FRANÇOIS RABELAIS

Traduzione di
GILDO PASSINI



PANTAGRUELE RE DEI DIPSODI
RESTITUITO AL NATURALE COI SUOI FATTI
E PRODEZZE SPAVENTEVOLI COMPOSTI DAL FU
SIGNOR ALCOFRIBAS ASTRATTORE Dl
QUINTA ESSENZA


DECINA DI MASTRO UGO SALEL
ALL'AUTORE DI QUESTO LIBRO

Se uno scrittore in alto pregio sale,

Per mescolare l'utile al diletto,

Pregiato sarà tu senza l'eguale

Stanne sicuro, per lo tuo intelletto,

Nel libro tuo, sotto piacente aspetto,

L'utilità sì ben descritta appare,

Che di veder Democrito mi pare.

Ridente ai casi della vita umana.

Prosegui or dunque, e avrai lodi preclare,

Se non quaggiù, nella vita soprana.





VIVANO TUTTI I BUONI PANTAGRUELISTI







PROLOGO DELL'AUTORE



O lustrissimi e molto valorosi campioni, gentiluomini o no, che volentieri vi date a ogni sorta d'oneste gentilezze, voi avete or non è molto, visto, letto e conosciuto Le Grandi e inestimabili Croniche dell'enorme gigante Gargantua e, da veri fedeli le avete bravamente credute come testo di Bibbia o di santo Vangelo; e più volte vi ci siete spassati con le onorevoli dame e damigelle facendone loro belli e lunghi racconti quando vi mancavano altri argomenti. Benissimo! Per ciò siete degni di gran lode e memoria sempiterna. E io vorrei che ciascuno lasciasse il suo lavoro, trascurasse il mestiere e dimenticasse gli affari per dedicarvisi totalmente e senza che il suo spirito fosse altrove attratto o distratto, fino a tanto che le avesse imparate a memoria affinché, se per avventura l'arte della stampa cessasse e tutti i libri perissero, ciascuno in avvenire potrebbe insegnarle chiaramente ai figlioli, e affidarle ai successori e superstiti quasi facendole passare da mano a mano come la Cabala religiosa. Ed è in ciò maggior frutto che per avventura non pensi un branco di grossi fanfaroni tutti croste, che in questi lievi piacevolezze intendono assai meno di Racleto nelle Pandette.

Ho conosciuto alti e potenti signori in buon numero, che andando a caccia grossa, o per anitre, se avveniva che la bestia non si scovasse o che il falcone si desse a librarsi, vedendo la preda guadagnare spazio a ogni colpo d'ala, restavano ben tristi come potete capire: ma per non abbattersi cercavano rifugio e conforto ricordando le inestimabili geste del detto Gargantua.

Vi son altri pel mondo (non conto frottole) i quali, grandemente afflitti dal mal di denti, dopo aver sperperato tutte le loro sostanze in medici senza alcun profitto, rimedio speditissimo hanno trovato mettendo le dette Croniche tra due bei pannilini ben caldi e applicandole sulla parte malata non senza senapizzarle un pochino con polvere d’oribus.

Ma che dirò dei poveri impestati e gottosi? Oh quante volte li abbiam visti unti e bisunti d'unguenti, col viso lustro come la serratura della dispensa, che i denti gli ballavano come tasti d'organo o di spinetta quando la mano vi scorre su, e il gozzo gli schiumava come al porco selvatico quando i veltri lo acculano alle tele! E che facevano essi allora? Altra consolazione non aveano che udir leggere qualche pagina del detto libro. E n'abbiam visto taluni votar l’anima a centomila vecchi diavoli se non avessero provato sollievo manifesto al martirio della cura, colla lettura del detto libro né piú né meno delle partorienti, che gongolano a legger loro la vita di Santa Margherita.

Ma ci dite niente, ohe? Trovatemi un altro libro di qual si sia lingua, o facoltà, o scienza, che vanti tali virtú, proprietà e prerogative e m'impegno di pagarvi un bel piatto di trippe. No, signori, no; è un libro senza pari, impareggiabile, imparagonabile: lo sostengo fino alla pena del fuoco, esclusa. E non altro che truffattore, imbroglione, impostore e corruttore sia reputato chi osi sostenere il contrario.

È ben vero che certe proprietà occulte si trovano in alcuni libri d'alto fusto come Sculacciabarili, Orlando Furioso, Roberto il Diavolo, Fierebras, Guglielmo senza paura, Ugone di Bordeaux, Montevieille e Matabruna. Ma non c'è confronto con quello di cui parliamo. E la gente ha ben provato per esperienza infallibile il grande emolumento e utilità provenienti dalla detta Cronica Gargantuina, ché gli stampatori n'hanno più vendute in due mesi che non venderanno Bibbie in nove anni.

Volendo dunque io, vostro umile schiavo, accrescere davvantaggio i passatempi vostri, vi offro ora un nuovo libro dello stesso calibro salvo che questo è un po' piú verosimile e degno di fede che l'altro non fosse. E non crediate (se non volete errare ad occhi aperti) che io ne parli come fanno gli Ebrei della Legge. Non son nato sotto quel pianeta, e mai non m'accadde di mentire o affermare cosa che non fosse vera. Io ne parlo come Santo Giovanni dell'Apocalisse, quod vidimus testamur. E tratta il libro degli orribili fatti e prodezze di Pantagruele al cui servizio io fui appena uscito di paggio fino ad ora che con sua licenza me ne son venuto a visitare un tantino il mio paese vacchereccio e a vedere se viva ancora qualcuno de' miei parenti. Ma, per terminare questo prologo, così come io mi dono corpo e anima, trippe e budella a centomila panierate di bei diavoli se dirò una sola bugia in tutta questa storia, parimenti voglio che vi bruci il fuoco di Sant'Antonio, vi atterri il mal caduco, un fulmine vi fulmini, l’ulcera v'impiaghi, vi colga il cacasangue, e il fuoco fino di riccaracca, sottile come pel di vacca, tutto rinforzato d'argento vivo, possa entrarvi nel culo, e che possiate come Sodoma e Gomorra precipitare in zolfo, fuoco e abisso, se non crederete fermamente a tutto ciò che racconterò in questa presente Cronica.





CAPITOLO I.



Dell'origine e antichità del grande Pantagruele.





Non sarà inutile né ozioso, poiché abbiam tempo, mentovare la prima fonte e origine onde ci è nato il buon Pantagruele. Vedo infatti che così han trattato le loro croniche, tutti i buoni storiografi, non solamente, Arabi, Barbari, Latini e Greci, ma anche gli autori della Santa Scrittura come Monsignor San Luca e parimenti San Matteo.

Vi convien prender nota dunque che, al principio del mondo (parlo di tempi molto lontani, or sono piú di quaranta quarantine di notti per contare al modo degli antichi Druidi) poco dopo che Abele fu ucciso dal fratello Caino, la terra, imbevuta del sangue del giusto, un certo anno fu



Sì feconda in ogni frutto

Ch'è dal grembo suo produtto,



e specialmente di mele, che quell'anno fu chiamato, a memoria d'uomo, l’anno delle grosse mele: ne bastavano tre per riempire uno staio. In quell'anno le calende furono trovate nei breviari greci. Il mese di marzo non cadde in quaresima e il ferragosto fu di maggio. Nel mese di ottobre, parmi, oppure di settembre (non vorrei sbagliare, di che attentamente mi guardo) fu la settimana, tanto famosa negli annali, dei tre giovedì: tre a causa delle irregolarità bisestili, poiché il sole inciampò alcun poco zoppicando a sinistra, e la luna deviò dal suo corso piú di cinque tese e fu visto chiaramente il movimento di trepidazione nel firmamento detto Aplane; talché la Pleiade media, lasciando le sue compagne, declinò verso l'equinoziale e la stella nominata Spiga, lasciò la Vergine ritirandosi verso la Bilancia; nozioni queste e materie tanto spaventevoli, dure e difficili che non le masticano gli astrologhi. Avrebbero ben lunghi denti se potessero arrivare fin lassú.

Immaginate come la gente mangiava di gusto quelle mele, ché erano belle all'occhio e deliziose al palato. Ma come avvenne a Noè, il sant'uomo (quanto gli siamo obbligati e tenuti perciò che piantò la vigna, onde ci viene quel nettareo, delizioso, prezioso, celeste, gioioso e deifico liquore detto vino!) il quale s'ingannò bevendolo, ché ignorava la grande virtú e possanza di quello, similmente gli uomini e donne di quel tempo mangiavano con piacere grande quel bello e grosso frutto; ma ben diversi accidenti ne seguirono. Poiché a tutti sopravvenne una molto orribile enfiagione nel corpo, ma non a tutti nello stesso luogo. Agli uni si gonfiava il ventre e rotondeggiava come grossa botte; del quali è scritto: ventrem omnipotentem; ed essi furon tutti gente da bene e buoni burloni. Dalla loro razza nacquero San Panzano e Martedigrasso.

Agli altri si gonfiava il dorso e tanto cresceva la gobba che li chiamavano montiferi, portatari di montagne, de' quali si vedono ancora campioni pel mondo, di sesso e grado diverso. Di questa razza usci Esopetto del quale avete i bei fatti e detti, scritti.

Ad altri gli s'enfiava in lunghezza il membro che chiamasi lavoratore della natura: per modo che l'avevano meravigliosamente lungo, grande, grasso, grosso, rubizzo e increstato alla moda antica, e tale che se ne servivano di cintura torcendolo cinque o sei volte intorno al corpo. E se avveniva che s'inalberasse e lo spingesse vento in poppa, avreste detto, di veder guerrieri con la lancia in resta pronti a giostare alla quintana. Di quelli s'è perduta la razza, come dicon le donne, le quali continuamente si dolgono che:



de' bei grossi non c'è né più etc.



il resto della canzone lo sapete.

Altri crescevano in fatto di coglioni sì enormemente che tre bastavano a empire un moggio. Da questi son discesi i coglioni di Lorena i quali mai non alloggiano in braghetta, ma pendono giú fino in fondo alle calze.

Altri crescevano in fatto di gambe e avreste detto a vederli ch'eran gru o aironi oppur uomini sui trampoli. Gli scolaretti li chiamano in grammatica Jambus.

Ad altri tanto cresceva il naso da sembrare il flauto d'un alambicco; tutto diasprato, sfavillante di bitorzoletti, pullulante, purpureo, a pompette, smaltato, foruncolato, e ricamato di scarlatto. Tale lo possedevano il canonico Panzoult e Piedeboys, medico d'Angers; della qual razza pochi furono che amassero la tisana, preferendo tutti il brodo settembrino. Nasone e Ovidio ne trassero origine e tutti quelli di cui è scritto: Ne reminiscaris.

Ad altri crescevan le orecchie, così grandi che nell'una tagliavano giustacuore, brache e saio, dell'altra s'ammantellavano come d'una cappa spagnola. E corre voce che nel Borbonese ancora ne duri l'eredità, onde la frase: orecchie di Borbonese.

Altri infine crescevano in altezza di statura, onde son derivati i giganti e quindi Pantagruele. E il primo fu



Chalbroth,

Che generò Sarabroth,

Che generò Faribroth,

Che generò Hurtaly (il quale fu buon mangiatore di zuppe e regnò al tempo del diluvio),

Che generò Nembroth,

Che generò Atlante (il quale colle sue spalle impedì al cielo di cadere),

Che generò Golia,

Che generò Morbois,

Che generò Machura,

Che generò Erix (inventore del gioco dei bussolotti),

Che generò Tito,

Che generò Orione,

Che generò Polifemo,

Che generò Caco,

Che generò Ezione (il quale fu il primo che avesse la peste per non aver bevuto fresco d'estate, come attesta Bartacchino),

Che generò Encelado,

Che generò Ceo,

Che generò Tifoè,

Che generò Aloè,

Che generò Otto,

Che generò Egeone,

Che generò Briareo (il quale aveva cento mani),

Che generò Porfirio,

Che generò Adamastor,

Che generò Anteo,

Che generò Agatone,

Che generò Poro (contro il quale battagliò Alessandro il grande)

Che generò Arantas,

Che generò Gabbara (primo inventore del bere altrettanto),

Che generò Golia di Secondilla,

Che generò Offot (il quale ebbe naso terribilmente bello, e da bere al barile),

Che generò Artacheo,

Che generò Oromedonte,

Che generò Gemmagog (inventore delle scarpe alla polacca).

Che generò Sisifo,

Che generò i Titani, onde nacque Ercole,

Che generò Enac (molto esperto nell'arte di levare gli acari dalle mani),

Che generò Fierabraccio (il quale fu vinto da Oliviero; pari di Francia, compagno di Rolando),

Che generò Morgante (il quale primo di questo mondo, giocò ai dadi cogli occhiali),

Che generò Fracassus (del quale ha scritto Merlin Coccaio, onde nacque Ferraú),

Che generò Pappamosche (il quale, primo, invento l'arte d'affumicar le lingue di bue sotto il camino, laddove prima la gente le salava come fa de' prosciutti),

Che generò Bolivorace,

Che generò Longis,

Che generò Gaiolfo, (il quale avea coglioni di pioppo e cazzo di corniale),

Che generò Masticafieno,

Che generò Brusaferro,

Che generò Sorbivento,

Che generò Gallalto (il quale fu inventore delle bottiglie)

Che generò Mirlangault,

Che generò Galaffro,

Che generò Falurdino,

Che generò Roboastro,

Che generò Sortibrante di Coimbra,

Che generò Brusante di Monmirato,

Che generò Bruyer (il quale fu vinto da Ozieri il Danese, pari di Francia),

Che generò Malbruno,

Che generò Nonfòttere,

Che generò Acquelebac,

Che generò Cazzogranito,

Che generò Grangozzo,

Che generò Gargantua,

Che generò il nobile Pantagruele padron mio.

Io prevedo che leggendo questo passo vi sorgerà in mente un dubbio ben ragionevole e vi domanderete come sia possibile tale genealogia, visto che al tempo del diluvio tutta la gente perì eccetto Noè e sette persone con lui dentro l'arca, nel numero delle quali non è incluso il menzionato Hurtaly. La domanda è fondata, non c'è che dire e bene assennata, ma la risposta, s'io non ho il cervello mal ristoppato, vi darà soddisfazione. E poiché io non viveva a quel tempo là per parlarvene a mio agio, vi allegherò l'autorità dei massoreti, interpreti della sacra scrittura ebraica, i quali affermano che, in verità, il detto Hurtaly non era dentro l'arca di Noè, (non c'era potuto entrare per via della gran statura) ma vi stava sopra a cavalcioni, una gamba di qua e una gamba di là, come i bimbi sui cavalli di legno e come il grosso toro di Berna, ucciso a Marignano, che cavalcava un grosso cannone petraio, bestia, codesta, di bello e allegro ambio davvero. In quella guisa dunque salvò, dopo Dio, la detta arca dai pericoli, poiché le dava colle gambe il movimento e coi piedi la voltava dove voleva come fa il timone d'una nave. Quelli di dentro, per un camino, gli passavano viveri a sufficienza, riconoscendo il beneficio loro arrecato. E qualche volta parlamentavano insieme come faceva Icaromenippo con Giove, secondo riferisce Luciano. Avete bene inteso tutto ora? E bevetene dunque un buon bicchiere, senz'acqua. E se non credete, io neppure.





