ARTHUR RIMBAUD

POESIE III


LE SUORE DI CARITÀ

Il giovane dagli occhi sfavillanti, abbronzato,
il bel corpo ventenne che dovrebbe andare nudo,
e che, in Persia, da un Genio ignoto sarebbe stato venerato,
cinta la fronte di rame, sotto la luna,

impetuoso con certe dolcezze verginali
e cupe, fiero delle sue prime testardaggini
simile ai giovani mari, pianti di notti estive
che si rigirano su letti di diamanti;

il giovane, di fronte alle bruttezze del mondo
trasale nel suo cuore intimamente, irritato,
e con la sua ferita profonda ed eterna
comincia a desiderare la sua suora di carità.

Ma, o Donna, cumulo di viscere, pietà dolce,
tu non sei mai la suora di carità, mai,
né sguardo nero, né ventre dove dorme un'ombra rossa,
né dita lievi, né seni splendidamente formati,

cieca non risvegliata dalle immense pupille
una sola interrogazione è tutto il nostro abbracciarti:
sei tu che a noi ti aggrappi, portatrice di mammelle,
e ti culliamo, affascinante e grave Passione.

I tuoi odi, i tuoi torpori fissi e smarrimenti
e le brutalità sofferte nel passato,
tu ci rendi tutto, o Notte, e senza cattiveria,
come un eccesso di sangue sparso ogni mese.

- Quando la donna, portata un istante, lo spaventa,
Amore, richiamo di vita e canto d'azione,
vengono la Musa verde e la Giustizia ardente
a dilaniarlo con le loro sacre ossessioni.

Ah! Di continuo assetato di splendori e di calme,
abbandonato dalle due Sorelle implacabili, languendo
tenero per la scienza dalle braccia alme,
offre alla natura in fiore la sua fronte sanguinante.

Ma la nera alchimia e i santi studi
ripugnano al ferito, cupo, saggio orgoglioso;
sente passare su di lui atroci solitudini.
Allora, sempre bello, senza paura della tomba,

creda ai fini illimitati, Sogni o Vagabondaggi
immensi, attraverso le notti di Verità,
e ti invochi nella sua anima e nel suo corpo malato,
o Morte Misteriosa, suora di carità.

Giugno 1871.

VOCALI

A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
io dirò un giorno le vostre nascite latenti:
A, nero corsetto villoso delle mosche lucenti
che ronzano intorno a fetori crudeli,

golfi d'ombra; E, candori di vapori e di tende,
lance di ghiacciai superbi, re bianchi, brividi di umbelle;
I, porpora, sangue sputato, riso di labbra belle
nella collera o nelle ebbrezze penitenti;

U, cicli, vibrazioni divine dei verdi mari,
pace dei pascoli seminati di animali, pace di rughe
che l'alchimia imprime nelle ampie fronti studiose;

O, suprema Tuba piena di stridori strani,
silenzi solcati dai Mondi e dagli Angeli:
- O l'Omega, raggio violetto dei Suoi Occhi!

«LA STELLA È PIANTO ROSA
AL CUORE DELLE TUE ORECCHIE»

La stella è pianto rosa al cuore delle tue orecchie,
l'infinito è rotolato bianco dalla tua nuca ai reni
il mare ha imperlato di rosso le tue vermiglie mammelle
e l'Uomo ha sanguinato nero al tuo sovrano fianco.

«IL GIUSTO STAVA DRITTO
SUI SUOI SOLIDI FIANCHI»

Il Giusto stava dritto sui suoi solidi fianchi:
un raggio gli dorava la spalla; i sudori
mi presero: «Vuoi vedere risplendere i bolidi?
E, in piedi, ascoltare i fluori ronzare
d'astri lattei, e gli sciami d'asteroidi?

«Dalle farse della notte il tuo viso è spiato,
o Giusto! Devi procurarti un tetto. Di' la tua preghiera,
con la bocca nel tuo dolcemente espiato lenzuolo;
e se qualche sperduto busserà al tuo ostiario,
digli: Fratello, vai altrove, io sono storpio!»

E il Giusto restava in piedi, nello spavento
bluastro delle zolle dopo il sole morto:
«Allora, metteresti in vendita le tue ginocchiere,
o Vegliardo? Sacro Pellegrino! Bardo d'Armor!
Piagnone degli ulivi! mano che la pietà ha guantato!

«Barba della famiglia e pugno della città,
credente molto dolce: o cuore caduto nei calici,
maestà e virtù, amore e cecità,
Giusto! Più bestia e più disgustoso delle cagne!
Io sono colui che soffre e che s'è ribellato!

