WILLIAM SHAKESPEARE

ANTONIO E CLEOPATRA


Tragedia in 5 atti

Traduzione e note di Goffredo Raponi




Titolo originale: “ANTONY AND CLEOPATRA”

NOTE PRELIMINARI


1) Il testo inglese adottato per la traduzione è quello dell’edizione dell’opera completa di Shakespeare curata dal prof. Peter Alexander (William Shakespeare – “The Complete Works”, Collins, London & Glasgow, 1960, pagg. XXXII - 1370), con qualche variante suggerita da altri testi, specialmente quello della più recente edizione dell’“Oxford Shakespeare” curata da G. Welles & G. Taylor per la Clarendon Press, New York, U.S.A., 1988-94, pagg. XLIX - 1274; quest’ultima contiene anche “I due nobili cugini” (“The Two Noble Kinsmen”) che manca nell’Alexander.

2) Alcune didascalie (“stage instructions”) sono state aggiunte dal traduttore di sua iniziativa, per la migliore comprensione dell’azione scenica alla lettura, cui questa traduzione è espressamente ordinata e intesa, il traduttore essendo convinto della irrappresentabilità del teatro di Shakespeare sulle moderne ribalte.( ) Si è conservata comunque la rituale indicazione “Entra”/ “Entrano” (“Enter”) e “Esce”/ “Escono” (“Exit”/“Exeunt”) avvertendo peraltro che non sempre essa indica entrata/uscita dei personaggi, potendosi dare che questi si trovino già sulla scena all’apertura o vi rimangano alla chiusura della stessa.

3) Il metro è l’endecasillabo sciolto, intercalato da settenari, come l’abbia richiesto al traduttore lo scorrere della verseggiatura. Altro metro si è usato per citazioni, proverbi, canzoni, ecc., quando in accordo col testo, sia stato richiesto uno stacco di stile.

4) Trattandosi della Roma di Cesare, la forma del “tu” (i Romani non ne conoscevano altra) è sembrata imperativa, ad onta del dialogante alternarsi dello “you” e del “thou” dell’inglese.

5) Il traduttore riconosce di essersi avvalso - ed anche largamente in certi casi - di traduzioni precedenti dalle quali ha preso in prestito, oltre alla interpretazione di passi controversi, intere frasi e costrutti, dandone opportuno credito in nota.
PERSONAGGI

ANTONIO
OTTAVIO CESARE Triumviri
LEPIDO

SESTO POMPEO

DOMIZIO ENOBARBO
VENTIDIO
EROS
SCARO seguaci di Antonio
DERCETE
DEMETRIO
FILONE

MECENATE
AGRIPPA
DOLABELLA seguaci di Cesare Ottavio
PROCULEIO
TIREO
GALLO

MENAS
MENECRATE seguaci di Sesto Pompeo
VARRIO

TAURO Luogotenente di Cesare

CANIDIO Luogotenente di Antonio

SILIO Ufficiale dell’esercito di Ventidio

EUFRONIO Ambasciatore di Antonio e Cesare

ALESSA del seguito di Cleopatra
MARDIANO, Eunuco
SELEUCO, Tesoriere
DIOMEDE

CLEOPATRA regina d’Egitto

OTTAVIA sorella di Ottavio Cesare e moglie di Antonio

CARMINIA, IRAS Ancelle di Cleopatra

UN INDOVINO, UN CONTADINO, ufficiali, soldati, messaggeri, e altri del seguito


SCENA: Roma - Vicino a Sardi - Vicino a Filippi
ATTO PRIMO



SCENA I - Alessandria. Stanza nella reggia di Cleopatra


Entrano DEMETRIO e FILONE

FILONE - Bah, mi pare che il nostro generale
con questa sua amorosa infatuazione
stia davvero passando la misura:
quegli occhi che hanno sempre folgorato
come quelli di un Marte corazzato,
su guerresche falangi, ora dimessi,
in atto di servile devozione
abbassano lo sguardo su una fronte
del colore del bronzo.( )
Quel suo cuore di grande condottiero
che nel cozzo d’asprissime battaglie
gli ha schiantato le fibule sul petto,( )
rinnegato ogni senso di ritegno,
s’è ridotto ad un mantice, a un ventaglio
per raffreddar gli ardori d’una zingara.

Trombe.( ) Entrano ANTONIO e CLEOPATRA con le sue ancelle e con degli eunuchi che le fanno vento agitando grandi ventagli

Eccoli. Osserva bene Marcantonio,
e vedrai uno dei tre gran pilastri
su cui si regge il mondo( ) trasformato
nel giullare d’una baldracca. Osservalo,
e mi darai ragione.

CLEOPATRA - (Ad Antonio)
Se è vero amore, dimmi quant’è grande.

ANTONIO - L’amore che si può quantificare
è da elemosinanti.

CLEOPATRA - I confini entro i quali essere amata
voglio fissarli io.

ANTONIO - Allora occorrerà che tu ti trovi
un nuovo cielo ed una nuova terra.

Entra un MESSO di Antonio

MESSO - Mio buon signore, notizie da Roma.

ANTONIO - M’annoiano. Avanti, solo il succo.

