ANTONIE-FRANÇOIS PRÉVOST

MANON LESCAUT

TESTO INTEGRALE IN ITALIANO





SECONDA PARTE

La mia presenza e le cortesie del signor di T... dissiparono ogni residuo affanno in Manon.
"Dimentichiamo i nostri passati terrori, anima mia", le dissi arrivando, "e ricominciamo a vivere più felici che mai. Dopo tutto l'amore è un buon padrone. I dolori che il destino ci procura non supereranno mai i piaceri che ci elargisce".
La nostra cena fu una vera festa. Ero più fiero e orgoglioso con Manon e le mie cento doppie del più ricco finanziere di Parigi con il mucchio dei suoi tesori. La ricchezza va calcolata rapportandola ai mezzi che si possiedono per appagare i propri desideri. Non uno dei miei era rimasto inappagato;l'avvenire stesso non mi dava pensiero. Ero quasi sicuro che mio padre non avrebbe fatto difficoltà a darmi di che vivere decorosamente a Parigi,perché avevo vent'anni e perciò potevo esigere la mia parte dei beni materni. Non nascosi a Manon che le mie sostanze ammontavano a cento doppie. Bastavano per aspettare tranquillamente una miglior fortuna, che certamente non mi sarebbe mancata, sia per i miei diritti ereditari, sia per le risorse del gioco.
Così, durante le prime settimane, non pensai che a godere della mia condizione; il sentimento dell'onore e una residua cautela per via delle ricerche di polizia mi facevano rimandare di giorno in giorno il momento di riprendere i contatti con i soci dell'Hôtel de Transylvanie. Mi limitai perciò a giocare in alcune riunioni meno malfamate, in cui il favore della sorte mi risparmiò l'umiliazione di dover ricorrere alla frode. Andavo a trascorrere in città una parte del pomeriggio e tornavo a cenare a Chaillot, accompagnato assai spesso dal signor di T ., la cui amicizia per noi cresceva di giorno in giorno. Manon trovò il modo di non annoiarsi. Strinse rapporti con alcune giovani del vicinato, che la primavera aveva riportato a Chaillot. Le loro occupazioni erano costituite ora dalle passeggiate, ora da altri piccoli svaghi femminili... Qualche partita a carte, di cui avevano giudiziosamente stabilito la posta, provvedeva alle spese della carrozza. Andavano a respirare l'aria buona al Bois de Boulogne, e la sera, al mio ritorno, ritrovavo Manon più bella, più contenta, e più appassionata che mai.
Ciò nonostante si addensò qualche nuvola che sembrò minacciare l'edificio della mia felicità. Ma poi si dissipò del tutto e l'umore gaio di Manon ne rese lo scioglimento così comico che provo ancora una certa dolcezza in un ricordo che rievoca per me la sua tenerezza e la grazia del suo spirito.
Un giorno il domestico, che costituiva tutta la nostra servitù, mi prese in disparte per dirmi, molto imbarazzato, che aveva da confidarmi un segreto di grande importanza. Io lo incoraggiai a parlare liberamente. Tergiversò, ma poi mi fece capire che un signore straniero sembrava essersi innamorato di madamigella Manon. Sentii tutto il mio sangue rimescolarsi nelle vene.
"E lei ne è innamorata?" interruppi più bruscamente di quanto non richiedesse la prudenza per avere qualche lume. La mia impetuosità lo spaventò. Con aria inquieta mi rispose che il suo intuito non era andato così lontano, ma che, dopo aver osservato da diversi giorni che lo straniero veniva assiduamente al Bois de Boulogne, scendeva dalla carrozza, si inoltrava da solo nei viali laterali, con l'aria di cercare l'occasione per vedere o incontrare madamigella, gli era venuto in mente di far conoscenza con i suoi servitori, per sapere il nome del loro padrone. Aveva saputo che si trattava di un principe italiano e che anche loro sospettavano una qualche avventura galante.
Aggiunse tremando che non aveva potuto avere altre delucidazioni, perché il principe a quel punto era uscito dal Bois, gli si era avvicinato familiarmente e gli aveva chiesto come si chiamasse. Dopo di che, come se avesse indovinato che era al nostro servizio, lo aveva complimentato perché apparteneva alla più incantevole persona di questo mondo.
Aspettavo impaziente il seguito del racconto. Egli lo concluse con delle timide scuse che io attribuii soltanto alle mie imprudenti impennate. Invano lo sollecitai a continuare senza nascondere niente.
Mi assicurò fermamente che non sapeva nient'altro; quello che mi aveva raccontato era successo il giorno prima e da allora non aveva rivisto i servitori del principe. Io lo tranquillizzai non solo con degli elogi, ma offrendogli una buona ricompensa e, senza dargli a vedere la minima diffidenza nei confronti di Manon, gli raccomandai con un tono più tranquillo, di vegliare sul comportamento dello straniero.
Tuttavia il suo spavento nel parlarmi mi lasciò dubbi crudeli. Poteva averlo indotto a nascondermi una parte della verità. Ma, dopo aver riflettuto, le mie inquietudini si placarono fino a farmi rimpiangere quelle manifestazioni di debolezza. Se Manon era amata, non potevo fargliene una colpa. Con ogni probabilità lei ignorava la sua conquista. Che vita sarebbe stata la mia, se ero capace di aprire tanto facilmente il mio cuore alla gelosia? Tornai a Parigi il giorno dopo senza aver formulato altro progetto se non quello di accelerare l'accrescersi della mia fortuna giocando somme più forti per mettermi in grado di lasciare Chaillot al minimo motivo di inquietudine. La sera, non venni a sapere nulla che turbasse la mia pace. Lo straniero era ricomparso al Bois de Boulogne e, facendosi forte di quanto era successo il giorno prima per avvicinarsi al mio confidente, gli aveva parlato del suo amore, ma in termini tali che non lasciavano supporre nessuna intesa con Manon. Lo aveva interrogato su mille particolari e infine aveva tentato di attirarlo dalla sua parte con promesse allettanti. Poi, tirata fuori una lettera che teneva pronta, gli aveva offerto inutilmente alcuni luigi d'oro perché la consegnasse alla sua padrona.
Trascorsero due giorni senza altri incidenti. Il terzo fu più burrascoso. Tornando molto tardi dalla città, venni a sapere che Manon, durante la passeggiata, si era allontanata per qualche istante dalle sue compagne. Lo straniero che la seguiva a breve distanza, a un suo segno le si era avvicinato, e lei gli aveva dato una lettera che era stata accolta con vivi segni di gioia. Non aveva avuto il tempo di esprimerli se non baciando amorosamente lo scritto, perché Manon si era immediatamente dileguata. Ma per tutto il giorno essa aveva manifestato una gaiezza straordinaria e, da quando era rincasata, il buon umore non l'aveva più abbandonata.
Fremevo, naturalmente, a ciascuna di quelle parole.
"Sei proprio sicuro", dissi tristemente al mio domestico, "che gli occhi non ti abbiano ingannato?".
Chiamò il Cielo a testimone della sua buona fede. Non so a che cosa mi avrebbero condotto i tormenti del mio cuore, se Manon, che mi aveva sentito tornare, non mi fosse venuta incontro con aria impaziente, a dolersi del mio ritardo. Non aspettò la mia risposta per colmarmi di carezze e, quando si vide sola con me, mi rimproverò acerbamente per l'abitudine che avevo preso di tornare a casa tanto tardi. E poiché il mio silenzio la lasciava libera di continuare, mi disse che da tre settimane non avevo passato una sola giornata tutta con lei. Quelle assenze così prolungate le erano insostenibili e mi chiedeva almeno un giorno ogni tanto; l'indomani stesso voleva vedermi accanto a lei dalla mattina alla sera.
