WILLIAM SHAKESPEARE ANTONIO E CLEOPATRA |
ATTO TERZO SCENA I - Una piana in Siria Entra VENTIDIO, come in trionfo, con SILIO e altri romani, ufficiali e soldati. In testa al corteo viene portata la salma di Pacoro VENTIDIO - O saettante( ) Partia, ora sei vinta! Finalmente la sorte a me benigna mi fa vendicatore della morte del nostro Marco Crasso. Si porti il corpo del figlio del re in testa alla colonna. Questo, Orode, paga per vendicare Marco Crasso il tuo Pacoro. SILIO - Nobile Ventidio, mentre del loro sangue è ancora calda la tua spada, incalza i Parti in fuga, dilaga in Media ed in Mesopotamia, dovunque volino a trovar rifugio le loro schiere in rotta. Così il tuo grande capitano Antonio ti porrà sul suo carro trionfale e cingerà il tuo capo di ghirlande.( ) VENTIDIO - Oh, Silio, Silio! Ho fatto già abbastanza. Un subalterno, tienitelo a mente, è sempre esposto al rischio di strafare. Impara questo, Silio: è preferibile lasciare non compiuta qualche cosa, che ritrarne per sé troppo alta gloria, per averla compiuta quando è via colui al quale siam subordinati. Cesare come Antonio han sempre vinto più pel tramite dei loro ufficiali che di persona. Il suo luogotenente Sossio,( ) che tenne già il mio posto in Siria, perdette il suo favore per la fama che sera procacciata ed accresciuta in pochissimo tempo. Chiunque in guerra fa di più di quello che sa fare il capo, diviene lui il capo del suo capo; e lambizione, virtù del soldato, preferirà piuttosto una sconfitta a una vittoria che la metta in ombra. Io potrei fare meglio e ancor di più per il bene di Antonio, ma questo gli potrebbe dar fastidio, e tutto il mio ben fatto andrebbe in fumo. SILIO - Tu, Ventidio, possiedi tutto quello la cui mancanza fa distinguer male un soldato dalla sua propria spada. Scriverai ad Antonio? VENTIDIO - Certamente; e gli riferirò quanto in suo nome - questa parola magica di guerra - umilmente abbiam fatto: come, cioè, sotto le sue bandiere e con le sue ben pagate milizie abbiamo sgominato in campo aperto limbattuta cavalleria dei Parti. SILIO - Dovè adesso? VENTIDIO - Dirige sopra Atene, dove noi, con la fretta consentita dal bottino che ci portiamo dietro, andremo ad incontrarlo Avanti, march! (Escono) SCENA II - Atrio nella casa di Cesare Entrano, da parti opposte, AGRIPPA e ENOBARBO AGRIPPA - Sicché i cognati adesso si separano?( ) ENOBARBO - Con Pompeo hanno chiuso la partita, è stato fatto fuori.( ) Gli altri tre stan suggellando il patto dalleanza. Ottavia piange perché lascia Roma; Cesare è triste per questa partenza, mentre Lepido, come dice Menas, dal giorno del banchetto di Pompeo, è afflitto dal mal verde.( ) AGRIPPA - Ah, quel nobile Lepido! ENOBARBO - Un bravuomo, un gran bravuomo. E come adora Cesare! AGRIPPA - Già, ma non dici come adora Antonio? ENOBARBO - Cesare Ma per lui è un Giove in terra! AGRIPPA - E Antonio, allora? Antonio è il dio di Giove! ENOBARBO - Di Cesare parlavi? Impareggiabile! AGRIPPA - E Marcantonio? Unaraba fenice! ENOBARBO - Tu vuoi lodare Cesare? Ti basta dire Cesare: non altro. AGRIPPA - Veramente, lui li subissa entrambi di lodi strabilianti. ENOBARBO - Però, è sempre Cesare, chegli ama più, seppure egli ami Antonio. Oh, non possono cuori, lingue, cifre, scribi, bardi, poeti, immaginare, cantare, enumerare, celebrare, dire in versi lamor suo per Antonio! Per Cesare, però, tutti in ginocchio, tutti proni, in ginocchio, ad ammirarlo. AGRIPPA - Insomma, via, vuol bene a tutti e due. ENOBARBO - Essi sono le elìtre, lui la blatta.( ) (Trombe da dentro) Ohilà, il segnale di montare in sella! AGRIPPA - Degno soldato, addio, buona fortuna! Entrano CESARE OTTAVIO, ANTONIO, LEPIDO e OTTAVIA OTTAVIO - Ti porti via gran parte di me stesso: fanne buon uso, Antonio. E tu, sorella, mostrati tal moglie quale ti sanno bene i miei pensieri, e sia la mia migliore aspettativa superata dal tuo comportamento. Antonio nobilissimo, procura che questo raro esempio di virtù che è venuto a frapporsi fra noi due, a cementare la nostra amicizia, non abbia a trasformarsi nellariete che ne sconquassi la salda fortezza; giacché allora sarebbe stato meglio amarci senza questo intermediario, sesso non sarà stato a entrambi caro. ANTONIO - Non offendermi con codesti dubbi. OTTAVIO - Lho detto. ANTONIO - Puoi cercar quanto ti pare, non troverai la minima cagione per ciò di cui mi sembri aver timore. E così, ti proteggano gli dèi, e facciano che il cuore dei Romani volga ai tuoi fini. Qui ci separiamo. OTTAVIO - Addio, carissima sorella, addio! Che propizi ti siano gli elementi, e diano ogni conforto al tuo morale. OTTAVIA - Mio nobile fratello! ANTONIO - (Vedendo Ottavia che piange) Nei suoi occhi è laprile. Questa è la primavera dellamore, e queste lacrime sono le piogge che ne danno lannuncio. Sii serena. OTTAVIA - Fratello, bada a far buona custodia alla casa di mio marito; e poi OTTAVIO - e poi che cosa, Ottavia? OTTAVIA - Te lo dico allorecchio. ANTONIO - La sua lingua non se la sente di obbedire al cuore, né il cuore sa consigliare la lingua: è una piuma di cigno che galleggia sullonda, sempre incerta se propender dalluna o laltra parte. ENOBARBO - (A parte, ad Agrippa) Che fa Cesare, piange? AGRIPPA - Ha una nube sul volto, come vedo. ENOBARBO - Un brutto segno, se fosse un cavallo. AGRIPPA - (A parte, a Enobarbo) Allora non hai visto Marcantonio nel momento che vide morto Cesare: piangeva che sembrava che nitrisse; e pianse anche a Filippi, nel momento che vide Bruto ucciso. ENOBARBO - (A parte, ad