Fra' Tommaso Campanella

La città del Sole1

Vita e opere di T. Campanella

Fonti di un'utopia

Un "dialogo poetico"

Il totalitarismo solare

Educazione e scienza

Dal sensismo al misticismo

Renovatio mundi

Conclusioni

BIBLIOGRAFIA

NOTE

Vita e opere di T. Campanella

Quando nacque a Stilo in Calabria nel 1568, nessuno poteva presagire che Giovan Domenico Campanella, figlio di un povero « scarparo » illetterato, era destinato a diventare il maggiore filosofo del primo Seicento e sarebbe morto alla corte francese, colmato di onori da Richelieu e Luigi XIII, nel 1648. Questo percorso sorprendente, ma anche abbastanza significativo, coincise con un periodo che avrebbe determinato la conformazione dell'Italia almeno fino all'Ottocento, e questo su tutti i piani : religioso e culturale, con l'affermazione della Controriforma, politico, con il predominio spagnolo ormai incontestato, ed economico, con la stagnazione, poi il decremento sia della produzione agricola (che rimane il fondamento dell'economia in tutta la penisola), per causa della rifeudalizzazione del suolo e della mancanza di nuove tecniche di coltivazione, sia degli scambi commerciali, già provati dall'avvento del traffico atlantico e dell'espansione turca nel Mediterraneo orientale, e ora pregiudicati dal deterioramento delle vie di comunicazione e da una specie di "proliferazione" di tasse e dazi.

Se a partire dalla fine del Cinquecento « il lavoro è colpito da un fiscalismo divoratore »,2 ciò non impedisce a una classe di proprietari terrieri esente di quelle medesime tasse di farsi costruire fastuose ville di campagna che, invece di stimolare la produzione (come fu il caso delle ville del primo Rinascimento), « sottragono col loro fasto linfe vitali alle campagne circostanti, [e] contribuiscono [...] all'ulteriore disgregazione di un paesaggio agragrio degradato, immiserito, inselvatichito ».3 Da dove le diatribe contro il parassitismo sociale che si ritrovano in scrittori così diversi come Galileo e Pallavicino,4 ma che si fa particolarmente vigoroso in Campanella : « Ma noi non così, perché in Napoli son da trecento milia anime, e non faticano cinquanta milia; e questi patiscono fatica assai e si struggono; e l'oziosi si perdono anche per l'ozio, avarizia, lascivia ed usura, e molta gente guastano, tenendoli in servitù e povertà, o fandoli partecipi di lor vizi, talché manca il servizio publico, e non si può il campo, la milizia e l'arti fare, se non male e con stento » (CS p. 1089). Da dove anche l'esaltazione del lavoro, solo capace di nobilitare l'uomo (« Onde si ridono di noi che gli artefici appellamo ignobili, e diciamo nobili quelli, che null'arte imparano e stanno oziosi e tengono in ozio e lascivia tanti servitori con roina della republica », CS p. 1080), che ha i suoi confronti in Bruno5 e Francesco Bacone : « never be idle » sono anche le ultime parole del Anatomy of Melancholy (1621) di Roger Burton, altro coetaneo.

L'avventura intellettuale del Campanella incomincia quando, quattordicenne, egli scappa dalla casa familiare per entrare nell'ordine domenicano ; pronuncierà i voti l'anno dopo, prendendo il nome di fra' Tommaso. A determinare questa fuga, più che una vera vocazione religiosa, è stato senza dubbio la volontà di sottrarsi ad un ambiente soffoccante d'ignoranza e di povertà e di trovare i stimoli che richiamava un'intelligenza che egli aveva viva e acuta. Ma dalla sua origine più o meno contadinesca, il Campanella conserverà sempre una ripugnanza per ogni sistema di pensiero che non è radicato nel senso concreto delle cose, e perciò la fredda astrattezza dell'aristotelismo tomistico lo lascia insoddisfatto. Tanto maggiore è il suo entusiasmo alla lettura del De rerum natura di Bernardino Telesio, il cui pampsichismo lascierà un'impronta profonda sul suo pensiero. Ma questo entusiasmo, che subito si sfoga nell'apologia pro-Telesio Philosophia sensibus demonstrata (1589), non poteva non destare la diffidenza dei suoi superiori, e un tribunale dell'Ordine, imponendogli di abiurare il telesianesimo, vuole relegarlo in Calabria : è il momento della seconda fuga, che lo porta a Roma poi a Padova (dove frequenta l'università) ; è anche l'inizio delle sue noie con la giustizia ecclesiastica. Dopo alcuni soggiorni nelle carceri dell'Inquisizione romana, torna finalmente nella Calabria natìa nel 1598.

Stabilito di nuovo a Stilo, si fa allora l'istigatore di una rivolta antispagnola che mira all'instaurazione di una società basata sulla comunione dei beni e delle donne, e sulla religione naturale, appoggiandosi sulle profezie di Gioacchino da Fiore - altro frate calabrese - corroborate dalle sue proprie osservazioni astrologiche, che prevedevano l'avvento dell'Età dello Spirito per il 1600. Denunciato da due congiurati, riesce a fuggire ma è tosto ripreso e mandato al Castel Nuovo di Napoli, in attesa del suo processo. Messo in segreta e torturato, grazie ad un immenso sforzo della volontà egli riesce però a farsi dichiarare pazzo e così scappa alla pena di morte,6 che è commutata nel carcere perpetuo. È dunque in carcere che la parte più importante della sua opera verrà alla luce, e in primo luogo alcuni scritti politici : la Monarchia di Spagna (1600), gli Aforismi politici (1601) e questa Città del Sole che tratterrà qui più particolarmente la nostra attenzione. Questo « dialogo poetico », la cui stesura è da collocarsi « certo non dopo il 1602 »,7 va considerato come un'opera di transizione, nella quale si esprime un Campanella che già non è più il deista telesiano, né il cospiratore antispagnolo, ma non è ancora il pensatore maturo che avvertiamo nel Quod reminiscetur (principiato probabilmente nel 1606, ma terminato solo dodici anni più tardi), nella Metaphysica (1609-1623) e nella Theologia (1613-1624), impegnato nell'edificare un corpo di dottrina sistematico che, pur assimilando le principali convinzioni dell'età giovanile, si sforza di orientarle in un senso più ortodosso, e, per quanto riguarda le idee politiche, più pragmatico. È nell'Atheismus triumphatus (1605-7) che viene per la prima volta affermata senza ambiguità l'idea cardine della maturità, cioè che il cristianesimo di confessione romana è la sola religione positiva (religio addita) che esprimi perfettamente la religione naturale (religio indita) ; non solo ne è l'espressione perfetta, ma anche il compimento e il superamento, tramite la rivelazione : il cristianesimo è quindi la religione assoluta, destinata ad imporsi universalmente.8

Gli anni della detenzione sono contrassegnati da un continuo alternarsi di periodi di inasprimento e di addolcimento del suo regime carcerario, ma verso la fine egli gode di una sempre più grande libertà. La detenzione non gli impedisce comunque di intervenire nel primo processo contro Galileo con la coraggiosa Apologia pro Galilaeo (1616). Liberato finalmente nel 1626, il nostro frate sa conquistarsi il favore del papa Urbano VIII, ma ha sempre nemici potenti e accaniti.