CAPITOLO II.



Della natività del temutissimo Pantagruele.



Gargantua, all’età di quattrocento quattroventi e quarantaquattro anni, generò suo figlio Pantagruele, col concorso della sua sposa chiamata Boccaperta, figlia del re degli Amauroti in Utopia. Ella morì di parto. Il figlio infatti era così mirabilmente grande e pesante che non poté venire alla luce senza soffocar la madre. Ma per intender pienamente la causa e ragione del nome che gli fu dato a battesimo, dovete notare che in quell'anno fu siccità tanto grande in tutto il paese d'Africa, che passarono trentasei mesi, tre settimane, quattro giorni, tredici ore e qualche istante per giunta. Senza piovere con un calore di sole così veemente che tutta la terra n'era inaridita.

Neanche al tempo di Elia fu tanto caldo. Non v'era albero sulla terra che avesse foglia o fiore, le erbe erano senza verde, i fiumi prosciugati, le fonti a secco, i poveri pesci abbandonati dal loro proprio elemento vagavano e gridavano per la terra orribilmente, gli uccelli cadevano giù dall'aria per mancanza di rugiada; i lupi, le volpi, i cervi, i cignali, i daini, le lepri. i conigli, le donnole, le faine, i tassi e altre bestie si trovavano pei campi, morte a gola spalancata.

Quanto agli uomini facevan pietà: li avreste visti con tanto di lingua fuori come levrieri che abbian corso sei ore. Molti si gettavano nei pozzi; altri si mettevano dentro il ventre di una vacca per essere all'ombra: Omero li chiama Alibantes.

Tutta la contrada era paralizzata. Era pietoso vedere il travaglio degli uomini per difendersi dalla orribile sete. Ci voleva il ben di Dio a salvare l'acqua benedetta per le chiese affinché non fosse consumata, ma fu provveduto in modo, per consiglio dei signori cardinali e del Santo Padre, che nessuno osava attingervi se non una volta. E quando qualcuno entrava in chiesa si vedevano ventine di poveri assetati assediare il distributore dell'acqua e chinarsi a gola aperta aspettando le goccioline che cadessero, come il cattivo ricco, affinché nulla andasse perduto. Oh, ben fortunato chi avesse avuto in quell'anno fresca e ben fornita cantina!

Racconta il filosofo, proponendo il quesito perché l'acqua del mare sia salata, che al tempo in cui Febo affidò il governo del suo carro lucifico al figlio Fetonte, questi, male esperto dell'arte, non sapendo seguire la linea eclittica fra i due tropici della sfera solare, deviò e tanto s'avvicinò alla terra che disseccò tutte le contrade subiacenti, bruciando anche una parte del cielo che i filosofi chiamano via lattea e i fisolofi chiamano la via di San Giacomo, mentre i piú famosi poeti asseriscono esser quella la parte dove gocciolò il latte di Ginone quando allattava Ercole. La terra fu dunque tanto riscaldata che le venne un sudore enorme, e così sudò tutto il mare, che perciò è salato: infatti ogni sudore è salato. E ciò potete verificare assaggiando il vostro proprio, oppure, se lo preferite, quello degli appestati quando sono fatti sudare: per me è tutt'uno.

Quasi lo stesso accadde nel detto anno: infatti un giorno di venerdì che tutta la gente s'era messa in devozione e faceva una bella processione con molte litanie e belle preghiere, supplicando Dio onnipotente di volgere a loro il suo occhio clemente in tale sciagura, furono viste visibilmente uscir di terra grosse goccie d'acqua come quando alcuno suda copiosamente. E il povero popolo cominciò a rallegrarsi come se fosse stata cosa profittevole: gli uni dicevano che non essendovi goccia d'umidità per l'aria onde sperare la pioggia, la terra riparava al difetto. Altri, gli scienziati, dicevano ch'era pioggia degli antipodi, come Seneca narra nel quarto libro Questionum naturalium parlando della origine delle sorgenti del fiume Nilo; ma s'ingannarono. Infatti finita la processione, mentre ciascuno voleva raccogliere di quella rugiada e ingollarne a sciacquabudella s'accorsero che non era se non salamoia, più salata e peggio dell'acqua di mare.

E poiché in quel giorno nacque Pantagruele, il padre gli impose quel nome da Panta che in greco vuol dire tutto e Gruel che, in lingua agarena significa assetato. Volendo con ciò ricordare che nell’ora della sua natività la gente era tutta assetata e prevedendo, con spirito profetico, che un giorno sarebbe re degli assetati; e ciò fu anche dimostrato, in quell’ora, da altro segno più evidente. Infatti mentre la madre Boccaperta stava per partorirlo e le levatrici attendevano per riceverlo, uscirono prima dal suo ventre sessantotto mulattieri che tiravano ciascuno, per la cavezza, un mulo tutto carico di sale; dopo loro uscirono nove dromedari carichi di prosciutti e lingue di bue affumicate, sette cammelli carichi d'anguillette, poi venticinque carrette di porri, agli, cipolle e cipolline. Le levatrici ne furono spaventate, ma alcune di esse dicevano: "Ecco una buona provvisione; certo noi bevevamo fiaccamente e senza slancio, tutto ciò non è che buon segno: sono i pungoli del vino".

E mentre chiacchieravano tra loro di queste bazzecole ecco spuntare Pantagruele tutto peloso come un orso, onde una d'esse con spirito profetico disse: "Nato col pelo: farà cose meravigliose; quello lì, se vive, avrà i suoi anni".





CAPITOLO III.



Doglianza di Gargantua per la morte della sua sposa Boccaperta.





Quando Pantagruele fu nato, chi mai rimase stupefatto e perplesso? Gargantua, suo padre: poiché vedendo da una parte la sua sposa Boccaperta morta, e dall'altra il figlio Pantagruele nato, tanto bello e grande, non sapeva che dire e che fare. Il dubbio che turbava il suo animo era questo: non sapere se dovesse piangere pel lutto della sposa o ridere per la gioia del figlio. Da una parte e dall'altra avea argomenti sofistici che lo soffocavano, ché egli sapeva ordinarli assai bene in modo et figura, ma non poteva risolverli. E intanto restava impacciato come sorcio nella pegola, o milano preso al laccio.

"Piangerò? diceva egli. - Oh sì! - E perché? - Ma è morta la mia buonissima sposa, che era la più così e la più colà che fosse al mondo. Mai più la rivedrò, mai più ne troverò una simile, è perdita inestimabile! Oh, mio Dio, che t'avevo fatto per punirmi così? Perché non inviasti la morte a me prima che a lei? poiché vivere senza lei è languire. Ah Boccaperta mia dolce, amica mia, mia fichettina, (a dire il vero misurava ben tre jugeri e due pertiche) mia teneruccia, mia braghetta, mia ciabatta, mia pantofola, mai più ti rivedrò. Ah, povero Pantagruele, hai perduto la tua buona madre, la tua dolce nutrice, la tua adorata. Ah morte cagna, tanto male mi vuoi, tanto m'oltraggi da togliermi colei che a buon diritto poteva essere immortale".

E ciò dicendo piangeva come una vacca; ma subito rideva come un vitello, quando gli veniva a mente Pantagruele. "Oh, mio figlioletto, diceva, mio coglioncino, mio piedino, quanto sei grazioso! E quanto debbo a Dio perché mi ha dato un sì bel figliolo, tanto allegro e ridente e grazioso! Oh, oh, oh, oh, come sono contento! beviamo oh! lasciamo ogni melanconia; porta del migliore, sciacqua i bicchieri, metti la tovaglia, caccia via quei cani, soffia sul fuoco, accendi questa candela, chiudi quella porta, affetta per la zuppa, fuori quei poveri e dà loro ciò che domandano; tieni la mia tonaca, che mi metto in giustacore per meglio festeggiar le comari".

In così dire ode le litanie e i memento dei preti che portavano a sotterrare la sua sposa; e allora smise la letizia e subito tratto altrove, diceva: "Signore Iddio, ancora devo contristarmi? Ciò mi rincresce, non son più giovane, divengo vecchio, è un'età pericolosa; potrei prendere qualche febbre, eccomi fuor di me. Parola di gentiluomo, val meglio pianger meno e bere di più. La mia donna è morta, ebbene, per... (con licenza)... Dio, non la resusciterò già col mio pianto: ella sta bene, si trova almeno almeno in paradiso, se non meglio: e prega Dio per noi, oh ella è ben fortunata: non si cura più delle nostre miserie e calamità. Oggi a te domani a me e Dio salvi chi resta! Convien che pensi a trovarne un'altra".

- Ma ecco ciò che avete a fare, disse alle levatrici: andate al funerale di lei mentre io qui cullerò mio figlio, poiché mi sento molto disturbato e corro pericolo d'ammalarmi; ma bevete prima qualche sorso, vi farà bene, parola d'onore. E le donne obbedirono, poi andarono al funerale e il povero Gargantua restò a casa solo. E intanto compose perché fosse inciso, questo seguente epitaffio:



Partorendo partì pel suo destino

La nobil Boccaperta: avea la guancia

Simile al mascheron d'un ribechino,

Corpo spagnol, di svizzera la pancia.

Pregate Iddio che le sia propizio

E le perdoni se in nulla peccò;

Qui sta il corpo vissuto senza vizio

E mori l'anno e il giorno che spirò.





CAPITOLO IV.



Dell'infanzia dl Pantagruele.





Trovo negli antichi storiografi e poeti che molti son nati a questo mondo in modi assai strani che sarebbe troppo lungo raccontare: leggete il settimo libro di Plinio se avete tempo. Ma non udiste mai meraviglie come quelle di Pantagruele. Ed è cosa difficile a credere come crescesse in poco tempo di corpo e di forze. Ercole che, ancora in culla, uccise i due serpenti è nulla: poiché i detti serpenti erano assai piccoli e fragili. Pantagruele, ancora in culla, fece cose ben più spaventevoli. Tralascio qui di dire come qualmente, ad ogni pasto, sorbisse il latte di quattromila e seicento vacche; e come per fabbricargli un padellone da cuocere la sua pappina, furono occupati tutti i padellari di Saumur nell'Angiò, di Villedieu in Normandia, di Bramont in Lorena: gli somministravano la detta pappina in un gran tino che anche oggidì è a Bourges presso il palazzo; ma i denti gli eran già tanto cresciuti e sì robusti che ruppe un gran pezzo del tino come si può vedere tuttora.

Un giorno, sul mattino, mentre lo volevano far poppare a una delle sue vacche (ché altre nutrici non ebbe, come afferma l'istoria) sciolse i legami che gli tenevano alla culla l'un de' bracci, vi prese la detta vacca per sotto il garretto e le mangiò le due mammelle e la metà del ventre, fegato e rognoni compresi: e l'avrebbe divorata tutta se essa non avesse muggito orribilmente come se i lupi le addentassero le gambe; alle grida accorse gente e strapparono la detta vacca dalle mani di Pantagruele, ma non seppero fare sì che il garretto non gli restasse in mano come lo teneva, e che egli non se lo mangiasse bravamente come voi fareste d'una salciccia; e quando gli vollero strappare l'osso, lo ingoiò presto come farebbe un gabbiano di un pesciolino; e poi cominciò a dire: "Buono! buono! buono!" poiché ancora non sapeva ben parlare; con che voleva far capire che l'aveva gustato assai, né altro gli occorreva. Ciò vedendo quelli che lo servivano lo legarono con grosse corde come quelle che si fabbricano a Tain per il viaggio del sale a Lione, o come quelle della gran nave Françoise che si trova al porto di Grace in Normandia.

Ma una volta che un grosso orso, allevato dal padre, scappò e gli venne a leccare il viso (ché le balie non gli avevano pulito a modino il mostaccio) si sbarazzò delle corde colla stessa facilità di Sansone tra i Filistei, vi prese il signor orso, ve lo fece a pezzi come fosse un pollo ed ebbe, per quel pasto una pietanzina coi fiocchi. Perciò Gargantua, temendo potesse farsi del male, fece fabbricare, per legarlo, quattro grosse catene di ferro e fece puntellare la culla con arcate di rinforzo. Di quelle catene se ne vede ora una a La Rochelle, che tendono la sera tra le due grosse torri del porto. Un'altra si trova a Lione, un'altra ad Angers, e la quarta fu portata via dai diavoli per legare Lucifero che in quel tempo là s'agitava tormentato straordinariamente da una colica buscatasi per aver mangiato a colazione l'anima d'un sergente in fricassata. Onde potete ben credere ciò che dice Nicola de Lyra nel passo del salterio dove è scritto: Et Og regem Basan... che cioè il detto Og, ancora piccino, era sì forte e robusto che bisognava legarlo con catene di ferro alla culla. E così restò quieto e tranquillo anche Pantagruele non potendo rompere facilmente quelle catene, tanto più che non c'era spazio nella culla per dare slancio al braccio.

Ma ecco arrivò il giorno d'una gran festa, e Gargantua dava un bel banchetto a tutti i principi della corte. Io credo che tutti gli ufficiali di corte dovessero essere occupatissimi al servizio del banchetto, perché nessuno si curava più del povero Pantagruele il quale restava così a reculorum. Che cosa fece egli? Ciò che fece, cara la mia gente, state un po' a sentirlo: provò a rompere le catene della culla colle braccia; ma non riuscì, erano troppo solide: allora tanto tempestò coi piedi che sfondò l'estremità della culla che pur consisteva d'una grossa trave di sette spanne in quadrato: e appena poté sporgere fuori i piedi, s'inclinò il meglio che poté in modo da toccar terra. E allora con gran forza si rizzò sollevando con sé la culla legata sulla schiena, come tartaruga che monti sopra un muro; e a vederlo sembrava una gran nave di cinquecento tonnellate dritta in piedi.