Agrippa) Ti dirò che quellanno era soggetto a un male che gli dava il pianto facile: piangeva, credimi, per ogni cosa chegli avesse distrutto di proposito, tanto che fece piangere anche me. OTTAVIO - Non ti farò mancare mie notizie, dolce Ottavia: non sarà certo il tempo a far chio ti dimentichi, mia cara. ANTONIO - Ebbene, Ottavio, mavrai tuo rivale in questo forte affetto tuo per lei. Lascia ora chio ti abbracci e ti lasci, affidandoti agli dèi. OTTAVIO - Addio! Felicità! LEPIDO - Tutte le innumeri stelle del cielo rischiarino il tuo prospero cammino! (Bacia Ottavia) OTTAVIO - Addio, dunque, sorella. ANTONIO - Addio! Addio! (Escono - Squilli di tromba) SCENA III - Alessandria. La reggia di Cleopatra Entrano CLEOPATRA, CARMIANA, IRAS e ALESSA CLEOPATRA - Dovè quelluomo? ALESSA - Non osa più entrare. CLEOPATRA - Buon uomo, avanti, avanti, vieni qui. Entra il MESSO, lo stesso di prima ALESSA - Erode di Giudea, buona maestà, non alzerebbe gli occhi su di te, quando non sei di vena conciliante. CLEOPATRA - Di quellErode voglio aver la testa! Già, ma come, se Antonio se nè andato, e lui solo poteva procurarmela? (Al Messo) Vieni avanti. MESSO - Graziosa maestà CLEOPATRA - Insomma, Ottavia tu lhai vista o no? MESSO - Certamente, temuta mia regina. CLEOPATRA - Dove? MESSO - A Roma, regina, e bene in volto, in mezzo a suo fratello e Marcantonio. CLEOPATRA - È alta come me? MESSO - No, no, signora. CLEOPATRA - Lhai sentita parlare? Ha la voce squillante oppure bassa? MESSO - Lho sentita parlare: ha voce bassa. CLEOPATRA - Peggio per lei: non può piacergli a lungo. CARMIANA - Piacergli? O sacra Iside! È impossibile! CLEOPATRA - Lo credo anchio, Carmiana Voce cupa, statura nanerottola Che cè di maestoso nel suo incedere? Cerca di ricordartelo: hai notato forse in esso una qualche maestà? MESSO - Si strascica. Si muova o resti immobile, è tuttuno. Più un corpo che una vita. Non una che respira, ma una statua. CLEOPATRA - Ne sei sicuro? MESSO - O io non so osservare. CARMIANA - Meglio di lui capaci di osservare non ce nè altri tre in tutto Egitto. CLEOPATRA - Lo vedo, infatti: è un buon intenditore. Insomma, in quella donna non cè niente. Costui è uno che sa giudicare. CARMIANA - E bene, anche. CLEOPATRA - E letà, sapresti dirmela? MESSO - Signora, era una vedova CLEOPATRA - Una vedova? Senti, Carmiana? MESSO - Avrà forse trentanni. CLEOPATRA - E ricordi il suo viso? È lungo o tondo? MESSO - Tondo, spropositatamente tondo. CLEOPATRA - Quelli così di solito son sciocchi. E i capelli, di che colore sono? MESSO - Son castani, signora; e non potrebbe aver fronte più bassa, anche se lo volesse. CLEOPATRA - (Dandogli del denaro) Ecco delloro. Se pocanzi tho accolto in modo brusco non devi averla a male; ti riprendo di nuovo al mio servizio. Trovo che sai far bene il tuo lavoro. Intanto, va, preparati a partire; le nostre lettere sono già pronte. (Esce il Messo) CARMIANA - Un ometto dabbene. CLEOPATRA - Sì, davvero. Mi pento assai daverlo maltrattato. Beh, a sentir lui, mi pare che costei non sia poi tutta questa grande cosa. CARMIANA - Anzi niente, signora. CLEOPATRA - Eh, quelluomo lha ben veduta qui una qualche maestà, e deve ben sapere comè fatta. CARMIANA - Se lha veduta, una maestà? Per Iside! È stato tanto tempo al tuo servizio! CLEOPATRA - Ho una cosa da domandargli ancora, buona Carmiana Ma lasciamo andare: accompagnalo tu nel mio scrittoio. Tutto potrà andar bene. CARMIANA - Ma certo, senza dubbio, mia signora! (Escono) SCENA IV - Atene. Stanza in casa di Antonio Entrano ANTONIO e OTTAVIA ANTONIO - No, cara Ottavia, non è solo quello Sarebbe ben scusabile, quello con tutte laltre mille cose della stessa importanza Il fatto serio è chegli ha mosso nuovamente guerra contro Sesto Pompeo; ha preparato il testamento, e poi lha letto in pubblico: di me non ha parlato quasi affatto, e quando sè trovato nel discorso a non potere proprio fare a meno di tributarmi almeno un qualche merito, lha fatto in modo freddo e distaccato, lesinandomi al massimo gli elogi; e ogni volta che nebbe loccasione, o non la colse, oppure, se la colse, lo fece a denti stretti. OTTAVIA - Mio buon signore, non credere a tutto, o, se proprio lo devi, fa di non prendere ogni cosa a cruccio. Se, non sia mai, dovesse, fra voi due prodursi una rottura, non ci sarebbe proprio donna al mondo, più infelice di me, nel ritrovarmi nel mezzo a tutti e due, a pregare per una e laltra parte. Rideranno di me gli dèi benigni nel sentirmi pregarli: Oh, benedite luomo chè mio signore e mio marito!, ed annullare poi questa preghiera, gridando, con egual pietosa foga: Oh, proteggete, numi, mio fratello!. Vinca il marito, no, vinca il fratello: lei prega, e una preghiera annulla laltra, tra questi estremi non cè via di mezzo. ANTONIO - Ottavia mia gentile, che il tuo amore sindirizzi più forte verso il punto che meglio cercherà di conservarlo: semmai dovessi perdere il mio onore, io perderei me stesso: meglio non esser tuo, che senza onore! Ma sarai tu, comè tuo desiderio, a far da intermediaria fra noi due; intanto io, signora, allestirò una tal forza di guerra da eclissar tuo fratello. Perciò affrettati a far quello che dici, se vuoi che il desiderio tuo savveri. OTTAVIA - Grazie, signore: Giove onnipotente faccia di me, che son fragile cosa, la vostra musa riconciliatrice. Se scoppiasse una guerra tra voi due, sarebbe come se si spalancasse nel mondo la voragine e a colmarla occorressero pile di cadaveri. ANTONIO - Quando ti sarà chiaro chi nè causa, indirizza su lui il tuo disdegno, perché mai si potranno equivalere le nostre colpe, sì che lamor tuo possa ancora spartirsi fra noi due in eguale misura. Per adesso, preparati a partire; scegli tu il tuo seguito ed ordina ogni spesa che ti possa servire, a tuo piacere. (Escono) SCENA V - La stessa. Unaltra stanza Entrano, da parti opposte, ENOBARBO ed EROS ENOBARBO - Salute, amico Eros! Che notizie? EROS - Notizie strane, in giro, amico. ENOBARBO - Quali? EROS - Cesare e Lepido contro Pompeo, in guerra. ENOBARBO - È roba vecchia! Ma con Lepido, poi, comè finita?