"Vi sarò, siatene certa", le risposi in tono brusco.
Manon non fece gran caso al mio risentimento e nello slancio della sua gioia, che mi parve in verità stranamente impetuosa, mi dipinse con molto brio il modo in cui aveva trascorso la giornata.
"Strana fanciulla!" dicevo a me stesso. "Che cosa devo aspettarmi da questo preludio?".
Mi tornò in mente l'avventura della nostra prima separazione. E tuttavia mi pareva di scorgere in fondo alla sua gioia e alle sue carezze un accento di verità che si accordava con le apparenze.
Non mi fu difficile attribuire la tristezza, della quale non riuscii a liberarmi durante la cena, a una perdita subita al gioco. Avevo considerato come un grandissimo vantaggio che fosse stata sua l'idea di non lasciare Chaillot il giorno dopo. Questo significava guadagnar tempo per decidere. La mia presenza allontanava ogni sorta di timore per l'indomani e se non avessi notato qualcosa che mi obbligasse a manifestare le mie scoperte, ero deciso a stabilirmi il giorno dopo in città, in un quartiere dove non avessi avuto nulla a che fare con i principi. Questa decisione mi fece passare una notte più tranquilla, ma non mi toglieva il dolore di dover tremare per una nuova infedeltà.
Quando mi svegliai, Manon mi dichiarò che il fatto di trascorrere la giornata nel nostro appartamento non era una buona ragione perché avessi un aspetto trascurato, perciò desiderava acconciarmi con le sue proprie mani i capelli. I miei erano bellissimi. Già diverse volte si era concessa quel divertimento, ma mai l'avevo vista dedicarcisi con tanta cura come quel giorno. Per farle piacere mi dovetti sedere davanti alla sua toeletta e assoggettarmi a tutti i tentativi in cui volle sbizzarrirsi per la mia acconciatura. Mentre era intenta alla sua opera, mi faceva spesso girare il viso verso di lei, e appoggiandomi le mani sulle spalle, mi contemplava con avidità curiosa. Poi, dopo aver espresso con un bacio o due la sua soddisfazione, mi faceva riprendere la posizione di prima per continuare l'opera.
Con queste scherzose occupazioni giungemmo all'ora di pranzo. Il gusto che ci aveva preso mi era sembrato così naturale e la sua allegria così sincera, che non potendo conciliare quelle manifestazioni tanto convincenti con il progetto di un nero tradimento, più volte fui tentato di aprirle il mio cuore e di scaricarmi di un fardello che cominciava a pesarmi. Ma a ogni istante speravo che fosse lei a confidarsi e ne assaporavo in anticipo un delizioso trionfo.
Entrammo nel suo salottino. Lei si mise a riaccomodarmi i capelli e la mia compiacenza mi faceva cedere a ogni sua volontà, quando vennero ad avvertirla che il principe di... desiderava vederla. Quel nome mi fece ribollire di furore.
"Che cosa!" esclamai respingendola. "Chi? Quale principe?".
Lei non rispose alle mie domande.
"Fatelo salire", disse freddamente al domestico, poi volgendosi verso di me: "Mio caro amante che adoro", riprese con voce ammaliante, "ti chiedo un attimo di compiacenza. Un attimo. Un attimo solo. Ti amerò mille volte di più. E te ne sarò grata per tutta la vita".
L'indignazione e la sorpresa mi legarono la lingua. Lei ripeteva le sue preghiere e io cercavo le parole per respingerle sdegnosamente.
Ma, sentendo aprire la porta dell'anticamera, con una mano afferrò i miei capelli sciolti sulle spalle, con l'altra il suo specchio da toeletta e facendo ricorso a tutta la sua forza mi trascinò in quello stato fino alla porta del salottino. L'aprì col ginocchio e offrì allo straniero, che tutto quel rumore sembrava aver immobilizzato in mezzo alla stanza, uno spettacolo che dovette stupirlo non poco. Vidi un uomo molto ben vestito, ma d'aspetto molto poco attraente. Seppure imbarazzato da quella scena, non mancò di fare un profondo inchino.
Manon non gli diede il tempo di aprir bocca. Gli presentò il suo specchio:
"Guardate, signore", gli disse, "guardatevi bene, e rendetemi giustizia. Mi chiedete amore. Ecco l'uomo che amo e che ho giurato di amare tutta la vita. Fate voi stesso il confronto. Se credete di potergli contendere il mio cuore, ditemi su quale fondamento, giacché vi dichiaro che, agli occhi della vostra umilissima serva, tutti i principi d'ltalia non valgono uno solo dei capelli che tengo fra le mani".
Durante quella folle arringa, che verosimilmente aveva già preparato, io facevo vani sforzi per liberarmi, e impietosito da quell'uomo di riguardo, mi sentivo spinto a riparare con le mie gentilezze quel lieve oltraggio. Ma le mie disposizioni d'animo cambiarono quando, ritrovata facilmente la sua presenza di spirito, egli rispose in modo che a me parve alquanto grossolano.
"Madamigella, madamigella", le disse con un sorriso forzato, "apro in effetti gli occhi e ci trovo molto meno novizia di quanto non mi fossi immaginato".
E uscì subito senza rivolgerle uno sguardo, aggiungendo con voce più bassa che le donne di Francia non valevano più di quelle italiane.
Niente, in quella circostanza, mi invitava a ispirargli un'opinione migliore del bel sesso. Manon lasciò andare i miei capelli, si gettò in una poltrona e fece risuonare la stanza dei suoi lunghi scoppi di risa. Non nascosi di essere commosso fin nel profondo del cuore da un sacrificio che potevo attribuire soltanto all'amore. Lo scherzo mi parve peraltro eccessivo, e le mossi qualche rimprovero. Manon mi raccontò che il mio rivale, dopo averla assediata per parecchi giorni al Bois de Boulogne e averle fatto capire i suoi sentimenti a forza di mimiche, aveva deciso di farle una dichiarazione in piena regola accompagnata da nome e titoli, in una lettera che le aveva fatto consegnare dal cocchiere che la conduceva a passeggio con le sue compagne. Le prometteva, al di là dei monti, una brillante fortuna e un'adorazione eterna. Era tornata a Chaillot decisa a raccontarmi quell'avventura ma poi pensando a come ci saremmo potuti divertire, non aveva saputo resistere alla sua fantasia. Con una risposta lusinghiera aveva concesso al principe la libertà di venire a trovarla a casa e poi si era concessa un ulteriore piacere facendomi entrare nel gioco senza aver suscitato in me il minimo sospetto. Non le dissi parola delle informazioni che mi erano pervenute da altra fonte, e l'ebbrezza dell'amore trionfante mi fece approvare tutto quanto.
Per tutta la vita ho notato che il Cielo ha sempre scelto per colpirmi con i suoi severi castighi i momenti in cui la mia fortuna sembrava più salda. Mi credevo così felice con l'amicizia del signor di T... e la tenerezza di Manon che nessuno avrebbe potuto farmi credere che dovevo temere qualche nuova disgrazia. Eppure se ne stava preparando una così terribile che mi ha ridotto nelle condizioni in cui mi avete visto quel giorno a Pacy, e, passo passo, mi sono trovato in situazioni tanto spaventose, che a stento crederete alla sincerità del mio racconto.