Negli anni successivi alla sua scarcerazione si delinea a poco a poco un cambiamento nell'orientamento del suo pensiero politico: se prima le conquiste e i successi mondani della Spagna gli parevano designare questa nazione come lo strumento scelto dalla divina Providenza per realizzare la teocrazia mondiale che egli prevedeva (o vagheggiava), adesso i suoi interessi vanno orientandosi verso quella monarchia francese che fa prova di tanto vigore nella ripressione antiugonotta. Non c'è dunque da meravigliarsi se è verso la Francia che egli fugge quando presente che il favore papale non è più in grado di evitargli nuovi guai con le autorità spagnole. A Parigi è onorevolmente ricevuto da Richelieu, Luigi XIII gli assegna una pensione e la Sorbona approva alcune sue opere. Così il sogno politico campanelliano, che risale al Della Monarchia dei cristiani del 1593, potrà cristallizzarsi finalmente, nella Ecloga in portentosam Delphini nativitatem, sulla figura « portentosa » in effetti del futuro Luigi XIV, il re Sole.

Fonti di un'utopia

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I modelli più ovvi dell'utopia campanelliana sono naturalmente la Repubblica di Platone e il suo rinnovamento all'inizio del Cinquecento nel De optimo reipublicae statu deque nova Insula Utopia (Lovanio, 1516) del cancelliere inglese Tommaso Moro che, largamente diffuso in tutta l'Europa subito dopo uscito, sarà tradotto in italiano fin dal 1548 (la prima traduzione inglese uscirà solo nel 1551). Ma al di là dei numerosi accostamenti puntuali, aneddotici che si potrebbero fare con l'uno e l'altro di questi modelli, importa cogliere le affinità più profonde che collegano tra loro queste opere. Va detto che lo spirito dal quale procede la Città del Sole è più vicino a quello di Platone che a quello di Moro. Il Campanella condivide pienamente quella fortissima esigenza di unità che contraddistingue il disegno della città ideale platonica : la comunità dei beni e quella delle donne - quest'ultima respinta da Moro - non hanno altro scopo che di eliminare dalla società ogni principio di disunione,9 e anche il sistema educativo esposto da Socrate si propone come modo di ricondurre ogni individuo all'unità fondamentale del suo essere.10 La concezione dello Stato come corpus politicum, in altri scrittori mera metafora, ritrova in Platone come in Campanella la sua pregnanza originaria. Vedremo del resto che la ricerca dell'unità a tutti i livelli, che forse sta alla base del progetto filosofico dell'umanesimo considerato complessivamente, deventerà per i pensatori del tardo Rinascimento una vera ossessione.

Quanto al nome e alla forma della città solare, non pretendiamo certo rifare il lavoro degli studiosi, che per ambedue hanno individuato una molteplicità di fonti possibili.11 Ma se il Campanella nell'autografo abbia probabilmente adoperato, invece della parola "sole", il suo simbolo astrologico, cioè un cerchio puntato nel centro, e se la città stessa ha per piano di base sette cerchi concentrici, non è lecito vedere in tale circolarità il simbolo, non solo del centralismo che contrassegna la sua costituzione, ma anche di questa ricerca - metafisica più che politica - dell'unità ? E poi, le somiglianze tra lo schema urbano della Città del Sole e quello dell'Atlantide descritta nel Critia, anche se quest'ultima ha cinque « gironi » invece di sette, non sono certo prive di senso. Eppure, questa città viene presentata da Platone come nemica dell'Atene antica - nella quale scorgiamo la città ideale della Repubblica. L'Atlantide è stata fondata da Posidone, ed è governata da una stirpe di re nata dal congiungimento del dio con la bella mortale Clito.12 Ma man mano che l' « elemento divino » (h tou qeo moira oppure h tou qeo fusiV) in questa razza deperisce, diluito da quello umano, la città si degrada moralmente, e gli Atlantici, che prima stimavano poco le loro richezze (che hanno smisurate) e non abusavano del loro potere, cominciano a considerare queste richezze e questo potere come fini in se, e sono riempiti di avarizia e di presunzione.13 Infine saranno sconfitti dagli Ateniesi, che per parte loro sono rimasti fedeli agli antichi costumi - tra i quali la comunità dei beni -, e che hanno per patroni Atene e Efaisto, vale a dire che le loro virtù principali sono la filosofia e la filotecnia.14

Tramite la descrizione della città solare come costituita da piani circolari sovvrapposti, cinti da mura fortificate di « torrioni » e « baluardi », il Campanella non solo dà un' interpretazione letteraria all'utopismo urbanistico caro agli architetti del Rinascimento,15 ma soprattutto adempie la congiunzione dell'Atene antica e dell'Atlantide. Congiunzione quanto mai significativa, che fa coesistere la gerarchia piramidale di questa con l'egalitarismo integrale di quella, e identifica il governo dei filosofi con la teocrazia.

Un « dialogo poetico »

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« Dialogo poetico » : questo sottotitolo, apposto ad un testo in prosa, non può non stupire, tanto più che il Campanella ha sempre combattuto la tesi aristotelica che la letteratura dev'essere finzione ; il nostro filosofo non ha dunque chiamato « poetico » il suo dialogo perché è immaginario. Per lui, la differenza fra Calliope e Clio sta tutta nella forma e l'elocuzione : « se si oppone, che differenza è dunque tra li Commentarii di Cesare e Lucano, tra l'istoria e il poema, rispondesi che la differenza consiste principalmente nell'elocuzione » (Poetica, cap. V). Si noti comunque che dire « poetico » è già un modo di non dire « filosofico ».

Ma se la Città del Sole è frutto dell'invenzione, non è allora una di quelle « menzogne » che lo stesso Campanella ha sempre perseguitato dei suoi fulmini ? Se in effetti la letteratura tende a fini edificanti, la bugia è naturalmente da proscrire, com'è detto chiaramente nel sonetto A' poeti : « Son più stupende di Natura l'opre | che .l finger vostro, e più dolci a cantarsi | onde ogni inganno e verità si scuopre. | Quella favola sol dée approvarsi, | che di menzogne l'istoria non cuopre | e fa le genti contra i vizi armarsi ».16 L'idea è del resto ribadita nella stessa Città del Sole : « [...] non si può dir poeta chi finge menzogna tra loro; e questa licenza dicono che è ruina del mondo, che toglie il premio alle virtù e lo dona altrui per paura o adulazione » (p. 1107). La chiave del problema è forse nella glosa al sonetto A' poeti : « E qui [l'autore] condanna Aristotele, che fece la favola essenziale al poeta: poiché questa si deve fingere solo dove si teme dir il vero per conto de' tiranni, come Natan parlò in favola a David; o a chi non vuol sapere il vero, si propone con gusto di favole burlesche o mirabili; o a chi non può capirlo, si parla con parabole grosse, come Esopo e Socrate usâro, e più il santo Vangelo. Talché l'autore lauda quella favola solo che non falsifica l'istoria, come è quella di Dido in Virgilio bruttissima; ed ammonisce la gente contro i vizi propri o strani, e l'accende alla virtù. Laonde questo ultimo verso dicea nel primo esemplare: "E fa le genti di virtù infiammarsi". » La Città del Sole non è « favola », ma parabola, e l'autore c'invita a leggerla pure sul piano allegorico : lungi dal muoversi nella pura astrattezza, come un dotto dialogo filosofico, questo testo si propone di tradurre idee astratte in immagini concrete.

