CARL GUSTAV JUNG

ANTOLOGIA II



L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI

Mi ricordo di parecchie persone venute a consultarmi perché sconcertate dai sogni loro o da quelli dei loro bambini. Questi pazienti non riuscivano a comprenderli, perché i sogni contenevano immagini la cui origine non poteva essere rintracciata nei loro ricordi o pensavano di non averla trasmessa ai loro figli. Tra queste persone, alcuni erano molto colti e tra essi si contavano perfino degli psichiatri.
Mi ricordo in particolare il caso di un professore che aveva avuto un'improvvisa visione e si credeva pazzo. Venne a trovarmi in uno stato di panico totale. Io presi da uno scaffale un libro antico di quattrocento anni e gli mostrai una vecchia incisione che rappresentava esattamente la sua visione: "Ha avuto torto a credersi pazzo" gli dissi. "La sua visione era conosciuta già quattrocento anni fa". Detto questo, egli si sedette su una sedia, prostrato, ma nuovamente normale.
Un caso importante mi era stato sottoposto da un cliente, psichiatra egli stesso. Un giorno mi portò un libriccino manoscritto che la figlia di dieci anni gli aveva donato come regalo di Natale. Esso conteneva tutta una serie di sogni che la ragazza aveva avuto all'età di otto anni. Era la più strana serie di sogni della quale avessi mai avuto notizia, e capivo bene perché il padre avesse provato qualcosa più dello stupore a leggerlo. Malgrado l'apparenza infantile, i sogni contenevano qualcosa di soprannaturale e immagini la cui origine era totalmente incomprensibile al padre. Ecco i motivi principali che vi figuravano.

1. "La bestia malvagia", un mostro a forma di serpente con parecchie corna che uccide e divora tutti gli altri animali. Ma Dio sopraggiunge dai quattro angoli, essendo di fatto formato di quattro dei, e fa ritornare in vita gli animali morti.

2. Un'ascesa nei cieli, dove si celebra una festa con danze pagane. E una discesa all'inferno dove gli angeli compiono buone azioni.

3. Un'orda di animaletti atterrisce la ragazzina, essi si ingrandiscono poi spaventosamente, e uno di questi la divora.

4. Le viene inviata una topolina da vermi, serpenti, pesci e esseri umani. La topolina diventa un essere umano. Questo sogno rappresenta le quattro tappe dell'origine dell'umanità.

5. Una goccia d'acqua è vista come al microscopio. La bambina vede la goccia d'acqua piena di rami d'albero. Questo rappresenta l'origine del mondo.

6. Un ragazzo malvagio ha tra le mani una zolla di terra e ne getta delle manciate su tutti i passanti e tutti i passanti diventano malvagi.

7. Una donna ubriaca cade nell'acqua e ne esce sobria ed emendata.

8. La scena si svolge in America dove parecchie persone, attaccate dalle formiche, si rotolano su un formicaio. La bambina, in un momento di panico, cade in un flume.

9. Un deserto sulla luna in cui la bambina sprofonda tanto da arrivare all'inferno.

10. La bambina vede una palla luminosa: la tocca. Da essa si sprigionano vapori. Sopraggiunge un uomo e la uccide.

11. La bambina sogna di essere gravemente malata. Improvvisamente dalla sua pelle escono degli uccelli che la ricoprono completamente.