«E mi fa piangere sul ventre, o stupido,
e mi fa ridere, la famosa speranza del tuo perdono!
Io sono maledetto, lo sai! Sono ebbro, pazzo, livido,
tutto quel che ti pare! Ma tu vatti a nascondere, vai,
Giusto! Non voglio niente del tuo cervello intorpidito.

«Sei tu il Giusto, alfine, il Giusto! Ne ho abbastanza!
È vero che la tua tenerezza e la tua serena ragione
sbuffano nella notte come cetacei!
Che ti fai proscrivere e cianci litanie
sulle spaventose maniglie fracassate!

«E saresti tu l'occhio di Dio! Il vile! Quando le piante
fredde dei divini piedi passassero sul mio collo,
tu saresti un vile! Oh il tuo viso formicolante di pidocchi!
Socrati e Gesù, Santi e Giusti, che schifo!
Rispettate il supremo Maledetto dalle notti sanguinanti!»

Questo avevo urlato sulla terra, e la notte
calma e bianca occupava il cielo durante la mia febbre.
Rialzai la mia fronte: il fantasma era fuggito,
portandosi l'atroce ironia del mio labbro...
- Venti notturni, venite al Maledetto! Parlategli,

mentre silenzioso sotto i pilastri
d'azzurro, allungando le comete e i nodi
dell'universo, enorme tumulto senza disastri,
l'ordine, eterno vegliante, rema nei cieli luminosi
e dalla sua rete in fuoco lascia filare gli astri!

Ah! Che se ne vada, lui, la gola incravattata
di vergogna, ruminando sempre la mia noia, dolce
come lo zucchero sui denti cariati.
- Come la cagna dopo l'assalto dei fieri maschietti
si lecca il suo fianco dove pende un budello strappato.

Che parli pure della sua sudicia carità e progresso...
- Esecro tutti quegli occhi da Cinesi panciuti,
che poi cantano: - nanna - come dei bambini vicini
alla morte, dolci idioti dalle pronte canzoni:
o Giusti, noi cacheremo nei vostri ventri d'argilla!

CIÒ CHE SI DICE AL POETA
A PROPOSITO DEI FIORI

Al signor Théodore de Banville.

I

Cosi, al solito, verso l'azzurro nero
dove trema il mare dei topazi,
funzionerà nella tua sera
il Giglio, questo clistere d'estasi.

Nella nostra epoca di sagù
in cui le piante son laboriose,
il Giglio berrà disgusti blu
nelle tue Prose religiose!

- Il Giglio del signor di Kerdel,
il sonetto dell'ottocentotrenta,
il Giglio donato al Menestrello
col garofano e l'amaranto.

Gigli! Gigli! Non se ne vedono!
E nel tuo Verso, simili a maniche
di Peccatrici dai dolci passi,
sempre fremono questi fiori bianchi!

Sempre, mio Caro, quando fai il bagno
la tua camicia dalle ascelle bionde
si gonfia nella brezza mattutina
sulle miosòtidi immonde!

Amore non passa i tuoi dazi
se non di Lillà - oh, altalene!
e di Violette di Bosco,
sputi zuccherini di Ninfe nere!...


II

O Poeti, quando avrete voi
le Rose, le Rose soffiate
rosse sui rami d'alloro,
e di mille ottave gonfiate!

Quando BANVILLE ne facesse fioccare,
sanguinolente, turbinanti
affogando l'occhio folle dello straniero
dalle letture poco impegnate!

Dei vostri boschi e dei vostri prati,
o fotografi tranquilli!
la flora è così diversa
come turaccioli di caraffe!

Sempre Francesi vegetali,
bigotti, tisici, ridicoli,
dove il ventre dei bassotti
naviga in pace, al crepuscolo;

sempre, dopo orrendi disegni
di fiori blu di Loto o d'Eliani
stampe rosa, soggetti santi
per giovinette da prima comunione!

L'ode Asoka combacia con la
strofa sulla finestra della frivola;
e lorde farfalle luminose
defecano sulla Pratolina.

Vecchi ortaggi, vecchi galloni!
O pasticcini vegetali!
Fantastici fiori di vecchi saloni!
- ai maggiolini, non ai crotali

questi bambocci vegetali in pianto
che Grandville ha infiocchettato
e che allattarono di colori
cattivi astri con la visiera!

Sl, le vostre sbavature di zufolo
fanno glucosi preziosi!
- Mucchio di uova fritte in vecchi cappelli,
Gigli, Asoka, Lillà e Rose!


