WILLIAM SHAKESPEARE

ENRICO IV - PARTE PRIMA

ATTO TERZO
SCENA I - Westminster, il palazzo

Entra Re Enrico in veste da camera, seguito da un paggio. Notte.

Enrico - (Al Paggio)
Va’ dai conti di Surrey e di Warwick,
e di’ loro che vengano da me;
ma che prima si leggan questo foglio
e ci riflettan bene. Corri, va’.

(Esce il Paggio, con il messaggio)

Chi sa quante migliaia di miei sudditi,
i più umili, dormiran tranquilli,
a quest’ora?... O sonno, dolce sonno,
della natura soave ristoro,
che avrò mai fatto io,
di tanto male da terrorizzarti
al punto che non vuoi tu più venire
a gravar del tuo peso le mie palpebre
e immergere i miei sensi nell’oblio?
Perché più volentieri
ami tu ritrovare il tuo riposo
all’interno di fumidi tuguri,
disteso sopra scomodi giacigli
ed in mezzo al ronzio delle zanzare,
che non dentro le alcove profumate
dei grandi, sotto ricchi baldacchini,
e cullato dal conciliante suono
di dolci melodie? Torpido Iddio,
perché ti giaci con la bassa gente,
su immondi pagliericci,
e lasci invece la regale alcova
rassomigliare alla cassa d’un pendolo
o ad un qualunque segnale d’allarme ?
Puoi tu sulla vertiginosa coffa
della nave serrare gli occhi al mozzo,
cullandogli il cervello
al brontolio degli impetuosi flutti,
tra il soffiare dei venti
che abbrancano per le schiumose creste
gli infuriati marosi,
raggricciandone le mostruose teste
e agganciandole alle sfuggenti nuvole
con tale strepito, che al suo rimbombo
la stessa morte sembra ridestarsi?
Come puoi esser, sonno, sì parziale
da dispensare il tuo riposo al mozzo
inzuppato di pioggia e di salsedine,
in mezzo al turbinar degli elementi ,
e negarlo ad un re,
nella calma di notti tranquillissime,
con modi e mezzi adatti a conciliarlo?
E riposate, allora, umili genti,
riposate felici, e solo inquieto
giaccia il capo che porta una corona!

Entrano Warwick e Surrey
Warwick - Mille volte buongiorno a Sua Maestà!
Enrico - Già è buongiorno, signori?
Warwick - Sì, mezzanotte è passata da un’ora.
Enrico - Buongiorno, allora, a entrambi voi, signori.
Suppongo abbiate letto il mio messaggio.
Warwick - Certo, sire.
Enrico - Così siete informati
da qual disfacimento è affetto il corpo
del nostro regno, quali brutti mali
vanno infestandolo, e con qual pericolo
proprio vicino al cuore.
Warwick - Fino ad ora,
esso è soltanto un corpo malandato
che tuttavia può esser ricondotto
al primitivo stato di vigore
con accorto consiglio e con l’impiego
di blande medicine. A Lord Northumberland
i bollori saran presto freddati.
Enrico - O Dio, se fosse mai concesso all’uomo
di leggere nel libro del destino
e contemplare il tempo, nel suo volgere,
ripianare perfino le montagne,
e i continenti della terraferma
stanchi della lor solida saldezza,
dissolversi nel mare;
o la sabbiosa cinta degli oceani
estendersi da farsi troppo larga
pei fianchi di Nettuno; e constatare
come i tempi di noi si faccian gioco
col riempire di liquidi diversi
la coppa delle loro metamorfosi;
oh, si potesse antivedere tanto,
il più felice dei giovani d’oggi
mirando al corso della propria vita,
ai pericoli corsi nel passato
ed alle avversità dell’avvenire,
chiuderebbe quel libro,
ansioso sol di vivere adagiato
nella supina attesa della morte.
Dieci anni ancora non si son compiuti
dal tempo che Riccardo e Lord Northumberland,
grandi amici, sedevano a banchetto;
due anni dopo si facevan guerra.
E non più di ott’anni son passati
da quando questo Percy era con me
la persona più prossima al mio cuore;
parteggiava per me come un fratello,
deponendo il suo cuore e la sua vita
sotto i miei piedi, sì, e per amor mio,
sfidando anche Riccardo a viso aperto.
Ma chi di voi era presente... tu,
(A Warwick)
se ben ricordo, cugino Neville,
quando Riccardo, gli occhi pien di lacrime,
rampognato e insultato dal Northumberland,
disse queste parole che profetiche
si rivelano oggi: “Tu, Northumberland,
sei la scala per cui Enrico Bolingbroke,
mio cugino, sale ora sul mio trono”.
Eppure, allora, Dio m’è testimonio,
io ero lungi dall’aver tal mira;
ma la necessità volle per forza,
con lo Stato caduto così in basso,
che la grandezza ed io ci combaciassimo.
“Tempo verrà - ricordo ch’egli aggiunse -
tempo verrà che quel peccato immondo
suppurerà come un bubbone marcio”;
e, proseguendo sullo stesso tono,
preconizzò gli eventi di quest’ora
e la rottura della nostra pace.
Warwick - Nella vita d’ogni uomo c’è una storia
che ripete gli eventi del passato;
chi l’osservi riesce a presagire,
con alto grado di approssimazione ,
i grandi lineamenti delle cose
ancora non venute ad esistenza,
i loro semi, i lor gracili bocci
chiusi come tesori in uno scrigno
che il tempo cova e quindi fa dischiudere
nella forma assegnata lor dal fato ;
ed è con l’osservare questa forma
che Riccardo poté ben prevedere,
giudicando sul metro della storia,
come il grande Northumberland,
già allora a lui mostratosi sleale,
sarebbe poi cresciuto da quel seme
a maggior tradimento
miglior terreno a mettere radici
non potendo trovar che il vostro danno.
Enrico - Sono dunque voluti dal destino
gli eventi che viviamo?...
E allora come una fatalità
li affronteremo; e sia questa parola
ad ammonirci anche ora in questa azione.
Insieme l’Arcivescovo e Northumberland
disporrebbero, a quanto mi si dice,
d’un nerbo di cinquantamila uomini.
Warwick - Non lo credo possibile, signore.
La diceria ripete, raddoppiandolo,
così come fa l’eco con la voce,
il numero di quelli che si temono.
Per il momento piaccia a Vostra Grazia
d’andare a letto. Sull’anima mia,
mio signore, le forze messe in campo
da Vostra Maestà son sufficienti
ad ottenervi un facile successo.
E vi dico, a maggior vostro conforto,
d’aver appreso da fonte sicura
che Glendower è morto.
Queste due settimane Vostra Grazia
è stata male, e stare ancora in piedi
in queste ora inconsueta
non può che peggiorarle la salute.
Enrico - Va bene, seguirò il tuo consiglio.
Ma una volta che avremo, miei signori,
le mani libere da questa guerra,
nostra meta sarà la Terrasanta!