Un giorno che avevamo invitato il signor di T... a cena, sentimmo il rumore di una carrozza che si fermava davanti alla porta della locanda. La curiosità ci spinse a chiedere chi potesse essere arrivato tanto tardi. Ci dissero che era il giovane signor di G...M..., e cioè il figlio del nostro più crudele nemico, quel vecchio libertino che aveva mandato me a Saint-Lazare e Manon all'Hôpital. Il suo nome mi fece salire il sangue al viso.
"E' il Cielo che me lo manda", dissi al signor di T..., "per punirlo della vigliaccheria di suo padre. Non mi scapperà prima che abbiamo incrociato le nostre spade".
Il signor di T..., che lo conosceva e che era anche uno dei suoi migliori amici, si sforzò di farmi concepire altri sentimenti nei suoi confronti. Mi assicurò che era un giovane molto simpatico e così poco capace di aver preso parte all'azione di suo padre, che non avrei potuto vederlo un istante senza accordargli la mia stima e senza desiderare la sua. Dopo aver aggiunto mille cose lusinghiere per lui, mi pregò di permettergli di andare a invitarlo a sedersi alla nostra tavola, accontentandosi di ciò che rimaneva della cena. Prevenne l'obiezione del pericolo al quale si sarebbe esposta Manon se il figlio del nostro nemico avesse saputo dove abitava, assicurando sul suo onore che, quando ci avesse conosciuti, non avremmo avuto un difensore più zelante. Dopo tali affermazioni, non opposi più alcuna difficoltà. Il signor di T... ce lo presentò dopo avergli detto chi eravamo ed egli entrò con un modo di fare che effettivamente ci dispose a suo favore. Mi abbracciò. Ci sedemmo. Ammirò Manon, me, tutto quello che ci apparteneva e mangiò con un appetito che fece onore alla nostra cena. Quando fu sparecchiato, la conversazione si fece più seria. Ci parlò a occhi bassi degli eccessi di suo padre contro di noi. Ci fece le sue umili scuse.
"Taglio corto", ci disse, "per non rinnovare un ricordo che mi fa troppa vergogna".
Se le sue scuse erano sincere fin dall'inizio, lo diventarono assai di più in seguito, perché non aveva ancora trascorso neppure mezz'ora in conversazione con noi, che io mi accorsi dell'impressione che produceva su di lui il fascino di Manon. Vidi i suoi sguardi, le sue maniere farsi a poco a poco più teneri. Nei suoi discorsi tuttavia non si lasciò sfuggire niente ma, anche senza essere illuminato dalla gelosia, ero troppo esperto in amore per non distinguere ciò che sgorga da questa fonte. Ci tenne compagnia una parte della notte e non ci lasciò se non dopo essersi molto rallegrato di aver fatto la nostra conoscenza e averci pregato di lasciarlo venire qualche volta a rinnovare l'offerta dei suoi servigi. Partì che era già mattino con il signor di T... il quale salì nella sua carrozza.
Come ho detto, io non mi sentivo portato alla gelosia. Ero più che mai disposto a fidarmi dei giuramenti di Manon. Quell'incantevole creatura era così totalmente padrona della mia anima che non avevo per lei il minimo sentimento che non fosse di stima e d'amore. Lungi dal farle una colpa di essere piaciuta a G...M... ero felicissimo dell'effetto delle sue grazie e gioivo di essere amato da una fanciulla che tutti trovavano adorabile. Non ritenni nemmeno opportuno metterla al corrente dei sospetti che avevo nutrito su G...M... Per qualche giorno fummo occupati a far preparare i suoi abiti e a discutere se potevamo andare a teatro senza paura di essere riconosciuti. Il signor di T...
tornò a trovarci prima della fine della settimana: chiedemmo il suo parere. Egli vide bene che bisognava dire di sì per far piacere a Manon. Decidemmo quindi di andarci con lui quella sera stessa.
Il nostro progetto tuttavia non ebbe seguito, perché dopo avermi preso in disparte mi disse:
"Dall'ultima volta che vi ho visto, sono in un estremo imbarazzo e questo spiega la mia visita di oggi. G...M... ama la vostra amica, e me l'ha confidato. Io sono suo intimo amico e sono disposto a fargli qualunque favore, ma sono anche il vostro amico. Le sue intenzioni non mi sono sembrate oneste e le ho condannate. Tuttavia avrei mantenuto il segreto, se per piacere a Manon avesse intenzione di ricorrere alle vie ordinarie, ma sa molte cose del suo carattere. Ha saputo, non so da quale fonte, che le piacciono le comodità e il piacere e, poiché già dispone di un considerevole patrimonio, mi ha dichiarato che vuole prima tentarla con un regalo molto consistente e con l'offerta di diecimila lire di pensione. A condizioni eguali, avrei dovuto forzarmi molto di più per tradirlo, ma a vostro favore ha giocato il mio senso della giustizia oltre che l'amicizia, tanto più che essendo stato io stesso la causa imprudente della passione di G...M... introducendolo qui, sono obbligato a prevenire gli effetti del male che ho provocato".
Ringraziai il signor di T... di un servizio così importante; ricambiando pienamente la confidenza gli confessai che il carattere di Manon era esattamente come se lo immaginava G...M..., e cioè non poteva sopportare neanche il nome di povertà.
"Tuttavia", gli dissi, "quando si tratta di poco più o poco meno, non la credo capace di abbandonarmi per un altro. Io sono in grado di non farle mancare nulla e ho motivo di credere che la mia fortuna debba migliorare ogni giorno di più. Temo soltanto una cosa", soggiunsi, "e cioè che G. ..M. .. sapendo dove abitiamo, non ne approfitti per farci qualche brutto scherzo". Il signor di T... mi rassicurò che da quel lato non c'era di che preoccuparsi; G...M... era capace di una pazzia amorosa, ma non di una bassezza. Se fosse stato tanto vile da commetterne una, sarebbe stato il primo, lui che parlava, a punirlo, e a riparare in tal modo il male che aveva causato.
"Vi sono obbligato per questi sentimenti", ripresi, "ma il male sarebbe fatto e il rimedio molto incerto. Perciò la cosa più ragionevole è di prevenirlo, lasciando Chaillot e andando ad abitare da un'altra parte".
"Sì", riprese il signor di T..., "ma vi sarà difficile farlo con la necessaria sollecitudine, perché G...M... dev'essere qui a mezzogiorno. Me l'ha detto ieri ed è per questo che sono venuto così di buon'ora da voi per informarvi delle sue intenzioni. Può arrivare da un momento all'altro".
Quest'ultima circostanza cominciò a farmi considerare quella storia meno alla leggera. Dal momento che mi sembrava impossibile evitare la visita di G...M..., nonché impedire che aprisse il suo cuore a Manon, decisi di avvertirla delle intenzioni di quel nuovo rivale. Pensai che, sapendomi al corrente delle proposte che le avrebbe fatto, fra l'altro sotto i miei occhi, sarebbe stata abbastanza forte da respingerle. Manifestai il mio pensiero al signor di T... il quale mi rispose che la cosa era estremamente delicata.
"Lo ammetto", dissi, "ma tutte le ragioni che si possono avere per essere sicuri del cuore di un'amante, a me non mancano per contare sull'affetto della mia. C'è solo la larghezza delle offerte che potrebbe abbagliarla, e vi ho detto che non è avida. Ama le comodità ma ama pure me, e, nella mia situazione attuale, non posso credere che mi preferisca il figlio di un uomo che l'ha mandata all'Hôpital".