III

O bianco Cacciatore, che corri scalzo
attraverso il panico pasticcio,
non puoi tu, non devi forse
conoscere un po' di botanica?

Faresti succedere, credo,
ai Grilli rossi le Cantaridi
l'oro dei Rios al blu dei Reni, -
in breve, alle Norvege le Floride.

Ma, Caro, l'Arte ora non è più
- in verità - permettere
allo straordinario Eucalipto
la costrizione di un esametro;

Eccolo lì! Come se il Mogano
non servisse, come alle nostre Guiane
che ai salti del Sapaiù,
allo sporco delirio delle liane!

- Insomma, un Fiore, un Rosmarino
o un Giglio, vivo o morto, vale forse
un escremento d'uccello marino?
O vale forse un sol pianto di candela?

- Ho detto ciò che volevo!
Tu, anche seduto laggiù, in una
capanna di bambù; - le imposte
chiuse, tappezzerie di persia bruna, -

tu intrecceresti ghirlande
degne di Fiumi stravaganti!...
- Poeta! Queste sono ragioni
non meno ridicole che arroganti!...


IV

Dimmi, non le pampas primaverili
nere di rivolte spaventose
ma i tabacchi, le cotoniere!
Dimmi delle esotiche raccolte!

Dimmi, fronte bianca che Febo acconcia,
di quanti dollari è la rendita
di Pedro Velasquez all'Avana;
immerda il mare di Sorrento

dove i cigni si recano a migliaia,
che le tue strofe siano réclames
per le frattaglie della mangaia
frugate da idre e da marosi!

Le tue quartine si tuffano in boschi sanguinanti
e tornano proponendo agli uomini
diversi soggetti di bianchi zuccheri
di pettorine e di gomme!

Che si sappia da te se le biondezze
dei Picchi nervosi, verso i Tropici
son dovuti a fecondi insetti
o a licheni microscopici;

trovaci, o Cacciatore, lo vogliamo
qualche robbia profumata
che la natura in calzoni
faccia sbocciare! - per le nostre Armate!

Trova, nei dintorni di Foreste addormentate,
fiori simili a dei musi
che sbavano auree pomate
sugli scuri capelli dei Bufali!

Trova, ai folli prati, dove sul blu
trema l'argento delle pubescenze,
dei calici pieni di Uova di fuoco
che si cuociono tra le essenze!

Trova Cardi cotonati
di cui dieci asini con occhi di brace
lavorino per filarne i nodi!
Trova Fiori che siano sedie!

Sì, trova nel cuore neri filoni
di fiori simili a pietre, - famose! -
che verso i loro duri ovari biondi
abbiano tonsille gemmose!

Servici, o Burlone, tu che puoi,
su un piatto di splendido argento
ragù di Gigli sciroppati
mordenti i nostri cucchiai Alfénidi!


V

Qualcuno dirà il grande Amore,
ladro di oscure Indulgenze:
ma né Renan, né il gatto Murr
vedranno il Tirso blu immenso!

Tu, facci giocare nei nostri torpori
con i profumi, le isterie;
esaltaci verso i candori
più candidi delle Marie...

Commerciante! colono! medium!
la tua rima sgorgherà, rosa o bianca,
come un raggio di sodio,
come un caucciù che si riversa!

Dai tuoi neri Poemi, - Giullare!
Bianchi, verdi e rossi diottrici
che evadono in strani fiori
e farfalle elettriche!

Ecco! È il Secolo dell'inferno!
E le linee telegrafiche
orneranno - lira dal canto di ferro,
le tue magnifiche scapole!

Soprattutto, rimaci una versione
intorno al male delle patate!
- E per la composizione
di Poemi pieni di mistero
che saranno letti da Tréguier
a Paramarìbo, avrai comprato
i Tomi del signor Figuier,
- Illustrati! - dal signor Hachette!

Alcide Bava.
A.R.
14 luglio 1871.

LE PRIME COMUNIONI

I

È davvero stupido, queste chiese di campagna
dove quindici brutti marmocchi sporcano le navate
ascoltando, mentre storpia i cicalecci divini,
un affare nero e grottesco le cui scarpe fermentano:
ma il sole risveglia, attraverso il fogliame
i vecchi colori di vetrate irregolari.

La pietra sa sempre di terra materna.
Vedrete cumuli di quei ciottoli terrosi
nella campagna infoiata che freme solenne
accanto alle pesanti messi, per i sentieri d'ocra,
questi arboscelli arsi dove azzurreggiano prugne,
nodi di neri gelsi e rosai stercosi.