Entrò in quel modo nella sala dove si banchettava con passo sì ardito che spavento tutti i presenti; ma avendo le braccia legate dentro, non poteva prender nulla da mangiare; sicché a gran pena si chinava per allungar colla lingua qualche leccata. Ciò vedendo il padre, capì che l'avevano lasciato senza cibo e comandò fosse sciolto dalle catene per consiglio dei principi e signori presenti, tanto più che i medici di Gargantua dicevano che seguitando a mantenerlo così nella culla sarebbe andato soggetto tutta la vita alla gravella. Scatenato che fu lo fecero sedere e mangiò benissimo; poi, protestando di non tornar più in culla, con gran dispetto gli sferrò su un cazzotto, frantumandola in cinquecentomila pezzi.





CAPITOLO V.



Dei fatti del nobile Pantagruele nella sua giovane età.





Cresceva dunque Pantagruele di giorno in giorno e prosperava a vista d'occhio, di che il padre per naturale affezione rallegravasi. E gli fece fare, così piccino com'era, una balestra perché si divertisse cacciando gli uccelletti. La chiamano, ora, la grande balestra di Chantelle.

Poi lo mandò a scuola perché vi trascorresse imparando, l’adolescenza. Infatti andò a Poitiers per studiare e con molto profitto; colà vedendo che gli scolari erano talora in ozio e non sapevano come passare il tempo, ne ebbe compassione. E un giorno staccò da una rupe chiamata Passelourdin una grande lastra di circa dodici tese in quadrato e di quattordici palmi di spessore e la posò adagino su quattro pilastri in un campo, affinché gli scolari quando non avessero altro a fare passassero il tempo a montare sulla detta pietra e là banchettare a suon di bottiglie, prosciutti, pasticci, scrivendovi poi su i loro nomi col coltello: ora la chiamano la Pierre levée.

E in memoria di ciò nessuno studente s'è matricolato nella detta università di Poitiers se prima non avesse bevuto alla fontana Cavallina di Croutelle, non fosse passato a Passelourdin e salito sulla Pierre levée.

Più tardi Pantagruele leggendo le belle croniche de' suoi antenati, trovò che Goffredo di Lusignano, detto Goffredo dal gran dente, nonno del cugino secondo della sorella maggiore della zia del genero dello zio della nuora di sua suocera, era sepolto a Maillezais: onde un giorno prese campos per visitarlo come uomo dabbene ch'egli era.

E partendo da Poitiers con alcuni compagni, passarono per Ligugé, dove visitarono il nobile abate Ardillon; poi per Lusignano, Sansay, Celles, Colonge, Fontenay - le - Conte, dove salutarono il dotto Tiraqueau: e di lì arrivarono a Maillezais, dove egli visitò il sepolcro del detto Goffredo dal gran dente. Ebbe un po’ di paura vedendo la sua statua tombale, ché ha l'aspetto come d'uomo furioso che sta sguainando la daga. E chiestane la causa, i canonici del luogo gli dissero che altra causa non v'era se non che pictoribus atque poetis etc.; vale a dire che i pittori e i poeti hanno libertà di dipingere a loro piacere ciò che vogliono. Ma egli non si contentò di quella risposta e disse: "Non è così dipinto senza ragione, e dubito che, morto, gli abbian fatto qualche torto di cui domanda vendetta ai parenti. Farò un'inchiesta a fondo e agirò come si deve ".

Poi ritornò, ma non già a Poitiers: volle visitare le altre università di Francia: passando a La Rochelle si mise in mare e andò a Bordeaux, dove non trovo grande esercizio se non di chiattaioli che giocavano all'uvetta sulla spiaggia. Quindi andò a Tolosa ove imparò assai bene a ballare e a tirar di scherma collo spadone a due mani com’è uso degli studenti di quella università; ma non vi restò quando vide facevano bruciar i loro rettori vivi come arringhe salate e disse: "A Dio non piaccia che io muoia così, che sono per mia natura abbastanza assetato senza scaldarmi di più".

Andò poi a Montpellier, dove apprezzò gli eccellenti vini di Mirevaux e l'allegra compagnia; pensò di studiarvi medicina, ma poi considerò che la condizione di medico era fastidiosa e malinconica e che i medici puzzavan di clistere come vecchi diavoli. Volle studiar legge, ma vedendo che di legisti là non v'erano che tre tignosi e un pelato, si partì da Montpellier. Lungo il cammino costrusse il ponte di Gard e l'anfiteatro di Nimes in meno di tre ore e sembra tuttavia opera più divina che umana; venne poi ad Avignone e non eran passati tre giorni che s'innamorò: poiché le donne vi giocan volentieri a stringichiappe, essendo città papale.

Ciò vedendo il suo pedagogo, chiamato Epistemone, lo ritirò di là e lo condusse a Valenza nel Delfinato; ma Pantagruele vide che non vi si studiava molto e che i bricconi della città picchiavano gli studenti. Ne fu indispettito. Una bella domenica che tutta la gente ballava in pubblico, uno studente volle entrare nel ballo, ma i detti bricconi non lo permisero. Ciò vedendo Pantagruele diede loro la caccia fino alle rive del Rodano e voleva farveli annegare: ma essi si nascosero sotto terra come le talpe, per una buona mezza lega sotto il letto del Rodano. Il sotterraneo si vede tuttora. Quindi si partì e in tre passi e un salto giunse ad Angers, dove stava benissimo e vi sarebbe rimasto un certo tempo se non l'avesse cacciato via la peste.

Così venne a Bourges dove studiò lungo tempo con molto profitto iscrivendosi alla facoltà di legge. Diceva talora che i libri di legge gli sembravano una bella veste d'oro, trionfale e preziosa a meraviglia che fosse ricamata di merda.

"Poiché, diceva egli, non vi sono al mondo libri tanto belli e adorni ed eleganti come i testi delle Pandette, ma il loro ricamo, vale a dire il commento d'Accursio è così lurido, infame e fetente quanto può essere sozza immondizia".

Partendo di là se ne venne a Orlèans dove trovò studenti campagnoli in quantità che gli fecero buona accoglienza e in breve apprese con loro a giocare al pallone talché ne divenne maestro. Infatti gli studenti del luogo ne fanno esercizio continuo e lo conducevano talora alle isole per divertirsi al gioco di spinginnanzi. E quanto al rompersi la testa a studiare, né punto né poco, perché aveva paura gli s’indebolisse la vista. Tanto più che uno dei rettori diceva spesso nelle sue lezioni che nulla è tanto contrario alla vista quanto il male agli occhi. E un giorno che fu laureato in legge uno degli studenti di sua conoscenza, che di sapienza non ne aveva più d'un vitello, ma al compenso sapeva molto bene ballare e giocare al pallone, gli compose il blasone e la divisa dei laureati di quella università così:



Buone palle in la braghetta,

Nella mano la racchetta,

La legge entro la cornetta;

Gran virtù di danzatore,

Ecco fatto un buon dottore.





CAPITOLO VI.



Come qualmente Pantagruele incontrò un Limosino che contraffaceva la lingua francese.





Un giorno, non so quando, Pantagruele passeggiando dopo cena coi suoi compagni presso la porta che conduce a Parigi, incontrò uno studente tutto agghindato che veniva per quella strada e scambiati i saluti gli domandò:

- Amico, donde vieni a quest'ora?

- Da l'alma, inclita e celebre accademia che vocasi Lutezia, rispose lo studente.

- Che significa? chiese Pantagruele a uno de' suoi.

- Parigi, gli fu risposto.

- Ah, tu vieni dunque da Parigi, disse Pantagruele; e come occupate il tempo voialtri signori studenti della detta Parigi?

- Transitiamo la Sequana, rispose lo studente, dal diluculo al crepuscolo, deambuliamo pei trivii e quadrivii dell'urbe spruzzeggiando la verbocinazione laziale, e quali verosimili amorabondi, captiamo la benevolenza dell'onnigiudice, onniforme e onnigeno sesso femmino. Certi dieculi inspiciamo i lupanari di Champgaillard, Matacon, Cul de sac, Bourbon, Glattigny, Huslieu e, in venerica estasi inculchiamo le nostre verghe nei penitissimi recessi delle pudende di quelle meretricule amicabilissime; poi inglutiamo nelle meritorie taberne della Pomme de pin, del Castel, della Magdeleine e della Mulle, belle spatule ovine, perforaminate di petrosillo. E se per fortuita sfortuna, siavi rarità o penuria di pecunia nelle nostre marsupie e siano esse esauste di ferrugineo metallo, dimettiamo pignorati per lo scotto codici e vesti sollecitando messaggi dai patrii lari e penati.

- Che diavolo di lingua è questa?, disse Pantagruele. Per Dio, tu sei un eretico.

- Signor no, disse lo studente, imperocché non anco illucesce una minuscola baluginazione di luce che libentissimamente io demigro in alcuno dei tanti ben costrutti monasteri e là, irroratomi di bella acqua lustrale, rosicchio qualche boccone di missica precazione dei nostri sacrificuli. E subbiascicando le mie precule orarie, detergo e astergo l'anima dai notturni inquinamenti. Riverenzia ho per gli Olimpicoli, latriale venerazione al supremo Astripotente. Diligo e riamo i prossimi miei, absolvo i precetti decalogici e, secondo le facultatule mie, la latitudine d'un'unguicola non me ne diparto. Ben è veriforme che, non supergurgitando Mammona nei loculi miei, sono alcun poco raro e lento nel superogare elemosine agli egeni, l'obolo, di porta in porta queritanti.

- Merda! disse Pantagruele, che mai vuol dire questo matto? Egli ci fabbrica, a quanto pare, qualche diabolico linguaggio e vuole immagarci come un incantatore.

- Signore, disse uno de' suoi, senza dubbio questo zerbinotto vuol imitare la lingua dei Parigini, ma in realtà non fa che scorticare il latino e sdegnando l'uso del parlar comune s'immagina di pindareggiare e d'esser chi sa qual prelibato oratore in francese.

- È vero? chiese Pantagruele.

- Signor, mio sire, riprese io studente, il genio mio non è punto nato e adatto, secondo dice codesto flagizioso nebulone, a escoriare la cuticula del nostro vernacolo gallico, ma viceversamente m'adopro, e per remi e per vele mi sforzo a locupletarlo della latinicomia ridondanza.

- Ah, perdio, esclamo Pantagruele, ti insegnerò io a parlare! Ma, anzitutto rispondimi: di dove sei?

- L'origine primeva, rispose lo studente, de' miei avi et atavi fu indigena delle regioni Lemoviche, dove requiesce il corpore dell'agiotato Santo Marziale.

- Ah, capisco, disse Pantagruele, in lingua povera sei Limosino e vuoi scimiottare il parlar di Parigi; vien qua che ti pettino io per le feste.

E afferratolo per la gola gli disse:

- Ah, tu scortichi il latino! Per San Giovanni, ora ti faccio render l'anima scorticandoti vivo.

E il povero Limosino a gridare:

- Vée dicon, gentilastre! Ho, sainct Marsault, adjouba my! Hau hau, lassas à quan, au nom de Dious, et ne me touchas grou!

- Ora sì che parli con naturalezza! disse Pantagruele. E lo mollò perché il povero Limosino stava sconcacando le sue brache le quali erano tagliate a coda di merluzzo e non a fondo tondo. E allora Pantagruele:

- Sainct Alipeutin, quelle civette! Au diable soit le mascherabe, tant il put.

E lo lasciò andare. Ma il Limosino rimase sì impressionato e alterato per tutta la vita da affermare spesso che Pantagruele lo afferrava alla gola.

Dopo qualche anno mori della morte di Rolando. Compievasi così vendetta divina e dimostravasi ciò che dicono il filosofo, e Aulo Gellio, cioè che convien parlare secondo l'uso, e, come diceva Ottaviano Augusto, che bisogna evitare le parole insolite con la stessa diligenza colla quale i piloti evitano gli scogli.



CAPITOLO VII.



Come qualmente Pantagruele venne a Parigi e dei bei libri della libreria dl San Vittore.



Dopoché Pantagruele ebbe finiti gli studi a Orléans deliberò di visitare la grande università dl Parigi; ma, prima di partire, fu avvertito che, a Saint-Aignan d'Orléans, una grossa, enorme campana stava abbandonata a terra da oltre duecentoquattordici anni. Era così grossa che nessun congegno poteva sollevarla, benché avessero tentato tutti i mezzi indicati da Vitruvio, De Architectura, da Albertus, De re dedificatoria, da Euclide, Teone, Archimede, e da Erone nel De ingeniis. Nulla era servito. Pantagruele volentieri consentendo all'umile richiesta dei cittadini abitanti la città, deliberò di metterla sul campanile a ciò destinato. Venne infatti là dov'era la campana e la sollevò di terra col dito mignolo così facilmente come voi sollevereste un sonaglietto da sparviere. Ma prima di portarla al campanile Pantagruele volle farne una mattinata per la città tenendola in mano e scampanando per tutte le strade, onde tutta la gente se la godeva un mondo; ma ne seguì, ahimè, una ben grave disgrazia; poiché portandola e facendola scampanare così per le strade, tutto il buon vino d'Orléans ne fu scosso e si guastò. La gente non se ne accorse che la notte seguente quando ciascuno si sentì dei dolori per aver bevuto di quel vino sconvolto e non facevano che sputar bianco come il cotone di Malta, dicendo: "c'è stato Pantagruele, abbiamo la gola salata".

Ciò fatto egli venne a Parigi coi suoi compagni. All’entrare tutta la gente uscì dalle case per vederlo poiché, come ben sapete, il riottoso popolo di Parigi è sciocco per natura, per bequadro e per bemolle; e lo guardavano sbalorditi, non senza gran paura che avesse a trasportare altrove in qualche remoto paese il palazzo di giustizia come suo padre aveva portato via le campane di Notre Dame per appenderle al collo della sua giumenta. Dopo avervi abitato qualche tempo e studiato con diligenza le sette arti liberali, diceva esser Parigi una buona città per vivervi ma non per morirvi, poiché gli accattoni del cimitero di Sant'Innocenzo si scaldano il culo colle ossa dei morti. Trovò magnifica la libreria di San Vittore massimamente per alcuni libri dei quali segue il repertorio. E primo:



Bigua salutis.

Bragueta iuris.

Pantofla decretorum.

Malagranatum vitiorum.

Le peloton de théologie.

Le visiempenard des prescheurs composé par Turelupin.

La couille barrine des preux.

Les hanebanes des evesques.

Marmotretus, de babouynis et cingis cum commento Darbellis.

Decretum universitatis Parisiensis super gorgiositatem muliercularum ad placitum. L'apparition de Saincte Gertrude à une nonnain de Poissy estant en mal d'enfant.