( ) EROS - È finita che Cesare, dopo essersi servito ben di lui, per far guerra a Pompeo, gli ha negato il diritto di collega, non ha voluto farlo compartecipe della gloria acquistata nellimpresa; non contento di questo, ora laccusa per alcune lettere che avrebbe scritte precedentemente allo stesso Pompeo; su questa accusa, lo fa arrestare, e così il poveretto terzo nel mondo è chiuso sottochiave, finché la morte venga a ridischiudergli un più largo orizzonte. ENOBARBO - Allora ti rimangono ora, mondo, un paio di mandibole e non più. Buttaci tutto il cibo che possiedi: ci penseranno loro a macinarlo tra loro due Dovè ora Antonio? EROS - È là in giardino che se la passeggia, ecco, così: a dar calci in qua e in là, a tutti i cespuglietti in cui simbatte, gridando, ad ogni po: Lepido, idiota! e minacciando di tagliar la gola al suo soldato che ha ucciso Pompeo.( ) ENOBARBO - La nostra grande flotta è già allestita. EROS - Per lItalia e per Cesare! Domizio, il mio signore ti vuole durgenza. Ora maccorgo che queste notizie avrei potuto dartele anche dopo. ENOBARBO - Sarà cosa da nulla Lascia stare, e accompagnami tu da Antonio. EROS - Vieni. (Escono) SCENA VI - Roma. In casa di Cesare Entrano OTTAVIO CESARE, AGRIPPA e MECENATE OTTAVIO - Ha fatto questo e altro, in Alessandria, in dispregio di Roma. Ed ecco come: nel Foro, lui e Cleopatra, avanti a tutti, su un palco dargento, seduti su dei troni tutti doro; seduti ai loro piedi Cesarione, che dicono sia figlio di mio padre,( ) e tutta la progenie dei bastardi che la loro lussuria ha procreato da allora fino ad oggi. A lei ha dato il regno dellEgitto, proclamandola inoltre imperatrice della Siria Inferiore, e Cipro, e Lidia. MECENATE - In pubblico, così, davanti a tutti? OTTAVIO - Appunto, là, sulla pubblica piazza, dove fan le parate militari. Là stesso ha proclamato re dei re i suoi figli, assegnando ad Alessandro la Grande Media, la Partia e lArmenia; a Tolomeo la Siria e la Cilicia, ed anche la Fenicia. Ella comparve quel giorno abbigliata nei paramenti dIside, la dea, come pare che sabbigliasse spesso anche in passato, quando dava udienza. MECENATE - Lo sappia Roma AGRIPPA - Sì, affinché i Romani, già disgustati dalla sua indolenza, gli ritirino tutto il loro credito. OTTAVIO - Il popolo è informato, ché adesso ha ricevuto le sue accuse. AGRIPPA - Quali accuse? Chi accusa? OTTAVIO - Accusa Cesare, per il fatto che, dopo aver spogliato Sesto Pompeo del dominio in Sicilia, noi non gli avremmo dato la sua parte del governo dellisola; sostiene poi davermi dato in prestito delle navi che non gli ho più ridato; infine è sulle furie perché Lepido è stato esautorato da triumviro, e perché noi, dopo averlo deposto, abbiamo incamerato le sue rendite. MECENATE - A queste accuse si dovrà rispondere. OTTAVIO - Già fatto: il messaggero è già partito. Lepido - gli ho risposto - sera fatto crudele e disumano, e abusava del suo alto potere, e quindi ha meritato quellesonero. Son disposto a concedergli una parte di quanto ho conquistato io da solo, ma pretendo che lui faccia altrettanto con lArmenia e con tutti gli altri regni conquistati da lui. MECENATE - A questo non acconsentirà mai. OTTAVIO - E noi diremo no alle sue pretese! Entra OTTAVIA, con seguito OTTAVIA - Salute, Cesare! Salve, signori! Ottavio mio carissimo! OTTAVIO - Dovevo proprio giungere sul punto di chiamarti una donna ripudiata! OTTAVIA - Non lhai fatto, né hai ragione a farlo. OTTAVIO - Perché ci arrivi così di soppiatto, non come Ottavia, sorella di Cesare? La consorte di Antonio dovrebbe avere come battistrada un esercito intero, ed il suo arrivo dovrebbero annunciar gli alti nitriti dei cavalli, ben prima chessa appaia; e gli alberi, per tutto il suo percorso, dovrebbero esser carichi di folla plaudente e svigorita nellattesa; e nugoli di polvere, sollevati dalla tua numerosa truppa al seguito, dovrebbero innalzarsi fino al cielo Tu invece giungi a Roma come una forosetta di mercato, e cimpedisci di mostrare al mondo quellaffetto che, se non ostentato, può rischiar di restar non corrisposto.( ) Ti saremmo venuti incontro tutti, e sul mare e per terra, ad ogni tappa offrendoti più grande il nostro omaggio. OTTAVIA - Fratello mio diletto, a venire così non fui costretta: lho fatto di mia piena volontà. Udendo il mio signore Marcantonio, che tu ti preparavi ad una guerra, ne informò il mio orecchio desolato, e gli implorai licenza di tornare. OTTAVIO - Chegli immediatamente tha accordato, la tua presenza essendogli dostacolo tra lui e la sua sete di lascivia. OTTAVIA - Non dir così. OTTAVIO - Gli tengo gli occhi addosso, e le sue cose me le porta il vento. Dovè adesso? OTTAVIA - In Atene, mio signore. OTTAVIO - No, mia fin troppo oltraggiata sorella: Cleopatra con un cenno lha chiamato. Ha ceduto il suo regno a una baldracca, ed ora arruolano i re della terra per farci guerra: Bocco, re di Libia, Archelao, principe di Cappadocia; e Filadelfo, re