In poche parole, rimasi della mia idea e, presa in disparte Manon, le comunicai tutto quello che avevo saputo. Mi ringraziò della buona opinione che avevo di lei, e mi promise di accogliere le offerte di G...M... in un modo che gli avrebbe fatto passare la voglia di rinnovarle.
"No", le dissi, "non bisogna irritarlo con uno sgarbo. E' in grado di nuocerci. Ma tu, briccona", aggiunsi ridendo, "non dovresti avere difficoltà a sbarazzarti di un ammiratore antipatico o scomodo".
Rimase un istante pensierosa e poi continuò:
"Mi viene un'idea meravigliosa: sono fierissima della mia trovata.
G...M... è il figlio del nostro più crudele nemico; dobbiamo vendicarci del padre, non sul figlio, ma sulla borsa. Voglio stare a sentirlo, accettare i suoi regali, e farmi beffe di lui".
"E' un bel progetto", le dissi, "ma tu, bambina mia, dimentichi che per questa via siamo arrivati dritti dritti all'Hôpital".
Ebbi un bel dimostrarle il rischio di quell'impresa. Mi disse che si trattava soltanto di prendere bene tutte le nostre precauzioni ed ebbe una risposta per ogni obiezione. Datemi un amante che non assecondi ciecamente tutti i capricci di un'amica adorata, e ammetterò di aver avuto torto cedendo così facilmente alla mia. Così prendemmo la decisione di gabbare G...M... e, per uno strano scherzo della sorte fui io a essere gabbato.
Vedemmo comparire la sua carrozza verso le undici. Si scusò garbatamente della libertà che si prendeva di venire a cena con noi.
Non si stupì nel trovare il signor di T... che il giorno prima gli aveva promesso di venire anche lui e che aveva addotto alcuni affari per esimersi dal viaggiare nella stessa carrozza. Anche se ciascuno di noi occultava il tradimento nel cuore, ci sedemmo a tavola con aria di confidenza e d'amicizia. G...M... trovò facilmente l'occasione di dichiarare i suoi sentimenti a Manon; io non dovetti sembrargli di impiccio, perché mi allontanai apposta per qualche minuto. Al mio ritorno mi accorsi che non era stato scoraggiato da un eccesso di severità. Era del miglior umore del mondo e anch'io feci finta di esserlo, mentre dentro di sé lui rideva della mia dabbenaggine e io ridevo della sua. L'uno per l'altro fummo, per tutto il pomeriggio, uno spettacolo molto divertente. Prima che se ne andasse feci in modo che si intrattenesse un momento da solo con Manon, così che ebbe modo di rallegrarsi sia della mia compiacenza che del buon desinare.
Non appena fu salito in carrozza col signor di T..., Manon corse verso di me a braccia aperte e mi abbracciò scoppiando a ridere. Mi ripeté i suoi discorsi e le sue proposte senza cambiare una virgola. Si riducevano a questo: l'adorava. Voleva dividere con lei quarantamila lire di rendita di cui già disponeva, senza contare quello che gli sarebbe toccato dopo la morte del padre. Lei sarebbe stata la padrona del suo cuore e della sua borsa e, tanto per cominciare, era pronto a regalarle una carrozza, una casa ammobiliata, una cameriera, tre domestici e un cuoco.
"Ecco un figlio", dissi a Manon, "ben altrimenti generoso che il padre. Sinceramente", soggiunsi, "non vi tenta questa offerta?".
"Io?" rispose adattando al proprio pensiero due versi di Racine:
"Io! e tanta infamia voi sospettate in me?
Io! potrei soffrire quell'odioso amore Che sempre richiama l'Hôpital al mio cuore?".
"No", replicai seguitando la parodia:
"Non mi è facile pensar che l'Hôpital, signora, Sia per voi un pensiero che il mio rivale onora".
Ma una casa ammobiliata, una carrozza e tre servitori sono una seduzione veramente grande; l'amore non ne ha di altrettanto potenti.
Lei protestò che il suo cuore era mio per sempre e che solo il mio amore lo avrebbe ferito con le sue frecce. "Le promesse che mi ha fatto", mi disse, "sono un pungolo alla vendetta, più che uno strale d'amore". Le chiesi se aveva intenzione di accettare la carrozza e la casa e mi rispose che solo il suo denaro la interessava. La difficoltà consisteva nell'ottenere una cosa senza le altre. Decidemmo di aspettare l'intera spiegazione del progetto di G...M... in una lettera che aveva promesso di scriverle. Gliela portò infatti il giorno dopo un domestico senza livrea, che molto abilmente fece in modo di parlarle senza testimoni. Lei gli disse di aspettare la risposta e venne subito a portarmi la lettera. L'aprimmo insieme. Oltre alle solite espressioni di tenerezza, vi erano descritte in maniera particolareggiata tutte le promesse del mio rivale. Non badava a spese. Si impegnava a versarle diecimila lire quando avesse preso possesso della casa e a rimborsarle via via ogni spesa, in modo che avesse sempre l'intera somma in contanti a sua disposizione. Il giorno della sistemazione non doveva essere troppo lontano. Due giorni gli sarebbero bastati perché tutto fosse pronto per riceverla e le indicava il nome della strada, e la casa dove le prometteva di aspettarla il pomeriggio del secondo giorno, se avesse potuto sfuggire dalle mie mani. Era l'unico punto sul quale la supplicava di tranquillizzarlo, perché di tutto il resto sembrava sicuro. Aggiungeva che nel caso prevedesse qualche difficoltà per eclissarsi, avrebbe trovato il modo di facilitare la sua fuga.
G...M... era più furbo di suo padre. Voleva la preda prima di sborsare il denaro. Discutemmo su quello che Manon avrebbe dovuto fare. Tentai ancora di toglierle dalla testa quell'impresa, dipingendogliene tutti i pericoli. Ma lei si ostinò a voler andare sino in fondo.
Scrisse una breve risposta a G...M... per assicurargli che non le sarebbe stato difficile recarsi a Parigi il giorno indicato e che poteva aspettarla tranquillo. Poi stabilimmo che sarei partito immediatamente per andare ad affittare un nuovo appartamento in qualche villaggio dall'altra parte di Parigi e che avrei trasportato con me tutto il nostro bagaglio. Il pomeriggio del giorno dopo, che era quello dell'appuntamento, si sarebbe recata di buon'ora a Parigi e, dopo aver ricevuto i regali di G...M..., lo avrebbe supplicato di condurla alla Comédie. Avrebbe preso con sé tutto quello che poteva portare della somma e avrebbe incaricato del resto il mio domestico che voleva l'accompagnasse.
Era quello stesso che l'aveva liberata dall'Hôpital e che ci era molto affezionato. Io dovevo ritrovarmi con una carrozza all'inizio della via Saint-André-des-Arts, lasciarla lì verso le sette per spingermi al buio fino all'ingresso della Comédie. Manon mi promise di inventare un pretesto per uscire un istante dal palco, scendere e venire a raggiungermi; l'esecuzione del resto era facile. Avremmo raggiunto la carrozza in un attimo e saremmo usciti da Parigi dalla parte del sobborgo Saint-Antoine che era sulla strada della nostra nuova casa.
Per folle che fosse, il nostro piano ci parve abbastanza ben congegnato. Ma era una pazzia credere che, quand'anche fosse andato felicemente in porto, noi ci saremmo messi al riparo dalle conseguenze. Eppure ci esponemmo a quel rischio con la più temeraria fiducia. Manon partì con Marcel (così si chiamava il nostro domestico). Io la vidi andarsene con dolore. Abbracciandola le dissi:
"Manon, non m'ingannate; mi sarete fedele?".