Ars honeste petandi in societate par M. Ortuinum.

Le Moustardier de Penitence.

Les Houseaulx, alias les Bottes de patience.

Formicarium Artium.

De brodiorum usu et honestate chopinandi, per Slivestrem, Prieratem, Jacopinum

Le Beliné en Court.

Le cabat des Notaires.

Le Pacquet de Mariage.

Le Creziou de Contemplation.

Les fariboles de Droict.

L'aiguillon de vin.

L'esperon de fromaige.

Decrotatorium Scholarium.

Tartaretus, De modo cacandi.

Les Fanfares de Rome.

Bricot, De differentiis souppaurm.

Le Culot de discipline.

La Savate de Umilité.

Le tripier du bon Pensement.

Le Chaulderon de Magnanimité.

Le Hanicrochemens des Confesseurs.

La Croquignolle des Curés.

Reverendi Patris Fratris Lubini Provinclalis Bavardie De croquendis lardonibus libri tres.

Pasquilei doctoris marmorei, de Capreolis cum chardoneta comedendis, tempore papali ab Ecclesia interdicto.

L'Invention Saincte Croix, à six personnages, jouée par les clercs de Finesse.

Les lunettes des Romipetes.

Maioris, De modo faciendi boudinos.

La cornemuse des Prelatz.

Beda, De optimate triparum.

La Complainte des Advocats sur la Reformation des Dragèes.

Le Chat fourré des Procureurs.

De Pois au lart, cum Commento.

La Profiterolle des Indulgences.

Preclarissimi, Iuris Utriusque Doctoris Maistre Pilloti Racquedenari, De bobelinandis Glosse Accursiane baguenaudis Repetitio enucidiluculidissima.

Stratagemata Francarchieri de Baignolet.

Franctopinus, De re militari, cum figuris Tevoti.

De usu et utilitate escorchandi equos et equas, autore M. nostro de Quebecu.

La Rustrie des Prestolans.

M. N. Rostocostojambedanesse, De moustarda post prandium servienda lib. quatordecim apostilati per M. Vaurillonis.

Le couillage des Promoteurs.

Questio subtilissima, utrum Chimera in vacuo bombinans possit comedere secundas intentiones, et fuit debatuta per decem hebdomadas in concilio Costantiensi.

Le machefain des Advocatz.

Barbouilamenta Scoti.

La Ratepenade des Cardinaulx.

De calvaribus removendis decades undecim, per M. Albericum de Rosata.

Eiusdem, De castramentandis crinisus, lib. tres.

L'Entrèe de Anthoine de Leive es Terres du Bresil.

Marforii Bacalarii cubantis Rome, de pelendis mascarendisque Cardinalium mulis.

Apologie d'icelluy contre ceux qui disent que la Mule du Pape ne mange qu'à ses heures.

Pronostication que incipit "Silvi Triquebille" balata par M. n. Songecrusyon.

Boudarini, episcopi, De emulgentiarum profectibus eneades novem cum privilegio Papali ad trienniun et postea non.

Le Chiabrena des Pucelles.

Le Cul pelé des vefves.

La coqueluche des moines.

Les Brimborions des Padres Celestins.

Le Barrage de Manducité.

Le Clacquedent des Marroufles.

La Ratouère des Theologiens.

L'ambouchouoir des Maistres en Ars.

Les Marmitons de Olcam à simple tonsure.

Magistri n. Fripesaulcetis, De grabellationibus horrarum canonicarum lib. quadraginta.

Cullebutatorium confratriarum, incerto autore.

La Cabourne des Briffaulx.

Le Faguenat des Hespaignolz, supercoquelincantiqué par Frai Inigo.

La Barbotine des Marmiteux.

Poiltronismus rerum Italicarum, autore magistro Bruslefer.

R. Lullius, de balisfolagiis Principium.

Callibistratorium Cattardie, auctore M. Jacobo Hocstratem, hereticometra.

Chaultcouillons, de Magistro nostrandorum, Magistro nostratorumque beuvetis, lib. octo gualantissimi.

Les Patarredes des Bullistes, Copistes, Scripteurs, Abbreviateurs, Referendaires et Dataires, compillées par Regis.

Almanach perpetuel pour les Gouteux et Verollez.

Maneries ramonandi fournellos, per M, Eccium.

Le Poulemart des Marchans.

Les Aisez de Vie monachale.

La Gualimaffrée des Bigotz.

L'Histoire des Farfadetz.

La Belistrandie des Millesouldiers.

Les Happelourdes des Officiaulx.

La Bauduffe des Thesauriers.

Badinatorium Sophistarum.

Antipericatametanaparbeugedamphicribrationes merdicantium.

Le Limasson des Rimasseurs.

Le Boutavent des Alchymistes.

La Nicquenocque des Questeurs, cababezacée par frère Serratis.

Les Entraves de Religion.

La Racquette des Brimbaleurs.

L'Acodouoir de Vieillesse.

La Museliere de Noblesse.

La Patenostre du Cinge.

Les Grezillons de Devotion.

La Marmite des Quatre temps.

Le Mortier de Vie politique.

Le Mouschet des Hermites.

La Barbute des Penitenciers.

Le tric trac des Freres Frapars.

Lourdaudus, De vita et honestate Braguardorum.

Lyripipii Sorbonici moralisationes, per M. Lupoldum.

Les Brimbelettes des Voyageurs.

Les Potingues des Evesques potatifz.

Taraballations Doctorum Coloniensium adversus Reuchlin.

Les cymbales des Dames.

La Martingalle des Fianteurs.

Virevoustatorum Nacquettorum per F. Pedebilletis.

Les Bobelins de Franc Couraige.

La Mommerie des Rebatz et Lutins.

Gerson, De auferibilitate Pape ab Ecclesia.

La Ramasse des Nommez et Graduez.

Jo. Dytebrodii, De terribilitate excomunicationum libellus acephalos.

Ingeniositas invocandi Diabolos et Diabolas per Guinguolfum.

Le Hoschepot des Perpetuons.

La Morisque des Hereticques.

Les Henilles de Gaïetan.

Moillegroin, doctoris cherubici, De origine patepelutarum et torticollorum ritibus lib. septem.

Soixante et neuf Breviaires de haulte gresse.

Le Godemarre des cinq Ordres des Mendians.

La Pelletiere des Tyrelupins, extraicte de la Bote fauve incornifistibulée en la Somme Angelique.

Le Ravasseurs des Cas de conscience.

La Bedondaine des Presidenz.

Le Vietdazouer des Abbez.

Sutoris adversus quendam, qui vocaverat eum fripponnatorem, et quo Fripponnatores non sunt damnati ab Ecclesia.

Cacatorium medicorum.

Le Rammoneur d'astrologie.

Campi Clysteriorum, per § C.

Le Tyrepet des apothecaires.

Le Baisecul de chirurgie.

Iustinianus De Cagotis tollendis.

Antidotarium anime.

Merlinus Coccaius, De Patria Diabolorum.

Di questi alcuni sono stampati, altri si stanno ora stampando nella nobile città di Tubinga.





CAPITOLO VIII.



Come qualmente Pantagruele, essendo a Parigi, ricevette lettera dal padre Gargantua e la copia di essa.





Pantagruele studiava intensamente, come ben comprendete, e profittava del pari avendo un cervello a doppio fondo e una capacità di memoria della misura di dodici otri e botti d'olio. Un giorno ricevette dal padre una lettera che diceva così:

"Carissimo figlio, tra i doni, grazie e prerogative onde il sovrano plasmatore Iddio onnipotente ha dotato e ornato l’umana natura fin dal principio, singolare ed eccellente sugli altri mi sembra quello grazie al quale l’uomo può durante la vita mortale acquistare una sorta d’immortalità e nel corso della vita transitoria perpetuare il nome suo e sua semenza. Ciò avviene per progenie uscita di noi mediante matrimonio legittimo. Così ci è in qualche modo restituito ciò che ci tu tolto causa il peccato dei primi genitori ai quali fu detto che non avendo obbedito al comandamento di Dio creatore sarebbero morti e colla morte sarebbe stata ridotta a nulla la tanto magnifica plasmatura onde l’uomo era stato creato.

Ma per questa via della propagazione seminale resta ai figlioli ciò che era perduto dai genitori e ai nipoti ciò che periva nei figlioli e così successivamente fino al giorno del giudizio finale quando Gesù Cristo avrà restituito a Dio padre il suo regno pacifico fuor di pericolo e di contaminazione del peccato.

E allora cesseranno le generazioni e le corruzioni e saranno gli elementi fuori delle loro trasmigrazioni continue, visto che la pace tanto desiderata sarà piena e perfetta e che tutte le cose saranno giunte alla loro fine e rivoluzione.

Non dunque senza giusta e ragionevole causa rendo grazia a Dio, mio salvatore, per avermi concesso di poter vedere la mia canuta vecchiezza rifiorire nella tua giovinezza. E quando per volere di lui, che tutto regge e governa, la mia anima lascierà questo umano abitacolo, io non mi reputerò morire totalmente, ma passare da un luogo a all altro, poiché in te e per te io resto nella mia immagine visibile in questo mondo, vivente veggente e conversante tra gente onorata e amici miei, come già soleva. La quale mia conversazione è stata, mediante l'aiuto e grazia di Dio, non senza peccato, lo confesso (poiché tutti pecchiamo e continuamente chiediamo a Dio che cancelli i peccati nostri) ma senza macchia.

Perciò, se come dimora in te l'immagine del mio corpo, così parimenti non risplendessero i costumi dell'anima, non si giudicherebbe esser tu guardiano e custode dell’immortalità del nome nostro; e n'avrei, ciò vedendo, piacere ben piccolo, poiché la minima parte di me, che è il corpo, sarebbe rimasta, laddove apparirebbe degenerata e imbastardita la migliore, che è l’anima per la quale il nome e la benedizione nostra rimangono tra gli uomini. E ciò non dico per diffidenza della tua virtù, che già in passato mi tu provata, ma per incoraggiarti sempre più a profittare di bene in meglio.

E ciò che presentemente ti scrivo non è tanto perché tu continui a vivere in codesto modo virtuoso, quanto perché ti rallegri di vivere e aver vissuto così e ti si rinnovi egual coraggio per l'avvenire. A condurre e compiere tale impresa puoi ricordare come io nulla abbia risparmiato: anzi a ciò t'aiutai come se non avessi altro tesoro in questo mondo che di vederti una volta in mia vita assoluto e perfetto tanto in virtù, onestà e saggezza, quanto in ogni arte liberale e decorosa e nulla mi premesse se non lasciarti, dopo la mia morte, come uno specchio riflettente la persona di me tuo padre e, se non di fatto così eccellente e tale quale ti auguro, certo tuttavia tale nel desiderio.

Ma, benché il defunto padre mio Grangola di buona memoria, avesse dato ogni cura a ciò ch'io profittassi d'ogni perfezione e sapere politico e il mio lavoro e studio corrispondessero benissimo, anzi oltrepassassero il suo desiderio, tuttavia, come puoi ben capire, il tempo non era tanto propizio alle lettere e comodo come ora, e non avevo copia di precettori tali quali tu hai havuto. Il tempo era ancora tenebroso e sentiva l'influsso malefico e calamitoso dei Goti che avevano distrutto ogni buona letteratura. Ma, per la bontà divina, luce e dignità sono state restituite alle lettere in questa età e si vede tale progresso che difficilmente oggi sarei promosso nella prima classe degli scolaretti io che nell’età virile ero (non a torto) reputato il più sapiente del secol nostro.

Né ciò dico per vana iattanza, ancorché potessi farlo scrivendoti sull’autorità di Marco Tullio (nel suo libro De Senectute) e secondo la sentenza di Plutarco (nel libro intitolato: Come uno può lodarsi senza invidia) ma per stimolarti a tendere più in alto.

Ora tutte le discipline sono rifiorenti, le lingue restaurate: la greca senza la quale sarebbe onta chiamarsi sapiente, l'ebraica, la caldea, la latina. Sono in uso stampe elegantissime e corrette, inventate al tempo mio per ispirazione divina come, per contro, I'artiglieria per ispirazione diabolica. Tutto il mondo è pieno di persone sapienti, di precettori dottissimi, di ben provveduti librai, e parmi che nemmeno al tempo di Platone, o di Cicerone, o di Papiniano, fosse tanta comodità di studio quanta ora si vede. Non si troverà più d'ora innanzi in alcun posto o compagnia chi non sia stato ben forbito nell'officina di Minerva. I briganti, i carnefici, gli avventurieri, i palafrenieri d'oggi son più dotti che i dottori e predicatori del tempo mio.

Che più? Le donne e le ragazze hanno aspirato anch'esse a questa lode, a questa manna celeste della buona dottrina. Tant’è che alla mia vecchia età sono stato costretto ad apprendere le lettere greche che non avevo disprezzate prima, come Catone, ma che non avevo avuto agio di comprendere da giovine. E volentieri mi diletto a leggere i Morali di Plutarco, i bei Dialoghi di Platone, i Monumenti di Pausania e le Antichità di Ateneo, attendendo l'ora che piaccia a Dio creatore di chiamarmi e comandarmi d'uscire da questa terra.

Perciò, figlio mio, t'ammonisco a ben occupare la tua giovinezza con profitto di studi e di virtù. Sei nella città di Parigi, e hai precettore Epistemone: l'uno può indottrinarti per vive e vocali istruzioni, l'altra per lodevoli esempi. Intendo e voglio che apprenda le lingue perfettamente. Anzitutto la greca, come vuole Quintiliano: in secondo luogo la latina, poi l'ebraica per le sante scritture, e parimente la caldea e l'arabica; quanto alla greca, forma il tuo stile a imitazione di Platone, quanto alla latina di Cicerone: e non vi sia storia che non tenga presente alla memoria; a che t’aiuterà la cosmografia di quelli che ne hanno scritto. Delle arti liberali: geometria, aritmetica e musica; qualche elemento ti fornii io stesso quando eri ancora bimbo di cinque o sei anni: prosegui avanti e sappi tutti i canoni dell'astronomia. Lascia stare l'astrologia divinatrice e l'arte di Lullio, come inganno e vanità. Del diritto civile voglio tu sappia a memoria i bei testi e me li illustri con argomenti filosofici.

Anche voglio tu ti dedichi con curiosità alla conoscenza dei fatti naturali; che non vi sia mare, fiume, fonte di cui non conosca i pesci: tutti gli uccelli dell'aria, tutti gli alberi, arbusti e frutici delle foreste, tutte le erbe della terra, tutti i metalli nascosti nelle sue profonde viscere, e le gemme dell'Oriente e del Mezzodì, niente ti sia sconosciuto.