CLEOPATRA - Ma no, Antonio, ascoltale:
è forse Fulvia che ti fa un rabbuffo,
o magari è lo sbarbatello Cesare,( )
che ti manda un suo ordine reciso:
“Fa’ questo, o questo! Conquista quel regno,
affranca questo! Esegui, o guai a te!”.

ANTONIO - Ma che dici, amor mio?

CLEOPATRA - Ho detto “forse”? No, è sicurissimo:
non devi trattenerti qui più a lungo,
devi partire, ordine di Cesare;
perciò obbedisci, Antonio.
Dov’è l’ordine di comparizione
di Fulvia?… O di Cesare? O di entrambi?
Fate venire avanti i messaggeri!
Antonio, com’è vero ch’io regina
sono d’Egitto, tu arrossisci tutto,
e il sangue che t’imporpora le guance
offre un omaggio a Cesare,
o se no è il tributo di vergogna
che avvampa le tue guance
quando la stridula voce di Fulvia
ti sgrida. Avanti i messaggeri, ho detto!

ANTONIO - Si dissolva pur Roma nel suo Tevere
e crolli pure dalle fondamenta
l’arco immenso dell’ordinato impero!
Qui è il mio mondo. I regni sono creta,
e questa nostra terra di pattume
nutre tutti egualmente, uomini e bestie.
Vivere nobilmente è far così…

(L’abbraccia)

Quando una coppia è sì bene assortita
e due come noi possono farlo,
io sfido il mondo, a pena di castigo,
a dir che c’è una coppia eguale a noi!( )

CLEOPATRA - Eccellente menzogna!
Perché ha sposato Fulvia,
se non l’amava? Io non sono la sciocca
che sembro, e Antonio sarà sempre Antonio.

ANTONIO - Salvo quando è istigato da Cleopatra…
Oh, via, mia cara, in nome dell’Amore
e dell’ore sue dolci, Cleopatra,
non sciupiamo altro tempo a bisticciarci.
Non un minuto delle nostre vite
trascorra più senza un qualche piacere!
Quali spassi stanotte?

CLEOPATRA - Senti gli ambasciatori.

ANTONIO - Alla malora!
Andiamo, su, regina attaccabrighe,
a cui sta bene tutto quel che fa:
ridere, piangere, rimproverare!
Come ogni moto di passione in te
gareggia a farsi bello ed ammirato!
Stasera nessun messo, eccetto te,
e ce ne andremo in giro per le strade,
soli soli, a guardar che fa la gente.
Andiamo, mia regina,
che ieri sera lo desideravi.

(Al Messo)
Il tuo messaggio, tienilo per te.

(Escono Antonio e Cleopatra con il seguito)

DEMETRIO - Hai visto in quale conto Ottavio Cesare
è tenuto da Antonio?

FILONE - A volte, quando Antonio non è lui,
perde troppo di quella sua grandezza
che sempre lo dovrebbe accompagnare.

DEMETRIO - Mi dispiace, perché così avvalora
le linguacce che corrono per Roma
sopra di lui. C’è solo da sperare
che domani sia meglio. Buon riposo.

(Escono)



SCENA II - Altra stanza nella reggia di Cleopatra


Entrano CARMIANA, IRAS, ALESSA e un INDOVINO

CARMIANA - Alessa, dolce Alessa,
superlativo, quasi assolutissimo
Alessa, dove sta quell’indovino
che hai tanto lodato alla regina?
Oh, potessi conoscere da lui
quel marito che, dici, è destinato
a fregiarsi le corna di ghirlande!( )


ALESSA - Indovino!

INDOVINO - Che vuoi da me?

CARMIANA - Ah, è lui.
Sei tu, amico, che sai predir le cose?

INDOVINO - Diciamo che so leggere qualcosa
nel libro degli infiniti segreti
della natura.

ALESSA - (A Carmiana)
Mostragli la mano.

Entra ENOBARBO

ENOBARBO - Presto, presto, apprestate pel rinfresco,
e soprattutto vino a volontà,
per bere alla salute di Cleopatra!

CARMIANA - (All’Indovino, stendendogli la mano)
Da bravo, dammi la buona fortuna.

INDOVINO - Io la predico solo: non la fabbrico.

CARMIANA - Bene; allora predicimene una.

INDOVINO - Sarai ancor più florida di adesso.

CARMIANA - (A Iras)
In carne, vuole intendere.

IRAS - No, ti dipingerai quando sei vecchia.

CARMIANA - Accidenti alle rughe!

ALESSA - Non irritate il suo pronosticare;
state attente!

CARMIANA - Silenzio!

INDOVINO - Amerai più che non sarai amata.

CARMIANA - Meglio scaldarmi il fegato col bere.

ALESSA - Ma non così, ascoltalo!

CARMIANA - Su, da bravo, predicimi
una qualche fortuna straordinaria:
che so, ch’io mi mariti con tre re
in una mattinata, e resti vedova
di tutti e tre; che partorisca un figlio
a cinquant’anni, al quale renda omaggio
Erode di Giudea;
o ch’io mi sposi con Ottavio Cesare,
e faccia il paio con la mia padrona.

INDOVINO - Vivrai più a lungo di colei che servi.