Ogni cento anni questi fienili sono resi presentabili
con una mano d'acqua azzurra e di latte cagliato:
se grotteschi misticismi sono evidenti
accanto a Nostra Signora o al Santo impagliato,
mosche olezzanti di stalla e d'osteria
s'ingozzano di cera sul pavimento assolato.

Il giovane appartiene soprattutto alla casa, famiglia
d'ingenue cure, di buoni lavori abbrutenti;
essi escono, dimenticando che la loro pelle formicola
dove il Prete di Cristo affondò le sue dita possenti.
Si paga al Prete un tetto ombrato da un pergolato
perché egli lasci al sole la loro fronte abbronzata.

Il primo abito nero, il più bel giorno delle torte,
sotto il Napoleone o il Tamburino,
qualche miniatura dove i Giuseppi e le Marte
tirano fuori la lingua con eccessivo amore
a cui s'aggiungeranno, nel giorno della scienza, due carte,
questi due soli ricordi che gli restano del gran Giorno.

Le fanciulle si recano sempre in chiesa, contente
di sentirsi chiamare sgualdrine dai ragazzi
che si mettono in mostra dopo la Messa o i vespri cantati.
Loro che sono destinati all'eleganza delle guarnigioni
sfottono al caffè i casati importanti,
vestiti a nuovo, sbraitando oscene canzoni.

Intanto il Curato sceglie per i fanciulli
dei santini; nel suo orto, detti i vespri, quando
l'aria s'empie del lontano suono nasale delle danze,
egli sente, a dispetto dei celesti divieti,
le dita dei piedi rapite e il polpaccio segnare il ritmo;
- e viene la Notte, nero pirata che sbarca nei cieli d'oro.


II

Il Prete ha scelto, tra i bambini del catechismo
riuniti dai Sobborghi o dai Quartieri Ricchi,
una piccola sconosciuta fanciulla, dagli occhi tristi,
dalla fronte gialla. I genitori sembrano dolci portinai.
«Nel grande Giorno, decisivo per i Catechisti,
Dio farà nevicare su questa fronte l'acqua santa.»


III

La vigilia del grande Giorno, la bambina s'ammala.
Di più che nella Chiesa maestosa dai funebri rumori,
giunge prima il brivido, - il letto non è insipido, -
un brivido sovrumano che ritorna: «Io muoio...»

E, come un furto d'amore fatto a stupide sorelle,
conta, poste le mani sul suo cuore,
gli Angeli, i Gesù e le sue nitide Vergini,
e con calma, il suo vincitore si beve la sua anima.

Adonài!... - Dentro i suffissi latini,
cieli screziati di verde bagnano le fronti vermiglie,
e, macchiati del sangue puro dei petti celesti,
grandi panni di neve cadono sui soli!

- Per la sua verginità presente e futura
ella morde la freschezza della tua Remissione,
ma più che dei gigli d'acqua, più che marmellate,
sono ghiacci i tuoi perdoni, o Regina di Sion!


IV

Poi la Vergine torna ad essere la vergine del libro.
Gli slanci mistici talvolta si spezzano...
E viene la povertà delle immagini, patinate
di noia, miniature atroci e vecchi legni;

Curiosità vagamente impudiche
spauriscono il sogno delle caste azzurrità
che si è sorpreso intorno alle celesti tuniche
del panno con cui Gesù vela le sue nudità.

Lei vuole, lei vuole tuttavia, l'anima in pericolo,
la fronte sul cuscino scavato dalle sue sorde grida,
prolungare i supremi bagliori della tenerezza,
e sbava... - L'ombra riempie case e cortili.

La fanciulla non ne può più. S'agita, inarca
le reni e con la mano apre le tendine blu
per portare un po' della freschezza della camera
sotto il lenzuolo, sul suo ventre e sul petto in fiamme...


V

Al suo risveglio, - è mezzanotte -, la finestra è bianca.
Davanti al sonno blu delle tendine illuminate dalla luna
la coglie la visione dei candori della domenica;
Aveva sognato rosso. Perde sangue dal naso

e sentendosi casta e piena di debolezza,
per assaporare in Dio il suo ritorno d'amore,
ha sete di notte in cui si esalta e si deprime
il cuore, che indovina il dolce occhio del cielo;

della notte, Vergine-Madre impalpabile, che bagna
tutte le giovani emozioni con i suoi grigi silenzi;
ha sete della notte forte in cui il cuore che sanguina
scorre senza testimoni la sua rivolta senza grida.