Poi leggi accuratamente i libri dei medici greci, arabi, latini, senza trascurare i talmudici e cabalisti; e con frequenti anatomie acquista perfetta conoscenza di quell'altro mondo che è l'uomo. Durante qualche ora del giorno comincia a compulsare le sacre scritture. Primieramente il Nuovo Testamento e le Epistole degli Apostoli, in greco, poi, in ebraico, il Vecchio Testamento. In somma che io veda un abisso di scienza; poiché più avanti, diventando uomo e facendoti grande, ti converrà uscire da codesto tranquillo riposo degli studi e apprendere la cavalleria e l'uso dell'armi per difendere la mia casa e soccorrere i nostri amici in tutti i loro affari contro gli assalti dei malfattori. Voglio che ben presto tu dia prova di quanto hai profittato; e non potrai farlo meglio che tenendo discussioni in ogni genere di scienza pubblicamente verso tutti e contro tutti, e frequentando i letterati che sono a Parigi e altrove.

Ma poiché, secondo il savio Salomone, sapienza non entra in anima malevola e la scienza senza la coscienza non è che rovina dell'anima, ti convien servire, amare e temere Dio, e mettere tutti i tuoi pensieri e la tua speranza in Lui ed essere a Lui unito con fede fatta di carità per modo che mai te ne allontani per peccato. Tieni in sospetto gli inganni del mondo. Non perdere il cuore in cose vane poiché questa vita è transitoria, ma la parola di Dio resta eternamente. Sii servizievole col prossimo ed amalo come te stesso. Abbi riverenza pei tuoi precettori, fuggi la compagnia delle persone alle quali non vuoi somigliare e fa di non aver ricevuto invano le grazie che Dio t'ha dato. E quando conoscerai d'avere in questo modo acquistato tutto il sapere, ritorna a me che possa vederti e darti la mia benedizione prima di morire.

La pace e la grazia di Nostro Signore siano con te figlio mio, amen.



Da Utopia, il 17 marzo".

Tuo padre

Gargantua



Ricevuta e letta questa lettera, Pantagruele prese nuovo coraggio e fu infiammato a progredire più che mai, talché vedendolo studiare e imparare avreste detto che il suo spirito s'agitava tra i libri come foco tra i sarmenti infaticabile e scoppiettante.





CAPITOLO IX.



Come qualmente Pantagruele incontrò Panurgo che amò tutta la vita.





Un giorno Pantagruele, passeggiando fuori di città verso la badia di Sant'Antonio, mentre stava conversando e filosofando coi suoi e con alcuni studenti, incontrò un uomo di bella statura ed elegante in tutti i lineamenti del corpo, ma scorticato qua e là in modo pietoso e in così malo arnese da sembrare sfuggito ai cani, o, piuttosto, un coglitore di pomi della Perche. Non appena Pantagruele lo scorse da lungi disse:

- Vedete quell'uomo che viene per la strada del ponte di Charenton? In fede mia non è povero che per accidente: v'assicuro, a giudicar dalla fisonomia, che discende di nobile lignaggio, ma capita alla gente avventurosa di ridursi a tal penuria ed indigenza. E appena fu a tiro gli domandò:

- Vogliate fermarvi un po’, vi prego, amico mio, e rispondere a ciò che vi domanderò e non ve ne pentirete ché ho gran desiderio di aiutarvi come posso nella calamità in cui vi vedo e che m'ispira pietà. E intanto ditemi, amico mio, chi siete? Donde venite? Dove andate? Che cercate? Qual'è il vostro nome?

Quell’uomo rispose in lingua germanica:

- Junker(1) , Gott geb euch Glück und Heil zuvor. Lieber Junker, ich lass euch wissen, das da ihr mich von fragt, ist ein arm und erbarmlich Ding, und wer viel darvon zu sagen, welches euch verdruslich zu hoeren, und mir zu erzelen wer, wiewol die Poeten und Orators vorzeiten haben gesogt in iren Sprüchen und Sententzen, das die Gedechtnus des Ellends und Armout vorlangts erlitten ìst ein grosser Lust.

- Amico, rispose Pantagruele, non intendo punto queste sciarade; se volete che v'intenda parlate altro linguaggio.

- Al (2) barildin, l'uomo rispose, golfano dech min brin alabo dordin falbroth ringuam albaras. Nin porth zadilrin almacathim milko prim al elmin enthot dal heben ensorum; Kuth im al dim alkatim nim broth dechot porth nim micas im endoth, pruch dal marsonimm hol moth dansrikim lupaldas im voldemoth. Nin hur diaaolth mnarbothim dal gousch pal frapin duch in socth pruch galeth dal Chinon, min foultrich al conin butbathen doth dal prim.

- Intendete nulla? Chiese Pantagruele ai presenti.

- Io credo, disse Epistemone, che sia lingua degli antipodi, neanche il diavolo ne masticherebbe un cavolo.

- Compare, disse allora Pantagruele, non so se vi capiscano i muri, ma nessuno di noi ha compreso sillaba.

- Signor (3) mio, disse l'uomo: voi videte per exemplo che la cornamusa non suona mai s'ela non à il ventre pieno: così io parimente non vi saprei contare le mie fortune, se prima il tribulato ventyre non à la solita refectione, al quale è adviso che le mani e li denti abbiano perso il loro ordine naturale e del tuto annichillati.

- Tant'è questo come quello, risposte Epistemone. E Panurgo:

- Lard, (4) ghest tholb be sua virtiuss be intelligence ass yi body shal biss be natural relvtht, thold suid of me pety have, for nature hass ulss egualy maide: bot fortune sum exaltit hess, an oyis deprevit. Non ye less vioia mour virtius deprevit and virtiuss men discrivis, for, anen ye laud eud. Iss non gud.

- Meno ancora, rispose Pantagruele.

- Jona(5) riprese Panurgo, audie guaussa goussy etan beharda er remedio beharde versela ysser lauda. Anbat es otoy y es nausa ey nessasust gouray proposian ordine den, Nonyssena bayta facheria egabe gen herassy badia sadassu noura assia. Aran hobdauan gualde cydassu naydassuna. Eston oussyc ed vinau soury hien er darstura eguy harm. Genicod plasar vadu.

- Ci siete, Genicoa ? rispose Eudemone. A cui Carpalim:

- San Tregnano, fottetevi degli Scozzesi? Poco manca ch'io abbia inteso.

- Prug (6) rest fring, rispose Panurgo, sorgdmand strochdt drnds pag brlelang gravot chavygny pomardiere rusth pkalhdracg Deviniere pres Nays. Conille kalmuch monach drupp del meuplist rincq drlud dodelb up drent loch mine stz rinq iald de vins ders cordelis bur joest sizampenarot.

- Ma parlate voi cristiano, disse Epistemone, o lingua patelinesca? No, ci sono, è lingua lanternesca.

-Heere(7) , ik en spreeke anders geen taale, dam kersten taale, my dunkt nochtans al en zeg ik u niet een woord, mijnen nood verklaart genoeg wat ik hegeere: geef my uit bermherti gheid net, waar van ik govoed mag zijn.

- Anche questo buio pesto, disse Pantagruele. E Panurgo allora:

-Segnor(8) , de tanto hablar yo soy causado, por que yo suplico a vuestra reverencia que mire a los preceptos evangelicos, para que ellos movan vuestra reverencia a lo que es de conciencia; y si ellos non bastaren para mover vuestra reverencia a piedad, yo suplico que mire a la piedad natural, la qual yo creo que le movera como es de razon: y con eso non digo mas.

- Per Diana, amico mio, rispose Pantagruele, non metto in dubbio che sappiate ben parlare diverse lingue; ma dite ciò che volete in qualche lingua che possiamo intendere.

- Myn(9) Herre, disse l'uomo eudog ieg med inge tunge talede, ligeton born, oc uskellige creature; Mine klaedebon, oc mit legoms magerhed udviser alligevel klarlig hvad ting mig best behof gioris, som er saudelig mad oc dricke: Hvorfor forbarme dig over mig, oc befal at give mig noguet, af hvilcket ieg kand styre min gloendis mage, ligerviis som man Cerbero en suppe forsetter. Saa skal du lefve laenge oc lycksalig.

- Io credo, disse Eustene, che i Goti parlassero così, e, se Dio volesse anche noi parleremmo così, col culo.

- Adoni(10) , disse l'uomo, scholom lecha: im ischar harob hal habdeca, bemeherah thithen il kikar tehem, cham cathub; laah al adonai cho nen ral.

- Finalmente, rispose Epistemone, ho ben capito: questo è arabo pronunciato in tutte le regole. A cui l'uomo:

- Despota(11) tinyn panagathe, diati sy mi ouk artodotis? horas gar limo analiscomenon eme athlion ke en to metaxy me ouk eleis udamos, zetis de par emou ha ou chre. Ke homos philologi pautes homologonsi tote logous te ke remata peritta hyparchin, hopote pragma afto pasi delon esti. Entha gar anankei monon logi isin, hina praguata (hon peri amphisbetoumen) me prosphoros epiphenete.

- Che? disse Carpalim, servo di Pantagruele, questo è greco, l’ho bene inteso. Ma come? tu hai abitato in Grecia?

- Agonou(12) dont oussys, disse lo sconosciuto, vou denaguez algaron, non den faron zamist vou mariston ulbrou fousquez vou brol tam bredaguez moupreton den goul haust, daguez daguez nou croupysf ost bardonnoflist nou grou. Agon paston tol nalprissys hourton los ecbatonous, proou shouquys brol panygon deu bascrou non dous cagnons goulfren goul oust roppason.

- Mi par d'intendere, disse Pantagruele: o è la lingua del mio paese d'Utopia, o molto le somiglia nel suono.

E poiché voleva cominciare qualche discorso, lo sconosciuto disse:

- Iam(13) toties vos, per sacra, perque deos deasque omnes, obtestatus sum, ut, si qua vos pietas permovet, egestatem meam solaremini, nec hilum proficio clamans et ejulans. Sinite, quaeso, sinite, viri impii, quo me fata vocant abire, nec ultra vanis vestris interpellationibus obtundatis, memores veteris illius adagi, quo venter famelicus auriculis carere dicitur.

- Ma per Diana, disse Pantagruele, non sapete parlar francese?

- Benissimo, certo, signore, rispose quello; è anzi, grazie a Dio, la mia lingua naturale e materna poiché nacqui e fui nutrito ragazzo nel giardino di Francia: Turenna.

- E allora, soggiunse Pantagruele, diteci un po’ il vostro nome e donde venite; che, in fede mia, m'ha preso tal simpatia per voi, che, se consentite, non vi partirete più dalla mia compagnia e diventeremo un nuovo bel paio d'amici come Enea e Acate.

- Signore, disse il compagnone, il mio vero e proprio nome di battesimo è Panurgo e vengo ora di Turchia, dove fui condotto prigioniero quando, per mala sorte, s'andò a Mitilene. E volentieri vi racconterei le mie avventure, più mirabili di quelle d'Ulisse; ma poiché vi piace trattenermi con voi (e accetto l'offerta promettendo non lasciarvi mai, doveste andare a tutti i diavoli) avrò agio in altro momento, più comodo, di raccontarle. Ma ora ho necessità ben urgente di rifocillarmi: denti acuti, ventre vuoto, gola secca, appetito crepitante, tutto è ben disposto. Se volete mettermi all opera, sarà un balsamo vedermi divorare; date ordini, per Dio.

Allora Pantagruele comandò fosse accompagnato alla sua abitazione e gli portassero mangiare in abbondanza. Ciò fatto, Panurgo mangiò magnificamente quella sera, poi andò a coricarsi ingozzato come un cappone, e dormì fino all indomani all’ora di pranzo talché non fece che tre passi e un salto da letto a tavola.





CAPITOLO X.



Come qualmente Pantagruele con equità giudicò d una controversia fieramente oscura e difficile, e con tanto giusto giudizio che fu detto più ammirabile di quello dl Salomone.





Pantagruele, memore della lettera e ammonimenti del padre, volle un giorno mettere a prova il suo sapere e fece pubblicare su tutti i quadrivi della città novemila settecento e sessantaquattro proposizioni di ogni genere di scienza, toccanti i dubbi più forti delle singole scienze. E primamente, nella Rue du Feurre tenne testa a tutti i professori, i mastri d’arte e oratori e lo mise nell’organo a tutti. Poi discusse alla Sorbona contro tutti i teologi per lo spazio di sei settimane, dalle quattro del mattino fino alle sei di sera salvo due ore d’intervallo per la colazione.

Assistevano alla discussione la maggior parte dei signori della Corte di giustizia, i referendari, presidenti, consiglieri, contabili, segretari, avvocati e altri, insieme cogli scabini della città, i medici e i canonisti. E notate che la maggior parte di essi mordevano il freno; ma nonostante i loro sofismi e scantonamenti li mise nel sacco e fece far loro la figura di vitelli togati. Onde tutta la gente cominciò a passarsi la voce e a parlare del suo sapere così meraviglioso, persino le donnicciuole, lavandaie, ruffiane, rosticcere, coltellinaie e altre, le quali, quando passava per le strade dicevano:"è lui", e ciò gli dava piacere come si rallegrò Demostene principe degli oratori greci, quando una vecchierella rannicchiata disse: "È quello là".

Proprio in quel tempo era pendente davanti alla Corte un processo tra due grandi signori, il signor di Baciaculo attore in giudizio da una parte, e il signor di Fiutascorregge convenuto dall'altra. La loro controversia era sì alta e difficile in diritto, che la Corte del Parlamento non v'intendeva un'acca. Per comando del Re furono riuniti i quattro più sapienti e grassi Parlamenti di Francia insieme col Gran Consiglio e tutti i principali rettori d’università non solo della Francia, ma anche d’Inghilterra e d’Italia, come Giasone, Filippo Decio, Pietro de' Petronibus e un mucchio d'altri vecchi togati. E così riuniti per lo spazio di quarantasei settimane, non avevano saputo masticare né chiarire il caso per applicarvi il diritto in qualsiasi modo e n’erano sì indispettiti che cacavansi addosso dalla vergogna.