Teneramente si dolse della mia scarsa fiducia e mi rinnovò tutti i suoi giuramenti.
Faceva conto d'arrivare a Parigi verso le tre. Io partii dopo di lei e andai a trascorrere penosamente il resto del pomeriggio al caffè Féré vicino al ponte Saint-Michel. Ci rimasi fino alle sei. Ne uscii allora per prendere una carrozza, che secondo il nostro piano appostai all'imbocco della via Saint-André-des-Arts; poi raggiunsi a piedi la porta della Comédie. Mi stupì non trovare Marcel che doveva essere lì ad aspettarmi. Pazientaiper un'ora, confuso tra una folla di servitori e occupato a esaminare i passanti. Alla fine, suonate le sette senza che avessi scorto nulla che fosse in relazione con i nostri accordi, presi un biglietto di platea per andare a vedere se Manon e G...M... fossero nei palchi. Non c'erano né l'uno né l'altra.
Tornai alla porta dove passai ancora un quarto d'ora fremente di impazienza e di inquietudine. Non vedendo comparire nessuno, raggiunsi la carrozza senza riuscire a prendere nessuna decisione. Il cocchiere mi scorse e mi venne incontro per dirmi con aria di mistero che da un'ora una bella signorina mi aspettava nella carrozza; aveva chiesto di me descrivendomi in modo facilmente riconoscibile, e avendo saputo che dovevo tornare, aveva detto che avrebbe pazientato. Immaginai subito che fosse Manon. Mi avvicinai. Ma vidi un bel visino che non era il suo. Era una sconosciuta che subito mi chiese se aveva l'onore di parlare con il cavaliere des Grieux. Le dissi che quello era il mio nome.
"Ho una lettera da consegnarvi", riprese, "che vi dirà per quale ragione sono venuta e come mai ho il piacere di conoscere il vostro nome".
La pregai di darmi il tempo di leggerla in un'osteria vicina. Lei mi volle seguire e mi consigliò di chiedere un séparé.
"Da chi viene questa lettera?" le chiesi salendo. Mi rispose di leggere. Riconobbi la scrittura di Manon. Ecco press'a poco che cosa diceva: G...M... l'aveva accolta con una cortesia e una magnificenza al di là d'ogni immaginazione. L'aveva colmata di regali e le aveva fatto intravedere una vita da regina. Tuttavia mi assicurava che in quel nuovo splendore non mi dimenticava, ma rimandava a un altro giorno il piacere di vedermi, perché non era riuscita a convincere G...M... a condurla quella sera alla Comédie. Per consolarmi un po' della pena che, come prevedeva, quella notizia mi avrebbe causato, aveva trovato il modo di procurarmi una delle più belle ragazze di Parigi, che sarebbe stata latrice del suo biglietto. Firmato: la vostra fedele amante, Manon Lescaut.
C'era qualcosa di così crudele e di così insultante per me in quella lettera, che, dopo essere rimasto un istante sospeso tra la collera e il dolore, cercai di fare uno sforzo per dimenticare eternamente la mia ingrata e spergiura amica. Lanciai uno sguardo alla ragazza che era accanto a me. Era graziosissima e avrei voluto che lo fosse abbastanza per rendermi spergiuro e infedele a mia volta; ma non trovai in lei quegli occhi maliziosi e languidi, quel portamento divino, quell'incarnato creato dall'amore, quell'insieme insomma di inesauribili seduzioni che la natura aveva prodigato alla perfida Manon.
"No, no", le dissi, "l'ingrata che vi manda sapeva benissimo che vi faceva fare un passo inutile. Tornate da lei e ditele da parte mia che goda tranquillamente del suo misfatto e che ne goda, se può, senza rimorsi. Io l'abbandono per sempre e insieme rinuncio a tutte le donne, che non potrebbero essere mai adorabili come lei, ma che sono sicuramente altrettanto vili e sleali".
Fui allora sul punto di scendere e andarmene rinunciando ormai a Manon: la gelosia mortale che mi straziava il cuore si dissimulava dietro una tetra e cupa tranquillità, perciò mi credetti ormai prossimo alla guarigione non sentendo più nessuno di quei moti violenti del cuore che mi avevano sconvolto in situazioni analoghe. Ma ahimè! Ero lo zimbello dell'amore come credevo di esserlo di G...M... e di Manon.
La ragazza che mi aveva portato la lettera, vedendo che mi accingevo a scendere la scala, mi chiese che cosa volevo che riferisse al signor di G...M... e alla signora che era con lui. A quelle parole tornai in camera e con un cambiamento incredibile per quelli che non hanno mai provato passioni violente, passai di colpo dalla calma in cui credevo di essere a un terribile accesso di furore.
"Va'", le dissi, "riferisci al traditore G...M... e alla sua perfida amante la disperazione in cui mi ha gettato la tua maledetta lettera, ma avvertili che non rideranno a lungo e che li pugnalerò entrambi con le mie mani".
Mi gettai su una sedia. Il mio cappello cadde da un lato e il mio bastone dall'altro. Fiumi di lacrime amare cominciarono a scorrermi dagli occhi. L'accesso di rabbia che avevo provato si mutò in profondo dolore. Non feci più che piangere tra gemiti e sospiri.
"Avvicinati, bambina mia, avvicinati, visto che mandano te a consolarmi. Dimmi se conosci conforto contro la rabbia e la disperazione, contro la voglia di darsi la morte, dopo aver ucciso due malvagi che non meritano di vivere. Sì, avvicinati", continuai vedendo che faceva qualche passo timido e incerto verso di me. "Vieni ad asciugare le mie lacrime. Vieni a ridare la pace al mio cuore. Vieni a dirmi che mi ami, perché io mi abitui a esserlo da una che non sia la mia infedele. Sei carina, forse potrei amarti a mia volta".
Quella povera bambina che non arrivava ai sedici o diciassette anni, e che sembrava avesse più pudore delle sue consimili, era tutta sorpresa da una scena tanto strana. Tuttavia si avvicinò per farmi qualche carezza, ma io l'allontanai subito respingendola con le mani.
"Che vuoi da me?" le dissi. "Ah! tu sei una donna, appartieni anche tu a quel sesso che detesto, che non posso più sopportare. La dolcezza del tuo viso non è altro che la minaccia di qualche tradimento.
Vattene e lasciami qui solo".
Mi fece un inchino senza osar dire nulla e si voltò per uscire. Le gridai di fermarsi:
"Ma dimmi almeno", ripresi, "perché, come e con quale scopo sei stata mandata qui? Come hai scoperto il mio nome e il posto dove mi potevi trovare?".
Mi rispose che conosceva da lunga data il signor di G...M...; egli l'aveva mandata a prendere alle cinque; aveva seguito il domestico che era venuto ad avvertirla ed era andata in una grande casa dove l'aveva trovato intento a giocare a picchetto con una bella signora. Entrambi l'avevano incaricata di consegnarmi quella lettera, dopo averle spiegato che mi avrebbe trovato in una carrozza all'inizio della via Saint-André. Le chiesi se non le avessero detto altro e mi rispose arrossendo che le avevano lasciato sperare che io l'avrei tenuta per farmi compagnia.
"Ti hanno ingannato", le dissi, "mia povera ragazza. Ti hanno ingannato. Tu sei una donna, ti ci vuole un uomo, ma uno che sia ricco e felice e non è qui che lo potrai trovare. Torna, torna dal signor di G...M...; lui ha tutto quello che ci vuole per essere amato dalle belle donne, ha palazzi ammobiliati, pariglie da regalare. Quanto a me, che non ho che amore e fedeltà da offrire, le donne disprezzano la mia miseria e si fanno gioco della mia semplicità".