12. Sciami di mosconi oscurano il sole la luna, e tutte le stelle tranne una. Questa stella cade sulla bambina.

Nel testo originale tedesco ogni sogno inizia con la fase rituale "C'era una volta...". Con queste parole la bambina lascia intendere di considerare ciascun sogno come una specie di fiaba che ella vuol raccontare al padre come regalo di Natale. Il padre aveva tentato di spiegare i sogni attraverso il loro contesto ma non vi era riuscito, perché questi sogni non sembravano comportare nessun tipo di elaborazione personale.
La possibilità che questi sogni fossero stati il prodotto di una elaborazione cosciente non avrebbe potuto, ben inteso, essere escluso se non da qualcuno che avesse conosciuto sufficientemente la bambina al punto da essere assolutamente certo della sua sincerità. (Anche se fossero stati immaginari, essi avrebbero tuttavia pur sempre costituito una sfida alla nostra capacità di capirli). Nel caso particolare, il padre era convinto dell'autenticità dei sogni, e io non avevo motivo di dubitarne. Avevo conosciuto la ragazzina, ma prima dell'epoca in cui aveva offerto questa serie di sogni al padre. Di modo che non potei pone nessuna domanda in proposito. Ella viveva all'estero e morì per una malattia infettiva l'anno seguente il Natale di cui stiamo parlando.
I sogni hanno un carattere assolutamente particolare. Le idee predominanti sono di spiccata natura filosofica. Il primo sogno, per esempio, parla di un mostro che uccide gli altri animali. Dio però li fa rinascere tutti mediante una Apokatastasis divina o resurrezione finale. Nel mondo occidentale questa idea è conosciuta grazie alla tradizione cristiana. È menzionata negli Atti degli Apostoli (III, 21): [Ii Cristo] "che il cielo deve custodire fino al momento della resurrezione universale". Tra i Padri della Chiesa, i greci, Origene per esempio, hanno insistito sulla idea che, alla fine dei tempi, il Redentore ristabilirà le cose nella perfezione del loro stato originale. Secondo San Matteo (XVII, 11), però, esisteva già un'antichissimà tradizione ebraica secondo la quale Elia sarebbe dovuto venire a ristabilire ogni cosa. Ritroviamo il medesimo concetto nella prima Epistola ai Corinzi (XV, 22): "Perché come tutti muoionno in Adamo, così tutti rivivranno nel Cristo".
Si potrebbe supporre che la bambina abbia ricavato questo concetto dall'educazione religiosa: essa però aveva una cultura religiosa assai limitata. I genitori ufficialmente erano protestanti, di fatto, però, essi conoscevano la Bibbia solamente per sentito dire. È molto improbabile che alla ragazzina sia stata spiegata un'immagine tanto astrusa come è quella dell'A pokatastasis. Il padre non aveva certamente mai sentito parlare di questo mito. Nove, dei dodici sogni, contengono il tema della distruzione e della resurrezione; e nessuna mostra traccia di una educazione e di una influenza specificamente cristiana. Al contrario essi sono in più stretto rapporto con i miti primitivi. Questo rapporto viene confermato dal secondo motivo, il mito "cosmogonico" (la creazione del mondo e dell'uomo) che figura nel quarto e nel quinto sogno.
Lo stesso legame tra morte e resurrezione, Adamo e il Cristo (la morte e la resurrezione), figurava nell'Epistola ai Corinzi (I, XV, 22) appena citata. A questo punto dobbiamo osservare che il concetto di Cristo redentore è stato ripreso da un tema precristiano, diffuso nel mondo intero, quello dell'eroe e del salvatore, che divorato da un mostro, riappare miracolosamente dopo averne trionfato. Dove e quando è nato questo tema, resta un mistero. Non sappiamo nemmeno come condurre le nostre investigazioni. La sola cosa di cui siamo assolutamente certi è che questo motivo era familiare ad ogni generazione, e che ogni generazione sembra averla ricevuta in eredità da quella precedente. Di modo che possiamo, senza tema di sbagliare, supporre che la sua origine risalga a un'epoca in cui l'uomo non sapeva ancora possedere il mito dell'eroe, perché non rifletteva ancora coscientemente su ciò che diceva. Il personaggio dell'eroe è un archetipo esistente da tempo immemorabile.
La produzione di archetipi da parte dei bambini è particolarmente importante, poiché ci si può talvolta assicurare che i bambini non hanno accesso diretto alla tradizione in causa. Nel nostro caso specifico, la famiglia della ragazzina aveva soltanto una conoscenza superficiale della tradizione cristiana. I temi cristiani, beninteso, possono essere rappresentati da idee come Dio, gli angeli, il cielo, l'inferno e il male. Ma il modo in cui la bambina li utilizzava indicava un'origine totalmente non cristiana.
Esaminiamo il primo sogno di Dio, che consiste in quattro dèi giungenti da quattro "angoli". Gli angoli di cosa? Il sogno non accenna a una camera, che tra l'altro non si adatterebbe a ciò che manifestamente è un avvenimento cosmico, in cui interviene lo stesso Essere Universale. Tale "quaternità". l'importanza attribuita al numero quattro, è di per sè un'idea strana, che però gioca un ruolo importante in molte religioni e filosofie. Il cristianesimo gli ha sostituito il concetto di Trinità, che la bambina, come possiamo supporre, doveva conoscere. Ma chi, in una famiglia appartenente alla moderna classe media, avrebbe potuto sentire parlare di una quaternità divina? È un'idea che fu assai diffusa tra gli studiosi della filosofia ermetica del Medioevo: essa però si è perduta intorno all'inizio del secolo XVIII, ed è stata completamente dimenticata da almeno duecento anni. Dove ha potuto ritrovarla la bambina? Nella visione di Ezechiele? Ma nessun insegnamento cristiano identifica Dio e i serafini.
Possiamo porci lo stesso problema a proposito del serpente con le corna. È vero che nella Bibbia, per esempio nell'Apocalisse, troviamo un gran numero di animali con le corna; tutti però sembrano essere quadrupedi, anche se il loro signore è il drago; il cui nome greco (drakon) significa anche serpente. Il serpente con le corna compare nell'alchimia latina del secolo XVI. Essa parla del quadricornutus serpens, simbolo di Mercurio e viene opposto alla trinità cristiana. Questo riferimento però è poco accessibile. Per quanto io sappia esso figura in un solo autore, e questa bambina non aveva alcuna possibilità di conoscerlo.
Nel secondo sogno appare un motivo indiscutibilmente non cristiano che contiene un ribaltamento dei valori tradizionali, per esempio le danze pagane eseguite dagli uomini in Paradiso e le buone azioni compiute dagli angeli nell'inferno. Dove ha trovato la bambina un concetto così rivoluzionario, degno del genio di Nietzsche?
Questo problema ne introduce un altro: qual è la portata compensatrice di questi sogni, ai quali la bambina aveva attribuito un'importanza tale da donarli al padre come regalo di Natale?
Se i sogni fossero stati fatti dallo stregone di una tribù primitiva, potremmo a ragione supporre che essi rappresentino una variazione sui temi filosofici della morte, della resurrezione e della salvezza finale, sull'origine del mondo, la creazione dell'uomo e la relatività dei valori. Se però li esaminiamo a livello personale, potremo essere tentati di rinunciare all'interpretazione di questi sogni a causa della loro scoraggiante difficoltà. Essi contengono indiscutibilmente immagini collettive, in una certa misura analoghe alle dottrine insegnate ai giovani nelle tribù primitive al momento della loro iniziazione. In quel momento essi apprendono le azioni di Dio, degli dei, o anche degli animali fondatori, come sono stati creati il mondo e l'uomo, come essi finiranno e qual è il senso della morte. Esistono circostanze in cui noi, nell'ambito della civiltà cristiana, diamo un analogo insegnamento? Sì, durante l'adolescenza. Molti però non ripensano a queste cose che nella vecchiaia, quando la morte si avvicina.
Ora, la ragazzina si trovava contemporaneamente in queste due situazioni. Si avvicinava alla pubertà e, nello stesso tempo, alla fine della vita. Nel simbolismo dei suoi sogni quasi nulla annuncia l'inizio di una normale vita di adulto; al contrario, vi sono molte allusioni alla distruzione e alla guarigione. Quando lessi per la prima volta questi sogni, ebbi in verità l'inquietante sensazione che suggerissero un imminente disastro. La ragione era costituita dalla particolare natura della compensazione che deducevo dal loro simbolismo. Essa era ben contraria a quanto ci si poteva aspettare dalla coscienza di una ragazzina di quell'età.
Questi sogni ci rivelano una nuova e assai terrificante dimensione della vita e della morte. Ci aspetteremmo di trovare questo genere di immagini in una persona attempata che guarda dietro di sè e non in una bambina che normalmente guarda in avanti. La loro atmosfera ricorda un vecchio detto romano, secondo cui la vita non è che un breve sogno, e non certo l'esuberanza e la gioia della prima giovinezza. La vita della bambina assomiglia al voto di sacrificio primaverile di cui parla il poeta. Anche l'altare delle chiese cristiane rappresenta da una parte la tomba. e dall'altra la resurrezione, e dunque la trasformazione della morte in vita eterna.
Ecco quali erano le idee che i sogni suggerivano alla bambina. I sogni erano una preparazione alla morte narrata in brevi storie analoghe ai racconti che facevano parte della iniziazione del primitivo, o ai koans del buddismo Zen. Questo messaggio non assomiglia alla dottrina cristiana, assomiglia piuttosto al modo di pensare dei primitivi. Sembra nato al di fuori della tradizione culturale storica, dalle ormai da tempo dimenticate sorgenti dello psichismo, le quali, dall'epoca preistorica, hanno alimentato le speculazioni filosofiche religiose sulla vita e sulla morte.
Era come se avvenimenti non ancora accaduti proiettassero già la loro ombra sulla bambina, risvegliando pensieri che, benché normalmente assopiti, accompagnano o descrivono l'approssimarsi di una uscita fatale. Benché la forma specifica in cui si esprimono sia più o meno personale, il loro schema generale è collettivo. Li si trova ovunque e in ogni tempo, e variano come gli istinti che mutano considerevolmente da una specie all'altra, tuttavia servendo gli stessi fini generali.

