WILLIAM SHAKESPEARE

ENRICO IV - PARTE PRIMA

Dramma storico in 5 atti
TITOLO ORIGINALE: “The Historie of Henri the Fourt; with the battell at Shrewsbury
between the King and Lord Henri Percy, surnamed Hotspur of
the North. With the humourous conceits of Sir John Falstaff.”

“La storia di Enrico Quarto; con la battaglia di Shrewsbury
tra il Re e Lord Henry Percy, soprannominato “Sperone Ar-
dente del Nord”. Con le amene facezie di Sir John Falstaff”.
Traduzione e note di Goffredo Raponi
Note preliminari
1. Il testo inglese adottato per la traduzione è quello curato dal prof. Peter Alexander (William Shakespeare - “The Complete Works”, Collins, London & Glasgow, 1960, pagg. XXXII, 1370) con qualche variante suggerita da altri testi., in particolare quello dell’edizione dell’“Oxford Shakespeare” curata da G. Welles e G. Taylor per la Clarendon Press, New York, 1994.
2. Alcune didascalie e altre indicazioni sceniche (“stage instructions”) sono state aggiunte dal traduttore per la migliore comprensione dell’azione scenica alla lettura, cui questa traduzione è essenzialmente intesa ed ordinata. Si è lasciato comunque invariato all’inizio e alla fine di ciascuna scena il rituale Enter e Exit/Exeunt, avvertendo peraltro che non sempre queste dizioni indicano un movimento di entrata o uscita dei personaggi, potendosi dare che essi si trovino già in scena all’aprirsi di questa o vi restino alla chiusura.
3. Il metro è l’endecasillabo sciolto, alternato da settenari. Solo in canzoni, ballate, mascherate, citazioni ecc. si è usato altro metro.
4. I nomi dei personaggi sono dati nella forma italiana, se esiste, tranne quando sono preceduti dal titolo inglese di “lord” o “sir”. Per Enrico, principe di Galles, s’è conservato il diminutivo Hal e Harry quando ricorra nel testo. Per ragioni di metrica, nomi che in inglese sono sdruccioli (Worcester, Lancaster, Westmoreland, ecc.) sono trattati a volte come piani.
Premessa
Le due parti dell’Enrico IV sono un racconto, in forma teatrale, della storia d’Inghilterra tra il 1399 e il 1413, le date che aprono e chiudono il regno di Enrico Bolingbroke, successo al cugino Riccardo II Plantageneto. Protagonista, accanto al padre re, è il figlio primogenito Enrico, principe di Galles, il futuro Enrico V, la cui ascensione al trono del padre è preceduta da una giovinezza scapestrata trascorsa in compagnia di una congrega di personaggi da trivio, autori d’ogni specie di malefatte ai danni dei sudditi di sua maestà; dai quali trascorsi il principe si ravvedrà e riscatterà, dimostrandosi idoneo ad assumere, alla morte del padre, quel ruolo di sovrano saggio e valoroso nel quale è entrato nella storia d’Inghilterra.
Enrico IV è un usurpatore. Figlio di Giovanni di Gaunt, quartogenito di re Edoardo III, s’è impadronito del trono dopo aver deposto suo cugino Riccardo II Plantageneto. Le vicende di questa usurpazione Shakespeare aveva già cantate nel Riccardo II, di cui le due parti dell’Enrico IV sono pertanto la prosecuzione. Il tormentato regno di questo re usurpatore aprirà la dinastia dei Lancaster sul trono d’Inghilterra e sarà contrassegnato, sul piano nazionale, dalle rivolte dei nobili del Galles e di Scozia, e sul piano familiare dall’amarezza del re per la giovinezza scapigliata e dissoluta del primogenito ed erede, Enrico, denominato nel dramma coi vezzeggiativi “Harry” e “Hal”.
Terzo protagonista dei due Enrico IV è il corpulento compagno d’imprese birbonesche del giovane Harry, Sir John Falstaff, la cui vicenda fa da sottotrama, a mo’ di contrappunto, a quella principale: un personaggio la cui comicità - la meglio riuscita di tutto il teatro shakespeariano - piacerà tanto alla regina Elisabetta, da indurla a chiedere a Shakespeare di farlo ancora rivivere sulle scene mostrandolo, per giunta, innamorato cavalier galante: e sarà il Sir John Falstaff delle Allegre comari di Windsor.
Il dramma si apre nel 1402, terzo anno di regno di Enrico IV. L’Inghilterra è impegnata militarmente su due fronti: coi ribelli gallesi ad ovest, con gli scozzesi a nord. Contro questi ultimi sta combattendo, alla testa delle forze regie, Enrico Percy, il giovane figlio del duca di Northumberland, soprannominato “Sperone ardente” (“Hotspur”) per la sua irruenza negli assalti a cavallo. Un messaggero annuncia la sua vittoria sugli scozzesi (ottobre 1402) con la cattura di molti importanti prigionieri. Per contro, sul fronte gallese le truppe regie hanno subito una severa disfatta; (l’episodio è avvenuto qualche mese prima, ma Shakespeare lo fa apparire come contremporaneo al primo perché ciò gli serve per introdurre nel dramma - e giustificarlo - il rinvio di una spedizione in Terrasanta che Enrico avrebbe voluto fare in espiazione delle colpe di cui si sente responsabile per aver usurpato il regno a Riccardo II dopo averne provocato la morte in prigione.
Con la vittoria sui ribelli gallesi, “Sperone ardente” ha catturato prigioneri diversi nobili. Il re li reclama per sé, ma “Sperone ardente” rifiuta di darglieli. Questo sarà motivo di rottura tra re Enrico e i Percy, padre e figlio, i quali, per ripicca, alleati ad altri nobili, passeranno a combattere il re a fianco degli scozzesi. I due eserciti si scontreranno a Shrewsbury, dove “Sperone ardente” sarà ucciso in duello dal giovane principe di Galles; e con questo episodio, che annuncia il ravvedimento del giovane Enrico e il riscatto dei suoi dubbi trascorsi si chiude questa prima parte dell’Enrico IV.
Personaggi
· Re Enrico IV
· Figli del re
· Enrico
principe di Galles
· Giovanni
duca di Lancaster
· Il Conte di Westmoreland
· Blunt
· Tomaso Percy
conte di Worcester
· Enrico Percy
conte di Northumberland
· Enrico Percy
soprannominato “Sperone ardente” (Hotspur), suo figlio
· Edmondo Mortimer
conte di Marsh
· Arcibaldo
conte di Douglas
· Riccardo Scroop
arcivescovo di York
· Sir Michael
suo amico e confidente
· Owen Glendower
· Sir Richard Vernon
· Compagni sregolati del principe Enrico
· Sir John Falstaff
· Poins (detto Ned)
· Bardolfo
· Peto
· Gadshill
· Lady Percy
moglie di Enrico “Hotspur” e sorella di Edmondo Mortimer
· Lady Mortimer
moglie di Edmondo Mortimer e figlia di Owen Glendower
· Mistress Quickly
ostessa della taverna “Alla testa di cinghiale” a Eastcheap
· Checco
garzone della stessa
· Nobili, ufficiali, uno sceriffo, un ciambellano, un vinaio, un cameriere, viaggiatori.