CARMIANA - Oh, eccellente! La longevità
mi piace più dei fichi!( )

INDOVINO - Hai visto e conosciuto miglior sorte
di quella che si approssima.

CARMIANA - Allora può accadere che i miei figli
restino senza nome; ma, di grazia,
tra maschi e femmine, quanti ne avrò?

INDOVINO - Se ciascuna tua voglia avesse un grembo,
e ognuna fosse fertile, un milione.

CARMIANA - Evvia, sciocco buffone!
Come mago-stregone ti ripudio!( )

ALESSA - Tu credi che a sapere le tue voglie
siano le tue lenzuola e nessun altro.

CARMIANA - Avanti, adesso, di’ la sua a Iris.

ALESSA - Tutti vogliamo qui saper la nostra.

ENOBARBO - La mia, stanotte, e di molti di noi,
io già la so… andare a letto sbronzi!

IRAS - (Porgendo all’Indovino il palmo della mano)
Questa palma, se nessun’altra cosa,
predice castità.

CARMIANA - Sì, come il Nilo
predice carestia quando straripa.( )

IRAS - Ma va’, sfrenata femmina da letto!
Tu, di pronostici, non te n’intendi.

CARMIANA - Beh, se una palma untuosa
non presagisce la fertilità,
vuol dire allora ch’io non son capace
di grattarmi l’orecchio con un dito.

(All’Indovino)
Predicile, ti prego,
solo una fortuna da giorno feriale.

INDOVINO - Le vostre due fortune sono eguali.

IRAS - Come sarebbe? Puoi spiegarti meglio?

INDOVINO - Ho detto così e basta.

IRAS - Sicché io non avrei nemmeno un pollice
di fortuna migliore della sua?

CARMIANA - E se pur fosse? Se la tua fortuna
fosse un pollice meglio della mia,
dove lo metteresti tu quel pollice?

IRAS - Oh, certo, non nel naso a mio marito.

CARMIANA - Ci mandi il cielo pensieri migliori!…
Ora ad Alessa… su, la sua fortuna!
O Iside benigna, ch’egli sposi
una donna che sia niente di buono,
t’imploro, ed anche fa’ che questa muoia,
e che ad una peggiore
segua un’altra peggiore, finché l’ultima,
la peggiore di tutte,
l’accompagni ridendo al cimitero,
cinquanta volte becco!
Esaudiscimi questa implorazione
o Iside benigna, ti scongiuro!,
a costo di negarmi maggior grazia!

IRAS - Così sia, buona dea:
ascolta questa preghiera del popolo,
ché, come è roba da spezzare il cuore
un bell’uomo che sia male ammogliato,
è addirittura pena da morire
veder restare non cornificato
un fior di farabutto. Iside cara,
bada perciò a mantenere il decoro,
e dàgli la fortuna che si merita.

CARMIANA - E così sia.

ALESSA - Sentitele! Sentitele!
Se stesse a loro di far me cornuto,
si butterebbero a far le puttane,
pur di ottenerlo.

ENOBARBO - Silenzio! Ecco Antonio.

Entra CLEOPATRA

CARMIANA - Macché Antonio! Non vedi? È la regina.

CLEOPATRA - (A Enobarbo)
Hai visto il generale?

ENOBARBO - No, signora.

CLEOPATRA - Non era qui con voi?

ENOBARBO - No, non c’era, signora.

CLEOPATRA - Era di buon umore, ma ad un tratto
un pensiero romano l’ha colpito…
Enobarbo!

ENOBARBO - Signora?

CLEOPATRA - Va’ a cercarlo
e conducilo qui. Dov’è Alessa?…

ALESSA - Qui, regina, a servirti.
Ma eccolo che viene il mio signore…

CLEOPATRA - Non voglio più vederlo. Andiamo via.

(Escono tutti con Cleopatra)

Entra ANTONIO con un MESSO e altri del seguito

MESSO - Prima a scendere in campo è stata Fulvia,
tua moglie.

ANTONIO - Contro mio fratello Lucio?

MESSO - Sì, ma la guerra s’è conclusa subito;
e poi il corso degli avvenimenti
ha fatto che tornassero alleati,
e unissero le forze contro Cesare,
il cui successo in guerra, al primo scontro,
li ha ributtati fuori dall’Italia.

ANTONIO - Bene, che c’è di peggio?

MESSO - Le cattive notizie
son sempre perniciose a chi le reca.

ANTONIO - Sì, se son destinate ad uno stolto
o ad un vigliacco. Avanti, avanti, parla:
per me quello che è fatto è ormai passato.
È così: chi mi viene a dire il vero,
pur se nel suo racconto c’è la morte,
l’ascolto, come s’egli m’adulasse.

MESSO - Labieno - la notizia brutta è questa -
a capo del suo esercito di Parti
ha esteso la conquista oltre l’Eufrate,
in Asia, e il suo vessillo vittorioso
sventola ormai dalla Siria alla Lidia,
e per tutta la Jonia, mentre che…

ANTONIO - … mentre che Antonio, tu vorresti aggiungere…

MESSO - Oh, mio signore!