Aggiunsi mille altre cose, tristi o violente, secondo che le passioni che mi agitavano ora cedessero, ora prendessero il sopravvento.
Tuttavia, a forza di tormentarmi, i miei furori si placarono quanto bastava per permettermi di riflettere. Paragonai quest'ultima disgrazia ad altre dello stesso genere che avevo già subito, e non trovai che ci fossero più ragioni di disperare che nei casi precedenti. Conoscevo Manon: perché affliggermi tanto per una sventura che avrei già dovuto prevedere? Perché piuttosto non darmi da fare per trovarvi un rimedio? C'era ancora tempo. Per lo meno dovevo fare il possibile, se non volevo rimproverarmi di aver contribuito con la mia negligenza ad aumentare le mie pene. Mi misi perciò a esaminare tutti i mezzi che potevano ridare adito alla speranza.
Tentare di strapparla con la violenza alle mani di G...M... era una soluzione disperata che poteva solo perdermi, senza avere nessuna probabilità di successo; ma mi sembrava che se fossi riuscito a procurarmi un brevissimo incontro con lei sicuramente avrei riconquistato qualche vantaggio sul suo cuore. Ne conoscevo così bene tutte le fibre sensibili! Ero così sicuro di essere amato da lei!
Anche quella bizzarria di mandarmi una bella ragazza a consolarmi, avrei giurato che era stata una sua invenzione, risultato del suo amore e della sua compassione per le mie pene. Decisi di ricorrere a qualunque espediente per vederla. Fra tutti i mezzi che presi in esame uno dopo l'altro, mi attenni a questo: il signor di T... aveva cominciato a rendermi servizio con troppo affetto perché dubitassi della sua sincerità e della sua premura. Decisi quindi di andare da lui immediatamente e pregarlo di far chiamare G...M... col pretesto di un affare importante. Mi bastava mezz'ora per parlare a Manon. La mia intenzione era di farmi introdurre proprio nella camera di Manon, e pensai che sarebbe stato facile in assenza di G...M...
Reso più tranquillo da questa decisione, pagai generosamente la fanciulla che era ancora con me e, per dissuaderla dal tornare da quelli che me l'avevano mandata, mi feci dare il suo indirizzo lasciandole sperare che sarei andato a passare la notte con lei. Salii in carrozza e mi feci portare di gran corsa dal signor di T... Fui tanto fortunato da trovarlo in casa, nonostante i dubbi che mi avevano assalito cammin facendo. Lo misi subito al corrente delle mie pene e del favore che ero andato a chiedergli. Fu molto stupito nel sapere che G...M... aveva potuto sedurre Manon e, ignaro della parte da me sostenuta in questa disgrazia, mi offrì generosamente di riunire tutti i suoi amici e servirsi delle loro braccia e delle loro spade per liberare la mia amante.
Gli feci capire che un gesto così clamoroso poteva essere dannoso a Manon e a me.
"Serbiamo il nostro sangue", gli dissi, "per i casi estremi. Sto pensando a una via più pacifica, dalla quale spero lo stesso successo".
Si impegnò a fare tutto quello che gli avrei chiesto, senza eccezione.
Gli ripetei che doveva soltanto far avvertire il signor di G.. M...
che aveva da parlargli e trattenerlo fuori un'ora o due; dopo di che venne subito via con me per accontentarmi. Strada facendo discutemmo di quale espediente potesse servirsi per trattenerlo così a lungo.
Gli consigliai prima di tutto di scrivergli un semplice biglietto, datato da un caffè, col quale lo avrebbe pregato di recarsi subito da lui per un affare tanto importante che non poteva essere differito.
"Io", soggiunsi, "starò a sorvegliare il momento in cui esce e mi introdurrò facilmente in casa, dove mi conoscono soltanto Manon e Marcel, che è il mio cameriere. Quanto a voi, che nel frattempo sarete con G...M..., potrete dirgli che l'affare importante per cui desiderate parlargli è una necessità di denaro. Avete perso il vostro al gioco e avete giocato ancora di più sulla vostra parola, con la stessa sfortuna, gli ci vorrà un po' di tempo per condurvi alla sua cassaforte e a me basterà per realizzare il mio progetto".
Il signor di T... eseguì il nostro piano punto per punto. Lo lasciai in un caffè dove scrisse in fretta la lettera. Io andai a piazzarmi a qualche passo dalla casa di Manon; vidi arrivare il latore del biglietto e subito dopo G... M... uscì a piedi seguito da un domestico. Dopo avergli lasciato il tempo di allontanarsi dalla strada, mi avvicinai alla porta della mia infedele, e, nonostante tutta la mia collera, bussai con il rispetto che si ha per un tempio.
Per fortuna fu Marcel ad aprirmi. Gli feci cenno di tacere. Anche se non avevo nulla da temere dagli altri domestici, gli chiesi a bassa voce se poteva condurmi alla camera dov'era Manon, senza farmi scorgere. Mi disse che sarebbe stato facile salendo senza far rumore per la scala principale.
"Andiamo dunque svelti", gli dissi, "e cerca di impedire che qualcuno salga mentre sarò lì".
Senza ostacoli mi introdussi nell'appartamento. Manon era intenta a leggere e fu allora che ebbi l'occasione di ammirare il carattere di quella strana ragazza. Lungi dall'essere spaventata e dal sembrare intimidita nel vedermi, non manifestò che quei leggeri segni di sorpresa incontrollabili quando si vede una persona che si crede lontana.
"Ah, siete voi, amore mio", mi disse venendo ad abbracciarmi con la solita tenerezza, "buon Dio, come siete coraggioso! Chi vi avrebbe mai aspettato oggi in questo posto?".
Mi sciolsi dalle sue braccia e, lungi dal rispondere alle sue carezze, la respinsi sdegnosamente, facendo due o tre passi indietro per allontanarmi da lei. Quel movimento non mancò di sconcertarla. Rimase nella posizione in cui era, e mi lanciò un'occhiata cambiando colore.
In fondo ero tanto felice di rivederla, che con tanti giusti motivi di collera, avevo appena la forza di aprire la bocca per rimproverarla.
Eppure il mio cuore sanguinava per la crudele offesa che mi aveva fatto: me lo richiamai vivamente alla memoria per eccitare il mio sdegno, mentre cercavo di far brillare nei miei occhi un fuoco diverso da quello dell'amore. Poiché rimasi qualche momento silenzioso e lei notò la mia agitazione, la vidi tremare, forse per lo spavento.
Non potei sopportare quella vista.
"Ah, Manon", le dissi teneramente, "infedele e spergiura Manon, da dove comincerò a lamentarmi? Vi vedo pallida e tremante e sono ancora talmente sensibile alle vostre minime pene, che temo di addolorarvi troppo con i miei rimproveri. Ma no, Manon, ve lo assicuro, ho il cuore trafitto dal dolore del vostro tradimento. Sono colpi che non si infliggono a un amante se non si è deciso di ucciderlo. Questa è la terza volta, Manon, le ho contate bene, e non sono cose che si dimenticano. Sta a voi decidere in questo stesso momento che cosa scegliere, giacché il mio triste cuore non può più resistere a un trattamento così crudele. Sento che cede, che sta per schiantare dal dolore. Non ne posso più", soggiunsi sedendomi su una sedia, "a stento riesco a parlare e a stare in piedi".