Scena: Inghilterra e Galles
Atto Primo
SCENA I - Londra, il palazzo reale

Entrano Re Enrico, Giovanni di Lancaster, il conte di Westmoreland e altri nobili tra i quali sir Walter Blunt

Enrico - Scossi ancor come siamo
e spalliditi dai recenti affanni,
non concediamo tuttavia respiro
a questa nostra spaurita pace
e, con voce pur rotta dall’affanno,
ritorniamo a parlar dell’altra guerra
da portare su più lontani lidi.
Più non sarà che l’assetata bocca
di questa terra abbia lorde le labbra
del sangue dei suoi figli;
né che la guerra scanali i suoi campi
con valli e con trincee;
le sue campagne, i suoi teneri fiori
più non saranno calpestati e uccisi
da passi ostili di ferrati zoccoli.
Ora gli avversi sguardi
che han cozzato finora tra di loro
a corpo a corpo, in lotte fratricide,
- un furibondo intestino macello -,
come stelle in un turbolento cielo
- ed eran tutte dello stesso ceppo,
tutte nutrite della stessa linfa -
marceran di conserta ed in bell’ordine
verso un’unica meta,
non più come nemici l’uno all’altro,
ma come amici, parenti, alleati.
Più non dovrà la lama della guerra
Ferire il fianco del suo portatore
come un pugnale male inguainato.
E dunque, amici, per la grande meta
del sepolcro di Cristo,
quel Cristo di cui tutti siam soldati
e sotto la cui croce benedetta
abbiam preso l’impegno di combattere,
noi leveremo subito un esercito
di combattenti inglesi
le cui braccia dal seno delle madri
furono forgiate apposta per cacciare
quei pagani da quelle sacre terre
Calcate or son millequattrocent’anni
dal passo di quei piedi benedetti
che furon per la nostra redenzione
inchiavardati sull’amara croce.
Già da dodici mesi
è maturata in noi questa intenzione,
ed è inutile ch’io vi ripeta qui
il mio fermo proposito di andarci.
Vorrei piuttosto, cugino Westmoreland,
sentire ora da te, cortesemente,
che cosa è stato deciso in Consiglio
ieri sera, per affrettare al massimo
questa nostra costosa spedizione.
Westmoreland - L’urgenza dell’impresa, mio signore,
fu ben discussa e dibattuta a fondo,
e incarichi diversi di comando
erano stati ieri già assegnati,
quando - maligno colpo della sorte -
giunse di corsa un corriere dal Galles
con notizie a dir poco disastrose;
di cui la più funesta era che Mortimer,
alla testa degli uomini dell’Hereford
impegnati a combattere Glendower,
quel selvaggio bandito, era caduto
nelle rudi mani di quel rude gallese,
che nello scontro mille dei suoi uomini
erano stati uccisi,
e sui lor corpi le donne gallesi
avevano operato tali scempi,
tali oscene, brutali amputazioni
da non potervi nemmeno accennare
senza avvampar d’un fuoco di vergogna.
Enrico - C’è da pensare, allora, che un annuncio
di questa incandescenza avrà l’effetto
d’imporre un’altra remora
alla nostra partenza in Terrasanta.
Westmoreland - Ma c’è di più, grazioso mio signore,
ché più inquietanti ancora e più sgradite
son le notizie giunteci dal fronte
di settentrione, il cui tenore è questo:
il valoroso Enrico Percy il giovane
- che tutti chiamano “Sperone ardente” -
s’è scontrato, nel giorno della Croce
nei pressi di Holmedon ,
col pugnace Arcibaldo, uno scozzese
che dicon d’un coraggio a tutta prova:
un’ora intera di combattimento,
sanguinoso per quanto sfortunato,
a quanto s’è potuto indovinare
dalle scariche delle artiglierie
udite e dai ragguagli ricevuti;
giacché colui che ci ha recato questi
aveva cavalcato via dal campo
quando più calda infuriava la mischia,
senza conoscerne perciò la fine.
Enrico - Qui c’è comunque un nostro caro amico,
l’inappuntabile Sir Walter Blunt,
smontato ora di sella
e ancora tutto lordo delle zolle
delle diverse terre attraversate
cavalcando da Holmedon fin qui,
e le notizie ch’egli ci ha recato
mi pare sian del tutto tranquillanti
e per nulla sgradite.
Il conte Douglas è stato sconfitto:
sir Walter dice d’aver visto a terra,
sparsi per la pianura di Holmedon,
i corpi ammonticchiati e insanguinati
di diecimila altezzosi scozzesi
e ventidue dei loro cavalieri.
Hotspur ha fatto molti prigionieri:
tra questi è Mordake, conte di Fife,
primogenito dello sconfitto Douglas,
ed i conti d’Athol, di Murray, d’Angus
e di Meteith. Un bottino cospicuo,
una preda di prima qualità.
Non ti pare, cugino?
Westmoreland - Oh, certamente!
Un successo da inorgoglire un principe.
Enrico - Un principe... Eh, là tu mi fai triste
e mi fai fare peccato d’invidia:
invidia che il mio caro Northumberland
debba essere il padre d’un tal figlio...
un figlio ch’è divenuto argomento
d’ogni parlar d’onore,
il più svettante arbusto del verziere,
un beniamino della dea Fortuna
e sua delizia e vanto; mentre io,
ogni volta che guardo alla sua gloria,
scorgo la fronte di mio figlio Enrico
macchiata d’abiezione e di disdoro.
Oh, si potesse mai scoprire un giorno
che un genietto vagante nella notte
sia venuto a scambiare di nascosto
i nostri due figlioli nella notte,
chiamando Percy il mio
ed Enrico Plantageneto il suo!
Sarei io ora il padre del suo Enrico,
e lui del mio. Ma basta, non pensiamoci.
Dimmi, piuttosto, che pensi, cugino,
dell’arroganza del giovane Percy?
I prigionieri ch’egli ha catturato
in questo scontro, se li tiene lui;
e m’ha mandato a dire
ch’io non ne avrò nessuno, o tutt’al più
il solo Mordake, conte di Fife.
Westmoreland - Questo è suo zio Worcester,
che glielo suggerisce; un individuo
malevolo con voi sotto ogni aspetto.
È lui che l’istiga a lisciarsi il pelo
e ad alzar la sua testa di galletto
contro l’augusta vostra autorità.
Enrico - Ma io l’ho convocato
perché venga a rispondermi di questo
personalmente. Intanto, pel momento,
dobbiamo rimandare a miglior data
il nostro sacro intento
della partenza per la Terrasanta.
Cugino, il prossimo mercoledì
terrò Consiglio a Windsor.
Provvedi tu a convocare i pari
e poi ritorna subito da me;
ché qui c’è più da dire e da operare
che stare a sbraitare per la collera.
Westmoreland Va bene, mio sovrano, sarà fatto.
(Escono)
SCENA II - Londra, sala nel palazzo di Enrico principe di Galles.