(L'homme et ses symboles, cit., pp. 69-75)


La nostra ipotesi è che l'inconscio abbia importanza etiologica e che i sogni siano la diretta espressione di attività psichiche inconsce. Ciò costituisce una giustificazione teoretica da un punto di vista scientifico, per tentare un'analisi e un'interpretazione dei sogni. Se il tentativo riesce potremo sperare, anche a prescindere da qualsiasi azione terapeutica, di raggiungere una comprensione scientifica della struttura dell'etiologia psichica. Ma per il medico pratico le scoperte scientifiche possono tutt'al più costituire un gradito sottoprodotto dell'attività terapeutica, e non basta quindi che l'analisi dei sogni consenta un chiarimento teorico delle basi etiologiche perché una sua applicazione sia giustificata o addirittura indicata; a meno che il medico si riprometta di trarre da quel chiarimento un effetto terapeutico, perché in tal caso l'applicazione dell'analisi dei sogni diventerà per lui un preciso dovere.
Com'è noto la scuola di Freud ha ampiamente sviluppato la dottrina secondo la quale il chiarimento e l'interpretazione, ossia la completa. attrazione nella coscienza dei fattori etiologici inconsci, avrebbe il massimo valore terapeutico. Ammettendo che i fatti giustifichino questo punto di vista, rimane da vedere se l'analisi dei sogni sia idonea in senso assoluto o in senso relativo (e cioè in connessione con altri metodi) alla determinazione dell'etiologia inconscia. Devo qui dare per nota la risposta che ad un tale, problema dà la dottrina freudiana. Posso senz'altro associarmi a quella risposta, nel senso che i sogni e in particolar modo i sogni iniziali (ossia quelli che coincidono con l'inizio del trattamento), rivelano spesso in forma indubbia il fattore etiologico essenziale. Il caso seguente potrà servire da esempio.
Un uomo di buona posizione sociale mi consulta. Egli prova angoscia, senso di insicurezza, capogiri, talora con nausea, emicranie, oppressioni alla testa: stati in complesso simili a quelli del mal di montagna. Il paziente ha percorso una carriera straordinariamente brillante. Figlio di poveri contadini ma animato da una forte volontà, è riuscito grazie alla sua capacità e operosità a salire di grado in grado, fino a raggiungere una posizione alta, straordinariamente ricca di possibilità per un'ulteriore ascesa sociale. Egli ha effettivamente raggiunto la piattaforma da cui potrebbe spiccare un volo più alto, se non fosse insorta improvvisamente quella sua nevrosi. A questo punto della sua storia il paziente non può fare a meno di rietere la ben nota frase stereotipata che incomincia con: "È proprio ora che..." La sintomatologia del mal di montagna sembra fatta apposta per rappresentare in forma drastica la situazione specifica in cui è venuto a trovarsi il paziente. Durante la seduta egli mi riferisce due sogni avuti la notte precedente.
Ecco il primo sogno: "Mi ritrovo nel paesetto dove son nato. Sulla via son adunati alcuni ragazzi già miei compagni di scuola. Fingo di non conoscerli e li oltrepasso; sento però che uno di loro dice, segnandomi col dito: Quello li non torna più che di rado al paese". Non occorrono acrobazie interpretative per riconoscere in questo sogno l'allusione alle modeste origini del paziente e per comprendere il significato di quella allusione. Essa significa chiaramente: Tu dimentichi che hai cominciato dal basso.
Ed ecco il secondo sogno: "Ho una gran fretta perché debbo partire. Cerco di radunare il mio bagaglio ma non trovo nulla; intanto il tempo passa e il treno sta per partire: Alla fine riesco a raccogliere la mia roba e mi precipito in strada; m'accorgo però di aver dimenticato una borsa che contiene documenti importanti; torno indietro, tutto affannato, finalmente la trovo, e corro alla stazione, appena in tempo per vedere il treno che sta uscendo dalla tettoia. Esso percorre una strana curva fatta a S, assai lunga; penso che se il macchinista non fa attenzione e giunto sul tratto diritto dà tutto vapore, le ultime vetture trovantisi ancora in curva rischiano di essere lanciate fuori dei binari. Effettivamente, il macchinista dà vapore; cerco di gridare; le ultime vetture sbandano paurosamente e sono difatti lanciate fuori dei binari. È una catastrofe spaventosa e io mi sveglio in preda all'angoscia". Anche qui non ci vuole molta fatica per comprendere la scena del sogno. Essa riproduce dapprima il vano orgasmo per andare ancora avanti. E poiché il macchinista se ne va senza complimenti, dietro a lui si produce la nevrosi, lo sbandamento, il deragliamento.
Nella fase attuale della sua vita, il paziente ha certamente raggiunto il vertice; le umili origini e la fatica della lunga ascesa ne hanno esaurito le forze. Egli dovrebbe contentarsi di ciò che ha ottenuto; invece la sua ambizione lo spinge avanti, piú in alto, fino ad un'atmosfera rarefatta che non è piú per lui. Perciò lo colpisce la nevrosi ammonitrice.
Per ragioni d'ordine estrinseco non ho potuto continuare il trattamento del paziente, e la mia interpretazione non lo soddisfece. Così il destino tracciato dal sogno fece il suo corso. Egli volle orgogliosamente tentare la sua sorte, ma uscì dalle rotaie professionali in modo da provocare realmente la catastrofe.
Ciò che si lasciava appena intravedere nell'anamnesi cosciente (il mal di montagna come rappresentazione simbolica del "non poter salire piú oltre") viene confermato in pieno dal sogno.
Qui c'imbattiamo in un fatto di capitale importanza per l'applicazione pratica dell'analisi dei sogni: il sogno riproduce quella situazione interiore del soggetto che la coscienza non vuol riconoscere, o riconosce solo a malincuore, come vera e reale. Coscientemente il soggetto non vede alcuna ragione per non procedere più oltre; preso dalla sua ambizione, aspira a salire ancora e nega quell'incapacità che le vicende future della sua vita finiranno col rivelare sin troppo. Finché ci manteniamo sul terreno della coscienza, si è sempre incerti in casi di questo genere. L'anamnesi può essere valutata come si vuole. In fin dei conti ogni soldato ha il bastone di maresciallo nello zaino e molti figli di poveri genitori hanno raggiunto i successi piú alti; perché dunque non poteva essere anche questo un caso simile? Che garanzia vi è circa la serenità del mio giudizio? E perché il mio parere dovrebbe valere piú del suo? Ma qui interviene il sogno, come espressione di un processo psichico inconscio, che si sottrae all'influenza della coscienza e rappresenta la vera realtà interiore così com'è: non dunque come io la suppongo, o come il paziente la avrebbe, ma proprio come essa è. Io mi sono quindi fatta la norma di considerare i sogni alla stregua delle manifestazioni fisiologiche. Se nell'urina appare dello zucchero, c'è senz'altro zucchero; e non albumina, o urobilina, o qualche altra cosa, magari più corrispondente alla mia attesa. In altri termini tratto il sogno come un fatto che può essere utilizzato per la diagnosi.
Il breve sogno portato ad esempio ci ha dato - e i sogni fanno sempre così - qualche cosa di più di quanto serviva al nostro assunto. Non ci ha fornito soltanto l'etiologia della nevrosi, ma anche una prognosi. Anzi ci ha dato più ancora, giacché sappiamo senz'altro su quale punto debba intervenire la terapia. Bisogna impedire al paziente di dare tutto vapore: il paziente stesso se lo dice da sé nel sogno.
Ma lasciamo ora quest'ultima indicazione e torniamo al nostro problema: se cioè i sogni possano spiegare l'etiologia di una nevrosi. Il mio esempio del sogno costituisce un caso in questo senso positivo. Ma potrei portare innumerevoli altri esempi di sogni iniziali ove non si può rintracciare neppure l'ombra di un fattore etiologico: e questo anche limitandoci ai sogni particolarmente trasparenti e lasciando in disparte i sogni che richiedono un'analisi e un 'interpretazione approfondita.