di Paflagonia; e il tracio Adalla, e Marco re dArabia; il re del Ponto; Erode di Giudea; e Mitridate, e Polemo ed Aminta di Vomagena, Media e Licaonia, e tutta unaltra lista daltri scettri. OTTAVIA - Oh, me, disgraziatissima, col mio cuore diviso fra due cari che si fan guerra e male luno allaltro! OTTAVIO - Sii qui la benvenuta. Le tue lettere han ritardato la nostra rottura finché non fu chiaro di quanto fossi stata maltrattata e in quale rischio mi trovavo io stesso per la colpevole mia tolleranza. Fa cuore, non lasciarti frastornare dagli eventi che sulla tua lietezza adducono sì amare traversie, ma lascia, senza piangere, che le cose decise dal destino abbiano a seguitare il loro corso. Intanto sii la benvenuta a Roma, ché nulla potrebbe essermi più caro. Sei stata oltre ogni limite oltraggiata, e gli dèi sommi, a renderti giustizia, fanno di me e di quanti thanno cara i lor ministri. Resta di buon animo, e sii sempre tra noi la benvenuta. AGRIPPA - Sì, benvenuta, Ottavia! MECENATE - Benvenuta. Ogni cuore ti vuol bene, in Roma e ti compiange. Sol ladultero Antonio, nel corrivo suo abominio, ti caccia da sé e cede a una bagascia tutta la grande sua autorità; e questo lo conclama a noi nemico. OTTAVIA - È davvero così? OTTAVIO - Sicuramente. Sorella, benvenuta. Ora, ti prego, devi solo munirti di pazienza, e aspettare, sorella mia carissima. (Escono) SCENA VII - Il campo di Antonio presso Azio Entrano CLEOPATRA ed ENOBARBO CLEOPATRA - Con te faremo i conti, sta tranquillo! ENOBARBO - Perché, perché, che ho fatto? CLEOPATRA - Ti sei opposto a chio partecipassi personalmente a questa spedizione, dicendo che non è roba per me. ENOBARBO - Lo è forse, lo è? CLEOPATRA - Quandanche non sia stata dichiarata contro di me, la guerra,( ) perché non dovrei esserci in persona? ENOBARBO - (Tra sé) Beh, le potrei rispondere: dovessimo impiegare nel servizio dei cavalli e delle giumente insieme, sarebbe una cavalleria perduta; le giumente si porterebbero via cavallo e cavaliere CLEOPATRA - Che farfugli? ENOBARBO - Dicevo che la tua presenza, qui, deve per forza imbarazzare Antonio, distraendogli mente e cuore e tempo da ciò da cui non deve esser distratto. Già laccusano a Roma deccessivo lassismo e leggerezza, e dicono che questa spedizione la conduce un eunuco, il tuo Fotino, insieme alle tue donne. CLEOPATRA - Sprofondi Roma, e crepino le lingue di quanti sparlano lassù di noi! Un carico di questa guerra è mio, ed io, come sovrana del mio regno, mi ci voglio mostrare come un uomo. Ed è inutile che tu parli contro, non mi tirerò indietro. ENOBARBO - Beh, per me basta. Arriva il generale. Entrano ANTONIO e CANIDIO ANTONIO - Non è strano, Canidio, chabbia potuto in così breve tempo tagliar lo Ionio da Taranto a Brindisi, e conquistare subito Torona? (A Cleopatra) Hai sentito, mia cara? CLEOPATRA - Nessuno sa ammirar più dellignavo laltrui rapidità. ANTONIO - Un bel rimbrotto, Cleopatra, prendersela con lignavia! Adatto anche al migliore soldato! Noi, Canidio, laffronteremo in mare. CLEOPATRA - In mare, e che cosaltro? CANIDIO - Perché vuol fare questo il mio signore? ANTONIO - Perché è lui stesso che ci sfida a farlo. ENOBARBO - Ma anche tu lhai sfidato, mio signore, a battersi con te da solo a solo. CANIDIO - Già, e a darti battaglia sullo stesso terreno di Farsaglia sul quale Cesare affrontò Pompeo; ma offerte come queste in cui sa di trovarsi svantaggiato, lui le respinge risolutamente, e altrettanto dovresti fare tu. ENOBARBO - Le nostre navi son male armate, gli equipaggi son tutti mulattieri mietitori, raffazzonati in fretta, con leva obbligatoria; nella flotta di Cesare son quelli che han combattuto già contro Pompeo; le lor navi sono agili, leggere, le tue sono pesanti appetto a quelle. Se ricusi di batterti per mare, non te ne può venire disonore, essendo tu preparato per terra. ANTONIO - No, per mare, per mare! ENOBARBO - Ma così, nobilissimo signore, tu getti via la superiorità assoluta, di cui godi per terra, frantumi le tue forze, consistenti per la lor maggior parte di fanterie fortemente agguerrite, rinunci a trar partito dalla tua nota scienza militare, abbandoni la via per il successo, e, scartando una solida certezza, ti affidi alla ventura e allo sbaraglio. ANTONIO - Ho deciso: darò battaglia in mare. CLEOPATRA - Io ho sessanta vele, e Cesare non ha nulla di meglio. ANTONIO - Bruceremo le navi in sovrappiù, e con le rimanenti, tutte perfettamente equipaggiate, bloccheremo, dal promontorio dAzio, lavanzata di Cesare. Se poi dovessimo fallir sul mare, potremo sempre rifarci per terra. Entra un MESSO Che cè? MESSO - È notizia certa, generale: Cesare è in vista, ed ha preso Torona. ANTONIO - Come può essere già lì? Impossibile! È strano che vi sian già con lesercito. Canidio, tu assumerai il comando delle nostre diciannove legioni e dei dodicimila cavalieri per terra. Noi staremo sulla nave al largo di Azio. Andiamo, su, mia Teti!