E mentre fa la Vittima e la piccola sposa,
la vede la sua stella, con una candela tra le dita,
scendere nel cortile dove si asciuga una camicia,
bianco spettro, e far sorgere i neri spettri dei tetti.


VI

Passò la sua notte santa nelle latrine.
Verso la candela, dai buchi del tetto colava l'aria bianca,
e qualche pazza vigna di nero purpureo,
di quà d'un cortile vicino crollava.

Il lucernaio disegnava un cuore di luce viva
nel cortile dove il cielo basso tingeva d'oro vermiglio
i vetri; i pavimenti che puzzano d'acqua saponata
subivano l'ombra dei muri stipati di sonni neri.
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VII

Chi dirà questi languori e questa pietà immonda,
e l'odio che in lei nascerà, o luridi pazzi
il cui divino lavoro deforma ancora i mondi,
quando alfine la lebbra mangerà questi dolci corpi?
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VIII

E quando, avendo sciolto ogni suo nodo d'isteria,
vedrà, nella tristezza della felicità,
l'amante sognare il bianco stuolo di Marie,
all'alba della notte d'amore, dirà con dolore:

«Sai che t'ho fatto morire? Ho preso la tua bocca,
il tuo cuore, tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che avete;
ed io, sono malata: Oh! voglio che mi corichino
tra i Morti abbeverati dalle acque notturne!

«Ero molto giovane, e Cristo ha insozzato i miei respiri.
Mi ha riempito di disgusto fino al collo!
Tu baciavi i miei capelli profondi come lana,
ed io lasciavo fare... ah! è un bene per voi,

«Uomini! che non pensate mai che la più innamorata
è in preda ad ignobili terrori nella sua coscienza,
la più prostituita e la più dolorosa,
e che tutti i nostri slanci verso di voi sono errori!

«Ormai la mia Prima Comunione è lontana.
I tuoi baci, non posso mai averli gustati:
e il mio cuore e la mia carne dalla tua carne abbracciata
formicolano per il putrido bacio di Gesù!»


IX

Allora l'anima putrida e l'anima desolata
sentiranno sgorgare le tue maledizioni.
- Essi avranno giaciuto sul tuo Odio inviolato,
scappati, per la morte, alle giuste passioni

Cristo! o Cristo, eterno ladro di energie,
Dio che per duemila anni hai votato al tuo pallore,
inchiodate al suolo dalla vergogna e dalla cefalgia,
le fronti chine delle donne del dolore.

Luglio 1871.

LE CERCATRICI DI PIDOCCHI

Quando la fronte del fanciullo, piena di rosse bufere,
implora il bianco sciame dei sogni indistinti,
s'avvicinano al suo letto due graziose sorelle
con fragili dita dalle unghie argentate.

Fanno sedere il fanciullo davanti a una finestra
spalancata dover l'aria azzurra bagna una macchia di fiori,
e fra i suoi capelli pesanti dove cade rugiada
muovono le dita sottili, terribili e maliarde.

Egli ascolta cantare i loro aliti indecisi
che profumano di mieli vegetali e rosati,
che a volte un sibilo interrompe, salive
riprese sul labbro o brama di baci.

Sente le nere loro ciglia che battono i silenzi
profumati; e le loro elettriche dita e dolci
fanno crepitare tra le sue indolenze grigie
sotto le regali unghie la morte dei pidocchi.

Ecco salire in lui il vino della Pigrizia,
sospiro d'armonica che potrebbe delirare;
il fanciullo sente, al lento ritmo delle carezze,
senza posa nascere e morire una voglia di piangere.

IL BATTELLO EBBRO

Poiché discendevo i Fiumi impassibili,
mi sentii non più guidato dai bardotti:
Pellirossa urlanti li avevan presi per bersaglio
e inchiodati nudi a pali variopinti.

Ero indifferente a tutti gli equipaggi,
portatore di grano fiammingo e cotone inglese.
Quando coi miei bardotti finirono i clamori,
I Fiumi mi lasciarono discendere dove volevo.

Nei furiosi sciabordii delle maree
l'altro inverno, più sordo d'un cervello di fanciullo,
ho corso! E le Penisole salpate
non subirono mai caos così trionfanti.

La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli.
Più leggero d'un sughero ho danzato tra i flutti
che si dicono eterni involucri delle vittime,
per dieci notti, senza rimpiangere l'occhio insulso dei fari!