(La realtà dell'anima, Torino, Boringhieri, 1963, pp. 56-59)


Ogni interpretazione è un'ipotesi, un puro tentativo di lettura di un testo ignoto. È raro quindi che un sogno oscuro isolato possa venire interpretato con sicurezza anche approssimativa; dò quindi poco peso all'interpretazione di un singolo sogno. Una relativa sicurezza si ottiene invece con una serie di sogni, giacché allora i sogni successivi rettificano gli errori d'interpretazione dei precedenti, e nella serie complessiva dei sogni gli elementi e motivi fondamentali si lasciano meglio individuare. Perciò invito i miei pazienti a tenere attentamente nota dei loro sogni e delle interpretazioni che ne sono state date. Li abituo anche a elaborare i sogni nel modo sopra indicato, in modo che possano venire al consulto col sogno e il suo contesto messi per iscritto. Quando si è più avanti col trattamento faccio loro elaborare anche le interpretazioni; in tal modo il paziente si abitua a trattare correttamente, anche senza il medico il proprio inconscio.
Se i sogni fossero soltanto fonti d'informazione relative agli elementi etiologicamente importanti, si potrebbe tranquillamente lasciare in mano al medico tutto il lavoro sui sogni. Oppure se al medico i sogni servissero soltanto per ricavare ogni sorta di indizi utili e di criteri psicologi, si potrebbe certo risparmiare il procedimento ora descritto. Ma poiché i sogni - come lo mostrano i miei esempi - possono contenere più di quanto serve al medico come strumento pratico, è necessario rivolgere ai sogni un'attenzione del tutto particolare. Spesso infatti possiamo trovarci addirittura di fronte a un immediato pericolo mortale.
Tra i molti casi di questo genere uno mi è rimasto particolarmente impresso. Si trattava di un mio collega che, essendo alquanto più anziano, aveva l'abitudine, quando per caso c'incontravamo, di punzecchiarmi a proposito delle mie interpretazioni dei sogni. Lo incontrai così una volta per la strada ed egli mi apostrofò: "Ciao, come va? Sempre interpretazioni di sogni? A proposito, ho fatto poco fa un sogno stupido. Anche quello significa qualche cosa? Ecco che cosa aveva sognato: "Mi arrampico su un alto monte per una ripida costa coperta di neve. Vado sempre più in alto e il tempo è splendido. Più salgo e più vorrei salire; mi sembra di poter continuare a salire eternamente. La mia felicità e la mia esaltazione sono tali, quando ho raggiunto la cima, che ho l'impressione di poter continuare a salire nello spazio. Ed effettivamente lo posso fare; e salgo su per l'aria. Mi risveglio in piena estasi".
Io gli risposi così: "Caro amico, so che non rinunceresti per nulla all'alpinismo; vorrei perciò pregarti con la massima insistenza di rinunciare a fare ascensioni da solo. Se vai in montagna, porta due guide con te, e prometti loro, sulla tua parola d'onore, un'obbedienza assoluta". Egli si mise a ridere: "Sempre incorreggibile!", e si congedò. Non l'ho più riveduto. Due mesi dopo ebbe il primo colpo. In un'escursione fatta da solo fu coperto da una valanga e tratto in salvo all'ultimo moto da una pattuglia militare che per caso si trovava sul posto. Tre mesi dopo fu la fine. In un'ascensione fatta senza guide con un amico più giovane, e mentre era in parete, egli - come lo vide una guida che si trovava più basso - fece letteralmente un passo nel vuoto e cadde sull'amico che attendeva più sotto: entrambi precipitarono, sfracellandosi nel burrone. Questa fu l'estasi in ogni senso.
Nonostante ogni scetticismo e critica, non vedo come si possano considerare i sogni come entità trascurabili. Se essi ci appaiono insensati, siamo solo noi gli insensati, e non abbiamo abbastanza spirito per leggere esattamente il messaggio enigmatico del lato notturno della nostra vita. Almeno metà della nostra vita psichica appartiene a quel lato notturno, e come la coscienza estende la sua azione anche sulla notte, così l'inconscio interferisce sulla nostra vita diurna: perciò la psicologia medica dovrebbe affinare le sue possibilità con un lavoro sistematico sopra i sogni. Nessuno dubita dell'importanza della nostra vita cosciente; perché dunque si dovrebbe dubitare dell'importanza del mondo dei processi inconsci? Anch'esso è vita nostra, ed è talora più denso di pericolo e di salvezza, che non la vita diurna.
Dal momento che i sogni ci permettono di renderci conto della nascosta vita interiore e di quelle componenti della personalità del paziente che nella vita diurna hanno il significato di sintomi nevrotici, il paziente non può essere curato soltanto in base alla coscienza e in essa, ma ha bisogno anche di una cura dell'inconscio. Per ciò che ne sappiamo sinora, ciò si può fare soltanto determinando una progressiva assimilazione dei contenuti dell'inconscio da parte della coscienza.
Per "assimilazione" non si deve qui intendere una valutazione, un'interpretazione, un soggiogamento dei contenuti inconsci da parte della coscienza - così come in genere si pensa e si fa - ma una reciproca competrazione di elementi coscienti ed incoscienti. A tale proposito si sono diffuse idee falsissime sul valore dei contenuti inconsci. Com'è noto Freud vede l'inconscio sotto una luce assai fosca: così l'uomo sarebbe, secondo il pensiero di quella scuola, una specie di mostro. Da un lato la favola sullo spaventoso uomo primitivo, dall'altro la dottrina del carattere infantile, perverso e criminale dell'inconscio, hanno fatto un mostro pauroso di quel prodotto naturale che è l'inconscio. Come se tutto ciò che è bene e razionale, tutto ciò che è bellezza e ha un valore per la vta, albergasse nella coscienza! La guerra mondiale, con i suoi orrori, non ci ha per nulla aperto gli occhi, per mostrarci quanto sia più diabolica e perversa la coscienza che non l'inconscio nella sua essenza naturale.
Mi è stato recentemente obiettato che la mia dottrina dell'assimilazione insidia la civiltà e affida alla primitività i nostri valori più alti. Ma tale obiezione può solo fondarsi sul falso presupposto che l'inconscio sia un mostro; e un'idea simile nasce solo dalla paura della natura o della realtà effettiva. In vista di una salvazione dagli artigli immaginari dell'inconscio, la stessa teoria freudiana ha inventato il concetto della sublimazione. Ma ciò che esiste effettivamente non si lascia sublimare alchimisticamente; e d'altra parte quanto viene apparentemente sublimato non era neppure all'origine ciò che sembrava essere in base a un'interpretazione erronea.
L'inconscio non è affatto un mostro demoniaco, ma un essere naturale, moralmente, esteticamente e intellettualmente indifferente, che diventa pericoloso solo quando la nostra impostazione cosciente è radicalmente sbagliata. La sua pericolosità aumenta nella misura in cui noi lo reprimiamo, mentre diminuisce nel momento stesso in cui il paziente comincia ad assimilare i contenuti che erano inconsci. Con la progressiva assimilazione scompare la dissociazione della personalità, ossia l'angosciosa scissione del lato diurno e del lato notturno. Quello che i miei critici temono, e cioè una sopraffazione della coscienza da parte dell'inconscio, si produce invece nella forma più rapida proprio quando nel bel mezzo della vita l'inconscio viene ostacolato con la rimozione, con le false interpreçzioni e con una svalutazione.