Sir John Falstaff è disteso su una panca e dorme, russando. Entra il principe di Galles e lo scuote

Falstaff - (Svegliandosi)
Oh, Hal , che ora abbiamo fatto, bimbo?
Principe - Tu, a forza di bere vin di Spagna ,
a sbottonarti dopo che hai mangiato,
a passar tutti i santi pomeriggi
dormendo stravaccato su una panca,
ti sei così marcito di cervello
che addirittura ti scordi di chiedere
quello che veramente vuoi sapere.
Che diamine hai da fare tu con l’ora?
Se l’ore non son gotti di vin secco
e i minuti non sono polli arrosto
e gli orologi lingue di puttane,
e i lor quadranti insegne di bordello;
se lo stesso bel sole benedetto
non è una bella e casta puttanella
di taffetà rosso-fiamma vestita,
non vedo proprio perché sprechi il fiato
a chiedermi che ora abbiamo fatto.
Falstaff - Oh, bravo Hal, adesso hai colto giusto!
Perché noi tagliaborse di mestiere
ci regoliamo sempre con la Luna
e le Sette Sorelle , mai con Febo
“quel cavaliere errante tanto bello”.
Sicché ti prego, caro monellaccio,
di far che, quando sarai fatto re
- Dio salvi la tua grazia…
anzi la tua maestà, volevo dire,
ché tu di grazia non ne avrai nessuna... -
Principe - Ah, no?
Falstaff - Nessuna, no, in fede mia!
Nemmeno quanto basti a render grazia
davanti a uno spuntino pane e burro .
Principe - Ebbene, allora?... Avanti, vieni al dunque.
Falstaff - Ecco, dicevo, dolce bricconcello,
per la Vergine, quando sarai re,
fa’ che noi, cavalieri della notte,
non ci chiamino “i ladri del bel giorno”,
guardaboschi di Diana
noi siamo, gentiluomini del buio
notturno, beniamini della luna;
e si dica di noi generalmente
che siamo uomini di buon governo,
perché noi come il mare
siam sempre governati dalla luna
da quella nobile e casta patrona
sotto il cui tacito e benigno sguardo
rubiamo a mano salva.
Principe - Tu dici giusto, ed il tuo paragone
calza a pennello; la nostra fortuna,
di noi, i cavalieri della luna,
ha, infatti, come il mare,
i suoi flussi e riflussi, governata
essendo, come il mare, dalla luna.
Ne sia bastante prova questo esempio:
una borsa con l’oro
rapinata da noi lunedì notte,
il martedì mattina successivo
è già bella che spesa e scialacquata.
Catturata ingiungendo: “Qua la borsa!”,
è smaltita gridando: “Qua da bere!”,
ora a bassa marea,
per quanto è basso il piede d’una scala,
ed ora ad alta, per quanta è l’altezza
del palo d’una forca.
Falstaff - Com’è vero,
ragazzo, com’è vero tutto questo!
E della mia locandiera, che dici?
Non è forse una dolce pollastrella?
Principe - Oh, dolcissima, come il miele ibleo
mio vecchio bamboccione del castello !
E un bel giaccotto di pelle di bufalo
non è una morbidissima casacca
da carcerato?
Falstaff - Eh, eh, mattacchione!
Che diavolo vorresti insinuare
con questi tuoi sarcasmi e lepidezze?
Che diavolo ci avrei da fare, io,
con la casacca tua da carcerato?
Principe - E io che diavolo ci avrei da fare,
eh?, con l’ostessa della tua taverna?
Falstaff - Perché, non l’hai chiamata tante volte
a farti il conto delle tue bevute?
Principe - T’ho chiesto mai di pagar la tua parte?
Falstaff - No, questo devo dirlo, mai:
ti riconosco quello che ti spetta;
le mani nella borsa
da quella là l’hai messe sempre tu.
Principe - Non solamente là,
ma in ogni luogo ed in ogni momento,
fin dove ci arrivavo con la borsa,
e dove no, pagavo col mio credito.
Falstaff - Ah, questo sì, e con tanta buona usanza,
che se non fosse apparente ad ognuno
che sei l’erede apparente del regno ...
Ma dimmi un po’, mio dolce monellaccio,
quando tu sarai re
ci saran sempre forche in Inghilterra?
E sarà, com’è ora, l’ardimento
raffrenato dal morso arrugginito
di quella vecchia buffa, mamma legge?
Tu, quando sarai re,
non dovrai impiccare un solo ladro.
Principe - Io no, perché sarai tu stesso a farlo.
Falstaff - Io?... Meraviglia delle meraviglie!
Sarò davvero un giudice coi fiocchi.
Principe - Mi par di no. Hai già capito male.
Voglio intendere che a impiccare i ladri
lo farai per mestiere, e in questo modo
diventerai un boia rispettabile.
Falstaff - Bene, Hal, bene. Questo, in qualche sorta,
è congeniale con il mio carattere;
come fare anticamera alla corte,
t’assicuro.
Principe - Per postular favori?
Falstaff - Per ottener vestiti, in questo caso;
perché con quel mestiere
il guardaroba è sempre ben fornito .
Però, perdio , son proprio giù di corda
come un gatto castrato o un orso al laccio.
Principe - O un leone decrepito,