( ) Entra un SOLDATO Che cè, bravo soldato? SOLDATO - Generale, evita di combattere per mare. Non affidarti a legni marcescenti: abbi fiducia di quel che ti dicono questa mia spada e queste mie ferite. Vadano loro, Egiziani e Fenici, a diguazzare in acqua come papere: noi abbiam sempre trionfato per terra, e combattendo piede contro piede. ANTONIO - Bene, bene, su, andiamo! (Escono Antonio, Cleopatra ed Enobarbo) SOLDATO - Son sicuro, per Ercole, daver ragione io! CANIDIO - Ed hai ragione, soldato; ma ormai tutto quel che fa non procede dalla sua volontà: sicché colui che dovrebbe guidarci, è guidato; e noi uomini qui, siamo in mano alle donne. SOLDATO - Tu comandi per terra le legioni e tutta la cavalleria, è vero? CANIDIO - Sì. Marco Ottavio con Marco Giuliano, con Publicola e Celio sono in mare; noi ci teniamo tutti qui, per terra. Però questa rapidità di Cesare è davvero al disopra del credibile. SOLDATO - Mentrera ancora a Roma, fece uscir le sue truppe dalle mura in sì piccoli gruppi distaccati, da ingannare le spie. CANIDIO - E il suo luogotenente sai chi è? SOLDATO - Dicono un certo Tauro. CANIDIO - Lo conosco. Entra un altro MESSO MESSO - Il generale chiede di Canidio. CANIDIO - È unora gravida di novità: ne partorisce una ogni minuto. (Escono) SCENA VIII - Una piana presso Azio Entrano OTTAVIO CESARE e TAURO, con lesercito in marcia OTTAVIO - Tauro! TAURO - Mio signore? OTTAVIO - Mai colpire per terra, stare uniti, non provocar battaglia, finché non sia tutto concluso in mare. Tenersi alle istruzioni scritte qui. In questa scelta sta la nostra sorte. (Escono) SCENA IX - Unaltra parte della stessa piana Entrano ANTONIO ed ENOBARBO ANTONIO - Gli squadroni della cavalleria schierali là, sul fianco di quel colle, in vista dellesercito di Cesare; da quel posto potremo anche scoprire il numero delle sue navi in mare, e regolarci noi di conseguenza. (Escono) SCENA X - Unaltra parte della stessa piana Entrano, da un lato, CANIDIO, in marcia col suo esercito; dallaltro TAURO, il luogotenente di Cesare, con il suo - Dopo che sono usciti di scena, sode il fragore della battaglia navale Squilli di tromba Entra ENOBARBO ENOBARBO - Tutto in sfacelo! Tutto, tutto, tutto! Non reggo più a guardare! Lammiraglia egiziana, lAntoniade, con tutti i sessanta navigli han virato di barra e fuggon via. Una vista che acceca! Entra SCARO SCARO - O dèi e dee, e tutto il loro sinodo! ENOBARBO - Che hai da disperarti in questo modo? SCARO - La più importante porzione del mondo è perduta, per mera balordaggine! Ci siam giocati a baci ed a carezze interi regni, ed intere province! ENOBARBO - Come va la battaglia? SCARO - Per noi, come larrivo del colera, con la morte sicura. Quella lasciva cavallaccia egizia - che la lebbra se la divori tutta! - proprio nel mezzo del combattimento, quando le sorti, come due gemelle, seguagliavano, da una parte allaltra, anzi, la nostra forse anche maggiore,( ) quasi morsa da chissà qual tafano, come una vacca in foja in pieno giugno, alza le vele e fila via! ENOBARBO - Lho visto: e mi si son voltati gli occhi nellorbite, da non vedere più. SCARO - E come ebbe virato ella di bordo, Marcantonio, la nobile rovina della malia di questa incantatrice, spiega al vento le sue ali marine, e come unanitra selvaggia in foja la insegue, abbandonando la battaglia quando questa era proprio nel suo culmine. Non ho mai visto una vergogna simile: mai prima la virilità, lonore, uniti allesperienza militare si profanarono da loro stessi. ENOBARBO - Ahimè, ahimè! CANIDIO - Le nostri sorti in mare son senza fiato e stanno andando a picco nella più lamentevole maniera; perché se il nostro comandante in capo fosse stato allaltezza di se stesso, sarebbe andata bene! In questo modo, ci ha insegnato lui lesempio vergognoso della fuga. ENOBARBO - Per Giove! Siamo a tanto? Allora, buona notte: per davvero! CANIDIO - Puntano, in fuga, sul Peloponneso. SCARO - È facile arrivarci; laggiù attenderò anchio gli eventi. CANIDIO - Io non farò che consegnare a Cesare le mie legioni e la cavalleria; sei re, col loro esempio,( ) madditano la strada della resa. ENOBARBO - Io voglio invece ancora esser compagno alle sorti di Antonio ormai ferite, nonostante mi sian contrari a tanto la ragione e il corso degli eventi. (Escono) SCENA XI - Alessandria. La reggia di Cleopatra Entra ANTONIO, con seguito ANTONIO - Ascoltate: la terra mi comanda di non stare più a lungo a calpestarla: ha vergogna di reggermi. Venite qua, compagni, avvicinatevi : io mi son tanto attardato nel mondo, da smarrire la strada. Cè una mia nave là carica doro: prendetelo e spartitelo fra voi. Fuggite e fate la pace con Cesare. TUTTI - Fuggire, noi! No, Antonio! ANTONIO - Io stesso son fuggito, ed ho insegnato ai vili come mostrare le spalle. Andate, amici: io mi son risolto a un passo che di voi non ha bisogno. Andate, il mio tesoro è giù nel porto: è vostro. Oh, arrossisco di vergogna a riguardare il corso che ho seguito; i miei stessi capelli si ribellano, e quelli bianchi rinfacciano ai bruni la loro sventatezza, e questi a quelli la pavidezza e la stupidità. Andate via, amici, affiderò a ciascuno una mia lettera per certi amici a Roma, che vi potranno spianare la strada. Vi prego, non mi fate quelle facce! E non siate ritrosi nel rispondermi: cogliete invece la buona occasione che vi porge la mia disperazione. Abbandonate pure al suo destino chi abbandona se stesso: dritti al mare, vi lascerò in possesso della nave, con tutto il suo tesoro. Ma lasciatemi adesso per un poco sì, soltanto per poco, ve ne prego ché oramai, ho perduto il comando e non ho più il potere di ordinarvelo. Vi rivedrò tra tra poco. Entra CLEOPATRA, sorretta da CARMIANA ed EROS; la segue IRAS EROS - Su, gentile cara, avvicinati a lui, dàgli conforto. IRAS - Sì, sì, fallo, carissima regina. CARMIANA - Suvvia, che cosa aspetti? CLEOPATRA - Oh, Giunone! Lasciatemi sedere. ANTONIO - (Tra sé) Oh, no, no, no, no, no! EROS - Vedi chi cè, signore? ANTONIO - (c. s.) Oh, vergogna, vergogna! (Saccascia) CARMIANA - Mia signora! IRAS - Mia buona imperatrice! EROS - Signore! Mio signore! ANTONIO - Sì, mio signore, sì, lui mio signore; a Filippi pareva un ballerino per il modo con cui teneva in mano la spada, mentre io colpivo a morte il magro e grinzo Cassio, e finivo lo scatenato Bruto.