Il totalitarismo solare

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Come tutte le utopie, la società solare si presenta come il vivere civile perfetto secondo ragione e natura ; né c'è la minima contraddizione fra questa e quella : la società ragionevole è anche quella più addatta alla natura umana. In questa società perfetta, niente è lasciato al caso ; è proprio una società totalitaria, nel senso che ogni minimo aspetto della vita sociale è regolato, non tanto da leggi - « son pochissime » - quanto da costumi, che non sono altro che leggi interiorizzate. Il totalitarismo campanelliano è quindi ben diverso da quello di Machiavelli, che un tempo scriveva : « mai fia perfetta una republica se con le leggi sue non ha previsto a tutto, ed a ogni accidente posto il rimedio e dato il modo a governarlo ».17 Le leggi possono essere ridotte al minimo, perché nella società perfetta c'è un'adesione totale di ogni individuo alle regole che reggono la collettività. Non è che non ci avvenghino misfatti tra i Solari, anche se il Genovese in un primo tempo lo dà a intendere.18 Ma se i Solari correggono i falli dei loro concittadini - e qui riemerge l'immagine del corpus politicum -, lo fanno in modo « che paion l'un membro dell'altro » (CS, p. 1104) ; se il reato è più grave, è con grandi manifestazioni di dolore che si dispongono « a resecare un membro infetto dal corpo della republica » (CS, p. 1103). La logica di una concezione della società come insieme organico vuole anche che la pena di morte sia eseguita dalla collettività intera. Insomma, a guardarci bene, ci si accorge che l'atteggiamento del criminale nei confronti della collettività è all'immagine di quello del peccatore al cospetto di Dio : così come il peccatore abusa del suo libero arbitrio e si sottrae volontariamente all'infinita bontà divina, il reo si esclude volontariamente dalla perfetta società.

Nell'Utopia del Moro, i patres familias potevano liberamente servirsi al mercato di tutto quello che occorreva alle loro famiglie ; nella città solare invece, sì « tutte cose son communi; ma stan in man di offiziali le dispense » (CS p. 1078). Questa mancanza di fiducia non è l'aspetto meno ambiguo del modello che il Campanella ci propone. Lo spionaggio è addiritura istituzionalizzato fra i Solari : un « offiziale » chiamato « Mastro Spia » dirige una rete di « spie che avvisano alla republica ogni cosa » (CS, p. 1091). Pare che il Campanella non condividi la fede del cancelliere inglese nella fondamentale bontà della natura umana, e questo suo pessimismo forse lo accosta nonostante tutto a Machiavelli ; comunque, questo dato ci permette di misurare quanto la visione del mondo si sia fatta più cupa fin dal tempo dell'umanesimo erasmiano.

La società razionale è quella donde sono esiliati Ozio e Malinconia - l'abbiamo già notato - ma anche Fortuna. Se prolunghiamo ancora un po' il confronto con Machiavelli, constatiamo che su questo punto il rovesciamento è completo. Il segretario fiorentino insegnava al politico di contare sempre con le circostanze, di far fronte alla contingenza - che egli stima onnipresente e onnipotente - e persino di trarne vantaggio. In Campanella lo Stato non è più quella barca che solo un bravo nocchiero - un nocchiero « virtuoso » - può governare nel mare della contingenza ; è ormai una macchina ben oliata su cui Fortuna, povera donna, non ha presa.

Nelle prescrizioni riguardanti la generazione, la tendenza alla regolazione totale riceve la sua traduzione insieme più conseguente e più sospetta. Presso i Solari, che « si riden di noi che attendemo alla razza de cani e cavalli, e trascuramo la nostra », il coito fa l'oggetto di cure proprio maniacali, sottoposto che è alla sorveglianza non solo di medici, ma anche di astrologi. Va detto del resto che l'attenzione per le buone disposizioni astrologiche concerne tutti gli aspetti della vita sociale ; essa si spiega senza dubbio per la volontà di farne il riflesso dell'ordine immutabile dei corpi celesti : non si potrebbe esprimere più chiaramente l'abolizione del caso nella vita utopica. Per il lettore della fine del Novecento, l'eugenetica solare può risultare difficile da digerire ; essa risale infatti alla Repubblica platonica. Lì, Socrate propone di introdurre « qualche ingegnioso sistema di lotteria » per ingannare coloro che potremmo chiamare i "postulanti al coito" e fare in modo che « gli uomini inferiori accusino il caso, e non i capi ».19 Ma un cosiffatto stratagemma è inutile nella Città del Sole, non tanto perché « tra loro non ci è bruttezza » come dice il Genovese (il che non impedisce che ognuno abbia le sue preferenze personali), ma perché la sottomissione ai superiori ed alla causa pubblica (res publica) ci è totale : « [...] la generazione è osservata religiosamente per ben pubblico, non privato, ed è bisogno stare al detto dell'offiziali. Platone disse che si dovean gabbare li pretendenti a belle donne immeritamente, con far uscir la sorte destramente secondo il merito; il che qui non bisogna far con inganno di ballotte per contentarsi delle brutte i brutti [...] » (CS, p 1088).

Educazione e scienza

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Per Platone così come per il Campanella, l'eugenetica e l'educazione sono i fondamenti della città ideale che essi vanno edificando. L'eugenetica garantisce che gli individui siano dotati delle migliori disposizioni naturali ; l'educazione poi deve fare in modo che questi stessi individui trovino il loro posto nella società, facendo emergere l'inclinazione naturale, « affinché, come diceva Socrate nella Repubblica, ciascuno, occupato di questa sola attività che gli è propria, diventi non una molteplicità, ma uno ».20 Educazione è qui da intendere nel senso quasi etimologico (la parentela fra educare ed educere "fare uscire" è ovvia), e non come instruzione (instruere : "disporre ; attrezzare") : « son eletti da bambini secondo l'inclinazione e costellazione vista nella genitura loro. Onde ognuno, oprando secondo la proprietà sua naturale, fa bene quell'esercizio e con piacere per esserli naturale » (CS, p. 1094).21 Fin dalla nascita, i bambini sono dunque in qualche modo predestinati ad un dato mestiere ; il buono funzionamento della società è assicurata dalla divina Providenza.