ANTONIO - Parla, parla franco!
Non ti preoccupar d’attenuare
quello che ormai è voce generale…
Chiama pure Cleopatra
col nome che le danno tutti a Roma;
insulta me con le frasi di Fulvia,
e rinfacciami pure le mie colpe
in piena libertà, con le parole
che verità e livore hanno il potere
di far uscir di bocca.
Oh, quando il nostro fertile intelletto
s’intorpidisce,( ) siamo come un prato
che non produce altra erba che gramigna;
e il farci rinfacciare nostri errori
è come se estirpassimo le erbacce.
Va’ pure, adesso.

MESSO - Ai tuoi nobili ordini.

(Esce)

ANTONIO - (A tutti i presenti)
Da Sicione che nuove?… Olà, parlate!

1° DEL SEGUITO - Il messaggero da Sicione è là?

2° DEL SEGUITO - Attende i tuoi comandi.

ANTONIO - Fallo entrare.

(Tra sé)
Questi ceppi egiziani io debbo romperli,
o m’annullo nell’imbecillimento.

Entra un altro MESSO con una lettera

Che rechi?

MESSO - Fulvia, la tua sposa, è morta.

ANTONIO - Morta!… E dove?

MESSO - A Sicione.
Tutto il decorso della malattia
e quant’altro di serio t’interessa
sta scritto in questa lettera.

(Gli porge la lettera)

ANTONIO - Andate tutti. Lasciatemi solo.

(Escono tutti)

Ecco un’anima grande che scompare!
E pensare che l’ho desiderato!
Ma ciò che rifiutammo con disprezzo
ci viene poi di volerlo riprendere;
mentre ciò che ci piace sul momento,
scadendo con il volgere del tempo,
finisce nel mutarsi nel suo opposto.
Ora che se n’è andata, ella m’è cara,
e la mano che un giorno la respinse
vorrebbe ora riprenderla con sé.
Bisogna ad ogni costo ch’io la rompa
con questa incantatrice di regina:
questa frollezza mi sta generando
diecimila disgrazie, assai più grandi
dei mali che conosco su me stesso.

Entra ENOBARBO

Ehi, là, Enobarbo!

ENOBARBO - Agli ordini, signore.

ANTONIO - Devo andarmene subito da qui.

ENOBARBO - Sarà la morte delle nostre donne.
Già il più piccolo sgarbo - lo vediamo -
è per loro un mortale dispiacere;
figuriamoci se sopporteranno
l’idea che noi dobbiamo abbandonarle.
“Morte” sarà la lor parola d’ordine.

ANTONIO - Eppure devo andarmene, Enobarbo.

ENOBARBO - Se si tratta di un’emergenza estrema,
muoian pure le donne;
ma sarebbe davvero un gran peccato
starle a buttare via per un nonnulla,
pur se di fronte ad una grande causa
esse più nulla possono contare.
Se n’ha Cleopatra il minimo sentore,
lei sì ne morirà subitamente!
L’ho vista già morire mille volte
per ragioni di assai minor momento.
Ho l’impressione anzi che la Morte
abbia per lei qualche filtro amoroso,
sì pronta è sempre lei nel procurarsela.

ANTONIO - È furba, molto più che non si creda.

ENOBARBO - Ahimè, signore, no, non è così:
le sue passioni sono solo fatte
dell’essenza più fine dell’amore;
ché le sue lacrime, i suoi sospiri
non si posson chiamare piogge e venti:
son procelle e uragani, e più violenti
di quanti ne registran gli almanacchi.
Non è furbizia: perché se lo fosse,
vorrebbe dire ch’ella, come Giove,
può provocare rovesci di pioggia.

ANTONIO - Non l’avessi mai vista e conosciuta!

ENOBARBO - Ti saresti perduto l’occasione
d’ammirare una meraviglia rara;
e aver mancato un tale privilegio
t’avrebbe svalutato tutto il viaggio.

ANTONIO - È morta Fulvia.

ENOBARBO - Come?

ANTONIO - Morta!

ENOBARBO - Fulvia?

ANTONIO - Morta!…

ENOBARBO - Ebbene, signore, offri agli dèi
un sacrifizio di ringraziamento:
quando piace alle loro deità
di privare qualcuno della moglie,
si dimostrano i sarti della terra.
È un’idea consolante, per un uomo,
ch’egli, una volta consumato un abito,
trovi chi possa fargliene uno nuovo.
Se al mondo non vi fossero altre donne
all’infuori di Fulvia, allora sì
potresti dir d’aver avuto un taglio,
e il tuo caso sarebbe lamentevole.
Ma c’è un conforto a questo tuo dolore:
ed è che la tua vecchia palandrana
può partorirti una nuova gonnella.
Sicché tutte le lacrime
di che deve bagnarsi il tuo cordoglio
stan tutte dentro a un bulbo di cipolla.( )

ANTONIO - Gli intrighi ch’ella ha ordito nello Stato
non consentono più ch’io resti assente.

ENOBARBO - Ma anche quelli che hai imbastito qui
hanno bisogno della tua presenza,
e specialmente quello con Cleopatra
che sta legato strettissimamente
alla tua permanenza qui in Egitto.