o la mandola d’un innamorato.
Falstaff - O come il mugular d’una zampogna
del Lincolnshire, a nota di bordone .
Principe - E perché no, come una lepre a marzo ,
o come la palude di Moor Ditch ?
Falstaff - Tu trovi i paragoni più antipatici,
e sei davvero il più paragonifero,
il più canaglia dolce giovin principe.
Però, Hal, te ne prego, non m’affliggere
con le prediche sulla vanità .
Volesse Dio che fossimo, noi due,
capaci di saper come acquistare
la merce che si chiama buona fama.
L’altro giorno, per strada,
un vecchio lord del consiglio del re
m’ha fatto una scenata a causa tua,
mio signore, e io non gli ho badato;
mi parlava da saggio, e io niente;
e lui con gran saggezza a predicare;
e io a non badargli; e tutto questo,
per giunta, in mezzo alla pubblica via.
Principe - E bene hai fatto; perocché sta scritto:
“Saggezza va gridando per la strada,
ma nessuno le bada ”.
Falstaff - Eh, con le tue dannate citazioni
tu sapresti corrompere anche un santo.
Tu hai avuto Hal, Dio ti perdoni,
un malefico influsso su di me.
Io, prima di conoscerti,
ero davvero un’anima innocente;
adesso, a dir le cose come sono,
son poco meglio d’un gran peccatore.
Debbo assolutamente cambiar vita,
e lo farò, vedrai. Se no, per Dio,
sono un vigliacco, ché non vo’ dannarmi
per amor di nessun figlio di re
in tutta quanta la Cristianità.
Principe - Allora dimmi, Jack,
dove si va domani a borseggiare?
Falstaff - Sangue di Cristo! Dove vuoi, ragazzo.
A certe imprese sono sempre pronto,
e se dovessi mai cambiare idea,
chiamami pure vile e svillaneggiami.
Principe - Rilevo in te confortanti progressi,
Jack: da sagrestano a tagliaborse.
Falstaff - È la mia vocazione, caro Hal.
E per un uomo non fu mai peccato
agir seguendo la sua vocazione .
Entra Poins
Ecco Poins. Sapremo ora da lui
quale altro colpo ha congegnato Gadshill.
Ah, se dovessero per onestà
ottener gli uomini la salvazione,
qual buca dell’inferno
sarebbe mai abbastanza infuocata
per costui? È il più grande lestofante
ch’abbia gridato in faccia a un galantuomo;
“Mani in alto!”
Principe - Salute, caro Ned.
Poins - Buongiorno, caro Hal.
(A Falstaff)
Che dice il nostro monsieur Pentimento?
Che dice il nostro sir John vino-e-zucchero?
Come siete rimasti tu e il diavolo
con la tua anima, ch’hai barattato
con lui lo scorso Venerdì Pasqua
in cambio d’un boccale di Madera
ed un cosciotto di cappone freddo?
Principe - Il diavolo si avrà quanto pattuito.
Perché sir John mantiene la parola,
né smentì mai finora saggio detto:
“Al diavolo si dia quel ch’è del diavolo”.
Poins - (A Falstaff)
Allora sei dannato
se mantieni la tua parola al diavolo.
Principe - Lo sarebbe ugualmente se lo truffa.
Poins - Dunque ragazzi miei, ragazzi miei,
domani di buon’ora, sulle quattro,
a Gadshill ! Vi saranno di passaggio
dei pellegrini in cammino per Canterbury
con ricche offerte, ed alcuni mercanti
diretti a Londra con cospicue borse.
Io provvedo le maschere per tutti;
per i cavalli, voi avete i vostri.
Gadshill sarà già a Rochester stanotte;
io cenerò domani sera a Eastcheap.
Potremo agire in gran comodità,
come stessimo a letto. Se venite,
v’imbottirò le tasche di corone;
se no, restate a casa ed impiccatevi.
Falstaff - Senti, Edoardo : s’io me ne sto a casa,
e non vengo, faccio impiccare te,
che ci vai.
Poins - Ah, davvero, pacioccone?
Falstaff - Tu vieni, Hal?
Principe - Chi, io, a rapinare?
A fare il grassatore?... Non sia mai!
Falstaff - In te non c’è onestà né umanità,
né solidarietà coi tuoi compagni,
né tu provieni da sangue reale
s’hai paura di metterti a cimento
anche per un reale .
Principe - Bene, allora per una volta tanto
voglio fare pur io una pazzia!
Falstaff - Oh, adesso parli bene!
Principe - Tanto bene, che me ne resto a casa,
avvenga quel che può.
Falstaff - Ah, no, perdio!
Allora, Harry, quando sarai re
farò anch’io con te il traditore!
Principe - Me ne frego.
Poins - Sir John, fammi il favore,
lasciami solo a parlare col principe:
gli porterò tanti buoni argomenti
per quest’impresa, che dovrà venirci.
Falstaff - Bene, che infonda Dio Onnipotente
a te lo spirito del persuadere
e a lui l’orecchio per trarne profitto,
sì che le tue parole
abbiano tanta forza da commuoverlo,
ed una volta tanto un vero principe
si faccia, anche per svago, un vero ladro!
Questi “abusi del tempo ” che noi siamo
han bisogno di alcun che li sostenga.
Arrivederci a Eastcheap.