Per i piccoli Solari imparare è un gioco : « [...] li figliuoli, senza fastidio, giocando, si trovano saper tutte le scienze istoricamente prima che abbin dieci anni » (CS, p. 1078). Il metodo "istorico" cui si allude qui è un metodo visivo ; in effetti, le mura e i rivellini della città sono tutti "istoriati", dipinti con le forme geometriche, le immagini di tutti i metalli e minerali, di tutte le piante ed erbe, di tutti gli animali, e poi ancora con rappresentazioni di tutte le arti e invenzioni dell'umanità, e dei loro inventori. Nella cupola e sulle pareti del tempio infine sono raffigurate le stelle e i pianeti. La città intera si trasforma così in un vasto museo, in un'enciclopedia di pietra e di malta. In ciò essa somiglia ad altre creazioni letterarie dell'epoca, specie alla Casa dell'Arte descritta nel canto decimo dell'Adone maniniano,22 dove Adone e il suo guida Mercurio incontrano successivamente figure allegoriche rappresentanti le arti liberali e meccaniche (stanze 121 a 135), strumenti di ogni tipo e forma (136), una moltitudine di animali esistenti e immaginarî (137-8), altre figure allegoriche ancora (Poesia e Favola, Istoria, Gloria e Censura., 139-141), una galleria con i grandi inventori ed ingegni del passato (« i più famosi artisti », 142-151), una fantastica biblioteca che prelude alla Biblioteca di Babel di J. L. Borges, e che contiene tutti i libri già scritti e ancora da scrivere (152-166), e infine un mappamondo risplendente di zaffiri e d'oro (167 sgg.). Anche la Nuova Atlantide (1627) di Francesco Bacone ha il suo museo : in « two very long and fair galleries » i saggi della Casa di Salomone ci conservono, nell'una « patterns and samples of all manner of the more rare and excellent inventions », e nell'altra « statua's of all principal inventors ».23

Questo motivo letterario, che è chiaramente d'époque, è sintomatico dell'ambizione enciclopedica che contrassegna profondamente lo spirito tardo-umanistico. Entusiasmati dalle recenti scoperte nel campo scientifico, un certo numero di intellettuali dell'inizio del Seicento hanno creduto alla possibilità di un' instauratio magna, un rinnovamento totale delle scienze, che avrebbe consentito di fare progressi inediti e di mettere per così dire il predominio totale dell'uomo sulla natura a portata di mano. È in questo contesto che Fr. Bacone scrive il suo Novum Organon (1620), cioè "nuovo attrezzo" destinato a sostituire il "vecchio attrezzo" (Organon) di Aristotele, e fa mettere in frontispizio al suo libro un'incisione raffigurante una caravella che oltrepassa a gonfie vele le Colonne d'Ercole, limite tradizionale dell'antico mondo. Con Galileo però stava contemporaneamente delineandosi un'immagine ben diversa dell'avvenire della ricerca scientifica, caratterizzata piuttosto da progressi lenti, parziali, umili, e dove non la "magia naturale", ma la matematica avrebbe occupato un posto centrale. E sebbene egli abbia avuto un'intuizione abbastanza giusta del metodo sperimentale, è proprio perché Bacon ha sottovalutato l'importanza della matematica che le sue opere hanno insomma poco valore scientifico.

Non è dubbio che il Campanella abbia condiviso l'ottimismo di Bacone sulla possibilità di una "scienza nova"24 - ottimismo che del resto va di pari passo con l'esaltazione dell'"opera" e la condanna dell'ozio -, anche se egli è meno enfatico del filosofo inglese nella sua esaltazione dei grandi inventori. Rileviamo nella Città del Sole una « magnificazione del genio del secolo » (Amerio) abbastanza significativa : « questo secolo nostro, c'ha più istoria in cento anni che non ebbe il mondo in quattro mila; e più libri si fecero in questi cento che in cinque mila » (CS, p. 1113-4). E i Solari, a guisa degli Atlantici di Bacone - dire l'inverso sarebbe più giusto -, dispongono di svariate invenzioni per facilitargli la vita o addiritura allungarla : pistole « di mirabil tempra, strette in bocca, che per questo passano ogn'armatura », « carra a vela, che caminano con il vento », « alcuni vascelli, che senza vento e senza remi caminano », « fuochi artifiziali » che usano a fini di guerra, e « pur un secreto di rinovar la vita ogni sette anni, senza afflizione, con bell'arte ».25 Oltre a ciò « han trovato l'arte del volare, che sola manca al mondo, ed aspettano un occhiale di veder le stelle occulte ed un oricchiale d'udir l'armonia delli moti di pianeti » (CS, p.1114). Manifestamente, l'utopia solare è anche un'utopia scientifica.

Il Campanella era dunque anche lui vittima di un'illusione comune a molti intellettuali dell'epoca, cioè la convinzione che si poteva trovare la "pietra filosofale" che avrebbe svelato sul colpo l'intero mistero della natura ; nel sottotitolo del trattato Del senso delle cose e della magia egli ha esibito senza equivoco le sue pretese in questo senso : « parte mirabile d'occulta filosofia dove [...] si scuoprono le ragioni di tutti li secreti de la natura ». È proprio per questo che il valore di opere come questa è anzitutto letteraria, non scientifica, e che il nostro filosofo occupa un posto più che marginale nella storia delle scienze. Eppure, nell'Apologia pro Galilaeo, egli ha difeso con vigore la libertà dell'indagine, e affermato - e in questo il suo ruolo è stato capitale - l'autonomia della scienza naturale rispetto alla teologia. Quest'affermazione si fa nell'Apologia tramite l'immagine del « libro del mondo », che, come sempre in Campanella, non è soltanto un'immagine, ma ha - ritrova - invece la sua particolare pregnanza.26 Dio ha dato due libri all'umanità : la natura creata e la Sacra Scrittura, che sono ambedue espressioni del suo Essere, forme concrete del suo Verbo : « Dio parla a noi in due modi, e cioè producendo le cose stesse, o rivelandole secondo il modo degli uomini, come il maestro ai discepoli ».27 I due libri, codex vivus e codex scriptus, sono complementari, e la « vera religione » sta nella loro lettura, perché solo per essa si accede al divino. Ma lo strumento con cui si affronta la lettura di questi libri, è diverso per ciascuno dei due : « Altra è la scienza che legge le idee divine nel libro della natura col lume naturale dell'intelletto, e altra la teologia che legge nel libro della Bibbia al lume della fede in vista della salvezza eterna ».28 Le due espressioni del Verbo sono altrettanto vere,29 ma ci si sbaglia gravemente quando si prende la Bibbia come pretesto per condannare certe vedute della scienza moderna : la teologia non ha autorità né competenza nel campo dell'indagine sulla natura, e viceversa la fisica non può cancellare la verità delle Scritture. La scienza naturale deve aver la possibilità di costituirsi completamente affinché possa completare e corroborare la verità rivelata dall'esegesi biblica.