Ma uno di loro chiamato Due Douhet, il più sapiente, esperto e prudente di tutti, un giorno che erano storditi di cervello disse loro:

- Signori, da lungo tempo siamo qui senz'altro fare che spendere e non riusciamo a toccar fondo né riva in questa materia e tanto più vi studiamo tanto meno intendiamo, il che ci procura onta e ci grava la coscienza e temo non ne usciremo senza disonore, poiché non facciamo che farneticare coi nostri consulti. Ma ecco ciò che ho pensato. Avete senza dubbio udito parlare di quel grande personaggio chiamato mastro Pantagruele il quale, nelle grandi discussioni sostenute contro tutti pubblicamente ha dimostrato esser sapiente oltre ogni possibilità del tempo nostro; ebbene, son d'avviso che lo chiamiamo e ci consultiamo in questo processo con lui, poiché nessun altro ne verrà a capo se non ci riesce lui.

Consentirono tutti i consiglieri e dottori, e infatti subito lo mandarono a cercare e lo pregarono di voler rivedere e studiare a fondo il processo e di preparar loro una relazione come più gli piacesse e secondo la vera scienza legale. E affidarono alle sue mani sacchi e incartamenti di che si potevano caricare quattro grossi asini con tanto di coglioni.

Ma Pantagruele disse loro:

- I due signori che hanno promosso questo processo sono ancor vivi?

Gli fu risposto che sì:

- A che diavolo dunque servono, disse, tutti questi mucchi di atti e di copie consegnatemi?

Non è meglio udire dalla loro viva voce il dibattimento piuttosto che leggere queste babbuinerie, null'altro che imbrogli, e diaboliche cautele uso Cipolla e sovversioni del diritto? Poiché io son sicuro che voi e tutti quelli per le mani dei quali è passato il processo, vi avete macchinato a tutto vostro potere pro et contra; e se la loro controversia era chiara e facile a giudicare, voi l'avete oscurata en sciocche e sragionevoli ragioni e inette citazioni dell'Accursio, di Baldo, di Bartolo, di Castro, dell'lmola d’Ippolito, del Panormo, di Bertacchino, di Alessandro del Curtius e di quegli altri vecchi mastini che mai non intesero la minima legge delle Pandette e non erano se non grossi vitelli da decima, ignoranti di quanto è necessario alla intelligenza delle leggi. Poiché (come gli è ben certo) non avevano conoscenza di lingua né greca né latina ma solamente del gotico e barbaro. Laddove in primo luogo le leggi son attinte dai Greci come attesta Ulpiano, l. posteriori de Origine iuris, e tutte le leggi son piene di sentenze e parole greche; in secondo luogo sono redatte nel più elegante e adorno stile che vanti la lingua latina, non facendo eccezione, a mio gusto, né per Sallustio, o Varrone, o Cicerone, o Seneca, o Tito Livio, o Quintiliano. Come avrebbero dunque potuto intendere il testo delle leggi quei vecchi farneticanti i quali mai non videro un buon libro latino come appare manifestamente dal loro stile, stile da spazzacamini da cuochi e da sguatteri, non da giureconsulti?

Inoltre, poiché le leggi hanno radice nel nocciolo della filosofia morale e naturale, come le potrebbero intendere quei folli i quali di filosofia, perdio, ne hanno studiato meno della mia mula? Di lettere umane poi, d'archeologia e di storia di cui il diritto è imbevuto, essi n'erano carichi come un rospo di piume, e ne usano come un crocifisso d’un piffero. Senza tutte quelle conoscenze le leggi non possono essere intese come un giorno ampiamente dimostrerò per iscritto. Perciò se volete che studii il processo, primieramente fatemi bruciare tutte quelle carte e in secondo luogo fate venire davanti a me i due gentiluomi in persona, e quando li avrò uditi vi dirò la mia opinione senza finzione o dissimulazione di sorta.

Alcuni dei presenti erano contrari come sapete che avviene in tutte le riunioni dove sono più i matti che i saggi e la parte più numerosa sormonta sempre la migliore, come asserisce Tito Livio parlando dei Cartaginesi. Ma il detto Du Douhet per contro, sostenne virilmente ciò che Pantagruele aveva ben detto, che quei verbali, inchieste, repliche controrepliche, incriminazioni, discriminazioni e altrettali diavolerie, non rappresentavano che sovversioni del diritto e lungaggini, e che il diavolo se li portasse via tutti quanti se non procedevano altrimenti secondo equità filosofica ed evangelica. Insomma tutte le carte furono bruciate e i due gentiluomi personalmente convocati.

E allora Pantagruele disse loro:

- Siete voi che avete insieme questa gran controversia?

- Sissignore, dissero essi.

- Quale di voi è l'attore in giudizio?

- Io, rispose il signore di Baciaculo.

- Ora, amico mio, raccontatemi per filo e per segno la faccenda, secondo verità, e se, perdio, mentirete una sola parola, vi spiccherò la testa dalle spalle e vi mostrerò che in giustizia e giudizio non si deve dire che la verità; perciò guardatevi bene dall'aggiungere o togliere un ette al racconto del vostro caso. Dite.



CAPITOLO XI.



Come qualmente i signori di Baciaculo e Fiutascorregge discussero davanti a Pantagruele senza avvocati.





Cominciò Baciaculo nella maniera seguente:

- Signore, è vero che una buona donna della mia casa portava a vendere delle ova al mercato.

-Tenete il cappello, Baciaculo, disse Pantagruele.

- Grazie, Signore, disse il signore di Baciaculo. Ma a proposito passavano tra i due tropici sei bianchi, verso lo zenit e maglia tantoché i monti Rifei avevano avuto quell'anno grande sterilità di frottole causa una sedizione di balle, mossa contro i Baraguini e gli Accursieri, per la ribellione degli Svizzeri che s'erano riuniti fino al numero di tre, sei, nove, dieci per andare all'agucchianuovo, il primo buco dell'anno quando si lascia la minestra ai buoi e la chiave del carbone alle domestiche per dar l'avena ai cani. Tutta la notte non si fece (colla mano sul boccale) che spedire bolle a piedi e bolle a cavallo per trattener le navi, poiché i sarti volevano fare, con scampoli rubati,



un cerbottano

Per coprire il mare oceáno,



il quale allora era grosso quanto una pentola di cavoli secondo l'opinione degl'imballatori di fieno; ma i medici dicevano che dalla sua urina non appariva segno evidente,



al passo dell'ottarda

di mangiare le scuri con mostarda



salvoché i signori della Corte facessero per bemolle, una ordinanza alla sifilide di non più racimolare dietro i magnani e passeggiare così durante il servizio divino; poiché i birbanti avevano già buon principio a danzare l'estrindoro al diapason,



un piè nel foco

E il capo in mezzo è un gran bel gioco,



come diceva il buon Ragot. Ah, signori, Dio governa tutto a suo piacere, e, contro la fortuna avversa un carrettiere ruppe buffetti la sua frusta. Fu al ritorno dalla Bicocca, quando Mastro Antito delle Crescioniere, s'addottorò in ogni grossezza, come dicono i canonisti: Beati lourdes, quoniam ipsi trebuchaverunt. Ma ciò che fa la quaresima così alta, per San Fiacre della Brie, non è altro che



La Pentecoste

Che mai non viene senza che mi coste:



ma :



arri, giumento,

Un po' di pioggia abbatte il più gran vento.



Inteso che il gendarme non mise così alto il bersaglio al tiro che il cancelliere non si leccasse circolarmente le dita impiumate di penna d'oca maschio, e noi vediamo chiaramente che ciascuno se la prende col naso, salvoché non si guardasse in prospettiva cogli occhi volti verso il camino, nel luogo dove pende l'insegna del vino da quaranta cinghie, che sono necessarie a venti basti di dilazione. O almeno chi non vorrebbe sguinzagliar l'uccello davanti alla torta piuttosto che scoprirlo, poiché spesso la memoria si perde quando uno si calza a rovescio. Orsù, Dio salvi del male Tibaldo Mitaine!

- Adagio, amico mio, adagio, interruppe Pantagruele, parlate con moderazione e senza collera. Ho capito il caso; proseguite.

- Veramente, disse il signore di Baciaculo, è giusto ciò che si dice esser bene avvisare talora le persone, poiché uomo avvisato è mezzo salvato. Ora, signore, proseguì Baciaculo, la detta donnicciuola mormorando le sue antifone: Gaude e audi nos, non può coprirsi d'un falso rovescione ascendente in virtù, perbacco, dei privilegi dell'università, se non per ben lavarsi all'inglese, coprendolo con un sette di quadri, e tirandogli una stoccata volante proprio vicino alla posizione dove si vende la vecchia stoffa, come usano fare i pittori fiamminghi quando vogliono a buon diritto ferrare le cicale; ed io stupisco come la gente non faccia ova visto che sa così ben covare.

A questo punto il signore di Fiutascoregge interloquì volendo rettificare qualche cosa; ma Pantagruele lo rimbrottò:

- Come mai, ventre di Sant'Antonio! ti permetti di parlare senza autorizzazione? Io son qui che mi affanno a intendere la procedura della controversia e tu vieni ancora a rompermi le scatole? Silenzio, per tutti i diavoli, silenzio! Parlerai quanto ti pare quando l'altro avrà finito. Continuate, disse a Baciaculo, e non abbiate fretta.

- Vedendo dunque, proseguì Baciaculo,



Che di ciò non fea menzione

La prammatica sanzione,



e che il papa dava a ciascuno specifica libertà di scorreggiare a suo agio, se il bianchetto non fosse rigato, per quanto sia grande la povertà al mondo, purché uno non si segnasse colla mano mancina dei ribaldi, l'arcobaleno foggiato di fresco a Milano per sbocciare le allodole consentì che la buona donna scuotesse le sciatiche per la protesta de pesciolini coglioni che erano allora necessari a intendere la costruzione dei vecchi stivali. Gianvitello pertanto, suo cugino Gervasio riscosso dalla legna da bruciare, le consigliò che non si rischiasse a quest'avventura di lavare la melma fregatoria senza prima dar l'allume alla carta fintanto che pille, nade, soque, fore: poiché



Non de ponte vadit

Qui cum sapientia cadit,



considerato che i signori della Corte dei Conti non convenivano nella intimazione dei flauti alemanni coi quali avevan fabbricato Gli occhiali dei principi stampati di recente ad Anversa. Ed ecco, signori, che fa una cattiva relazione, e credo alla parte avversa, in sacer verbo dotis. Poiché volendo ottemperare al volere del re, mi ero armato da capo a piedi d'una quadratura di ventre per andare a vedere come i miei vendemmiatori avessero tagliuzzato i loro gran berretti per meglio suonar le nacchere; infatti era il tempo alquanto pericoloso della cacarella, onde parecchi franchi arcieri erano stati rifiutati alla mostra nonostante che i camini fossero abbastanza alti secondo la proporzione della giarda e delle malandre dell'amico Baudichon. E, in questo modo fu una grande annata di conchiglie nell'Artois, e non fu piccolo emendamento per i signori portatori di gerle, quando si mangiava senza sguainare i galligrù a ventre sbottonato. E, che ciascuno, secondo il mio volere, avesse anche bella voce: meglio si giocherebbe al pallone e le piccole finezze che si ottengono etimologizzando gli zoccoli, discenderebbero più agevolmente alla Senna, per servir sempre al ponte dei Mugnai, come un tempo fu decretato dal re delle Canarie, e il decreto si trova ancora in questa cancelleria qua dentro. Perciò, signore, io faccio istanza che sul caso sia detto e dichiarato da Vostra Signoria ciò che di ragione, con spese, danni e interessi.

- Amico, disse allora Pantagruele, desiderate aggiungere più nulla?

- No, signore, rispose Baciaculo, giacché ne ho detto tutto il tu autem, senza, sull'onor mio, nulla deformare.

- A voi dunque, disse Pantagruele, signor di Fiutascorregge, dite ciò che credete, e siate breve, senza nulla tralasciare tuttavia di ciò che servirà alla causa.





CAPITOLO XII.



Come qualmente il signore di Fiutascorregge perorò davanti a Pantagruele.





Allora cominciò il signore di Fiutascorregge, nel modo che segue:

- Signore, signori, se l'iniquità degli uomini fosse vista colla stessa facilità di giudizio categorico, come vedonsi mosche in latte, il mondo, in nome di quattro buoi! non sarebbe tanto roso dai sorci com'esso è, e vi sarebbero sulla terra molte orecchie che ne sono state divorate troppo vilmente. Infatti, benché tutto ciò che ha detto la parte avversa sia verissimo quanto alla lettera e storia del factum, tuttavia, signori, sotto il vaso di rose, ci stanno nascosti la finezza, l'imbroglio, i rampini.

Devo io tollerare che mentre mangio la mia zuppa senza pensare né dir male d'alcuno, mi vengano a rompere le scatole e a intronare il cervello sonandomi l'antifona e dicendo:



Chi mangiando zuppa beve,

Dopo morto non ci vede.



E, santa madonna, quanti grandi capitani non abbiamo visto in pieno campo di battaglia quando si davano gli scapaccioni del pane benedetto della confraternita per dondolarsi più bellamente, strimpellare il liuto, suonar di culo e far saltellini sulla piattaforma colle loro scarpette tagliate a barba di gambero ? Ma ora il mondo è tutto libero e sciolto dai lucchi di Leicester; l'uno si dà all'orgia, l'altro cinque quattro e due, e se la Corte non vi pone rimedio sarà un cattivo spigolare quest'anno, oppure farà dei bicchieri. Se un povero diavolo va ai bagni per farsi istoriare il muso di sterco vaccino, o a comprare stivali d'inverno e i gendarmi o quelli della ronda ricevono sui loro tabernacoli o la pozione d'un clistere o la materia fecale d'un bugliolo, dovrebbesi per questo limare i testoni o fricassare scud...elle di legno? Talora noi pensiamo una cosa ma Dio ne fa un'altra e quando il sole è tramontato tutte le bestie sono all'ombra. Non voglio essere creduto se non lo provo gagliardamente con gente di piena luce.

L'anno trentasei, avevo comprato un cortalto di Germania, alto e corto d'assai buona lama e tinto in grana come garantivano gli orefici: tuttavia il notaio vi mise i suoi etcetera. Io non son punto una scienza da prendere la luna con i denti; ma nel vaso del burro dove si sigillavano gli strumenti di Vulcano correva voce che il manzo salato facesse trovare il vino senza candela di piena mezzanotte, foss'anche nascosto in fondo a un sacco di carbonaio gualdrappato e bardato in tutto punto, col frontale e i gambali richiesti a ben fricassar l'arrosto, cioè a dire testa di castrato. Ed è ben vero il proverbio che dice: fa buon vedere vacche nere in bosco bruciato quando si fa all'amore. Feci consultare su questa materia i signori uomini di scienza ed essi risolsero e conclusero, per frisesomorum che nulla è sì confacente quanto il falciar l'estate in cantina ben guarnita di carta e inchiostro di penne e temperino di Lione sul Rodano, tarabin tarabas: poiché non appena un'armatura puzza d'aglio, la ruggine le mangia il fegato, e poi non fa che ribellarsi al torcicollo fiuterellando il sonnellino dopo pranzo. Ed ecco perché il sale è tanto caro.