Lei non mi rispose, ma quando fui seduto, si lasciò cadere alle mie ginocchia, vi appoggiò la testa, nascondendosi il viso fra le mani.
Sentii subito che le bagnava di lacrime. Dio! quali emozioni mi agitavano!
"Ah, Manon, Manon!" ripresi con un sospiro, "è ben tardi per offrirmi le vostre lacrime, quando siete stata voi la causa della mia morte.
Fingete una tristezza che non sareste capace di sentire. Il più grande dei vostri mali è certamente la mia presenza, che ha sempre disturbato i vostri piaceri. Aprite gli occhi, guardate chi sono; non si versano lacrime per un infelice che si è tradito, che si è abbandonato crudelmente".
Lei baciava le mie mani senza cambiar posizione.
"Incostante Manon", ripresi ancora, "fanciulla ingrata e senza fede, dove sono le vostre promesse e i vostri giuramenti? Amante mille volte volubile e crudele, che cosa hai fatto di quell'amore che ancor oggi mi giuravi? Giusto Cielo", soggiunsi, "è in questo modo che un'infedele si fa beffe di voi, dopo avervi preso a testimonio così solennemente? E' dunque lo spergiuro che viene premiato! La disperazione e l'abbandono sono per la costanza e la fedeltà".
Pensieri così amari accompagnavano queste mie parole, che mio malgrado mi sfuggì qualche lacrima. Manon se ne accorse dal cambiamento della mia voce. Ruppe infine il silenzio.
"Devo essere davvero molto colpevole", mi disse tristemente, "se ho potuto causarvi tanto dolore e affanno, ma il Cielo mi punisca se mai ho creduto di esserlo, o se ho avuto l'idea di diventarlo".
Quelle parole mi parvero così insensate e bugiarde, che non potei reprimere un vivo moto di collera.
"Orribile finzione!" esclamai. "Vedo più che mai che sei una perfida scellerata. Ora conosco la tua natura miserabile. Addio, vile creatura", continuai alzandomi, "preferisco mille volte la morte piuttosto che avere d'ora in poi il minimo rapporto con te. Che il Cielo mi punisca se mai ti degnerò di uno sguardo. Rimani con il tuo nuovo amante, amalo, odiami, rinuncia all'onore, al buon senso, me ne rido, non me ne importa niente".
Fu così spaventata da quel furore che era rimasta in ginocchio accanto alla sedia da cui mi ero alzato, mi guardava tremando, senza osar respirare. Feci ancora qualche passo verso la porta voltando la testa, con gli occhi fissi su di lei. Ma avrei dovuto perdere ogni sentimento di umanità per restare insensibile di fronte a tanta grazia. Ero ben lontano dal possedere quella forza spietata: passando di colpo all'estremo opposto, tornai verso di lei, o meglio mi precipitai senza riflettere. La presi tra le braccia. Le diedi mille teneri baci. Le chiesi perdono della mia ira. Ammisi che ero un bruto e che non meritavo la felicità di essere amato da una ragazza come lei. La feci sedere e, messomi a mia volta in ginocchio, la scongiurai di ascoltarmi stando in quella posizione.
E qui, tutto quello che un amante umile e appassionato può immaginare di più rispettoso e di più tenero, io lo racchiusi in poche parole nelle mie scuse. Le chiesi la grazia di dirmi che mi perdonava. Con le braccia mi cinse il collo dicendo che era lei ad aver bisogno della mia bontà per farmi dimenticare i dispiaceri che mi aveva dato; e cominciava a temere davvero che non avrei affatto apprezzato ciò che aveva da dirmi a sua giustificazione.
"Io?" interruppi subito. "Ah! io non vi chiedo nessuna giustificazione. Approvo tutto quello che avete fatto. Non sta a me esigere spiegazioni della vostra condotta. Troppo contento, troppo felice, se la mia cara Manon non mi priva della tenerezza del suo cuore! Ma", proseguii riflettendo sulla mia sorte, "o Manon onnipotente, voi che a vostro piacimento mi riempite di gioie e di dolori, dopo avervi placata con le mie umiliazioni e con le manifestazioni del mio pentimento, quando mi sarà concesso parlarvi della mia tristezza e delle mie pene? Potrò sapere che cosa ne sarà di me oggi e se firmerete senza remissione la mia morte passando la notte con il mio rivale?".
Rimase per un po' a riflettere sulla risposta.
"Cavaliere", mi disse assumendo di nuovo un'aria tranquilla, "se vi foste spiegato prima così chiaramente, avreste risparmiato a voi tutto quel turbamento e a me una scena molto spiacevole. Poiché la vostra pena nasce soltanto dalla vostra gelosia, io l'avrei guarita offrendo di seguirvi all'istante in capo al mondo. Ma mi sono immaginata che a causare il vostro dolore fosse stata la lettera che vi ho scritto sotto gli occhi del signor di G... M... e la ragazza che vi abbiamo mandato. Ho creduto che forse avevate interpretato la mia lettera come uno scherno e quella ragazza, immaginandovi che fosse venuta a trovarvi da parte mia, come la dichiarazione che avevo annunciato a voi per legarmi a G... M... E' stato questo pensiero a farmi piombare di colpo nella costernazione, perché per quanto innocente, pensandoci bene, trovavo che le apparenze non erano a mio favore. Tuttavia", seguitò, "voglio che mi giudichiate dopo che vi avrò spiegato come stanno davvero le cose".
Mi raccontò allora tutto quello che le era successo da quando aveva trovato G... M... che l'aspettava nella casa dove eravamo. L'aveva effettivamente accolta come la più grande principessa del mondo. Le aveva fatto vedere tutte le stanze, magnifiche per gusto e decoro. Le aveva dato diecimila lire in contanti nel suo salottino e aveva aggiunto qualche gioiello, tra cui la collana e i braccialetti di perle che già le aveva regalato suo padre. Poi l'aveva condotta in un salotto che non aveva ancora visto, dove l'aspettava una colazione squisita. L'aveva fatta servire dai nuovi domestici assunti per lei, con l'ordine di considerarla ormai come la loro padrona; infine le aveva fatto vedere la carrozza, i cavalli, e tutti gli altri suoi regali, dopo di che le aveva proposto una partita a carte in attesa della cena.
"Vi confesso", continuò, "che sono rimasta colpita da tanta magnificenza. Ho pensato che sarebbe stato peccato privarci di colpo di tanti beni, contentandomi di portar via diecimila franchi e i gioielli. Era una fortuna già fatta per voi e per me e avremmo potuto vivere piacevolmente a spese di G... M... Invece di proporgli il teatro, mi sono messa in testa di sondare la sua opinione su di voi, per rendermi conto di quali possibilità avremmo avuto di vederci, qualora avessi potuto mettere in pratica il mio sistema. Il suo carattere mi parve molto arrendevole. Mi ha chiesto che cosa pensavo di voi e se non avessi avuto qualche rimpianto nel lasciarvi. Gli ho detto che eravate pieno di premure e che vi eravate sempre comportato con me con tanta gentilezza che non era naturale che io potessi odiarvi. Ha ammesso che avevate dei meriti e che si era sentito spinto a desiderare la vostra amicizia. Ha voluto sapere come credevo che avreste preso la mia fuga, soprattutto quando foste venuto a sapere che ero tra le sue mani. Gli ho risposto che il nostro amore era di così vecchia data che aveva avuto il tempo di raffreddarsi un po'.