ANTONIO - Basta adesso con le risposte frivole.
Che tutti i nostri capi militari
siano informati dei nostri propositi.
Alla regina spiegherò io stesso
le ragioni di questa nostra urgenza,
e ne otterrò licenza di partire;
poiché a tanto ci spingono con forza
non solamente la morte di Fulvia,
e ragioni di questa ancor più urgenti,
ma lettere di molti buoni amici
che insistono perché torniamo a Roma.
Sesto Pompeo ha ormai lanciato a Cesare
la sua sfida, e mantiene indisturbato
il controllo dei mari.
L’incostante plebaglia, il cui favore
non si dirige mai su chi lo merita
finché i suoi meriti non sian passati,
comincia a riversar il Gran Pompeo
e tutte le sue glorie su suo figlio,( )
che eminente per fama e per potere,
ma ancor più per forza e per coraggio,
s’erge come soldato tra i soldati,
e questa forza, se lasciata crescere,
può minacciare l’assetto del mondo.
Molte cose si vanno maturando,
le quali, come un crine di cavallo,( )
hanno già in sé la vita della serpe,
pur non avendone ancora il veleno.
Provvedi dunque a rendere informati
i nostri subalterni cui compete,
del nostro intendimento:
partire subito da qui.

ENOBARBO - Va bene.

(Escono)



SCENA III - La stessa. Un’altra stanza


Entrano CLEOPATRA, CARMIANA, IRAS e ALESSA

CLEOPATRA - Dov’è?

CARMIANA - Da allora non l’ho più veduto.

CLEOPATRA - (Ad Alessa)
Vedi dov’è, con chi, che cosa fa.
Ma non dire che t’ho mandato io.
Se lo trovi d’aspetto rattristato,
digli ch’io sto ballando; se giulivo,
digli che ho avuto un subito malore.
E fa presto a tornare.

(Esce Alessa)

CARMIANA - Se veramente l’ami, mia signora,
penso che non sia proprio questo il modo
di farti ricambiare questo amore.

CLEOPATRA - Che cosa dovrei fare, che non faccio?

CARMIANA - Dovresti secondarlo in ogni cosa,
non contrariarlo in nulla.

CLEOPATRA - Che sciocco insegnamento è questo tuo!
Proprio la via per perderlo.

CARMIANA - Non serve a nulla provocarlo tanto.
M’auguro che tu possa trattenerti:
col tempo si finisce per odiare
ciò che spesso temiamo. Ma ecco Antonio.

Entra ANTONIO

CLEOPATRA - Son malata e depressa.

ANTONIO - Mi dispiace annunciarti che ho deciso…

CLEOPATRA - Sostienimi, Carmiana, andiamo via,
io non reggo. Così non può durare,
la mia natura più non lo sostiene.

ANTONIO - Regina mia dolcissima…

CLEOPATRA - No, no, ti prego, non t’avvicinare.

ANTONIO - Che c’è? Che ti succede?

CLEOPATRA - Lo so, lo so, ci son buone notizie:
te lo leggo negli occhi…
Che ti dice la tua donna sposata?
Che puoi tornar da lei? Va’, vacci pure!
Mai t’avesse ella dato
licenza di venire! E non ti dica
che son io a trattenerti qui!
Non ho nessun potere su di te.
Sei suo, e suo rimani.

ANTONIO - Sanno gli dèi…

CLEOPATRA - Oh, mai ci fu regina
più tradita! Ma io l’avevo visto,
spuntare già all’inizio il tradimento!

ANTONIO - Cleopatra…

CLEOPATRA - Perché dovrei illudermi
che tu sei mio e che mi sei fedele
- anche se tu, coi grandi giuramenti,
sai scuotere gli dèi dai loro troni -
se sei stato infedele anche con Fulvia?
È follia stravagante
farsi sedurre da certe promesse
fatte solo a parole,
e già infrante al momento di giurarle!

ANTONIO - Dolcissima regina…

CLEOPATRA - No, ti prego,
non cercare pretesti per andartene;
ma dimmi addio e vattene.
Quando mi supplicavi per restare,
allora sì, era tempo di parole!
Non mi parlavi allora di partire:
c’era negli occhi nostri e sulle labbra
l’eternità, e la beatitudine
nell’arco delle ciglia;
nessun brandello di noi tanto misero,
che non avesse sapor celestiale.
Ed è ancora così; oppure tu,
che sei il più grande soldato del mondo,
sei diventato pure il più bugiardo.

ANTONIO - Che dici?

CLEOPATRA - Oh, avessi io la tua statura!
Vedresti se l’Egitto( ) ha un cuore un petto!

ANTONIO - Ascoltami, regina:
l’impellente esigenza del momento
chiede altrove per poco i miei servizi;
ma il mio cuore rimane qui con te.
La nostra Italia è tutto un corruscare
d’armi in lotta civile.
Sesto Pompeo punta al porto di Roma;
la parità delle due forze in campo
alimenta mutevoli fazioni:
chi era odiato, cresciuto di forza,
ora è tornato in simpatia del popolo.
Sesto Pompeo, già condannato al bando,
carico della gloria di suo padre,
si va rapidamente insinuando
nel cuore di coloro - e sono tanti -
che non hanno potuto prosperare
con l’attuale governo, e il cui numero
si fa minaccia; cosicché la pace,
stata malata per la lunga inerzia,
cerca di risanarsi col ricorso
ad ogni disperato cambiamento.
Ma la ragione mia più personale,
e che dovrebbe più rassicurarti
su questa mia improvvisa partenza,
è la morte di Fulvia.