(La realtà dell'anima, cit., pp. 66-69)


Sono giunto a pensare che quella concezione freudiana che essenzialmente individua nei sogni soltanto la realizzazione di desideri e la protezione del sonno, sia troppo stretta, mentre invece l'idea fondamentale di una funzione ideologica compensatrice sia certamente da ritenere. Questa funzione non è che sussidiariamente compensatrice rispetto al sonno. Il soggetto principale è la vita cosciente. I sogni si comportano come compensazione della situazione cosciente che li ha visti nascere. Essi proteggono il più possibile, cioè automaticamente, il sonno, in risposta all'influenza e all'ascendente di questo stato; essi sanno però anche interromperlo quando la loro funzione lo richiede e quando i loro contenuti equilibranti hanno un'intensità sufficiente a sospendere il corso. Un elemento inconscio compensatore si amplifica intensamente quando ha un'importanza vitale per l'orientamento della coscienza.

(L'homme à la découverte de son âme, cit., pp. 237)


Quanto più l'atteggiamento cosciente è di un estremismo esclusivo, e si allontana così dall'optimum delle possibilità vitali, tanto più dobbiamo fare i conti con la possibile apparizione di sogni vivaci e penetranti, dai contenuti riccamente contrastati, ma giudiziosamente compensatori, come espressione della autoregolazione psicologica dell'individuo. Allo stesso modo in cui il corpo reagisce adeiatamente a una ferita, a un'infezione o a una vita anormale, le funzioni psichiche reagiscono alle turbe perturbatrici e dannose con appropriati mezzi di difesa. Il sogno, a mio giudizio, fa parte di queste reazioni opportune poiché introduce nella potenza, grazie a un accostamento simbolico, i materiali costellati nell'inconscio dai dati della situazione cosciente.
Nelle sostanze inconscie troviamo tutte le associazioni la cui riservatezza rendeva sublimali, ma che però possiedono parecchia energia per manifestarsi durante il sonno. Evidentemente l'opportunità del sogno e delle sue immagini non salta agli occhi a prima vista; l'analisi del contenuto manifesto del sogno è necessaria per liberare gli elementi compensatori dal suo contenuto latente. La maggior parte delle reazioni di difesa del corpo umano sono anch'esse di natura oscura e in qualche modo indiretta; sono state necessarie conoscenze approfondite e ricerche precise per chiarire il loro ruolo salutare. Ricordiamo il significato della febbre e delle suppurazioni in una ferita infetta.
Essendo i fenomeni psichici compensatori quasi sempre essenzialmente individuali, viene accresciuta molto la difficoltà, già incontrata, per mettere in evidenza la loro natura compensatrice. In particolare si smarrirà facilmente il principiante. Ad esempio, secondo la teoria delle compensazioni, ci si aspetterebbe che un soggetto esageratamente pessimista verso la vita faccia sogni sereni e ottimisti. Questa aspettativa invece si realizzerà soltanto se l'individuo è sensibile a tali forme di incoraggiamento. Se, al contrario, il suo temperamento vi si ribella, i suoi sogni, giudiziosamente, saranno ancora più neri di quanto non sia la sua vita cosciente. Essi applicano il principio similia similibus curantur.
Non è dunque facile capire quali leggi presiedono alla compensazione onirica. La compensazione, nella sua essenza, è intimamente legata all'insieme della natura dell'individuo. Le possibili compensazioni sono infinite e inesauribili, anche se, con la esperienza, si finisce per vederne cristallizzare alcuni principi fondamentali.
Proponendo la teoria delle compensazioni, non voglio assolutamente dire che essa sia la sola attraverso cui può essere giustificato il sogno o che essa renda completamente conto di tutti i fenomeni della vita onirica.
Il sogno è un'apparizione straordinariamente complessa, complessa e insondabile come i £nomeni del cointe. Sarebbe assai azzardato voler spiegare tutti i fenomeni coscienti con una teoria che li riconduca senza distinzione al soddisfacimento di desideri o di istinti; è egualmente poco probabile che i fenomeni onirici si prestino a una spiegazione altrettanto semplicistica.
Nello stesso ordine di idee, a maggior ragione, non potremo limitarci a una concezione dei fenomeni onirici che metta in rilievo solamente la loro funzione compensatrice e secondaria in rapporto ai contenuti coscienti. È vero che la opinione generale accorda alla coscienza un valore ben più considerevole di quanto non accordi all'inconscio. Questa opinione corrente, però, dovrà indubbiamente essere rivista perché, quanto più si arricchisce la nostra esperienza, tanto più si rafforza la certezza che la funzione dell'inconscio occupa, nella vita psichica, un posto importantissimo, che per il momento riusciamo solo a intravedere. E l'esperienza analitica a rivelare in modo sempre più probante quali sono le influenze dell'inconscio sulla vita cosciente dell'anima. Interferenza la cui esistenza e il cui significato erano fino ad ora sfuggiti. Secondo la mia convinzione, nata da una lunga esperienza e da innumerevoli esami, l'attività generale dello spirito e la produttività della psiche, sono probabilmente frutto tanto dell'inconscio che del cosciente. Se questo modo di vedere è esatto, possiamo dire che non è soltanto la funzione inconscia a essere compensatrice e relativa in rapporto alla coscienza, ma anche la coscienza a essere subordinata al contenuto inconscio momentaneamente costellato. Così il cosciente non sarà il solo ad avere il privilegio dell'orientamento attivo verso uno scopo o una intenzione; perché in alcune circostanze, anche l'inconscio sarà ugualmente suscettibile di assumere una direzione orientata verso un fine.
Se è così, il sogno può avere all'occorrenza il valore di una positiva idea direttrice, o di una rappresentazione diretta, di portata vitale superiore ai corrispondenti tratti coscienti. Tale possibilità, a mio avviso reale, si accorda con il consensus gentium, giacché la superstizione di tutti i popoli e di ogni epoca vede nel sogno un oracolo rivelatore di future verità. Se trascuriamo le esagerazioni e il fanatismo di rappresentazioni universalmente diffuse, scopriamo che esse lasciano dietro di sé sempre una piccola parte di verità.
Distinguiamo la funzione prospettiva del sogno dalla sua funzione compensatrice. Quest'ultima esamina l'inconscio nella sua dipendenza dal conscio, al quale l'inconscio aggiunge tutto quell'insieme di elementi che, da svegli, non escono alla luce perché rimossi, o semplicemente perché non possiedono l'energia necessaria per giungere da soli alla coscienza. La compensazione rappresenta un'autoregolazione dell'organismo psichico assai appropriata.
La funzione prospettiva al contrario, si presenta come anticipazione, sorgente nell'inconscio, delle future attività coscienti; essa evoca un abbozzo preparatorio, uno schizzo a grandi linee, un progetto di piano esecutorio. Il suo contenuto simbolico racchiude, se necessario, la soluzione di un conflitto. Maeder lo ha illustrato assai chiaramente. La realtà dei sogni prospettici di questa natura è innegabile. Sarebbe ingiustificato chiamarli profetici, perché, in fondo, lo sono assai poco, quanto potrebbero esserlo una diagnosi medica o una previsione metereologica. Qui si tratta di una anticipazione di probabilità, combinazione precoce che, è vero, può concordare all'occasione con il corso reale degli avvenimenti, può però anche non concordare del tutto o solo in taluni punti. Si potrebbe parlare di profezia soltanto se corrispondessero fin nei minimi particolari.
I pronostici della funzione prospettica del sogno sono spesso nettamente superiori alle congetture coscienti; non dovremmo stupircene perché il sogno risulta da una mescolanza di elementi sublimali, da una unione di tutte quelle sensazioni, sentimenti, pensieri che a causa del loro sfumato rilievo, sono sfuggite alla coscienza.

