinnegato alla casa di don Antonio. Benché don Gregorio quando fu liberato da Algeri portasse ancora gli abiti di donna, li aveva però cambiati in barca con un prigioniero fuggito insieme con lui; ma in qualsivoglia modo fosse venuto, avrebbe fatto conoscere di esser egli persona degna di considerazione e di riguardo non ordinario, essendo bello oltre quanto si potesse mai dire e dell'età tra i diciasette e i diciotto anni. Andarono ad incontrarlo Ricotte e sua figlia; il padre colle lagrime agli occhi e la figliuola col più onesto contegno. Non seguirono abbracciamenti, perché dov'è grande amore non è ostentazione. Si facevano ammirare da tutti gli astanti le due bellezze di don Gregorio e di Anna Felice, l'una appresso all'altra; ed era eloquente il silenzio nei due amanti, e gli occhi erano le lingue che discoprivano i loro lieti e discreti pensieri. Il rinnegato narrò l'industria ed i mezzi usati per far fuggire don Gregorio, e questi dipinse i pericoli e i cimenti nei quali trovossi colle donne fra cui era costretto di passare la vita: e tutto ciò senza lungo discorso, ma alle brevi, e mostrando un discernimento superiore all'età. Finalmente Ricotte pagò e diede larghi compensi tanto al rinnegato, come a quelli che avevano vogato al remo, ed il rinnegato con pienezza di cuore tornò in grembo alla Chiesa, e d'infetto membro si restituì sano colla penitenza e col pentimento. Passati due giorni, trattò il viceré con don Antonio del modo come Anna Felice e suo padre potessero restarsene in Ispagna, sembrandogli non essere inconveniente che dimorata vi fosse una giovine tanto cristiana ed un padre (a quanto pareva) fornito di sì buone intenzioni; si offerse don Antonio di recarsi alla Corte per trattare questo affare, dovendo già portarvisi a forza per altri suoi interessi, e fece credere che colà pel canale dei favori e dei donativi poteva condursi ogni difficile cosa a termine fortunato. — No, disse Ricotte, presente a questo discorso, nulla è da sperarsi dalle protezioni e dai regali, da che appresso il grande don Bernardino di Valasco, conte di Salazar, ch'ebbe dalla Maestà sua l'incarico del nostro bando, preghi non valgono, né hanno efficacia veruna le promesse, gl'intercessori e la compassione.

— Per concludere, soggiunse allora don Antonio, quando io sarò alla Corte userò le possibili diligenze: e faccia il Cielo ciò che più gli piaccia: ma intanto don Gregorio verrà meco a consolare il dolore in cui sono immersi i suoi genitori per la sua lontananza. Compagna di mia moglie resterà in casa mia o passerà in un monastero Anna Felice, e spero che piacerà al viceré di lasciare in casa sua il buon Ricotte fino a tanto che si vedrà l'effetto delle mie cure.»

Acconsentì il viceré a quanto venne proposto; ma don Gregorio, sapendo come andava la cosa, protestò alle prime che non voleva, né poteva a patto alcuno lasciare donna Felice, ma che intanto si sarebbe di buona voglia recato a rivedere i suoi genitori per trovare poi modo di venire per lei. Rimasero Anna Felice colla moglie di don Antonio, Ricotte in casa del viceré e don Antonio partì. Dopo due giorni si misero in viaggio anche don Chisciotte e Sancio perché la caduta non permise a don Chisciotte di affrettare il suo cammino. Vi furono e sospiri e svenimenti e singhiozzi al dividersi di don Gregorio da Anna Felice, e Ricotte offrì a don Gregorio mille scudi se li bramava, ma egli non ne volle pur uno; soltanto se ne fece prestare cinque da don Antonio; promettendogliene la restituzione alla Corte. Con ciò partirono i due, e poco dopo don Chisciotte e Sancio, come si è detto: don Chisciotte disarmato, e Sancio a piedi, perché il leardo era stato caricato colle armi del suo padrone.

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