CLEOPATRA - L’età può non avermi liberata
dalla follia, ma dall’ingenuità
sì, certamente. Può Fulvia morire?

ANTONIO - È morta, mia regina! Guarda qui,
e puoi leggere, a tuo sovrano agio,
tutti gli intrighi che m’ha suscitato;
e per ultimo, il più grave di tutti,
vedi in che circostanze e dove è morta.

CLEOPATRA - O falsissimo amante!
E dove sono le ampolle votive
che dovresti colmare con le lacrime
del tuo grande cordoglio?
Oh, vedo già, nella morte di Fulvia,
come accolta sarà da te la mia!

ANTONIO - Smettiamola con questi battibecchi!
Preparati piuttosto ad ascoltare
quelli che sono i miei proponimenti,
che saran tali o cesseranno d’esserlo,
secondo il tuo consiglio.
Pel fuoco che vivifica e feconda
la fanghiglia del Nilo,
io da qui parto, tuo soldato e servo,
a fare guerra o pace, a tuo talento.

CLEOPATRA - Carmiana, su, tagliami questo laccio…
No, no, lascialo stare…
d’un tratto son malata, poi sto bene,
così sa amare Antonio.

ANTONIO - Mia preziosa regina,
sii comprensiva e rendi il giusto credito
al suo amore, che sta onorevolmente
affrontando la prova.

CLEOPATRA - Fulvia insegna.
Ti prego, voltati e piangi per lei,
poi dimmi addio, e di’ che le tue lacrime
eran per questa regina d’Egitto.
Da bravo, recita una bella scena,
facendola apparire, a tuo talento,
un gesto di perfetta onoratezza…

ANTONIO - Basta, adesso! Mi fai bollire il sangue!

CLEOPATRA - Bene! Bravo! Così!… Però la scena
ti potrebbe riuscire ancora meglio,
anche se questa non è niente male…

ANTONIO - Ah, per questa mia spada…

CLEOPATRA - E pel tuo scudo!…
Sempre meglio; ma ancora non ci siamo.
Ecco, Carmiana, vedi,
come s’addice ad un Romano erculeo( )
la parte del collerico.
Caro, tu ed io ci siamo molto amati…
E tu lo sai. Ma non è questo il punto:
perché c’è un’altra cosa ch’io vorrei…
Ah, maledetta mia smemorataggine!
È proprio come Antonio:
mi fa dimenticare tutto e tutti!( )

ANTONIO - Se non fosse la tua regalità
a far tua suddita la vanità,
direi che sei la vanità in persona.

CLEOPATRA - Fatica ingrata è trascinarsi dietro
la propria vanità vicino al cuore,
come succede a questa Cleopatra.
Ma devi perdonarmi, mio signore,
ché le mie stesse grazie
mi riescono mortalmente odiose
se non sono gradite agli occhi tuoi.
Ora l’onore ti reclama altrove;
perciò rimani sordo, non badare
a questa mia sconsolata follia,
e parti, e t’accompagnino gli dèi!
In cima alla tua spada
segga cinta di gloria la vittoria
e faccia da tappeto al tuo passaggio
un facile successo.

ANTONIO - Andiamo; il separarci, tra noi due
è un partire ed un rimanere insieme;
ché tu, restando qui, vieni con me,
ed io, partendo, resto qui con te.

(Escono)



SCENA IV - Roma. La casa di Cesare


Entrano OTTAVIO CESARE, che legge una lettera, LEPIDO e seguito

OTTAVIO - Ecco, Lepido, leggilo tu stesso;
e sappi, d’ora innanzi,
che non è nel carattere di Cesare
portar rancore al nostro grande socio.
Ma ho l’ultime notizie da Alessandria:
non fa che andare a pesca e ubriacarsi,
e consumare in crapula e bagordi
le fiaccole notturne.
È meno maschio lui che Cleopatra:
è più femmina lui
che la regina sposa a Tolomeo.( )
Ha dato a stento udienza ai nostri messi,
e non lo sfiora il minimo pensiero
che ha qui dei consociati nell’impero.
Ecco, in questo rapporto vedi un uomo
ch’è la sintesi più circostanziata
d’ogni vizio della natura umana.

LEPIDO - M’è difficile credere che in lui
possan risiedere tante bassezze
da offuscare le tante buone doti
che pure egli possiede in abbondanza.
I vizi sono in lui come le stelle,
che meglio sfiammano luce nel cielo
nel buio della notte:
ereditari a lui più che acquisiti;
qualcosa ch’egli, più che aver voluto,
non è più in grado di sradicar da sé.