Più dolce che ai fanciulli la polpa delle mele mature,
l'acqua verde penetrò il mio scafo d'abete
e dalle macchie di vini azzurrastri e di vomito
mi lavò, disperdendo àncora e timone.

E da allora mi sono immerso nel Poema
del Mare, infuso d'astri, e lattescente,
divorando i verdiazzurri dove, flottaglia
pallida e rapita, un pensoso annegato talvolta discende;

dove, tingendo di colpo l'azzurrità, deliri
e lenti ritmi sotto il giorno rutilante,
più forti dell'alcol, più vasti delle nostre lire,
fermentano gli amari rossori dell'amore!

Conosco i cieli che esplodono in lampi, e le trombe
e le risacche e le correnti: conosco la sera
e l'Alba esaltata come uno stormo di colombe,
e talvolta ho visto ciò che l'uomo crede di vedere!

Ho visto il sole basso, macchiato di mistici orrori,
illuminare lunghi filamenti di viola,
che parevano attori in antichi drammi,
i flutti scroscianti in lontananza i loro tremiti di persiane!

Ho sognato la verde notte dalle nevi abbagliate,
bacio che sale lento agli occhi dei mari,
la circolazione di linfe inaudite,
e il giallo risveglio e blu dei fosfori cantori!

Ho seguito, per mesi interi, come mandrie
isteriche, i marosi all'assalto degli scogli,
senza immaginare che i lucenti piedi delle Marie
potessero forzare i musi dei possenti Oceani!

Ho urtato, sapeste, incredibili Floride
mescolanti ai fiori occhi di pantere dalla pelle
d'uomini! Arcobaleni tesi come redini
sotto l'orizzonte dei mari, verso glauche greggi!

Ho visto fermentare enormi stagni, reti
dove marcisce tra i giunchi un Leviatano!
Crolli d'acque in mezzo alle bonacce
e in lontananza, cateratte verso il baratro!

Ghiacciai, soli d'argento, flutti di madreperla, cieli di brace!
E orrende secche al fondo di golfi bruni
dove serpi giganti divorati da cimici
cadono, da alberi tortuosi, con neri profumi!

Avrei voluto mostrare ai fanciulli queste orate
nell'onda blu, quei pesci d'oro, quei pesci che cantavano.
- Schiume di fiori hanno cullato i miei voli
e ineffabili venti per un attimo mi han messo le ali.

Talora, martire affaticato dai poli e dalle zone,
il mare i cui singhiozzi rendevan dolce il mio rullìo
innalzava a me i suoi fiori d'ombra dalle gialle ventose
ed io restavo, come una donna in ginocchio...

Quasi fossi un'isola, sballottando sui miei bordi litigi
e sterco d'uccelli, urlatori dagli occhi biondi.
E vogavo, attraverso i miei fragili legami
gli annegati scendevano controcorrente a dormire!

Io, perduto battello sotto i capelli delle anse,
scagliato dall'uragano nell'etere senza uccelli,
io, di cui né Monitori né velieri Anseatici
avrebbero potuto mai ripescare l'ebbra carcassa d'acqua;

libero, fumante, cinto di brume violette,
io che foravo il cielo rosseggiante come un muro
che porta, squisita confettura per buoni poeti,
i licheni del sole e i moccoli d'azzurro;

io che correvo, macchiato da lunule elettriche,
legno folle, scortato da neri ippocampi,
quando luglio faceva crollare a frustate
i cieli oltremarini dai vortici infuocati;

io ché tremavo udendo gemere a cinquanta leghe
la foia dei Behemots e i densi Maelstroms,
filando eterno tra le blu immobilità,
io rimpiango l'Europa dai balconi antichi!

Ho veduto siderali arcipelaghi! ed isole
i cui deliranti cieli sono aperti al vogatore:
- È in queste notti senza fondo che tu dormi e ti esìli,
milione d'uccelli d'oro, o futuro Vigore?

Ma è vero, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna è atroce ed ogni sole amaro:
l'acre amore m'ha gonfiato di stordenti torpori.
Oh, che esploda la mia chiglia! Che io vada a infrangermi nel mare!

Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
nera e fredda dove verso il crepuscolo odoroso
un fanciullo inginocchiato e pieno di tristezza, lascia
un fragile battello come una farfalla di maggio.

Non ne posso più, bagnato dai vostri languori, o onde,
di filare nella scia dei portatori di cotone,
né di fendere l'orgoglio di bandiere e fuochi,
e di nuotare sotto gli orrendi occhi dei pontoni.