Dal sensismo al misticismo

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Se, come lo dice il Campanella nel sonetto Modo di filosofare,

« Il mondo è libro dove il Senno eterno
scrisse i propri concetti, e vivo tempio
dove, pingendo i gesti e 'l proprio esempio,
di statue vive ornò l'imo e 'l superno »,

allora si capisce l'esigenza espressa dal poeta di tornare « all'originale », lasciando indietro i « libri e tempii morti » degli uomini, « copïati dal vivo con più errori ».30 Su questo punto le idee del Campanella presentano una similitudine abbastanza sorprendente con quelle di Paracelso (Theoprast von Hohenheim, +1541) : anche lui opponeva i codices scribentium al libro che « Dio stesso ha dato, scritto, dettato e stampato ».31 Di quel grando libro divino (e dunque perfetto), che è la Natura, le creature sono come le pagine ; e i libri del medico non saranno i trattati di Galieno o di Avicenna, ma i malati. Così, i Solari non hanno scrupolo ad anatomizzare corpi umani, perché « chi mira la costruzione del mondo, l'anatomia dell'uomo [...] e delle bestie e delle piante, e gli usi delle parti e particelle loro, è forzato a confessare la providenza di Dio ad alta voce » (CS, p. 1113).

L'esigenza del contatto diretto con l'oggetto, senza passare per i libri degli scrittori autorevoli, perché l'autorità « est tangere quasi per manum alienam », è da collegare con la concezione campanelliana della conoscenza. Su questo punto l'impronta lasciata dal De rerum natura di Telesio, a sua volta erede dell'epicureismo lucreziano, è stata profonda, ma nello stesso tempo assistiamo col Campanella al superamento del sensismo telesiano. Se anche per il nostro filosofo tutte le cose hanno senso, egli introduce una prima distinzione fra il regno umano e i regni inferiori riservando all'uomo una forma di « Sofia » superiore. Sentire per lui non è più perceptio passionis, ma un intrecarsi dell'essere del soggetto nell'essere dell'oggetto ; e la conoscenza non è informatio, quindi semplice modificazione della struttura mentale, ma un vero e proprio immedesimarsi, un' « infarsi » (per riprendere l'espressione del Campanella stesso) nell'oggetto : « Conoscere, e conoscere è inanzitutto sentire [...], è sempre illuiarsi, accogliere l'altro in sé, farsi l'altro in sé stessi ». Per quanto l'epistemologia campanelliana sembri a prima vista corrispondere perfettamente all'adaequatio rei et intellectus di San Tommaso, essa è in realtà agli antipodi dell'aristotelismo medioevale : conoscere non è qui un astratto concettualizzare dell'oggetto dall'intelletto, ma un compenetrarsi con l'oggetto, anzi un mutarsi in esso. La conoscenza non è già scientia, ma sapientia, nel senso etimologico del termine : « sapientia dicitur a sapore, qui sensui gustus intrinsecatur ».34 Lontana dall'empirismo aristotelico, quest'epistemologia va anche oltre l'epicureismo e la perceptio telesiana : il sentire appare qui infatti come l' « estremo culmine dell'intuizione platonica ».35 Ed è al lume di questi dati che si deve leggere questo passo della Città del Sole : « Ma sappiate che questo è argomento che può tra voi, dove pensate che sia dotto chi sa più grammatica e logica d'Aristotile o di questo o quello autore; al che ci vol sol memoria servile, onde l'uomo si fa inerte, perché non contempla le cose ma li libri, e s'avvilisce l'anima in quelle cose morte; né sa come Dio regga le cose, e gli usi della natura e delle nazioni » (pp. 1082-3).

Adesso capiamo che l'idea espressa dal Campanella ove ingiunge all'uomo di "leggere il libro della natura", è quella che l'umanità ha la missione di cercare in ogni creatura l'Essere in cui la natura creata intera ha la sua radice. Tutte le cose sì hanno il senso, cioè partecipano della « Sofia », ma l'uomo, perché la sua coscienza è « strutturata in analogia con l'autocoscienza divina »,36 può accedere ad una conoscenza d'ordine superiore, che trascende quella delle singole cose per abbracciare la totalità dell'Essere. Questa è la sola conoscenza vivificante, perché « se il sentire in quanto farsi l'oggetto, e quindi patire, significa accogliere un nuovo limite, e quindi morire, il contemplare Dio interno a tutte le cose, l'Essere cioè che tutte le costituisce, significa spezzare la negatività e farsi reali veramente : "E l'imparare e il conoscere, sendo un mutarsi nella natura del conoscibile, sono pur qualche morte, e solo mutarsi in Dio è vita eterna, perché non si perde l'essere nell'infinito mar dell'essere, ma si magnifica" ».37

Non è chi non veda che ciò che ha di mira un tale complesso di filosofemi, è di radicare la metafisica e la teologia nell'empirismo, nel senso concreto delle cose, tramite la ragione umana. Il pensiero campanelliano tutt'intero è in effetti dominato da un rifiuto del raziocinio astratto, che il nostro frate identificava - a torto o a ragione - con l'aristotelismo, e che forse gli veniva dalle sue origini contadinesche. In un' ultima tappa, egli si sforzerà di dimostrare che il cristianesimo è la sola religione positiva che corrispondi perfettamente all'insegnamento che possiamo trarre dalla lettura - per riprendere un'ultima volta quest'immagine - del libro della natura : in altri termini, religione naturale - o razionale -, e religione cristiana fanno tutt'uno. Solo che attraverso l'Incarnazione, Dio ha compiuto la Rivelazione del suo Verbo all'umanità, e ci ha dato, oltre a ciò che la nostra ragione poteva dedurre dall'indagine sulla natura, i sacramenti.

L'essenziale del messaggio contenuto nella Città del Sole sta in questo, anche se l'elaborazione teorica della dottrina che abbiamo esposto qui sopra è posteriore alla sua redazione, fatto che attesta appunto quanto la posta in gioco dell'impresa teorica era lì. Alla fine del dialogo, l'Ospitalario, la cui presenza era rimasta fin lì assai discreta, ma che era già apparso come il più autorevole dei due interlocutori, quello che dirigeva la conversazione e a volte dava l'interpretazione dei fatti riferiti dal Genovese, tutto ad un tratto pianta ogni ritenutezza per dare sfogo alla sua impressione generale : « Se questi, che seguon solo la legge della natura, sono tanto vicini al cristianesimo, che nulla cosa aggiunge alla legge naturale, si non i sacramenti, io cavo argumento di questa relazione che la vera legge è la cristiana, e che, tolti gli abusi, sarà signora del mondo » (CS, p. 1113). È indubbio che in questa battuta sia contenuta la "lezione" della Città del Sole.