OTTAVIO - Tu sei troppo indulgente a dir così.
Concediamogli che non è anormale
stare a capriolare giorno e notte
nel talamo che fu di Tolomeo;
dar via un regno in cambio d’un trastullo;
sedersi a sbavazzar con una schiava;
andare barcollando per le strade
avvinazzato in pieno mezzogiorno;
mettersi a litigare con gentaccia
che puzza di sudore da lontano.
Concediamogli pure
che tutto questo è consono al suo rango
- anche se deve aver ben strani gusti
per non farsi insozzar da certe cose -;
ma Antonio non può aver nessuna scusa
per queste sue magagne, ben sapendo
che su di noi ricade tutto il peso
della sua leggerezza.
Se vuol riempire le sue ore in orge,
faccia pure, e ne paghi lui lo scotto
con attacchi di nausea e col mal d’ossa;( )
ma far strame d’un’ora come questa,
che lo richiama a rullo di tamburo
dai suoi piaceri, e gli parla a gran voce
del suo stato e del nostro,
questo merita tutto il nostro biasimo:
al modo che si sgridan quei ragazzi,
che, essendo già maturi di giudizio,
immolano al capriccio d’un momento
l’esperienza acquisita,
ribelli a ciò che detta la ragione.

Entra un MESSO

LEPIDO - Altre notizie.

MESSO - Cesare magnanimo,
i tuoi ordini furono eseguiti,
e d’ora in ora giungeranno a te
rapporti sulla situazione fuori.
Pompeo domina i mari, e, a quanto pare,
s’è accaparrato già le simpatie
di quanti si dicevan tuoi amici
finora solo perché ti temevano.
Gli scontenti affluiscono nei porti,
e la pubblica voce va dicendo
che a Pompeo furon fatti molti torti.

OTTAVIO - Non m’aspettavo nulla di diverso.
Ci hanno insegnato, da che mondo è mondo,
che chi sta in auge viene ricercato
fino a che resta in quella posizione;
mentre chi sta in declino, mai amato
finché fu meritevole d’affetto,
si loda e apprezza quando non c’è più.
Questa gentaglia, simile ad un giunco
che galleggia in balia della marea,
ondeggia sempre, ora avanti, ora indietro,
col moto alterno del flusso dell’acqua,
fino a marcire del suo stesso moto.

Entra un altro MESSO

MESSO - Cesare, sono qui per annunciarti
che Menecrate e Mena, i due pirati,
vanno spadroneggiando per i mari,
solcandoli con chiglie d’ogni stazza.
Fanno ardite, violente scorrerie
sulle coste d’Italia; al sol pensiero,
le genti rivierasche si fan pallide,
la gioventù più fiera sta in subbuglio.
Non c’è nave che può affacciarsi al largo
senza essere abbordata appena vista.
E di Pompeo fa più paura il nome
che l’idea di resistergli in battaglia.

OTTAVIO - Oh, Antonio, Antonio, lascia finalmente
i tuoi lascivi egiziani bagordi!
Quando fosti scacciato via da Modena,
dove uccidesti i consoli Irzio e Pansa,
t’incalzava la fame, eppure tu,
benché allevato in mezzo alle mollezze,
la combattesti con più resistenza
di quella d’un selvaggio della giungla.
Ti dissetò l’urina dei cavalli
e il fango rosseggiante dei pantani( )
che perfino le bestie schiferebbero.( )
Il tuo palato allora non sprezzò
l’acre bacca della più rozza siepe;
ti divorasti la scorza degli alberi,
come fa il cervo quando, al crudo inverno,
la neve copre tutte le pasture;
e sulle Alpi ti furon nutrimento,
a quanto si racconta, strane carni,
che qualcuno morì solo a vederle.
Tutto questo sapesti sopportare
(è un’onta pel tuo onore ch’io ne parli)
talmente in modo degno d’un soldato,
che la tua guancia non ti si smagrì.

LEPIDO - Peccato, per un uomo come lui!

OTTAVIO - Che almen le sue vergogne in terra egizia
possano ricondurlo presto a Roma;
perché è giunto il momento che noi due
ci mostriamo sul campo, saldi e uniti.
Anzi, riuniamo subito il Consiglio,
perché Sesto Pompeo
non può che trarre il massimo vantaggio
da questo nostro stato d’impotenza.

LEPIDO - Quanto a me, Cesare, domani stesso,
sarò in grado di precisarti in tutto
con quali forze di terra e di mare
saprò far fronte all’attuale emergenza.

OTTAVIO - Ed a questo porrò pur io la mente
fino ad allora. Addio.

LEPIDO - Addio, signore.
Di ciò che nel frattempo apprenderai
di movimenti in giro,
vorrai, ti prego, tenermi informato.

OTTAVIO - Senz’altro. Lo ritengo mio dovere.

(Escono)



SCENA V - Alessandria d’Egitto. La reggia di Cleopatra


Entrano CLEOPATRA, CARMIANA, IRAS e MARDIANO

CLEOPATRA - Carmiana!

CARMIANA - Sì, signora?

CLEOPATRA - Ahi, ahi, ahi!
Portami una pozione di mandragola.

CARMIANA - Per che scopo, signora?

CLEOPATRA - Per lo scopo ch’io possa addormentarmi
per tutto questo gran vuoto di tempo
nel quale Antonio mi starà lontano.

CARMIANA - Ci pensi troppo.

CLEOPATRA - Ah, che tradimento!

CARMIANA - No, signora, non è, sono sicura.

CLEOPATRA - Ehi, eunuco Mardiano!

MARDIANO - Sono qua.
La tua Altezza desidera qualcosa?