(Ibidem, pp. 238-242)

L'ARMONIA DEI CONTRARI

In una società sana e normale, è naturale che gli individui siano in disaccordo, perché è relativamente raro che si stabilisca un accordo generale, non appena si esce dal campo degli istinti. Se, in una società, il disaccordo è un veicolo della vita mentale, non potremmo però considerano come fine in sé. Anche l'accordo è importante. E poiché la psicologia fondamentalmente riposa sull'equilibrio dei contrari, nessun giudizio può essere considerato definitivo se non è stato preso in considerazione anche il suo contrario. La ragione di questa particolarità risiede nel fatto che non vi è nessun punto di vista che si situi al di sopra e al di fuori della psicologia e sui quale potremmo poggiare un giudizio definitivo sulla natura della psiche.

(L'homme et ses symboles, cit., p. 59)

 

VITA INTERIORE E INDIVIDUALE

Le antiche religioni con i loro simboli crudeli o buoni, ridicoli o solenni, non sono nate in un cielo sereno, sono invece state create da e in questa anima umana, come. essa è sempre stata e vive ora in ciascuno di noi. Tutte queste cose, dalle loro strutture di base, dalle loro forme archetipiche, possono in qualunque momento avventarsi su di noi con la potenza distruttrice di una valanga, sotto forma di suggestione di massa contro cui l'individuo isolato è indifeso. I nostri dei terrificanti si sono prestati soltanto a un cambiamento di nome e i termini con cui sono chiamati fanno rima con "ismo". Chi avrebbe il coraggio di sostenere che la guerra mondiale o il bolscevismo con le catastrofi che ne sono conseguite sono state delle trovate ingegnose? Come viviamo esteriormente in un mondo in cui, in ogni momento, può affondare un continente, o spostarsi un polo, o scoppiare una nuova epidemia, così viviamo interiormente in un mondo in cui può sopraggiungere un analogo cataclisma, e ovviamente il cataclisma avverrà sotto forma di ideologia, il cui punto di partenza sarà un'idea: forma però non meno pericolosa e imprevedibile. Il disadattamento al nostro universo interiore è una lacuna che può avere conseguenze nefaste quanto lo sono quelle che conseguono all'ignoranza e all'incapacità di adattarsi al mondo esterno.

(L'âme et la vie, cit., pp. 201-202)


"Sii quello che realmente sei". Da sempre soltanto lo sproloquio ha suonato a vuoto e nessuna abilità, per artificiosa che sia, permetterà alla lunga di sottrarsi a questa elementare verità. Da sempre non è ciò di cui siamo persuasi che agisce, bensì il fatto di essere persuasi.

(Ibidem, p. 279)


Esistono i beni della mente; ci sono però anche i doni del cuore che non sono meno importanti. Ci dimentichiamo però facilmente di questi ultimi perché, in quei casi, l'intelligenza è spesso più debole del cuore. Pertanto gli uomini del secondo tipo sono sovente più utili e preziosi per il bene della società di quanto lo siano gli altri.

(Ibidem, p. 340)

L'affermazione del cuore riguarda sempre l'insieme - al contrario dell'intelletto discriminante. Le fibre del cuore echeggiano, come l'arpa eolia, unicamente al soffio dell'umore pieno di presentimenti che nulla soffoca, ma che è in ascolto. Ciò che il cuore sente sono le grandi cose della vita, gli avvenimenti vissuti, mai organizzati da noi ma sempre subiti.

(Ibidem, pp. 340-341)

Faremmo meglio a non imporre ai bambini l'alto ideale di educazione della personalità, perché ciò che intendiamo comunemente per "personalità", cioè a dire una determinata totalità psichica, capace di resistenza e dotata di forze, è un ideale da adulto; e abbiamo potuto attribuirlo ai bambini soltanto a una epoca in cui l'individuo adulto non ha ancora preso coscienza del problema della sua pretesa maturità, o, peggio ancora, se ne è semi-cosciente, proietta il problema sul bambino, per potersi permettere di sottrarvisi. In effetti io sospetto il nostro attuale entusiasmo per la pedagogia e psicologia del bambino di intenzioni disoneste: parliamo del bambino quando invece dovremmo intendere il bambino che è nell'adulto. Perché nell'adulto c'è un bambino, un eterno bambino sempre in divenire, mai terminato, che avrebbe un bisogno costante di cure, di attenzioni e di essere educato. È questa parte della personalità umana che vorrebbe svilupparsi interamente. Ora, l'uomo del nostro tempo è a una distanza astronomica da queste totalità, presentendo oscuramente quel qualcosa che gli manca, l'uomo si impadronisce dell'educazione del bambino, si entusiasma alla psicologia infantile perché gli piace supporre che, nella sua educazione e nel suo sviluppo infantile, qualcosa deve essere andata di traverso, e che questa potrebbe essere eliminata nella generazione seguente.
Questa intenzione è certamente lodevole ma si scontra con questo fatto psicologico: cioè che non posso correggere nessun errore nel bambino se io stesso continuo a commetterlo. Attualmente i bambini non sono sciocchi come pensiamo. Essi distinguono fin troppo bene ciò che è vero da ciò che è falso. Il racconto di Andersen che parla dei vestiti nuovi dell'imperatore contiene un'eterna verità. Quanti genitori mi hanno comunicato la loro lodevole intenzione di risparmiare ai loro figli quelle esperienze che hanno dovuto fare nella loro giovinezza! E quando domandavo loro: "Siete sicuri di avere superato i vostri errori?" erano completamente persuasi di aver riparato ai loro peccati da tempo. Nella realtà non era vero. Se erano stati allevati troppo severamente nella loro infanzia, viziavano i loro bambini con una tolleranza che rasentava il cattivo gusto; altre volte, se certi aspetti della vita erano stati loro minuziosamente nascosti, essi con altrettanta cura e con una quantità di spiegazioni li svelavano ai loro figli. Erano dunque semplicemente caduti nell'errore opposto, potente prova della tragica persistenza dei vecchi peccati! Questo era loro completamente sfuggito. Tutto ciò che vorremmo modificare nei bambini dovrebbe per prima cosa essere esaminato attentamente, per vedere se non dovrebbe essere modificato in noi stessi: per esempio, il nostro entusiasmo pedagogico. Ciò è diretto a noi. Forse non ci riconosciamo di aver bisogno della pedagogia perché ciò sveglierebbe in noi il fastidioso ricordo di essere ancora, in qualche modo, bambini e di aver largamente bisogno di essere educati.