D'altro canto non eravate molto agiato e forse non avreste considerato la mia perdita come una gran disgrazia, perché vi avrebbe alleggerito di un impegno che vi doveva riuscire difficile da sostenere. Ho aggiunto che, convinta com'ero della moderazione delle vostre reazioni, vi avevo informato senza difficoltà della mia venuta a Parigi per sbrigare qualche commissione. Voi avevate accondisceso e anzi, essendo venuto con me, non mi eravate parso particolarmente preoccupato, quando vi avevo lasciato.
'Se credessi', mi ha detto G... M..., 'che fosse disposto a vivere in buoni rapporti come me, sarei il primo ad offrirgli i miei servigi e ad usargli cortesia'.
Gli ho assicurato che, per come vi conoscevo, ero sicura che avreste ben corrisposto alle sue gentilezze; soprattutto, gli ho chiesto se poteva aiutarvi negli affari che vanno molto male da quando avete rotto con la vostra famiglia.
Mi ha interrotta per assicurarmi che vi avrebbe reso tutti i servigi che dipendessero da lui. Se poi volevate imbarcarvi in un altro amore, vi avrebbe procurato una bella amica che aveva lasciato per legarsi a me.
Ho approvato la sua idea", soggiunse, "per fugare definitivamente ogni suo sospetto e, sempre più convinta del mio progetto, mi auguravo soltanto di poter trovare il modo di avvertirvi, per paura che vi allarmaste troppo non vedendomi all'appuntamento. Con questo scopo gli ho suggerito di mandarvi quella sera stessa la nuova amante, per avere un'occasione di scrivervi. Ero costretta a ricorrere a quell'astuzia, perché non potevo sperare che mi lasciasse libera un momento. Ha riso della mia proposta. Ha chiamato il suo domestico e, chiestogli se potesse rintracciare immediatamente la sua antica amante, l'ha mandato di qua e di là a cercarla. Pensava che lei dovesse venire a trovarvi a Chaillot, ma gli ho detto che quando ci eravamo separati, vi avevo promesso di raggiungervi alla Comédie, oppure se per una qualunque ragione non fossi potuta venire, voi mi avreste aspettato in una carrozza in fondo alla via Saint André. Era meglio perciò mandare lì la vostra nuova amante, se non altro per non lasciarvi tutta la notte a intirizzire. Gli ho pure detto che era opportuno scrivervi due righe per avvertirvi di questo scambio perché altrimenti non sareste riuscito a capire. Ha acconsentito, ma ho dovuto scrivere in sua presenza e mi sono ben guardata dallo spiegarmi troppo chiaramente nella lettera.
Ecco", soggiunse Manon, "come sono andate le cose. Non vi nascondo niente né della mia condotta, né dei miei piani. La ragazza è venuta, l'ho trovata carina e, certa com'ero che la mia assenza vi avrebbe addolorato, mi auguravo sinceramente che per qualche momento riuscisse a distrarvi, giacché la sola fedeltà che desidero da voi è quella del cuore. Sarei stata ben felice di potervi mandare Marcel, ma non sono riuscita a trovare un momento per dirgli ciò che volevo farvi sapere".
Concluse infine il suo racconto parlandomi dell'imbarazzo di G... M... nel ricevere il biglietto del signor di T...
"Si è chiesto se doveva lasciarmi e mi ha assicurato che sarebbe tornato presto. E' per questo che sono preoccupata nel vedervi qui, e che il vostro arrivo mi ha sorpresa".
Ascoltai con molta pazienza quel discorso, che per me non mancava certamente di lati crudeli e mortificanti, giacché la sua intenzione di tradirmi era così chiara che non aveva nemmeno cercato di mascherarmela. Non poteva sperare che G... M... la lasciasse tutta la notte come una vestale: era quindi con lui che contava di passarla.
Che confessione per un amante! Riflettei tuttavia che in parte ero io la causa della sua colpa, perché prima le avevo parlato dei sentimenti di G... M... per lei e poi perché avevo avuto la debolezza di seguire ciecamente il piano temerario che mi aveva proposto. D'altra parte per una caratteristica particolare della mia natura, fui commosso dall'ingenuità del suo racconto e dal modo semplice e schietto con cui mi descriveva perfino le circostanze più offensive per me.
"Pecca senza malizia", dicevo in cuor mio. "E' leggera e imprudente, ma retta e sincera".
Aggiungete che l'amore bastava da solo a farmi chiudere gli occhi su tutte le sue colpe. Ero troppo soddisfatto dalla speranza di sottrarla quellasera stessa al mio rivale. Ciò nonostante le dissi:
"E la notte con chi contavate di passarla?".
La domanda che le rivolsi con tristezza la mise in imbarazzo. Non mi rispose che con dei ma e dei sì smozzicati. Il suo impaccio mi impietosì e, troncando quel discorso le dichiarai chiaro e tondo che mi aspettavo da lei che venisse via con me immediatamente.
"Se così volete", mi disse, "ma allora non approvate il mio progetto?".
"Ah!" ribattei, "non basta che approvi tutto quello che avete fatto finora?".
"Come? non porteremo via nemmeno i diecimila franchi? Me li ha regalati. Sono miei".
Le consigliai di lasciar perdere tutto e di non pensare ad altro che ad allontanarsi in fretta, poiché anche se ero con lei solo da una mezz'ora, temevo il ritorno di G... M... Ma lei mi pregò con tanta insistenza perché accettassi di non uscire a mani vuote, che mi credetti in dovere di accordarle qualcosa dopo aver ottenuto tanto da lei.
Mentre ci accingevamo ad andarcene, sentii bussare alla porta di strada. Ero sicurissimo che si trattasse di G... M... e, sconvolto da questo pensiero, dissi a Manon che se compariva era un uomo morto. In realtà la mia ira non era ancora sbollita e nel vederlo non mi sarei controllato. Marcel pose fine al mio affanno, portandomi un biglietto che gli avevano dato per me alla porta. Era del signor di T... il quale mi diceva che G... M... era andato a casa a prendergli il denaro e che approfittava della sua assenza per comunicarmi un pensiero molto ameno: gli sembrava che il modo più piacevole per vendicarmi del mio rivale fosse quello di mangiare la sua cena e di dormire quella stessa notte nel letto che sperava di occupare con la mia amante. La qual cosa gli sembrava abbastanza facile, se mi fossi potuto assicurare tre o quattro uomini tanto risoluti da fermarlo per strada e tanto fidati da sorvegliarlo a vista fino all'indomani. Quanto a lui, mi prometteva di distrarlo ancora per un'ora almeno con dei pretesti che teneva in serbo per il suo ritorno. Feci vedere quel biglietto a Manon e le raccontai il trucco di cui mi ero servito per introdurmi liberamente da lei. La mia trovata e quella del signor di T... le parvero magnifiche. Ne ridemmo a più non posso per qualche minuto, ma quando le parlai dell'ultimo progetto come di uno scherzo, con mia grande sorpresa lei insisté seriamente per propormelo come una cosa da farsi. Invano le chiesi dove voleva che trovassi così all'improvviso degli uomini che potessero fermare G...
M... e sorvegliarlo a vista. Mi rispose che bisognava almeno tentare, poiché il signor di T... ci garantiva ancora un'ora. Alle mie altre obiezioni rispose che facevo il tiranno e che non ero per nulla compiacente con lei.
Niente le pareva più bello di quel progetto.
"Avrete il suo posto a cena", mi ripeteva, "dormirete nelle sue lenzuola e, domani di buon mattino, gli rapirete amante e denaro.
Sarete ben vendicato del padre e del figlio".