(Esce)
Poins - Dunque, mio buon signore dolcemiele,
cavalcherete con noi domattina.
Ho in mente una tal grossa birbonata,
che da solo non posso porla in atto.
Mentre Falstaff, Bardolfo, Peto e Gadshill
provvederanno a svaligiar quei tali
ai quali abbiam già teso l’imboscata;
noi due ce ne staremo un po’ in disparte;
ma quando avranno arraffato il bottino,
se tu ed io non saremo capaci
di alleggerirli di tutto il malloppo,
mi faccio, giuraddio, tagliar la testa.
Principe - Già, ma come faremo alla partenza
a tenerci da loro separati??
Poins - Semplice: tu ed io partiamo prima,
o dopo, e diamo loro appuntamento
in qualche luogo, dove non andremo.
Essi dovranno allora, loro quattro,
arrischiarsi da soli a fare il colpo;
ma non l’avranno ancora completato
che noi due salteremo loro addosso.
Principe - Eh, ma ci possono ben riconoscere
dalle cavalcature o dai vestiti,
o da qualche altro segno...
Poins - No, impossibile.
I cavalli non li vedranno affatto,
perché li lascio legati in un bosco;
le visiere le avremo già cambiate
con altre alla partenza,
subito dopo che li avrem lasciati;
quanto ai vestiti, amico,
ho due casacche di buon bucherame
per mascherare i vestiti di sotto.
Principe -
. Già, ma ho paura che sarà difficile
che noi due riusciamo a sopraffarli.
Poins - Bah, due di loro li conosco bene:
sono i due più codardi purosangue
ch’abbiano mai voltato il deretano;
quanto al terzo, se sceglierà di battersi
più di quanto gli detti la ragione,
giuro di ripudiar di portar armi.
Il succo poi di tutta questa beffa
saranno le incredibili panzane
che ci racconterà sicuramente
quella grossa canaglia del panzone
quando saremo a cena tutti insieme:
Che si sarà battuto lui, da solo,
Con trenta assalitori,
e le parate, e gli affondi e i pericoli
Che avrà affrontato... E starà lì per noi
Tutto il sapore della nostra beffa.
Principe - Bene, verrò. Provvedi al necessario
e poi vieni domani sera a Eastcheap
ad incontrarmi. Io cenerò là.
Addio.
Poins - Arrivederci, monsignore.

(Esce)
Principe - Vi so tutti; ma voglio assecondare,
per ora, questo scioperato umore
della vostra sfrenata balordaggine;
imitando, però, quel che fa il sole,
che permette alle sottostanti nuvole
d’offuscare la sua bellezza al mondo
col vile lor contagio,
per riapparire poi, quando gli piaccia,
ancor se stesso, ancora più ammirato
perché più ricercato,
squarciando i veli sudici e malsani
dei fumi che parevan soffocarlo.
Quando son festa e giochi tutto l’anno,
passare il tempo solo negli svaghi
è tanto uggioso quanto lavorare;
ma quando vengono saltuariamente,
giungono tanto più desiderati,
perché nulla riesce più gradito
degli eventi che accadono di rado.
Così quand’io mi scrollerò di dosso
questa dissolutezza di costumi
e mi deciderò a pagar quel debito
che non ho mai contratto,
dimostrerò di tanto più fallaci
le attese della gente su di me
se darò più di quel che promettevo;
e la mia conversione,
così come più luminoso spicca
su fondo scuro lucido metallo,
sfavillando sul nero del mio vizio,
apparirà di tanto più benefica
ed attraente agli sguardi di tutti
che non un’esistenza
senza uno fondo sul quale spiccare
e risaltare meglio. Dei miei falli
io voglio fare uno strumento d’arte,
e scegliere il momento di redimermi
quando la gente meno se l’aspetti .

(Esce)
SCENA III - Londra, il palazzo reale.

Entrano Re Enrico, Northumberland, Worcester, Hotspur, Sir Walter Blunt e altri nobili

Enrico - Sono stato di sangue troppo calmo
e troppo temperato, in verità,
per reagire come avrei dovuto
a questa indegnità;
e di ciò voi vi siete ben accorti
per calpestar così la mia pazienza.
Ma d’ora in poi, potete star sicuri,
sarò me stesso, potente e temibile,
senza più cedere alla mia natura
stata finora liscia come l’olio,
morbida come giovanil peluria,
e m’ha così alienato quel rispetto
che il superbo non rende che al superbo.
Worcester - La nostra casa , mio signore e sire,
non si merita che la maestà
abbia ad usar con essa la sua sferza,
quella stessa maestà, per sovrappiù,
che noi medesimi, di nostra mano,
abbiam concorso a far così potente.
Northumberland - Mio signore...
Enrico - Va’ Worcester, va’ via!
Ch’io ti leggo negli occhi la minaccia
e la disubbidienza. Eh, signor mio,
troppo sfrontato e tronfio è il tuo contegno
e la maestà non poté mai soffrir
finora avanti a sé espressione irata
in accigliata fronte di vassallo.
Làsciaci, te ne diamo ampia licenza.
Quando avremo bisogno
d’un servigio o consiglio da tua parte,
ti manderò a chiamare.