(Les problèmes de l'âme moderne, cit., pp. 248-249)


L'io vive nello spazio e nel tempo: deve essere adattato alle loro leggi se vuole esistere. Se esso viene assimilato all'inconscio, al punto che quest'ultimo diventa padrone delle decisioni, allora esso soffoca e non vi è più nulla in cui l'inconscio possa integrarsi o in cui possa realizzarsi. La distinzione tra l'io empirico e l'uomo "eterno" e universale è dunque di vitale soprattutto ai nostri giorni, quando cioè la massificazione della personalità progredisce inquietantemente. Ora, questa massificazione non viene esclusivamente dall'esterno, ma viene anche dall'interno, dall'inconscio collettivo.
Per quanto riguarda l'esterno, i diritti dell'uomo assicurano una protezione; attualmente però la maggior parte dell'Europa li ha perduti e laddove non sono ancora scomparsi partiti politici tanto potenti quanto ingenui sono all'opera per cercare con tutte le loro forze di minare questi diritti eterni dell'uomo, per eliminarli a vantaggio di un'esistenza da ergastolo (prigione di schiavi) con la scusa della sicurezza sociale. Contro il demonismo interiore, è di protezione la presenza della Chiesa fintantoché essa conserva la sua autorità. Protezione e sicurezza però hanno valore soltanto se non opprimono la vita oltre misura; ugualmente la superiorità della coscienza è desiderabile soltanto se non opprime una eccessiva parte di vita e se non la sopprime. La vita è sempre un viaggio tra Scilla e Cariddi.

(L'âme et la vie, cit., pp. 210-211)

 

L’ANIMA

Secondo me, il nodo del problema psichico dell'uomo moderno consiste nel fascino che l'anima esercita sulla coscienza dell'uomo moderno. Ciò è un sintomo di decadenza, se è visto con occhio pessimistico; ma è un germe che promette modificazioni profonde nell'atteggiamento spirituale dell'Occidente, se visto con ottimismo. In ogni caso è un fenomeno di grande importanza e di cui bisogna tener conto, tanto più che ha le sue radici negli strati profondi dell'anima popolare e specialmente perché interessa quelle forze irrazionali dell'anima, che, come insegna la storia, trasformano improvvisamente e misteriosamente la vita e la cultura dei popoli. E sono quelle le forze, per molti ancor oggi invisibili, che si celano dietro l'interesse che la nostra epoca ha per la psicologia. Il fascino esercitato dall'anima non ha nulla di morboso e di perverso, è una forza di attrazione così potente, che non si lascia spaventare neppure da ciò che è disgustoso.
Lungo le vie militari del mondo tutto sembra devastato ed esausto. Per fortuna l'istinto ricercatore abbandona i sentieri battuti per volgersi altrove, come l'uomo dell'antichità ad un certo punto si liberò delle sue divinità olimpiche, per volgere il suo interesse ai misteri dell'Asia. Il nostro segreto istinto, accettando la teosofia e la magia orientale, cerca al di fuori, ma cerca anche al di dentro, se consideriamo la serietà con la quale si volge ad osservare gli strati profondi della sua anima. Esso si comporta con lo stesso scetticismo e radicalismo del Budda, che allontanava da sé, come insignificanti, i suoi due milioni di déi, e si dedicava esclusivamente alla realizzazione della sua esperienza interiore originaria, come all'unica cosa convincente.
Ed ora giungiamo all'ultima questione: "ciò che dico dell'uomo moderno, è veramente vero? o non è altro che illusione ottica?" È fuori di dubbio che, per molti milioni di occidentali, i dati di fatto da me espressi non sono altro che inconsiderevoli combinazioni prive di valore, e che, per molti uomini di alta cultura, essi non rappresentano che deprecabili errori. Cosa pensava per esempio un antico romano colto del Cristianesimo, che si sparse dapprima negli strati più bassi della società? Il Dio occidentale è, per molti ancora, una personalità tanto vivente, quanto lo è Allah per i popoli che abitano l'altro versante del Mediterraneo; e gli uni considerano gli altri come dei miseri eretici, essi si sopportano perché non possono fare altrimenti.
L'europeo intelligente invece considera la religione e le forme a lei affini come necessità per il popolo e per la sensibilità femminile, ma la loro importanza è per lui di gran lunga inferiore a quella delle questioni economiche e politiche.

(Il problema dell'inconscio nella psicologia moderna, Torino, Einaudi, 1964, pp. 297-298)

 

LA VITA MORALE E L'IDEA DI DIO

L'idea della legge morale, il concetto di Dio fanno parte della sostanza prima e inespugnabile dell'anima umana. Per questo motivo ogni psicologia sincera, che non sia accecata da non so quale superba idea di spirito forte, deve accettare di discuterne. Né l'ironia mordente, né le vaghe spiegazioni giungeranno a dissiparli. In fisica possiamo fare a meno del concetto di Dio; in psicologia al contrario il concetto della divinità è un'immutabile grandezza con cui bisogna fare i conti, come per gli "affetti", gli "istinti", il "concetto di madre" ecc. L'originale confusione tra l'imago e il suo soggetto soffoca ogni differenza tra "Dio" e l’"imago di Dio"; per questo motivo venite accusati di teologia, e pensano a Dio ogni volta che parlate del "concetto di Dio". La psicologia in quanto scienza non deve ipostatizzare l'imago divina, deve semplicemente, conformemente ai fatti, fare i conti con la funzione religiosa, con l'immagine di Dio.

(L'âme et la vie, cit., p. 439)

 

LA RELIGIONE

Da millenni lo spirito dell'umanità si è sforzato di soccorrere l'anima sofferente: probabilmente lo ha fatto ancora prima di preoccuparsi delle sofferenze del corpo. La "salute" dell'anima, il "conciliarsi i favori degli dei", i pericoli dell'anima non sono problemi di ieri. Le religioni sono sistemi psicoterapeutici, nel senso più stretto della parola, di proporzioni monumentali. Esse esprimono l'immensità del problema psichico con potenti immagini. Queste sono professioni di fede e percezioni dell'anima, e, nello stesso tempo, rivelazioni e manifestazioni della sua essenza. Non vi è anima umana che sia distaccata da questa base universale; soltanto poche e rare coscienze, avendo perduto l'intuizione dell'unità vivente dell'anima, hanno potuto soccombere all'illusione che l'anima è un piccolo distretto ben circoscritto, suscettibile di diventare oggetto di una teoria "scientifica". L'aver perso l'intuizione dell'intricazione universale è alla base del male nevrotico; se il cammino del malato si perde in viuzze sempre più oscure e malfamate, accade perché chiunque nega ciò che è grande, è obbligato a ricercare motivazioni di colpevolezza in ciò che è piccolo e meschino.

(L'âme et la vie, cit., p. 436)

Quando insegnamo gradualmente l'arte di vedere a un individuo fino a quel momento cieco, non dovremmo aspettarci che questo scopra immediatamente nuove verità con l'occhio acuto dell'aquila. Dobbiamo già ritenerci soddisfatti se egli distingue appena appena qualcosa e se comincia a capire in modo approssimativo ciò che vede. La psicologia si interessa all'arte di vivere e non già alla edificazione di nuove verità religiose, quando le dottrine già esistenti non sono ancora state accettate né comprese. In materia religiosa, è noto che non possiamo comprendere nulla di cui non abbiamo innanzitutto fatto l'esperienza interiore.