Non crediate, signori, che al tempo in cui la buona donna ingoiò il palettone per meglio rinforzare il ricordo del gendarme e che le interiora buddinali tergiversarono per le borse degli usurai, nulla fu più indicato per difendersi dai cannibali che prendere una resta di cipolle legata con trecento Avez Mariatz e alcun poco di reti di vitello della miglior lega che possiedano gli alchimisti, ben spalmare e calcinare le pantofole pian pian bel bello, con una buona salsa di rastrello e nascondersi in qualche tana di talpa, salvando sempre le trippe. E se il dado non vuol altro rispondere che doppio asse, o doppio tre ecc. mettete la dama in un cantuccio del letto e palleggiatela qua e là turututela turututà e bevete a fondo, depiscando grenoillibus, a piena gola; e riservatevi per le ochette all'ingrasso che si divertono al gioco del fochetto, attendendo di battere il metallo e scaldar la cera ai bevitori di birra. Gli è vero che i quattro buoi di cui si parla avevano la memoria un po' corta; tuttavia per saper la gamma, non temevano marangone né anitra savoiarda, e la buona gente della mia terra ne traeva buona speranza dicendo: "questi figliuoli diventeranno grandi in algebra e ciò sarà per noi una rubrica di diritto". Non è possibile che ci sfugga il lupo, facendo le siepi al di sopra del mulino a vento del quale ha parlato la parte avversa. Ma il gran diavolo n'ebbe invidia e mise gli Alemanni pel di dietro che fecero diavoli da bere: Her! tringue, tringue! das is, cotz, fretorum bigot paupera guerra fuit . E mi stupisco forte come gli astrologi si perdano tanto nei loro astrolabii e almicantari. Poiché non v'è alcuna verosimiglianza affermando che a Parigi una gallina di paglia ch'ova fa sul Piccolo Ponte e fossero pure crestate quanto upupe di palude, salvoché veramente, non si sacrificassero le pompette dell'inchiostro di fresco spremuto di lettere versali, o corsive, per me è lo stesso, purché la stringhetta non vi generi i vermi.

E posto il caso che, all'accoppiamento dei cani correnti, le scimiettine avessero dato un suon di corno prima che il notaio avesse consegnato la sua relazione per arte cabalistica, non ne segue perciò (salvo il miglior giudizio della Corte) che sei pertiche di prato, di quelle abbondanti facessero tre balle di fino inchiostro senza soffiare al bacino, considerato che ai funerali del re Carlo si trovavano in pieno mercato le pelli per



sei bianchi, intendo, nel giurar di lana.



E vedo di consueto, in tutte le buone cornamuse, che quando si va alla posta, facendo tre giri di scopa pel camino e insinuando il proprio nome, non si fa che sforzare i reni e soffiare al culo, se per avventura fosse troppo caldo, e birilli e bilie,



tosto appena le lettere vedute,

le sue vacche gli furono rendute.



E ne fu dato eguale decreto alla martingala l'anno diciassette per il mal governo di Louzefoigerouse, a cui piacerà alla Corte porre attenzione.

Io non dico veramente che non si possa per equità spossessare in giusto titolo quelli che berrebbero acqua benedetta come si fa d'una taglia di tessitore, onde si fanno le suppositorie a quelli che non vogliono far merenda se non a buon gioco buon danaro. Tunc, signori, quid juris pro minoribus? Poiché l'usanza comune della legge salica è tale che il primo butta fuoco che affronta la vacca, che soffia il naso in pieno canto di musica, senza solfeggiare i punti del ciabattino, deve, in tempo di baldoria, sublimare la penuria del suo membro con la mu...sica colta durante la noia della messa di mezzanotte per tirare il collo a quei vini bianchi dell'Angiò che danno lo sgambetto alla moda di Bretagna. Concludendo come sopra con spese, danni e interessi". Poiché il signore di Fiutascorregge ebbe finito, Pantagruele disse al signore di Baciaculo:

- Volete nulla replicare amico mio ?

- Nulla, signore, rispose Baciaculo; poiché non ho detto che la verità, date fine, in nome di Dio, alla nostra causa, perché non siamo qui senza grandi spese.





CAPITOLO XIII.



Come qualmente Pantagruele diede la sentenza nella causa dei due signori.





Allora Pantagruele si leva, riunisce tutti i presidenti, consiglieri e dottori là presenti e dice loro:

- Orsù, signori, voi avete udito (vivae vocis oraculo) la causa in questione; che ve ne sembra?

- Noi l'abbiamo veramente udita, risposero, ma non ne abbiamo capito un accidente. Perciò vi preghiamo una voce, e supplichiamo che vogliate per grazia emettere la sentenza quale vi parrà e ex nunc prout ex tunc, noi l'accettiamo e ratifichiamo di pieno consentimento.

- Ebbene, signori, disse Pantagruele, poiché così vi piace, lo farò; ma non trovo il caso così difficile come a voi pare. Il vostro pragrafo Catone, la legge Frater, la legge Gallus, la legge quinque pedum, la legge Vinum, la legge Si dominus, la legge Mater, la legge Mulier bona, la legge Si quis, la legge Pomponius, la legge Fundi, la legge Emptor, la legge Praetor, la legge Venditor e tante altre sono ben più difficili, a mio avviso. E, ciò detto, fece per la sala un giro o due immerso, a quanto si poteva stimare, nella più profonda meditazione talché gemeva come un asino frustato troppo forte, pensando che si doveva far diritto a ciascuno, senza deviare né eccettuare alcuno. Poi tornò a sedersi e cominciò a pronunziare la sentenza in questa guisa esprimendosi:

"Vista, intesa, e ben ponderata la controversia tra i signori di Baciaculo e di Fiutascorregge, la Corte dice loro;

Che considerata l'orripilazione del pipistrello che declina bravamente dal solstizio estivo per mughettare le bolle gonfie di vento che hanno avuto il matto del bevitore per le maschie vessazioni dei lucifugi, che sono al clima attraverso Roma di un crocifisso a cavallo che tende una balestra alle reni, il requirente ebbe giusta ragione di ristoppare il galeone che la buona donna rigonfiava con un piede calzato e l'altro nudo, rimborsandolo basso e rigido nella sua coscienza di tante bagatelle quanti vi son peli in diciotto vacche, ed altrettanto pel ricamatore.

Similmente è dichiarato innocente del caso privilegiato delle immondizie che si pensava fosse incorso in ciò che non poteva baldamente defecare, per la decisione d'un paio di guanti profumati di scorreggiamento alla candela di noce come si usa nel suo paese di Mirebaloys, allentando la bolina con palle di bronzo, onde i pagliacalzarati pasticciavano contestabilmente i loro legumi conditi di esca a tutti i sonaglietti di sparviero fatti a punto d'Ungheria, che suo cognato portava, a memoria d'uomo, in un paniere limitrofo, ricamato di rosso, a tre caproni male in gambe di canevacci nel canile angolare onde si tira al pappagallo vermiforme con la scopa.

Ma quanto a ciò di cui egli fa carico al convenuto, che fu rabberciatore, caseofago e impegolatore di mummie, che ben scampanando, non risultò vero, come ha contestato il detto convenuto, la Corte lo condanna a tre bicchieri di latte cagliato, stagionato, pirimpimpinato, com'è il costume del paese, verso il detto convenuto, pagabile al ferragosto maggengo; ma il detto convenuto, a sua volta sarà tenuto a fornire fieno e stoppa per turare i trabocchetti gutturali imberlucocati di gilverdoni ben crivellati a rotella; e amici come prima, con esenzione da spese e pour cause".

Pronunciata la sentenza le due parti si partirono, soddisfatte entrambe del giudizio, che fu cosa quasi incredibile. Poiché non era mai avvenuto dopo le grandi pioggie, né più avverrà prima di tredici giubilei, che due parti contendenti in processo contradditorio siano egualmente contente d'un giudizio definitivo. Quanto ai consiglieri e agli altri dottori presenti, restarono svenuti in estasi per ben tre ore; e tutti rapiti in ammirazione per la sapienza più che umana di Pantagruele, la quale apprezzarono chiaramente nella risoluzione di quel processo tanto difficile e spinoso. E sarebbero ancora in svenimento se non si portava molto aceto e acqua rosata per far loro tornare i sensi e l'intelletto accostumato. Onde Dio sia lodato dappertutto!





CAPITOLO XIV.



Come qualmente Panurgo racconta la maniera per la quale sfuggì dalle mani dei Turchi.





Il giudizio di Pantagruele fu incontanente saputo e inteso da tutti, stampato in gran copia, e riposto negli archivi del Tribunale; per guisa che la gente cominciò a dire: "Salomone, che già restituì per induzione il figliolo alla madre, mai non mostrò un tale capolavoro di sapienza come il buon Pantagruele: siamo fortunati d'averlo nel nostro paese".

E infatti vollero farlo referendario e presidente della Corte; ma egli rifiutò tutto ringraziandoli graziosamente: "poiché, disse, troppo greve schiavitù è in questi uffici e con troppo grave pena possono esser salvi quelli che li esercitano, data la corruzione degli uomini. E io credo che se le sedi vacanti degli angeli non sono occupate da altra sorta di gente, fra trentasette giubilei avremo il giudizio finale, o Cusano avrà errato nelle sue congetture. Ve ne avverto per tempo. Ma se avrete qualche moggio di buon vino, volentieri lo riceverò in regalo". Essi ben volentieri gl'inviarono del migliore della città ed egli bevve abbastanza bene. Valorosamente bevve il povero Panurgo che era sitibondo come un'aringa salata, onde camminava come un gatto magro.

Qualcuno l'ammonì a mezzo fiato d'un gran nappo pieno di vino vermiglio, dicendo:

- Pianino, compare! Vi ha preso la rabbia del tracannare?

- Per cento diavoli, diss'egli, non hai mica trovato uno di quei bevitorucoli di Parigi che non bevono più d'un fringuello e non prendono l'imbeccata se non picchiando loro sulla coda al modo dei passeri. O compagno, se io montassi così bene come mando giù, sarei già sopra la sfera della luna con Empedocle. Ma non so che diavolo ciò significa: questo vino è buonissimo e deliziosissimo: ma più ne bevo e più ne ho sete. Credo che l'ombra di monsignore Pantagruele generi gli assetati, come la luna genera i catarri.

Risero i presenti a queste parole. E ciò vedendo Pantagruele disse:

- Di che ridono, Panurgo ?

- Signore, rispose, contavo loro quanto siano infelici quei diavoli di Turchi di non bere mai goccia di vino. Se altro malanno che questo non avesse l'alcorano di Maometto, basterebbe a tenermi lontano dalla sua legge.

- Ma ditemi un po', disse Pantagruele, come sfuggiste loro dalle mani?

- Per Dio, signore, disse Panurgo non vi dirò parola che non sia vangelo. Quei porci di Turchi mi avevano legato allo spiedo tutto lardellato come un coniglio poiché ero così magro, che la mia carne sarebbe stata altrimenti ben cattiva vivanda; e mi facevano arrostir vivo. Mentre m'arrostivano mi raccomandavo alla grazia divina, avendo in memoria il buon San Lorenzo, e sempre speravo in Dio che mi liberassero da quel tormento. Ciò avvenne in modo ben strano. Infatti mentre mi raccomandavo di buon cuore a Dio gridando: "Signore Iddio, aiutami! Signore Iddio, salvami! Signore Iddio, toglimi da questo tormento al quale i cani traditori m'han dannato per aver osservato la tua legge!", l'arrostitore s'addormentò, per volere divino oppure di qualche buon Mercurio il quale aveva addormentato cautamente anche Argo che pur avea cent'occhi.

Quando m'accorsi che non mi girava più per arrostirmi, io lo guardo e vedo che s'addormenta. Allora afferro coi denti un tizzone dal capo dove non bruciava, e ve lo getto in grembo al mio arrostitore, un altro lo getto il meglio che posso sotto un letto da campo che era presso il camino, nel quale stava il pagliericcio del mio signor arrostitore. Subito il fuoco divampa e dalla paglia passa al letto, dal letto al solaio che era coperto d'abete con chiavi a coda di lampada. Il bello fu che il fuoco gettato in grembo a quel porco del mio arrostitore gli bruciò tutto il pelo e stava appiccandosi ai coglioni; ma egli non era poi tanto sordo da non sentirlo e levandosi stordito gridava alla finestra con quanta voce aveva: "Dal baroth! dal baroth!" che è quanto dire: Al fuoco! al fuoco! E tosto venne dritto a me per gettarmi del tutto nel fuoco e già aveva sciolto le corde che mi legavano le mani, e tagliava i legami dei piedi. Ma il padrone della casa udendo gridare: al fuoco! e sentendo già il fumo, dalla strada dove passeggiava con qualche altro pascià e musaffì, corse quanto poté a portar soccorso e a salvar le sue robe.

La prima cosa, arrivando, estrasse lo spiedo dov'ero infilzato e uccise netto il mio arrostitore il quale morì là per mancanza di cure, o altrimenti, perché gl'infilzò lo spiedo un po' sopra l'ombilico verso il fianco destro e gli trapassò il terzo lobo del fegato e la punta salendo gli forò il diaframma e attraversando la capsula del cuore gli uscì di sopra la spalla tra le vertebre e l'omoplato sinistro. Vero è che estratto lo spiedo dal mio corpo, io cado a terra presso gli alari e mi feci un po' male nella caduta; ma non tanto poiché il lardo ond'ero lardellato, attenuò il colpo. Il mio pascià, vedendo poi che il caso era disperato e che la sua casa bruciava senza remissione e tutta la sua roba era perduta si votò a tutti i diavoli chiamando Grilgoth, Astaroth, Rapalus e Gribouillis per nove volte.