(Esce Worcester).

(A Northumberland)
Tu mi stavi per dire qualche cosa.
Northumberland - Sì, mio signore: che quei prigionieri
richiesti a nome dell’altezza vostra
che Harry Percy ha preso ad Holmedon,
non sono stati negati, egli dice,
a vostra maestà da parte sua
col duro tono che v’han riferito.
O l’invidia, perciò, o il malinteso,
e non questo mio figlio,
sono imputabili di questa colpa.
Hotspur - Infatti, mio signore,
io non v’ho mai negato i prigionieri,
ma ricordo che, spenta la battaglia,
mentre bruciavo ancora dalla rabbia
e, senza fiato per il grande sforzo,
me ne stavo appoggiato alla mia spada,
mi si presenta un tizio, un signorino
fresco, azzimato, tutto lindo e in ghingheri
come uno che s’appresta a andare a nozze,
il pizzo al mento spuntato da poco
come un campetto appena mo’ falciato:
emanava un profumo da guantaio
e si reggeva, tra l’indice e il pollice,
un astuccio con sopra tutti buchi
che s’accostava ogni tanto al nasetto
e se l’allontanava, finché questo,
così sollecitato, starnutiva,
e lui sempre a sorridere e a cianciare;
e come gli passavano vicino
i soldati, portando via i morti,
li chiamava “furfanti screanzati”
perché osavano tanto incivilmente
interporre quel fetido lerciume
tra il vento e la sua nobile persona.
Con un’orgia di termini agghindati
da gentildonna impannucciata a festa,
m’interrogava di questo e di quello,
chiedendomi, tra l’altro, i prigionieri
come inviato da vostra maestà.
Dolorante com’ero in tutto il corpo
pel raffreddarsi delle mie ferite
e stizzito per esser annoiato
da quella specie di pappagalletto,
per il dolore e per l’insofferenza
gli devo aver risposto qualche cosa
distrattamente, non so bene che...
Che i prigionieri, sì, li avrebbe avuti,
o forse no... chissà... perché alla fine
m’aveva tanto messo su di nervi,
il vederlo così, tutto azzimato
e profumato, e udirlo ciacolare
che sembrava una dama della corte,
d’armi da fuoco, e tamburi e ferite,
Dio ce ne scampi!, e poi venirmi a dire
che il rimedio specifico, sovrano
per curare ogni tipo di lesioni
era lo spermaceto di balena;
e ch’era gran peccato
che gli uomini si dessero a scavare
dall’indifeso ventre della terra
quell’infernal salnitro responsabile
d’aver ucciso sì vigliaccamente
tanti uomini giusti e valorosi,
e che, non fosse per codeste ignobili
armi da fuoco, si sarebbe dato
anche lui al mestiere di soldato.
A tale insulso e bolso chiacchiericcio
io, come ho detto, sire,
risposi disattento e noncurante;
non vogliate, perciò, ve ne scongiuro,
che quanto riferito da costui
abbia corso e valore di un’accusa
che venga ad interporsi tra il mio affetto
per voi e l’alta vostra maestà.
Blunt - (Al re)
Considerate queste circostanze,
mio buon signore, credo che a ragione
qualunque cosa abbia detto lord Percy
in quel momento e in simile frangente
e tutto il resto a quella tal persona,
si può lasciar cadere,
senza risollevarla più a suo carico,
e accusarlo di quanto allora disse,
se ora, come ha fatto, lo disdice.
Enrico - Egli insiste comunque nel negarmi
i prigionieri, se in contropartita
non provvediamo a riscattare subito
a nostre spese suo cognato Mortimer,
quel dissennato che, per la mia anima!,
ha tradito deliberatamente
le vite di coloro che egli stesso
aveva tratto contro il grande mago,
quel dannato Glendower, la cui figlia,
a quanto mi si dice, il conte March
avrebbe tratto ultimamente in moglie.
Dovremo prosciugar le nostre casse
per far tornare a casa un traditore?
Pagare il tradimento, e patteggiare
in favore di simili codardi
i quali, dopo aver perduto in guerra,
sono venuti a patti col nemico?
Ah, no! Che Mortimer crepi di stenti
sopra le brulle montagne del Galles;
ché non potremo mai chiamare amico
chi ci chiede di spendere un sol penny
pel riscatto del rinnegato Mortimer!
Hotspur - “Il rinnegato Mortimer... Mio sire
mai egli venne meno alla sua fede,
se non fu per le sorti della guerra.
Basti a testimoniarlo un sol linguaggio:
quello delle molteplici ferite
che combattendo valorosamente
ha ricevuto quando, in mezzo ai carici
delle sponde della gentile Severn,
per più d’un’ora, in singolar confronto,
gareggiò braccio a braccio in ardimento
con il grande Glendower:
Per tre volte dovettero sostare
a riprendere fiato;
e, di comune accordo, per la sete
tre volte si chinarono per bere
l’acqua di quella rapida corrente
che, quasi sbigottita e spaventata
da quelle loro facce insanguinate,
corse a nasconder la cresposa testa
tra quelle canne tremolanti al vento
e tra gli anfratti delle proprie sponde
rosse del sangue dei due contendenti.
Mai la bassa politica
tinse col sangue di tali ferite
le sue trame; né mai toccarne tante
poteva il valoroso conte Mortimer
per suo solo capriccio.
Ci si astenga perciò dal calunniarlo,
sire, accusandolo di tradimento.
Enrico - Tu stai mentendo, Percy,
a parlare di lui in questo modo:
lui con Glendower non s’è mai scontrato.
Preferirebbe, te lo dico io,
trovarsi a faccia a faccia col demonio,
che duellar da solo con Glendower.
Non ti vergogni? Ch’io non t’oda più,
d’ora in avanti, parlare di Mortimer.
E mandami, col mezzo più spedito
i prigionieri che tieni con te,
o aspèttati d’udir da me qualcosa
che non ti suonerà molto gradita.
Ora puoi congedarti, lord Northumberland,
te ne diamo licenza, con tuo figlio.
(A Hotspur)
Mandami i prigionieri,
o mi risponderai del tuo rifiuto .