(Ibidem, p. 439)

Il viaggio seguente mi condusse, in compagnia di alcuni amici americani, a visitare gli indiani del Nuovo Messico, i Pueblos, costruttori di città. "Città", tuttavia, è una parola troppo grossa: ciò che essi costruiscono in realtà sono solo villaggi; ma le loro case assiepate, costruite l'una sull'altra, suggeriscono la parola "città", come pure il loro linguaggio e tutte le loro maniere. Fu quella la prima volta che ebbi l'occasione di parlare con un non-europeo, cioè con un non-bianco. Era un capo dei Pueblos Taos, un uomo intelligente, dell'età di quaranta o cinquant'anni. Il suo nome era Ochwìa Biano (Lago di Montagna). Potei parlare con lui come raramente ho potuto con un europeo. Certamente era prigioniero del suo mondo, così come un europeo lo è del proprio, ma che mondo era! Parlando con un europeo ci si incaglia sempre nei banchi di sabbia delle cose conosciute da tempo ma mai comprese; con questo indiano invece la nave galleggiava sui mari profondi, sconosciuti. E non si sa che cosa sia più affascinante, se la vista di nuove spiagge o la scoperta di nuove vie d'accesso a ciò che ci è noto da sempre e che abbiamo quasi dimenticato.
"Vedi" diceva Ochwìa Biano "quanto appaiono crudeli i bianchi. Le loro labbra sono sottili, i loro nasi affilati, le loro facce solcate e alterate da rughe. I loro occhi hanno uno sguardo fisso, come se stessero sempre cercando qualcosa. Che cosa cercano? I bianchi vogliono sempre qualche cosa, sono sempre scontenti e irrequieti. Noi non sappiamo che cosa vogliono. Non li capiamo. Pensiamo che siano pazzi".
Gli chiesi perché pensasse che i bianchi fossero tutti pazzi.
"Dicono di pensare con la testa" rispose.
"Ma certamente. Tu con che cosa pensi?" gli chiesi sorpreso.
"Noi pensiamo qui" disse, indicano il cuore.
M'immersi in una lunga meditazione. Per la prima volta nella mia vita, così mi sembrava, qualcuno mi aveva tratteggiato l'immagine del vero uomo bianco. Era come se fino a quel momento non avessi visto altro che stampe colorate, abbellite dal sentimento. Quell'indiano aveva centrato il nostro punto debole, svelato una verità alla quale siamo ciechi. Sentii sorgere dentro di me, come una informe nebulosa, qualcosa di sconosciuto ma pure di profondamente intrinseco. E da questa nebulosa, immagine dopo immagine, si districarono dapprima le legioni dei Romani che piombavano sulle città dei Galli, e i tratti decisi di Cesare, di Scipione l'Africano, di Pompeo; poi vidi l'aquila romana sul Mare del Nord e sulle rive del Nilo Bianco; e poi S. Agostino che portava ai Britanni il credo cristiano sulla punta delle lance romane, e la più gloriosa conversione dei pagani ottenuta con la forza da Carlo Magno; infine le schiere predatrici e omicide dei Crociati. Con una fitta segreta mi resi conto della vuotezza del tradizionale romanticismo, intorno alle Crociate! Poi seguirono Colombo, Cortez, e gli altri conquistadores che con il fuoco, la spada, la tortura e il cristianesimo atterrirono persino questi remoti Pueblos, che sognavano pacificamente al sole, loro padre. Vidi le isole dei Mari del Sud con la loro popolazione decimata dall'acquavite, dalla sifilide, dalla scarlattina; contagio mutuato dai panni che erano stati costretti a indossare.
Era abbastanza. Ciò che noi dal nostro punto di vista chiamiamo colonizzazione, missioni per la conversione dei pagani, diffusione della civiltà e via dicendo, ha anche un'altra faccia, la faccia di un uccello da preda, crudelmente intento a spiare una preda lontana, una faccia degna di una razza di pirati e di predoni. Tutte le aquile e le altre fiere che adornano i nostri stemmi mi parvero gli adatti rappresentanti psicologici della nostra vera natura.
Anche qualche altra cosa, dettami da Ochwìa Biano, mi rimase impressa. Ciò che mi disse mi sembra così intimamente connesso con la caratteristica atmosfera della nostra intervista, che il mio racconto sarebbe incompleto se non ne facessi parola. La nostra conversazione ebbe luogo sul tetto del quinto piano dell'edificio principale. Di tanto in tanto, con frequenza, altre figure di indiani si potevano vedere sui tetti, avvolte da coperte di lana, e immerse nella contemplazione del sole errante, che si levava ogni giorno in un cielo limpido. Intorno a noi erano raggruppati gli edifici quadrati, bassi, di mattoni seccati all'aria (adobé), con le caratteristiche scale che portavano dal suolo fino al tetto, o da un tetto all'altro ai piani superiori. (Nei tempi passati, turbolenti, l'entrata era di solito dal tetto). Innanzi a noi l'ondulato altopiano di Taos (a circa 2300 metri sul livello del mare) si stendeva all'orizzonte, dove parecchie cime coniche (antichi vulcani) si innalzavano fino ai 4000 metri. Alle nostre spalle, al di là delle case, scorreva mormorando un chiaro ruscello, e sulla sua riva opposta c'era un secondo Pueblo con le sue case di adobé rossicci, costruite l'una sull'altra verso il centro della colonia, anticipando così stranathente la vista di una metropoli americana con i grattacieli al centro. A monte del ruscello, forse a mezz'ora di distanza, si innalzai'a una imponente montagna isolata, la montagna che non ha nome. Secondo una leggenda, nei giorni in cui è avvolta dalle nuvole, gli uomini scompaiono in quella direzione per compiervi strani riti.
Gli Indiani Pueblos sono estremamente chiusi, e, per ciò che riguarda la loro religione, addirittura inaccessibili. Conservano segrete le loro pratiche religiose, e il segreto è mantenuto così gelosamente che io abbandonai, ritenendolo infruttuoso, qualsiasi tentativo di fare domande dirette. Mai prima mi ero trovato in una simile atmosfera di segretezza; le religioni dei popoli civili oggi sono tutte accessibili, i loro sacramenti da molto tempo non sono più misteri. Qui invece avvertivo nell'aria la presenza di un segreto noto a tutti, ma rigorosamente inaccessibile per i bianchi. Questa strana situazione mi diede un'idea di Eleusi, il cui segreto era noto a un'intera nazione: eppure non venne mai tradito. Capii ciò che doveva aver provato Pausania, o Erodoto, quando scrisse: "Non mi è permesso di nominare quel dio". Ero sicuro che non si trattava di artificio, ma di un mistero vitale la cui violazione avrebbe significato la rovina sia dell'individuo sia della comunità. Custodire questo segreto dà ai Pueblos l'orgoglio e la forza di resistere al soverchiante uomo bianco, dà loro coesione e unità, e si avverte con certezza che essi come comunità singola continueranno ad esistere fin quando i loro misteri non saranno traditi.

(Ricordi, sogni, riflessioni ecc., cit., pp. 279-282)

 

LA MORTE

È nell'ora misteriosa del mezzogiorno della vita che la parabola si inverte e inizia la nascita della morte. Nella seconda metà, la vita non è ascensione, dispiegamento, moltiplicazione o straripamento; essa è morte, perché il suo scopo è la fine. Non voler raggiungere l'apogeo della vita e non volere la sua fine vogliono dire la medesima cosa. Entrambe significano non voler morire. Divenire e scomparire fanno parte di una stessa curva.
Come la traiettoria di un proiettile ha termine nel suo bersaglio, allo stesso modo la vita termina nella morte che è il fine a cui essa tende. L'ascensione della vita e il suo apogeo non sono che stadi, mezzi per arrivare al fine: alla morte.
La morte è, psichicamente parlando, importante quanto la nascita e, come quest'ultima, è parte integrante della vita.

(L'âme et la vie, cit., pp. 420-421)