( ) Lui la guerra lha sempre combattuta per la mano dei suoi luogotenenti, e non ha avuto mai nessuna pratica nellordinare le schiere in battaglia. E adesso Mah! Ormai più non mimporta . CLEOPATRA - (Fingendo uno svenimento) Oh, statemi vicine! EROS - La regina, signore, la regina! IRAS - Signora, va da lui, digli qualcosa; egli non sta più in sé per la vergogna. CLEOPATRA - Sì Allora sostenetemi Ohi! Ohi! EROS - Alzati, nobilissimo signore, la regina saccosta a capo chino; la ghermirà la morte se non la salvi tu col tuo conforto. ANTONIO - Ho macchiato la mia reputazione, con la più degradante aberrazione! EROS - La regina, signore. ANTONIO - Oh, vedi, Egitto, dove mhai condotto. Guarda come sottraggo alla tua vista la mia vergogna, mentre guardo indietro tutto quel che ho lasciato alle mie spalle, distrutto dallinfamia. CLEOPATRA - Ah, mio signore, Perdona alle mie vele pusillanimi. Non pensavo che mavresti seguito. ANTONIO - Egitto, tu sapevi troppo bene che il mio cuore era avvinto al tuo timone coi lacci e che mavresti trascinato sulla tua scia. Sapevi qual dominio hai sul mio spirito, e che un tuo cenno mavrebbe anche distolto da un comando che avessi ricevuto dagli dèi. CLEOPATRA - Ah, perdono, perdono! ANTONIO - Ora sarò costretto ad umiliarmi con linviare proposte di pace a quello sbarbatello, destreggiarmi ricorrendo ai trucchetti e agli espedienti di chi è caduto in basso: io che prima mi sono baloccato che a mio talento con metà del mondo, facendo e disfacendo le fortune. Sapevi troppo bene fino a che punto io fossi tua conquista, e come la mia spada, resa imbelle dalla passione, avrebbe in ogni caso solo ad essa obbedito. CLEOPATRA - Ah, sì, perdonami! ANTONIO - Ma nemmeno una lacrima, ti dico; perché una sola di esse val tutto quanto è stato vinto e perso. Dammi un bacio, e ciò basti a ripagarmi. Gli abbiam mandato il nostro precettore. Sarà tornato? Amore, io son di piombo! Ehi, di là dentro! Vino e da mangiare! La fortuna sa bene che tanto più ci beffiamo di lei quanto più saccanisce coi suoi colpi. (Escono) SCENA XII - Egitto. Il campo di Cesare Entrano OTTAVIO CESARE, DOLABELLA, TIREO e seguito OTTAVIO - Introducete avanti a me quelluomo inviato da Antonio. Lo conoscete? DOLABELLA - È il suo precettore. Devesser proprio spennacchiato, Cesare, se ti manda una penna così misera della sua ala, lui che come messi, fino ancora a non molte lune fa, aveva addirittura re a bizzeffe. Entra EUFRONIO, legato di Antonio OTTAVIO - Avvicinati e parla. EUFRONIO - Quale sono, e in nessunaltra veste, io vengo a te dalla parte di Antonio. Finora son contato tanto poco ai suoi disegni, quanto al grande mare la guazza mattutina condensata sulla foglia di mirto.( ) OTTAVIO - Va bene. Dimmi adesso il tuo messaggio. EUFRONIO - Come signore delle sue fortune ti saluta, e ti chiede di concedergli di seguitare a vivere in Egitto; se ciò non gli è concesso, si limita a richiederti, in subordine, di poter respirar, tra cielo e terra, in Atene, privato cittadino. Questo per lui. In quanto a Cleopatra, ti rende atto della tua grandezza, si sottomette alla tua autorità, e da te implora, per i suoi eredi, la corona che fu di Tolomeo, ed ora alla mercé del tuo volere. OTTAVIO - Quanto ad Antonio, per le sue richieste io non ho orecchi. La regina invece non mancherà daver da me ascolto ed accoglienza dogni desiderio quando ella abbia scacciato dallEgitto lamante suo, da tutti screditato, o labbia ucciso là. Se farà questo, ella non pregherà inascoltata. Questa è la mia risposta per entrambi. EUFRONIO - Tassista la fortuna, Ottavio Cesare. OTTAVIO - Fategli scorta a traversare il campo. (Esce Eufronio, scortato) (A Tireo) È il momento di mettere alla prova le tue capacità di persuasione. Va da Cleopatra, strappala ad Antonio. Promettile, a mio nome, quanto chiede, falle altre offerte di tua discrezione. Le donne già non san tenersi forti nella prospera sorte, e il bisogno rende spergiura la casta vestale. Metti al vaglio, perciò, la tua destrezza, Tireo, fissa tu stesso il tuo compenso pel tuo disturbo: per noi sarà legge. TIREO - Va bene. Vado, Cesare. OTTAVIO - Osserva soprattutto come Antonio riesca ad adattarsi alla sfortuna: fatti unidea delle sue reazioni dal suo modo di agire. TIREO - Lo farò. (Escono) SCENA XIII - Alessandria. La reggia di Cleopatra Entrano CLEOPATRA, ENOBARBO, CARMIANA e IRAS CLEOPATRA - Che ci resta da fare, ora, Enobarbo? ENOBARBO - Intristire e morire. CLEOPATRA - Chi ha la colpa di tutto, Antonio, o io? ENOBARBO - Solo Antonio, che ha fatto la sua voglia signoreggiare sulla sua ragione. Che poteva importargli che tu fuggissi da quel gran teatro di guerra le cui numerose schiere si facevan paura luna allaltra? Perché correrti dietro? La sua fregola non avrebbe dovuto, proprio allora, intaccare il suo ruolo di comando e proprio dove una metà del mondo saffrontava con laltra, essendo lui la sola causa della contesa. È stata una vergogna non minore per lui della sconfitta seguir le tue bandiere che fuggivano e lasciar la sua flotta sbalordita. CLEOPATRA - Basta, basta, ti prego. Entra ANTONIO con EUFRONIO ANTONIO - Questa è la sua risposta? EUFRONIO - Sì, signore. ANTONIO - Che la regina troverà indulgenza presso di lui se si disfà di me? EUFRONIO - Così egli mha