(Escono Re Enrico, sir Walter Blunt e seguito)
Hotspur - I prigionieri io non glieli mando,
venisse pure il diavolo
ruggendo ed ululando a reclamarli...
Gli vado dietro e glielo dico subito:
mi pesa l’animo e devo sfogarmi,
a costo di rimetterci la testa!
Northumberland - Ehi, oh! La collera ti fa ubriaco?
Sta’ fermo e calmo. Ecco qua tuo zio.

Rientra Worcester.
Hotspur - Non parlare di Mortimer!...
Sangue di Cristo, se ne parlerò!
E mi si danni l’anima
se non m’unisco a lui e alla sua causa.
Si, son disposto a svuotarmi le vene
e a versar nella polvere, per essa,
a goccia a goccia, il mio prezioso sangue!
Voglio innalzare il calpestato Mortimer
sì alto quanto questo ingrato re,
questo lebbroso sconoscente Bolingbroke!
Northumberland - (A Worcester)
Fratello, come vedi,
il re ha mandato in bestia tuo nipote.
Worcester - Chi è stato ad attizzare questo fuoco,
dopo ch’io son partito?
Hotspur - È stato lui.
Pretende avere tutti i prigionieri;
e quando l’ho sollecitato ancora
a riscattare dalla prigionia
la vita del fratello di mia moglie,
s’è spallidito in viso,
m’ha volto in faccia due occhi da morto
fremendo solo a nominargli Mortimer.
Worcester - Non posso biasimarlo. Non fu Mortimer
ad esser proclamato da Riccardo,
ora defunto, il parente più prossimo?
Northumberland - Infatti. Gliel’ho udito dire io stesso:
e fu allorché quell’infelice re
partì per quella infausta spedizione
in Irlanda, da dove ritornò,
costretto come fu ad interromperla,
per vedersi dapprima spodestato,
e non molto più tardi assassinato .
Worcester - E noi per quella morte
viviamo sulla gran bocca del mondo
coperti d’ignominia e vilipesi.
Hotspur - Come, come?... Vi prego. Re Riccardo
avrebbe designato Edmondo Mortimer,
mio cognato, voi dite, erede al trono?
Northumberland - Lo fece. Udii io stesso proclamarlo.
Hotspur - Ora mi spiego perché suo cugino,
il nostro re , non s’auguri di meglio
che quello possa morire di stenti
sopra una brulla montagna del Galles.
Ma voi che avete imposto la corona
sul capo di quest’uomo tanto immemore,
e vi portate addosso, a causa sua,
l’odioso marchio di complicità
in un truce assassinio come quello,
com’è possibile che vi adattiate
a sopportare tanta esecrazione
da un mondo che vi bolla come agenti
o ignobili strumenti di patibolo,
capestro, scala o addirittura boia?...
Oh, perdonatemi se scendo a tanto
per mostrarvi a che grado d’ignominia
siete caduti per le malefatte
di questo re furbastro!
Si dirà dunque, a vostro vituperio,
nel nostro tempo - e ne saranno piene
certamente le cronache future -
che uomini di rango e di potere
impegnarono questi due lor pregi,
come in realtà voi due avete fatto,
Dio vi perdoni, in un’impresa ingiusta
dando mano ad abbattere Riccardo,
una rosa dolcissima e leggiadra
per piantare al suo posto
questo sterpo spinoso, questa rosa
canina d’un Enrico Bolingbroke!
E a vostro tanto maggior vituperio,
si conterà che foste presi a gabbo,
e poi scartati e messi fuori gioco
da colui per il quale vi esponeste
a tanta infamia... No, c’è ancora tempo
perché riconquistiate quegli onori
da cui foste banditi,
e restaurar la vostra buona fama
vendicandovi del beffardo sprezzo
di questo re borioso,
che studia notte e giorno la maniera
di liquidare il debito con voi
col vostro sangue e con la vostra morte.
Perciò dico...
Worcester - No, basta, non dir altro.
T’aprirò io, nipote, adesso, un libro
segreto, ed all’acceso tuo rancore
che vedo pronto ad afferrarne il senso,
leggerò cosa sì grave e rischiosa,
sì avventurosa e piena di pericoli
quanto il dover attraversare a piedi
sulla punta oscillante d’una lancia
un turbinoso e rigonfio torrente.
Hotspur - E chi ci casca dentro,
o sa nuotare, o affoga, e buona notte.
Spedite il rischio da oriente a ponente,
da nord a sud: l’onore gli andrà contro,
e che s’azzuffino tra loro due.
A cacciare un leone
il nostro sangue s’eccita di più
che a scovare una lepre.
Northumberland - Eccolo, lui:
già il solo immaginare grandi imprese
lo porta subito fuori dai limiti
della moderazione.
Hotspur - Ah, giuraddio,
che stimerei per me facile salto
alzarmi tanto in alto
da strappare il suo rifulgente onore
alla pallida faccia della luna,
o tuffarmi nel mare più profondo
in punto mai toccato da scandaglio
e di là, per le ciocche dei capelli,
tirare a galla l’onore annegato,
se chi l’avesse così tratto in salvo
potesse aver per sé tutta la gloria
senza dividerla con nessun altro.
Ma di queste alleanze a mezzadria
non voglio più saperne.
Worcester - (A Northumberland)
Ecco: si lascia andare, come al solito,
al suo fantasticare immaginifico
e perde la contezza del reale .
Nipote caro, ascoltami un momento.
Hotspur - Sì, sì, vi chiedo scusa, perdonatemi...
Worcester - Quei nobili di Scozia
che son tuoi prigionieri...