Renovatio mundi

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Infatti, già per Tommaso Moro l'utopia era una finzione letteraria che permetteva di dimostrare abilmente che la religione cristiana era quella più in armonia con la ragione e la natura, e di denunciare nello stesso tempo gli abusi che si perpetravano in suo nome. Ma Moro scriveva ad un momento in cui la cristianità era ancora un bel monumento senza crepa, di cui nessuno poteva presagire la disgregazione imminente ; il Campanella invece scrive in piena Controriforma, e Dio sa quanto ne ha sofferto. Il senso delle due utopie non poteva dunque essere lo stesso. Presso gli Utopiani, varie religioni coesistono pacificamente, e ci sono persino ceremonie comuni ; uno spirito di tolleranza "erasmiano" pervade dunque questa società, sebbene ci siano a questa tolleranza due restrizioni importanti : « [Utopus] vietò tuttavia, con una pietosa severità, che alcuno abassasse la degnità umana e ammettesse che l'anima perisce insieme col corpo, ovvero che il mondo è retto dalla fortuna, senza che ci sia una providenza. Gli Utopiani credono quindi che, dopo questa vita, i vizi saranno sanciti con castigi, e le vertù con ricompense. Colui che pensa altrimenti, non lo considerano nemmeno come un uomo, dato che egli svilisce la sublimità dell'anima sua alla bassa materialità animale. [...] Lo disprezzano, dovunque sia, come un essere vile e senza risorse, senza però infliggergli nessuna pena corporea, perché sono convinti che non è dato all'uomo di credere ciò che vuole ».38

A questo discorso, centrato sulla dignitas hominis e insomma abbastanza moderato, seppure non privo di equivoci, si sostituisce col Campanella uno di tipo tutto diverso. Che l'anima potrebbe essere mortale, l'idea non è nemmeno presa in considerazione : « Tengono per cosa certa l'immortalità dell'anima, e che s'accompagni, morendo, con spiriti buoni o rei, secondo il merito » (CS, p. 1110). La storia dell'umanità è posta sotto il segno di un providenzialismo totale : « noi appartenemo alla providenza di Dio, e non del mondo e delle stelle, perché rispetto a loro siamo casuali; ma rispetto a Dio, di cui essi sono stromenti, siamo antevisti e provisti » (Ibid.). Questi articoli di fede non sono problematizzati come nell'Utopia, anzi vengono presentati come andando di sé. Ma la religione "naturale" ne comporta ancora altri, e anzitutto quello della trinità primalitativa : « Qui ti stupisci ch'adorano Dio in Trinitate, dicendo ch'è somma Possanza, da cui procede somma Sapienza, e d'essi entrambi, sommo Amore ». La credenza nella trinità personale dipende tuttavia dalla Rivelazione : « Ma non conosceno le persone distinte e nominate al modo nostro, perché non ebbero revelazione, ma sanno ch'in Dio ci è processione e relazione di sé a sé » (CS, p. 1111). Ma a parte questa restrizione, il credo solare è in perfetta concordanza con la dogmatica cristiana, anche sui punti della teodicea (il peccato come schietta negatività) e del libero arbitrio, talché l'esclamazione ammirata dell'Ospitalario (« Oh, come sono arguti ! ») si giustifica pienamente. Vogliamo qui insistere soprattutto sull'evidenza con cui questi concetti sottilissimi sembrano poter dedursi dalla mera ragione, cioè sull'aspetto quasi meccanico di tale deduzione. Dopo il Concilio tridentino, il dubbio - presente benché rigettato in Moro - non ha più ragione di esistere, ed è evacuato dalle opere e dalle menti. Tuttavia questo rifiuto del dubbio - come quello della contingenza, cui abbiamo accennato sopra - ha in Campanella qualcosa di profondamente patetico, e così anche l'edificazione di un corpo di dottrina, destinato a corroborare queste "sicurezze", cui egli si dedicherà nel seguito.

Con tutto ciò, il punto di maggior constrasto fra l'Utopia e la Città del Sole sta senza dubbio nel lato profetico di quest'ultima. Le ultime pagine del dialogo sono in effetti impregnate, parte da un senso acuto della decadenza dei costumi, e parte dalla previsione di una renovatio mundi imminente. Sebbene il mondo sia profondamente corrotto (« Essi confessano che nel mondo ci sia gran corruttela, e che gli uomini si reggono follemente e non con ragione; e che i buoni pateno e i tristi reggono », CS, p. 1112), non è il caso di rifugiarsi in una laudatio temporis acti : « Più pazzia è dire che prima resse Saturno bene, e poi Giove, e poi gli altri pianeti » (Ibid.). Il Genovese denuncia il predominio delle femmine (« l'imperio donnesco ») in Europa e altrove, nonché l'universale declino della virilità : « E tutti son maledici li poeti d'ogge per Marte; e per Venere e per la Luna parlano di bardascismo39 e puttanesmo. E gli uomini si effeminano e si chiamano "Vossignoria"; ed in Africa, dove regna Cancro, oltre l'Amazoni, ci sono in Fez e Marocco li bordelli degli effeminati publici, e mille sporchezze » (CS, p. 1115).40 Certo, Moro condannava ciò che la situazione sociale e religiosa del suo tempo aveva di biasimevole, ma l'insistenza sul malcostume sessuale è chiaramente un'elemento nuovo, che non può passare inosservato, e che si spiega soltanto in riferimento al contesto controriformistico.41

I vituperî del nocchiere mirano tuttavia anzitutto all'eresia che si è diffusa nell'Europa cristiana. In una contrapposizione assai significativa, egli sottolinea che solo l'Italia e la Spagna sono state risparmiate dall'infezione ereticale che ha invece corrotto la Germania, la Francia e l'Inghilterra, « Spagna per Giove ed Italia per il Sole, a cui sottostanno ».42 Ma proprio per l'influsso delle medesime pianete, « nel mondo novo e in tutte le marine d'Africa e Asia australi è entrato il cristianesimo » (CS, p. 1115). Poco prima, l'Ospitalario aveva dato un'interpretazione providenzialistica alla scoperta del Nuovo Mondo e alla sua conquista dagli avventurieri spagnoli : « Quelli vanno per avarizia di danari cercando novi paesi, ma Dio intende più alto fine. Il sole cerca strugger la terra, non far piante ed uomini; ma Dio si serve di loro in questo. Sia laudato » (CS, p. 1113). Il che ci conduce a pensare che il Campanella si sia servito qui del linguaggio cifrato dell'astrologia per indicare, in modo appena velato, che il Papato e la Monarchia spagnola saranno gli attori incaricati di realizzare un piano divino, che porterà alla vittoria finale della "vera fede" e la sua diffusione nel mondo intero. E l'avvenimento di questa mutazione del mondo non è affatto riportato in un lontano futuro, anzi va considerata come imminente : « Ma entrando l'asside di Saturno in Capricorno, e di Mercurio in Sagittario,43 e di Marte in Vergine, [...] sarà grande monarchia nova, e di leggi riforma e d'arti, e profeti e rinovazione. E dicono che a'cristiani questo apporterà grand'utile; ma prima si svelle e monda, poi s'edifica e pianta » (CS, p. 1114).