Il che vedendo ebbi paura per più di cinque soldi, temendo fra me: ora i diavoli arriveranno per portar via questo matto; sta a vedere che son capaci di portar via anche me! Sono già mezzo arrostito e il lardellamento sarà causa del mio male poiché i diavoli son ghiotti di lardo come affermano il filosofo Jamblico e il Murmault nell'apologia De bossutis, et contrefactis pro magistros nostros; ma feci il segno della croce gridando: agios, athanatos, oh theos! E nessuno venne. Ciò vedendo il mio brutto pascià voleva uccidersi col mio spiedo, trafiggendosi il cuore: puntò infatti lo spiedo contro il petto, ma quello non poté forarlo, per quanto spingesse, perché non era abbastanza aguzzo; spingeva, ma non ne aveva alcun profitto. Allora io accorsi a lui dicendo: "Messer bougrino, tu perdi qui il tuo tempo perché non riuscirai mai a ucciderti così, bensì ti farai qualche ferita di cui soffrirai tutta la vita, sempre tra le mani dei barbieri: ma, se vuoi, io ti ucciderò netto in modo che non sentirai nulla, e devi credermi perché molti altri ne ho uccisi che se ne son trovati benissimo".

- Ah, amico mio, disse quello, uccidimi te ne prego; se ciò farai ti dono la mia borsa, tieni, eccola là: vi son dentro seicento serafi e alcuni diamanti e rubini perfetti.

- Dove sono? interruppe Epistemone.

- Per San Giovanni, disse Panurgo, sono ben lontani se corrono sempre. Mais où sont les neiges d'antan? come diceva con gran preoccupazione, Villon il poeta parigino.

- Finisci, ti prego, disse Pantagruele, che sappiamo come hai conciato il tuo pascià.

- In fede di galantuomo, disse Panurgo, non dico frottole: lo fascio con un paio di bracaccie mezzo bruciate che erano là e gli lego rudemente piedi e mani colle mie corde così che non potesse saltare, poi gl'infilzai il mio bravo spiedo nella gola e così lo appesi appoggiando lo spiedo a due grossi ganci che sostenevano delle alabarde. Vi accendo un bel fuoco sotto e vi ardo il mio bravo milord come si fa delle aringhe salate sotto il camino. Poi, presa la sua borsa e un piccolo giavellotto che stava sui ganci, me la diedi a gambe. E dio sa il buon odore di castrato arrosto che mandava la mia spalla !

Disceso nella strada, trovai tutta la gente accorsa per spegnere il fuoco a forza d'acqua. E vedendomi così mezzo arrostito ebbero instintivamente pietà di me e mi gettarono tutta la loro acqua addosso rinfrescandomi allegramente e ciò mi fece un gran bene; poi mi diedero un po' di mangiare, ma io non mangiava affatto poiché da bere non mi offrivano che acqua secondo il lor costume. Altro male non mi fecero, salvo un brutto turchettino, gobbo davanti, che furtivamente mi rosicchiava i miei lardi, ma io gli sferrai un colpo di giavellotto a tutta forza e così secco sulle dita, che non tornò la seconda volta. E una giovane di Corinto, che m'aveva portato un vaso di mirabolani marmellati alla loro moda, la quale guardava come il mio povero giannettone smussato, s'era contratto al fuoco e non m'arrivava più che sopra le ginocchia. Però, notate, (tutto il mal non vien per nuocere) quell'arrostimento mi guarì completamente d'una sciatica che mi tormentava da più di sett'anni, dalla parte dove il mio arrostitore, addormentatosi, mi lasciava bruciare.

Intanto, mentre quella gente si distraeva con me, il fuoco divampava, non chiedete come, in modo da bruciare più di due mila case, tanto che qualcuno di loro se n'accorse e gridò: "Pel ventre di Maom! La città brucia e noi ci perdiamo qui!" Così ciascuno se ne va pe' fatti suoi e io prendo la strada verso la porta. Quando fui su una piccola altura là presso, mi volto indietro come la moglie di Loth e vedo tutta la città in fiamme come Sodoma e Gomorra e ne fui così contento che credetti di scagazzarmi addosso per la gioia; ma Dio me ne punì.

- Come? disse Pantagruele.

- Mentre, continuò Panurgo, ammirava in gran letizia quel bel fuoco, canzonando e gridando: "Ah, povere pulci, ah poveri topi, il fuoco è sul vostro pianerottolo, avrete un cattivo inverno!" sbucarono dalla città fuggendo il fuoco più di sei, anzi più di milletrecento e undici cani, grandi e piccoli tutti insieme. Di primo slancio accorsero dritti a me sentendo l'odore della mia porca carne mezzo arrostita, e m'avrebbero divorato in un istante se il mio buon angelo non m'avesse bene ispirato suggerendomi un rimedio adattissimo contro il mal di denti.

- Oh perché temevi il mal di denti? disse Pantagruele. Non eri guarito dai reumi ?

- Pasqua solare! rispose Panurgo, esiste mal di denti più grande di quando i cani vi mordono i polpacci? Ma ecco che io penso ai miei pezzi di lardo e li getto in mezzo a loro ed ecco i cani se ne vanno e s'azzuffano l'un l'altro a morsi contendendosi il lardo. In questo modo mi lasciarono, ed io li lascio battersi tra loro. E così scappo gagliardo e contento e viva la rosticceria!





CAPITOLO XV.



Come qualmente Panurgo insegna una ben nuova maniera di costruire le mura di Parigi.





Pantagruele, un giorno, per svagarsi dagli studi, s'avviava a passeggio verso i sobborghi di San Marcello, volendo visitare la villa dei Gobelins. Panurgo era con lui sempre con una sua bottiglia sotto la tonaca e qualche fetta di prosciutto; né mai andava sprovvisto di quel viatico, dicendo che era la sua guardia del corpo, né cingeva altra spada all'infuori di quella. E a Pantagruele che voleva offrirgliene una, rispose che gli avrebbe dato riscaldo alla milza.

- Ma, se ti assalgono, disse Epistemone, come ti difendi ?

- A colpi di ciabatta, rispose, purché le spade sian escluse.

Al ritorno Panurgo considerando le mura della città di Parigi disse a Pantagruele con ironia:

- Ah, le belle mura davvero! Come son forti e in tutto punto per difendere ochette in stia! Per la mia barba, sono ben meschine per una città come questa, un peto di vacca ne abbatterebbe sei braccia e davvantaggio.

- Oh, amico mio, rispose Pantagruele, sai tu che cosa disse Agesilao quando gli domandarono perché la grande città di Lacedemone non fosse cinta di mura? Mostrò gli abitanti e cittadini della città, tanto esperti di cose militari fortissimi e bene armati ed: "Ecco, disse, le mura della città", volendo significare che non v'è muro migliore che d'ossa e che le città e cittadelle non potrebbero aver mura più sicure e forti della virtù dei cittadini ed abitanti. Così Parigi è sì forte per la moltitudine del suo popolo bellicoso, che non si curano di fabbricare altre mura. Senza contare inoltre che il cingerla di mura come Strasburgo, Orléans, o Ferrara, non sarebbe possibile per eccesso di spesa.

- Ma, soggiunse Panurgo, non fa mica male alla salute avere qualche muso di pietra quando s'è assaliti dai nemici, non foss'altro che per domandare: Chi è laggiù? Quanto alle spese enormi che dite, se i signori della città volessero regalarmi qualche buon boccale, insegnerei io una maniera nuovissima per costruir mura a buon mercato.

- E come ? chiese Pantagruele.

- Non l'andrete mica a ridire, se ve l'insegno, disse Panurgo. Ecco, io vedo che la filiberta delle dame di questo paese costa meno delle pietre. Quello è buon materiale da costruir mura. Ma bisognerebbe ordinarle per buona simmetria d'architettura in modo che le più grandi risultino in prima fila, poi inalzando una bella scarpata a dorso d'asino, collocare le mediane e finalmente, di sopra, le piccole. Poi tra l'una e l'altra fare un beI lardellamento a punte di diamante, come nella grossa torre di Bourges, di que' tanto duri bischeracci che abitano nelle brachette claustrali. Qual diavolo potrebbe abbattere tal muraglia ? Non v'è metallo tanto resistente ai colpi. E poi vengano pure le cogliombrine a provarcisi! Voi vedreste, perdio, quei marcantoni distillare incontamente il benedetto frutto dello scolo minuto e fitto come pioggia, per tutti i diavoli. Inoltre, mai non vi saetterebbe su. Perché? dite voi; ma perché son tutti benedetti e consacrati Non c'è che un solo inconveniente.

- Oh, oh, ah, ah, ah, ah ! disse Pantagruele, e quale?

- Gli è che le mosche ne son ghiotte a meraviglia e vi farebbero ressa facilmente lasciandovi sopra lor lordure, ond'ecco l'opera guasta e contaminata. Ma c'è un rimedio. Bisognerebbe diligentemente cacciar via le mosche con belle code di volpe o buone grosse teste d'asino di Provenza. E a questo proposito voglio raccontarvi, avviandoci a cena, un bell'esempio ricordato da Frater de cornibus, nel libro De compotationibus mendicantium.

Al tempo che le bestie parlavano (non son passati tre giorni) un povero leone mentre andava per la foresta di Bievre dicendo le sue preghiere, passò sotto un albero sul quale uno zotico carbonaio era salito a tagliar legna. Vedendo il leone gli scagliò addosso la scure e gli fece un'enorme ferita in una coscia. Il leone zoppicando tanto corse e tempestò per la foresta che incontrò un carpentiere il quale di buon grado visitò la piaga, la nettò del suo meglio e la riempì di musco, consigliando al ferito di cacciar via le mosche con diligenza perché non infettassero la piaga, e che l'attendesse mentre andava a cercar erba carpentiera. Guarito in quel modo il leone passeggiava per la foresta quando lo vide avanzarsi una vecchia sempiternosa che stava tagliando e raccogliendo legna. La vecchia, spaventata, cadde all'indietro in tal guisa che il vento le rovesciò le vesti, gonna e camicia, fin sopra le spalle. A questo spettacolo, il leone, preso da pietà accorse a vedere se si fosse fatta male e considerando la sua bertocca disse: "Oh, povera donna, chi t'ha fatto tal ferita ?" In ciò dire scorse una volpe e la chiamò dicendo: "Ohe, comare la volpe, cza, cza, e pour cause!

Quando la volpe fu venuta le disse: Comare, amica mia, hanno ferito questa povera donna qui tra le gambe ben villanamente; qui, vedi, vi è soluzione di continuità manifesta, guarda come la piaga è grande: dal culo fino all'ombelico misura ben quattro o forse cinque spanne e mezza. È stato un colpo di scure e temo che la piaga non sia recente. Pertanto affinché non vi s'attacchino le mosche, smoscala energicamente te ne prego e di dentro e di fuori, tu hai buona e lunga coda, smosca, amica mia, smosca, te ne supplico, e intanto vado a cercar musco per applicarvelo. Bisogna soccorrersi l'un l'altro, Dio lo comanda, smosca forte, così, amica mia, smosca bene; questo genere di piaghe vuol essere smoscato spesso, altrimenti la persona ne patisce. Smosca bene, comare mia, smosca, smosca; Dio t'ha ben provveduto di coda, tu l'hai grande e grossa a dovere, smosca forte e non stancarti. Un buon dismoscatore che smoscando continuamente smosca col suo moschetto, da mosche mai smoscato sarà. Smosca cogliona, smosca mia piccola zuccona, io vado e torno".

Poi va a cercare gran quantità di musco; e quando fu un poco discosto, gridò alla volpe: Smosca ben sempre, comare, smosca, e non ti pesi mai di ben smoscare; per Dio, mia piccola comare, io ti farò entrare a servizio per lo smoscamento della regina Maria, oppure di Don Pedro di Castiglia. Smosca e non far altro, smosca e nulla più. La povera volpe smoscava a dovere e di qua e di là e di dentro e di fuori; ma la vecchiaccia scorreggiava e sloffettava puzzando come cento diavoli. La povera volpe stava bene a disagio, non sapendo da che banda voltarsi per scansare quel profumo scorreggesco e mentre si girava, scoperse, dietro, un altro pertugio, meno grande di quello che smoscava, e di là veniva quel vento sì fetente e infetto. Torna finalmente il leone portando musco quanto ne conterrebbero diciotto balle e cominciò a ficcarlo dentro la piaga, con un bastone, e già ne aveva introdotto ben sedici balle e mezza pieno di stupore: "Ma che diavolo! questa piaga è profonda: v'entra musco per più di due carrettate; pazienza... poi che Dio lo vuole". E continuava a cacciar dentro; ma la volpe l'avvertì:

- Oh compare leone, amico mio, ti prego, non mettere il musco tutto lì, serbane un poco perché v'è ancora qui sotto un altro pertugio che puzza come cinquecento diavoli; sono intossicata dall'odore, tanto puzza.

Così, concluse Panurgo, bisognerebbe guardar quelle cotali mura dalle mosche e mettervi un servizio di smoscatori.

- Come sai tu, disse allora Pantagruele, che il sesso femminile sia a sì buon mercato? Poiché vi sono in questa città molte savie donne, caste e vergini.

- Dove sono? rispose Panurgo. Non vi dirò una mia opinione, ma fatti certi e sicuri. Io ne ho infilzato, non esagero, quattrocento e diciassette da quando arrivai in questa città, e son nove giorni solamente. Ma questa mattina ho incontrato un buon uomo che in una doppia bisaccia come quella d'Esopetto, portava due piccole bimbe di due o tre anni al massimo, l'una davanti l'altra dietro le spalle. Mi domandò l'elemosina ma io gli risposi che avevo più coglioni che danari. Poi gli chiedo:

- Buon uomo sono vergini queste due bambine ?

- Fratello, rispose, son due anni che le porto così e quanto a questa davanti che ho continuamente sotto gli occhi, penso che sia vergine; non vorrei tuttavia metter la mano sul fuoco; di quella di dietro, non ne so proprio nulla.

-Tu sei veramente, disse Pantagruele, un gentile compagno, e ti vestirò della mia livrea.

E lo fece vestire ornatamente secondo la moda del tempo che correva; salvoché Panurgo volle che la braghetta delle brache fosse lunga tre piedi e quadrata, non rotonda, ciò che fu fatto; e gli stava molto bene. Egli diceva spesso che la gente non aveva conosciuto il vantaggio e l'utilità di portar la braghetta grande, ma il tempo l'avrebbe insegnato un giorno o l'altro, come tutte le cose che sono state inventate a tempo.

Dio guarda dal male, diceva egli, il compagno a cui la lunga braghetta ha salvato la vita! Dio guarda dal male colui al quale braghetta lunga ha dato in un giorno il beneficio di cento e sessantanove mila scudi! Dio guarda dal male colui che grazia alla lunga braghetta ha salvato tutta una intera città dal morir di fame! E per Dio, quando avrò un po' di tempo, scriverò un libro sulla comodità delle braghette lunghe.

Compose infatti sull'argomento un bello e grande libro colle sue figure; ma non è ancora stampato, ch'io sappia.

CONTINUA V