Hotspur - Me li tengo!
Tutti, per Dio! Non dovrà averne uno,
nemmeno se gli fosse indispensabile
uno scozzese per salvarsi l’anima!
Per questa mano, me li tengo tutti!
Worcester - Ecco, lo vedi? Prendi fuoco subito
e non ascolti quel che voglio dirti.
Quei prigionieri tu te li terrai...
Hotspur - Certo che li terrò, nemmen a dirlo...
Egli ha detto di non voler pagare
il riscatto per Mortimer,
e m’ha proibito di parlar di Mortimer;
ma io andrò a sorprenderlo nel sonno
e a gridargli quel nome nell’orecchio;
anzi, mi faccio ammaestrare un merlo
a dire solo una parola: “Mortimer”
e glielo mando in dono
perché gli tenga sempre l’ira in bollo.
Worcester - Ascoltami, nipote, una parola ...
Hotspur - Io prendo qui solennemente impegno
di rifiutare ogni altra occupazione
che non sia quella di scaramucciare
e punzecchiare a morte questo Bolingbroke.
Quanto a quel tipo di spaccamontagne
del Principe di Galles...
se non sapessi che suo padre stesso
non l’ama e che sarebbe ben felice
se gli cadesse in testa una disgrazia,
vorrei tanto saperlo avvelenato
con un gotto di birra.
Worcester - Addio, nipote.
Ti parlerò quando sarai disposto
ad ascoltarmi meglio che non ora.
Northumberland - Ma che balorda impazienza è la tua,
che salti come punto da una vespa
e rompi in questo umore da donnetta
prestando orecchio solo alla tua lingua?
Hotspur - È che solo a sentirlo nominare
questo vile politicante, Bolingbroke,
è come se io fossi fustigato
da mille verghe, punto dall’ortiche,
divorato dai morsi di formiche.
Al tempo di Riccardo...
come si chiama, accidenti!, quel luogo
nella contea di Gloucester,
dove stava quella gran testa pazza
di suo zio York?... Insomma, dico, là
dove m’inginocchiai la prima volta
a questo re-sorriso, a questo Bolingbroke,
sangue di Cristo!, dove tu ed io
facemmo sosta tornando da Ravenspurgh...
Worcester - Il castello di Berkley.
Hotspur - Ecco, là.
Qual fiume di parole lattemiele
non seppe offrirmi quel cane strisciante!
“Quando l’adolescente sua fortuna
si fosse maturata con l’età...”,
e poi ancora: ”Gentile Harry Percy,
caro cugino !... ” Se li porti il diavolo
cugini come lui , Dio mi perdoni!”
Zio caro, dimmi pure. Io ho finito.
Worcester - Oh, continua pure, se ti piace.
Aspetteremo le tue buone grazie.
Hotspur - No, ho finito davvero. Dimmi pure.
Worcester - Bene, torniamo ai nobili scozzesi,
che tieni prigionieri: immantinente
mandali liberi senza riscatto,
e del figlio di Douglas fa’ strumento
per assoldar truppe nella Scozia;
ciò che per una serie di ragioni
che ti farò palesi per iscritto
ti sarà certamente autorizzato.
(A Northumberland)
Tu, intanto, mio signore,
mentre tuo figlio sarà sì impegnato
in Scozia, cercherai d’insinuarti
discretamente nell’intimità
di quel degno amatissimo prelato
l’arcivescovo.
Hotspur - York, intendi dire?
Worcester - Appunto. Egli sopporta molto male
la morte a Bristol del fratello Stefano.
E non è questa mera congettura
tratta da semplice mia presunzione,
ma cosa che so bene maturata
e bene concertata e stabilita;
e non s’aspetta, per tirarla fuori,
che giunga l’occasione favorevole.
Hotspur - Il mio fiuto mi dice che andrà bene,
sarei pronto a scommetterci la testa.
Worcester - Tu sciogli sempre i cani dal guinzaglio
avanti che cominci la battuta.
Hotspur - Eh, un nobile piano come questo
non può fallire: le forze di Scozia
unite a quelle di York e di Mortimer?
Worcester - Infatti.
Hotspur - Questo piano, in fede mia,
è d’una perfezione strabiliante.
Worcester - Né di minor momento è la ragione
che c’impone d’agir rapidamente:
si tratta di salvar le nostre teste
ponendoci alla testa d’un esercito .
Ché il re, per quanto noi possiamo agire
verso di lui nel modo più amichevole ,
sempre si sentirà con noi in debito
convinto com’egli è
che non ci riterremo soddisfatti
fintanto ch’egli non avrà trovato
come disobbligarsi congruamente.
E avrete già notato
come abbia già cominciato ad escluderci
tutti quanti dai suoi graziosi sguardi.
Hotspur - È vero, sì, ma ce ne rifaremo.
Worcester - Addio, nipote. Per questo progetto
non dare corso a nessuna iniziativa,
finché non t’avrò fatto pervenire
le opportune istruzioni per iscritto.
Quando sarà il momento - e sarà presto -,
io me n’andrò segretamente in Scozia
da Glendower e Mortimer, e là
verrete tu e Douglas a congiungervi,
come ho pensato, con le nostre truppe,
e prenderemo allora saldamente
in braccio le future nostre sorti
che ciascuno di noi sostiene adesso
con molta insicurezza.
Northumberland - Addio, fratello.
Riusciremo, ne sono sicuro.
Hotspur - Arrivederci, zio.
Ah, siano brevi l’ore
che ci dividono da quel momento
che pei campi di Scozia e d’Inghilterra
applaudiranno al nostro grande gioco
il cozzare dell’armi ed i lamenti!

(Escono)