Pertanto non possiamo che condividere l'opinione di A. Asor Rosa, dove osserva che « la descrizione della Città del Sole nella mitica Taprobana non cristiana può essere intesa obliquamente come un contributo alle mire espansionistiche spagnolo-cattoliche : essa infatti mostra come i fondamenti di una società naturalmente-razionalmente organizzata si identifichino con quelli ritenuti giusti dalla rivelazione cristiana, e come quindi a questa sia consentito sperare in una universale diffusione. [...] il riferimento alla Spagna torna ad imporsi come assolutamente necessario [...] : in questi anni infatti essa appare ancora come la sola nazione europea disposta ad assumere il compito di vicario armato di Cristo, di cui Campanella ha bisogno per rendere credibile e compiuto il suo disegno ».44 L'idea che sta alla base di questa "utopia" è dunque la stessa che quella espressa dal nostro frate nella Monarchia di Spagna, scritta poco prima, ma che era senza dubbio già quella abozzata nella Monarchia dei Cristiani (1593), oggi perduta, e che aveva ispirato poi la fallita tentativa di rivoluzione in Calabria : cioè il sogno di un mondo unificato e pacificato sotto il segno del Cristo, retto da una monarchia teocratica.

Questo sogno, il Campanella ci è continuamente tornato, e, un po' come egli ha sempre bandito l'astrattezza dal suo pensiero filosofico, non ha voluto che quel sogno restasse soltanto un sogno, e ha cercato instancabilmente di iscriverlo nel dinamismo storico reale, di tradurlo in misure concrete, di collegarlo con istituzioni politiche esistenti. Ma il sogno primitivo che nutriva il suo pensiero politico è rimasto sempre lo stesso, dalla Monarchia dei Cristiani, scritta all'età di venticinque anni, mentre studiava all'università di Padova, all'Ecloga in portentosam Delphini nativitatem, composta dal frate settantenne. E che lo strumento della sua realizzazione non importava, ne dà ampia prova il fatto che negli anni 1628-33 le sue speranze si siano gradualmente stornate dalla monarchia spagnola per cristallizzarsi su quella francese.

Nell'evoluzione della filosofia politica campanelliana verso una sempre maggiore concretizzazione, la Città del Sole non è insomma che un'episodio, seppure un'episodio estremamente interessante. Uno potrebbe chiedere come mai il Campanella, così poco tempo dopo aver dato forma alle sue nuove intuizioni politiche nella Monarchia di Spagna, abbia voluto trattarle poi un'altra volta sul modo della finzione letteraria. La risposta è forse che uno scritto letterario conciso, conforme al genere delle relazioni di viaggiatori tanto di moda a quest'epoca, ricco di mille particolari pittoreschi e quindi gradevole da leggere, era più atto a propagare certe idee che un'arido trattato di filosofia politica.

Conclusioni

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Di tutto quello che abbiamo detto qui sopra, risulta chiaro che il pensiero campanelliano nel suo complesso è contenuto in nuce nell'operetta utopica La città del Sole. Molti aspetti si trovano ancora "allo stato embrionale", su molti punti il filosofo esita ancora, ma l'orientamento dell'evoluzione futura è già chiaramente indicato. E l'opera tutt'intera è dominata dall'ansia di tradurre il garbuglio degli ideali giovanili in qualcosa di più sistematico, di più concreto, ma anche di più ortodosso.

Campanella utopista ? Ma cos'è un' "utopia" ? L'utopia (outopoV, ciò che non ha nessun posto, non esiste) può concernere sia il fine, sia i mezzi : oppure la società ideale descritta è in se impossibile a realizzare, oppure essa è possibile, ma non può esser realizzata sul momento, perché i tempi non sono ancora maturi : da Platone a Marx, tutte le utopie appartengono o all'uno o all'altro tipo. Intanto è indubbio che nello spirito dell'autore, La città del Sole non è un'utopia né nell'uno, né nell'altro di questi due sensi. E il Campanella era in un modo il contrario di un'utopista, perché c'è sempre in lui questa tendenza quasi patologica di progettare quello che lui immaginava idealmente essere "il bene" in un futuro quanto più vicino possibile, e di cercare intorno a lui i mezzi per realizzarlo. Per questo la Città del Sole va letta, non come un'utopia, ma come un messaggio profetico.

Campanella pensatore della Controriforma ? Qui la nostra risposta sarà e dev'essere più sfumata. Identificando religione naturale-razionale e cristianesimo di professione romana, e profetizzando la prossima diffusione universale e vittoria di questo, egli ha certo potentemente contribuito ad affermare lo spirito post-tridentino. Ma non si deve sottovalutare l'originalità e l'autenticità del suo pensiero, soprattutto rispetto al clima di conformismo e d'ipocrisia che a poco a poco si è generalizzato durante la prima metà del Seicento. Né è trascurabile la profonda vena sensualistica di esso, che traspare perfino nelle sue opere più ortodosse, e senza dubbio per questo egli non ha mai potuto levarsi d'addosso la diffidenza delle autorità religiose.


BIBLIOGRAFIA


NOTE

[1] L'edizione cui ci riferiamo è quella curata da R. Amerio (che riprende infatti quella di N. Bobbio, con alcune emendazioni), nel volume Opere di Bruno e Campanella, Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi Editore 1956, pp. 1071-1116. Si può anche scaricare il testo dal sito del progetto Manuzio (www.liberliber.it) o uno dei suoi mirror.

[2] Renucci 1974, p. 1362.

[3] Sereni, Storia del paesaggio agrario, citato in Renucci 1974, p. 1363-64.

[4] Vedi Renucci 1974, p. 1389.

[5] Cfr. Garin 1994, p. 241: « Ecco quel tanto significativo elogio del lavoro che vince l'ozio; quella condanna cruda dell'età d'oro e d'ogni paradiso terrestre; quell'esaltazione dell'opera ("e per questo ha determinato la providenza, che vegna occupato ne l'azione per le mani."), [...] ». La citazione è tratta dallo Spaccio della bestia trionfante (1585).

[6] Il Campanella è stato dichiarato pazzo nel giugno 1601, dopo che ebbe sopportato, senza tradirsi, il cosiddetto supplizio della "veglia" (cioè che gli hanno impedito di dormire o riposarsi per ben 40 ore), di cui troviamo un.eco nella Città del Sole: « E dicono che, se in quaranta ore di tormento un uomo non si lascia dire quel che si risolve tacere, manco le stelle, che inchinano con modi lontani, ponno sforzare », p. 1116.

[7] Amerio 1956, p. 782.

[8] Su questa "metanoia" del Campanella, vedi Amerio 1961, p. 1591-2 e 1594-6.

[9] Platone, Rep. IV, 422e .423a.

[10] Ibid., 423d.

[11] Cfr. Firpo 1972, pp. XXXVI-XL.

[12] Platone, Critia 113c-114c.

[13] Ibid., 121a-c, e Timeo, 24e-25d.

[14] Critia 110c e 109d.