detto. ANTONIO - Dillo a lei. (A Cleopatra) Manda questa mia testa brizzolata al ragazzetto Cesare, ed in cambio egli ricolmerà, con principati, ogni tuo desiderio CLEOPATRA - La tua testa? ANTONIO - (A Eufronio) Torna da lui, e digli chegli ha indosso la rosa della giovinezza, e il mondo da lui saspetta cose strepitose. Le monete, le navi, le legioni che sono sue potrebbero ben essere di un codardo, i cui capi militari vincerebbero indifferentemente tanto se comandati da un bambino che da Cesare: io perciò lo sfido a mettere da parte il gran vantaggio di cui gode ed a battersi con me, con tutto che son uno già al declino, spada con spada, in singolar tenzone. Seguimi. Glielo metto per iscritto. (Escono Antonio ed Eufronio) ENOBARBO - Figuriamoci! Sta a vedere adesso che un Cesare sì ben fortificato( ) sinduce ad abbassare il suo prestigio, dando spettacolo dincrociare larma con uno stagionato spadaccino! Maccorgo che negli uomini il giudizio segue la lor fortuna, e che i fatti esteriori si trascinan le qualità interiori, compromettendole in egual misura, se uno come lui può illudersi, conoscendo lo stato delle cose, che un Cesare nel colmo della gloria si voglia misurare col suo vuoto.( ) O Cesare, gli hai vinto anche il cervello! Entra un SERVO SERVO - Un messaggero da parte di Cesare. CLEOPATRA - Senza più protocollo? Ecco, vedete, donne, dinnanzi alla rosa sfiorita ora si turano il naso anche quelli che prima ne adoravano in ginocchio i boccioli. Ragazzo, fallo entrare. ENOBARBO - (Tra sé) A questo punto la mia lealtà comincia a litigare con me stesso. Mantenersi leali a un rimbambito fa della lealtà mera follia; e tuttavia colui che sa resistere a seguir fedelmente il suo signore anche nella disgrazia, conquista chi abbia vinto il suo padrone e si guadagna un posto nella storia. Entra TIREO CLEOPATRA - La volontà di Cesare. TIREO - Ascoltala in privato. CLEOPATRA - Parla aperto: qui non ci son che amici. TIREO - Solo che sono amici anche di Antonio. ENOBARBO - Gliene servono, quanti ne ha Cesare: se no, non gli serviamo neanche noi. Salterebbe di gioia il mio signore se Cesare volesse essergli amico. Quanto a noi, lo sapete, apparteniamo a chi appartiene lui, il che vuol dire a Cesare. TIREO - Sta bene. Ecco, dunque, illustrissima signora, il volere di Cesare: ti esorta a pensare non tanto allattuale tuo stato, ma che lui è Cesare.( ) CLEOPATRA - Prosegui. Questo è un parlare da re. TIREO - Sa che ti sei legata con Antonio non per amore, per paura. CLEOPATRA - Oh! TIREO - E perciò ha pietà delle ferite al tuo onore come tante macchie dovute alla violenza, e immeritate. CLEOPATRA - Egli è un dio, e conosce ciò che è vero. Il mio onore non sè sottomesso: è stato solamente conquistato. ENOBARBO - (Tra sé) Di questo non sarei tanto sicuro: lo chiederò ad Antonio Ah, mio signore, la tua barca fa acqua da ogni parte, al punto che dobbiam mandarti a picco, sanche chi tè più caro tabbandona! TIREO - Che devo dunque riferire a Cesare? Quali richieste tue debbo portagli? Perchegli pare quasi che timplori desser da te sollecitato a dare; e gli sarebbe cosa assai gradita se tu facessi delle sue fortune un bastone col quale sostenerti; ma gli empirebbe lanimo di gioia sentirmi dire che hai lasciato Antonio e ti sei posta sotto la sua egida, di lui, signore dellintero mondo. CLEOPATRA - Qual è il tuo nome? TIREO - Mi chiamo Tireo. CLEOPATRA - Cortese messaggero, da parte mia di questo al grande Cesare: io bacio la sua mano vittoriosa;( ) sono pronta a deporre ai piedi suoi la mia corona e inginocchiarmi a lui. Digli che attenderò dalla sua voce, alla quale obbedisce tutto il mondo, quale sarà il destino dellEgitto. TIREO - Questa è la decisione tua più nobile. Quando il senno sallea con la fortuna per combattere insieme, e il primo ardisce fare ciò che può, nessun evento riesce a scrollarlo. Lascia chio ti deponga sulla mano il mio omaggio devoto. CLEOPATRA - Oh, quante volte il padre di codesto vostro Cesare,( ) dopo che aveva a lungo meditato la conquista di regni, ebbe a posar su questa indegna mano le labbra: ed era una pioggia di baci! (Porge la mano a Tireo, che la bacia) In quel momento entra ANTONIO con ENOBARBO ANTONIO - Ehi, che galanterie! Giove tonante! E tu chi sei, gaglioffo? TIREO - Uno che è qui per eseguire gli ordini delluomo più potente della terra, ed il più degno dessere ubbidito. ENOBARBO - (A parte) Sentirai che frustate, poveraccio! ANTONIO - Avvicinati a me! E tu, avvoltoio! Ecco come la mia autorità, dèi e diavoli, mi si squaglia addosso! Prima bastava che gridassi: Olà!, e maccorrevano dinnanzi a gara i re, come fanciulli a raccoglietta,( ) gridando: Agli ordini! Avete orecchi? Son sempre Antonio, io! Entrano dei servi Portate via costui, e fustigatelo! ENOBARBO - (Tra sé) Meglio scherzare con un leoncello, che con un vecchio leone morente. ANTONIO - Luna e stelle! Frustatelo, vi dico! Fossero pure venti tributari tra i maggiori che son soggetti a Cesare, e li trovassi a prendersi licenza con la mano di questa comè il nome, dal momento che non è più Cleopatra? Frustatelo, miei fidi, finché vediate che contrae la faccia come un bambino, e che implori pietà piangendo forte. Portatelo via! TIREO - Marcantonio! ANTONIO - Via, via! Che sia frustato, e dopo trascinato qui di nuovo: questo babbeo del seguito di Cesare deve recargli ancora un mio messaggio. (Escono i servi con Tireo) (A Cleopatra) Eri mezzo sfiorita già prima chio ti conoscessi, no?