CLEOPATRA - Non di sentirti cantare, Mardiano.
Da tutto ciò che può darmi un eunuco
non traggo francamente alcun piacere.
Beato te, che, essendo aseminato,
non libri i tuoi più liberi pensieri
fuori d’Egitto. Provi tu passioni?

MARDIANO - Sì, graziosa signora.

CLEOPATRA - Per davvero?

MARDIANO - Per davvero, non proprio:( ) per davvero
io posso fare solo cose caste;
e tuttavia conosco la violenza
della passione, e vado col pensiero
a quel che fece Marte insieme a Venere.( )

CLEOPATRA - Oh, Carmiana, che pensi,
dove si trova Antonio in questo istante?
Starà in piedi, o seduto?
Andrà a passeggio, oppure andrà a cavallo?
Fortunato cavallo,
che ti porti il suo peso!… Siigli docile:
se tu sapessi chi ti porti in groppa!
Il semi-Atlante dell’intero mondo!( )
Braccio e cimiero della specie umana!( )
Ora starà dicendo, o mormorando:
“Dove sarà, a quest’ora,
il serpentello mio del vecchio Nilo?”…
Perché così mi chiama, ed io mi nutro
del veleno più dolce e delizioso:
il pensiero ch’ei pensi sempre a me,
cui gli amorosi pizzichi di Febo
hanno reso la pelle tanto scura
e ormai solcata in profondo dal tempo.
Cesare fronte-larga, al tempo tuo,
quando eri ancor coi piedi sulla terra,
io ero, sì, un boccone da re;( )
ed il grande Pompeo
mi sgranava sul viso tanto d’occhi,
quasi volesse là ancorar lo sguardo,
e là morir nella contemplazione
di tutta la sua vita!

Entra ALESSA

ALESSA - Salute a te, imperatrice d’Egitto!

CLEOPATRA - Quanto diverso, tu, da Marcantonio!
E tuttavia, poiché vieni da lui,
come quella possente medicina
t’ha tinto tutto d’oro!( )
E come sta il mio prode Marcantonio?

ALESSA - L’ultimo gesto, prima di partire,
è stato, mia regina, un lungo bacio
- l’ultimo dei moltissimi già dati -
a questa splendida perla d’oriente,
e quel che ha detto ce l’ho ancora in cuore.

CLEOPATRA - E dal tuo cuore versalo al mio orecchio.

ALESSA - “Buon amico - mi dice - al grande Egitto( )
riferisci che il fido suo Romano
le manda questo tesoro d’un’ostrica;
ma a compensar la pochezza del dono,
dille che vorrà stendere ai suoi piedi
un variopinto tappeto di regni,
per far più bello il suo trono opulento,
sì che tutto l’Oriente, devi dirle,
dovrà chiamarla signora e padrona”.
Indi mi fece appena un breve cenno
e tutto serio in volto balzò in sella
a un cavallo inguantato d’armatura( )
che levò alto in aria un tal nitrito,
da soffocare bestialmente in me
tutto quello che avrei voluto dirgli.

CLEOPATRA - E d’umore com’era, triste o allegro?

ALESSA - Era l’esatta immagine, signora,
della stagion dell’anno che sta in mezzo
tra la grande calura e il grande gelo:
non era triste, ma nemmeno allegro.

CLEOPATRA - O perfetto equilibrio di carattere!
Senti, senti, Carmiana; quello è un uomo!
Ecco, rifletti un po’: non era triste,
perché voleva apparire sereno
a quelli che volevano atteggiare
al suo il proprio volto; né era lieto,
quasi a dire che tutto il suo ricordo
e il suo gaudio restavano in Egitto:
stava tra l’uno e l’altro stato d’animo.
Miscuglio celestiale!
La violenza di questi sentimenti
si addice a te come a nessun altr’uomo…
Incontrasti per strada i miei corrieri?

ALESSA - Sì, una ventina, l’uno dopo l’altro.
Perché tanti, signora?

CLEOPATRA - Finirà la sua vita da pezzente
chi sarà nato il giorno che Cleopatra
si scorderà d’inviar suoi corrieri
ad Antonio… Carmiana, carta e inchiostro!
Buon Alessa, va’ pure. Ti ringrazio.

(Esce Alessa)

Carmiana, dimmi, ho mai amato Cesare
in questo modo? Dillo, su Carmiana…

CARMIANA - Quel prode Giulio Cesare!…

CLEOPATRA - Che possa rimanerti nella strozza
un’altra esclamazione come questa!
Di’ piuttosto: “Quel prode Marcantonio!”.

CARMIANA - Quel valoroso Cesare…

CLEOPATRA - Per Iside!
Ti faccio sanguinare tutti i denti
se seguiti a paragonare Cesare
al mio uomo, ch’è il principe degli uomini!

CARMIANA - Con tua licenza, graziosa regina,
io non canto che la tua vecchia solfa.

CLEOPATRA - Ah, teneri miei giorni di fanciulla!( )
Quand’ero ancora verde di giudizio
e tiepida di sangue,
per esprimermi come m’esprimevo!
Ma via, procurami carta ed inchiostro:
deve avere da me, giorno per giorno,
messaggi di saluto, un dopo l’altro,
dovessi spopolar tutto l’Egitto.

(Escono)