[15] Come lo segnala il Firpo, « [...] le schéma urbain de la Cité du Soleil [...] présente une grande similitude avec un dessin de Léonard pour un projet d'architecture militaire. On y voit clairement des anneaux renforcés vers l'extérieur pour la défense et ouverts à l'intérieur de grandes arcades destinées à la commodité des habitants » (op. cit., p. XXXVIII). Si tratta di alcuni disegni del Codex Atlanticus (fol. 133 r. e 132 r., già 48 a-b) conservato nella Biblioteca Ambrosiana a Milano.

[16] Opere€ letterarie, a cura di L. Bolzoni, Torino 1977, p. 101.

[17] Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1512-1519), Libro primo, cap. 34.3.

[18] CS, pp. 1079-80: « [...] non sendo tra loro latrocini, né assassinii, né stupri ed incesti, adultèri, delli quali noi ci accusamo, essi si accusano d'ingratitudine, di malignità, quando uno non vuol far piacere onesto, di bugia, che aborriscono più che la peste [...] ».

[19] Rep. V, 460a: « Klhroi de tineV, oimai, poihteoi komyoi, wste ton faulon ekeinon aitiasqai ef'ekasthV sunerxewV tuchn, alla mh touV arcontaV ».

[20] Rep. IV, 423d: « opwV an en to autou [sc. ergon] epithdeuwn ekastoV mh polloi, all'eiV gignhtai ». Platone aggiunge ancora: « e che in questo modo lo Stato intero rimanga uno anch'esso, invece di divenire multiplo ». L'esigenza dell'unità è anche la ragione intima perché i due filosofi aboliscono la famiglia: i membri della società ideale devono considerare come la loro famiglia la collettività intera. Anche per il cristiano, l'appartenenza alla cristianità è più importante che i legami del sangue, poiché Cristo stesso ha detto: « Veni enim separare hominem adversus patrem suum, et filiam adversus matrem suam, et nurum adversus socrum suam: et inimici hominis domestici eius. Qui amat patrem aut matrem plus quam me, non est me dignus; et, qui amat filium aut filiam super me, non est me dignus » (Matth., X, 35-37).

[21] Cfr. ancora questo passo, p. 1080: « Dopo li tre anni li fanciulli imparano la lingua e l'alfabeto nelle mura, caminando in quattro schiere; e quattro vecchi li guidano ed insegnano, e poi li fan giocare e correre, per rinforzarli, e sempre scalzi e scapigli, fin alli sette anni, e li conducono nell'officine dell'arti, cositori, pittori, orefici, ecc.; e mirano l'inclinazione. »

[22] G. B. Marino, L'Adone (1623), canto X « Le Maraviglie », 117 sgg.

[23] F. Bacon, The New Atlantis, in Francis Bacon, a cura di Brian Vickers, Oxford-New York, Oxford University Press 1996 (« Oxford Authors »), p. 487.

[24] Cfr. Firpo 1972, p. XXIII.

[25] CS, pp. 1093, 1097, 1098, 1101.

[26] Questo motivo risale infatti ai predicatori del sec. XII, ed era diventato quasi un luogo comune all.epoca del Campanella: cfr. il capitolo « Il simbolismo del libro » in E. R. Curtius, La letteratura europea e il medioevo latino (1a ed. ted. 1947), tr. fr. (Presses Pocket « Agora » n° 14) pp. 497-507.

[27] Metaphysica, Proemio, citato in Garin 1994, p. 247.

[28] Amerio 1961, p. 1596. Nostri corsivi.

[29] Cfr. l'Apologia pro Galilaeo: « Concordant enim codices Dei utrique alter alteri. », citata in Garin 1994, p. 246.

[30] Opere letterarie, ed. Cit., p. 111. Cfr. anche la lettera a A. Queregno (luglio 1607), citata da Garin, loc. cit.: « il libro di Dio, al cui esemplare correggo i libri umani malamente copiati e a capriccio, e non secondo sta nell.universo libro originale ».

[31] Citato in E. R. Curtius, op. cit., p. 500.

[32] Metaphysica, citata in Garin 1994, p. 247.

[33] Garin 1994, p. 250.

[34] Citato in Garin 1994, p. 248.

[35] Ibid.

[36] Amerio 1961, p. 1597.

[37] Garin 1994, p. 250. La citazione del Campanella è tratta dal Del senso delle cose.

[38] Th. More, Utopia etc., in The Complete Works of St. Thomas More, vol. IV, a cura di E. Surtz e J. H. Hexter, New Haven and London 1965, pp. 220-222: « Nisi quod sancte ac severe vetuit, ne quis usque adeo ab humanae naturae degeneret, ut animas quoque interire cum corpore, aut mundum temere ferri, sublata providentia putet. Atque ideo post hanc vitam supplicia vitiis decreta virtuti praemia constituta credunt. Contra sentientem, ne in hominum quidem ducunt numero, ut qui sublimem animae suae naturam, ad pecuini corpuscoli vilitatem deiecerit. [...] Ita passim velut inertis, ac iacentis naturae despicitur. Caeterum nullo afficiunt supplicio, quod persuasam habeant, nulli hoc in manu esse, ut quicquid libet, sentiat. »

[39] bardascismo: da bardassa (o bardasso), cioè cinedo, prostituto.

[40] Questa diatriba corrispondeva probabilmente a una realtà dell.epoca, poiché ritroviamo un discorso del genere nella New Atlantis di Fr. Bacone: « Know therefore, that with them there are no stews, no dissolute houses, no courtesans, nor any thing of that kind. Nay they wonder (with detestation) at you in Europe, which permit such things. [...] The haunting of those dissolute places, or resort to courtesans, are no more punished in married men than in bachelors. And the depraved custom of change, and the delight in meretricious embracements (where sin is turned to art), maketh marriage a dull thing, and a kind of imposition or tax. [...] As for masculine love, they have no touch of it; and yet there are not so faithful and inviolate friendships in the world again as are there », ed. cit., p. 477.

[41] Vedi Renucci 1974, pp. 1364-1367.

[42] « Ma in Germania, Francia ed Inghilterra entrò l'eresia per esser esse a Marte ed alla Luna inchinate; e Spagna per Giove ed Italia per il Sole, a cui sottostanno, per Sagittario e Leone, segno loro, restâro nella bellezza della legge cristiana pura » (CS, p. 1115). Il Genovese ribada poco dopo : « Onde la costellazione che da Lutero cadavero cavò vapori infetti, da.Gesuini nostri che fûro al suo tempo cavò odorose esalazioni di virtù, e da Fernando Cortese che promulgò il cristianesimo in Messico nel medesimo tempo » (CS, p. 1116).

[43] Ma entrando... Sagittario: l'entrata di Saturno in Capricorno doveva aver luogo nel 1630 e produrre mutazione di costumi e di leggi, e quella di Mercurio in Sagittario nel 1615 e produrre novità di dottrine: cfr. Quod reminiscetur, lib. I, cap. 1, art. 3 [nota di R. Amerio].

[44] Asor Rosa 1974, pp. 206-7.


© Karl STAS 1998-1999. This document is not to be cited without the written permission of the author.