( ) Ed io avrei lasciato il mio guanciale intatto a Roma, ed avrei rinunciato a procrear legittima progenie da una perla di donna,( ) per essere in tal modo corbellato da una che fa locchiolino ai servi? CLEOPATRA - Mio buon signore ANTONIO - Donna depravata sei sempre stata, ma quando nel vizio noi cinduriamo - oh, nostra miseria! - i saggi dèi ci sigillano gli occhi, cacciano il nostro limpido giudizio nel lezzo della nostra stessa melma, ci fanno idolatrare i nostri errori, e ridono di noi, mentre altezzosi come dei pavoni ci avviamo incoscienti alla rovine. CLEOPATRA - Ah, siamo dunque a questo? ANTONIO - Tho trovata cheri un boccone freddo sopra il piatto del morto Giulio Cesare; anzi, no, peggio: cheri un rimasuglio di Gneo Pompeo, senza poi parlare di tutte le ore calde di lascivia rimaste ignote alla pubblica fama chhai spiluccato per la tua lussuria: ché tu la temperanza, ne son certo, se pure ti riesca immaginarla, non sai proprio cosè. CLEOPATRA - Perché parli così? ANTONIO - Permettere ad un servo uso alle mance e a biascicare: Dio ve ne rimeriti! di osar di prendersi tanta licenza con la tua mano, questa mia compagna di giochi, questo sigillo regale e pegno di due cuori nobilissimi! Ah, perché non son io finito ormai sul colle di Basàn,( ) a soverchiare il muggito della cornuta mandria col mio, giacché ne avrei fieri motivi, che ad elencarli senza andare in bestia sarebbe come avere il cappio al collo e ringraziare il boia per esser così bravo a maneggiarlo. Rientrano i SERVI con TIREO Lavete ben frustato? 1° SERVO - Sì, signore. ANTONIO - Gridò? Chiese perdono? 1° SERVO - Ha chiesto grazia. ANTONIO - (A Tireo) Se tuo padre è vivo, si rammarichi che al posto tuo non abbia avuto una figlia; e tu pèntiti di seguir Cesare nel suo trionfo, dal momento che per seguire lui sei stato fustigato. Dora innanzi, la mano candida duna signora ti metta i tremiti al solo guardarla. Ora torna da Cesare, e digli come qui sei stato accolto. E non dimenticare di avvertirlo che mi stizzisce maledettamente con quel suo fare borioso e sprezzante, insomma, digli che mi fa infuriare, cosa assai facile, di questi tempi in cui tutte le mie benigne stelle che sempre hanno guidato il mio cammino hanno lasciato vuote le lor orbite e gettato allinferno i loro fuochi. Se non gli garba questo mio discorso e tutto quel che ho fatto, digli che cè Ipparco,( ) il mio liberto, chegli, a suo piacimento, può frustare, impiccare, torturare, per starmi a pari; istìgalo tu stesso. Via di qui con le tue frustate! Vattene! (Esce Tireo) CLEOPATRA - Hai finito? ANTONIO - La mia luna terrena( ) sè eclissata, ahimè, e presagisce la caduta di Antonio! CLEOPATRA - (Tra sé) Bisognerà aspettare che gli passi. ANTONIO - E tu, per adulare Ottavio Cesare ti sei ridotta a fare locchio languido ad un gaglioffo che gli allaccia i sandali! CLEOPATRA - Non mi conosci ancora? ANTONIO - E poi con me sei fredda come il ghiaccio. CLEOPATRA - Con te? Se così fosse, mio diletto, faccia il cielo che dal mio cuor di gelo grandini e che la grandine prodotta lavveleni alla fonte, e me ne scagli in testa il primo grano, e nel tempo che questo si disciolga, si disciolga con esso la mia vita! Il secondo colpisca Cesarione, e tutti gli altri così via di seguito, finché tutta la prole del mio grembo, con tutti i miei magnifici egiziani, col dissolversi della grandinata vi rimanga insepolta sul terreno, finché le mosche e i tafàni del Nilo non labbiano sepolta coi lor morsi. ANTONIO - Così mi piaci. Cesare è accampato nei pressi di Alessandria; è là io mopporrò al suo destino. Le nostre forze si son ben portate per terra, resistendo con valore, mentre la sparpagliata nostra flotta sè ricongiunta, e accosta minacciosa. Dove teri smarrito, o mio coraggio? Modi, signora? Se una volta ancora io tornerò dal campo di battaglia a baciar queste labbra, apparirò di sangue intriso, e io e la mia spada ci saremo acquistata una menzione nel libro della storia. La speranza non è ancora perduta! CLEOPATRA - Eccolo, il mio intrepido signore! ANTONIO - Sarà come se avessi triplicato muscoli, cuore, fiato, e lotterò con rinnovata furia. Al tempo che felici e fortunate scorrevan le mie ore, i miei nemici con me potevan riscattar la vita con un piccolo scherzo: ora non più!( ) Stringerò i denti e spedirò allinferno chiunque cercherà di starmi contro. Vieni, godiamoci una notte ancora. (Ai servi) Chiamatemi a sedere intorno a me tutti i miei costernati capitani. E beffiamoci della mezzanotte!( ) CLEOPATRA - Oggi è il mio compleanno. Pensavo di trascorrerlo in tristezza; ma il mio signore è ritornato Antonio, e Cleopatra tornerà Cleopatra. ANTONIO - Potremo ancora farcela, vedrai. CLEOPATRA - Si convochino intorno al mio signore tutti i suoi degni capitani, tutti! ANTONIO - Sì, chiamateli; voglio parlar loro; stanotte voglio far sprizzare vino dalle lor cicatrici Mia regina, vieni, cè ancora linfa nella pianta. Questa volta che scenderò in battaglia, mi farò amare pure dalla morte, ché nel mietere vite farò a gara pure con la pestifera sua falce. (Escono tutti, meno Enobarbo) ENOBARBO - Ora vuole abbagliare anche la folgore! Infuriarsi a quel modo, vuol dire solo aver tanta paura da finire col non averne più; in quello stato, pure una colomba oserebbe assalire uno sparviero. Ed io mi vado sempre più accorgendo che a un calo del cervello fa riscontro nel nostro generale un subito ritorno di coraggio. Quando il valore intacca la ragione si mangia il ferro col quale combatte. Troverò il modo di piantarlo in asso. (Esce) |