(Escono)
SCENA II - Nella Contea di Gloucester, davanti alla casa del giudice Zucca

Entrano Zucca e Silente, da parti opposte

Zucca - Avanti, avanti, avanti! Qua la mano,
signor cugino, diamoci la mano!
(Si stringono la mano)
Croce di Dio, sei proprio mattiniero!
E come sta mio cugino Silente?
Silente - Bene. Buongiorno a te, cugino Zucca.
Zucca - E come sta la mia cara cugina
tua compagna di letto? E l’Elenuccia,
la bella tua figliola e mia figlioccia?
Silente - Ahimé, cugino, nera come un merlo.
Zucca - E che fa mio nipote Guglielmino?
Scommetto che a quest’ora
è diventato uno studente in gamba.
Ancora ad Oxford, vero?
Silente - Sì, sì, certo, signore, ed a mie spese.
Zucca - Allora presto dovrà frequentare
la facoltà di legge . Ai tempi miei
ho frequentato anch’io la “Clement Inn”
e credo che si parli ancora là
di quella testa pazza dello Zucca.
Silente - Ti chiamavano “Zucca il rompicollo”.
Zucca - Eh, per la Messa, quanto a soprannomi
me n’affibbiavano di tutte specie.
E certo ne avrei fatte d’ogni sorta
ed anche a ruota libera, a quel tempo.
C’ero io e Giannetto Monetina ,
quel piccolino dello Staffordshire,
e quel nerone di Giorgietto Barnes ,
e Franco Bucalossi, e Bill Mugugno ,
un tipo dalle parti di Gottswold
Nelle scuole di legge d’Inghilterra
quattro tipi così, scavezzacollo,
compagnoni, gaudenti, capiscarichi,
non s’erano mai visti, e, posso dirlo,
sapevamo ove stava “bona roba ”
ed avevamo sempre le migliori
a nostra discrezione, sempre pronte.
A quel tempo Jack Falstaff, ora Sir John,
era ancora un ragazzo, ed era paggio
di Thomas Mowbray, duca di Norfolk.
Silente - Quello stesso Sir John
che dovrebbe arrivare qui tra poco
per le requisizioni?
Zucca - Quello stesso,
appunto, proprio lui. Quanti ricordi!
Gli ho visto un giorno rompere la testa
a Scoggin , sul cancello del collegio,
quand’era ancora solo un pivellino
non più alto di tanto; e fu quel giorno
ch’io stesso mi trovai ai ferri corti
con un certo Sansone Stoccafisso ,
un fruttaiolo, dietro la Gray’s Inn.
Gesù, Gesù, quante pazze giornate
ho passato laggiù!
E veder ora quante sono morte
di tutte quelle vecchie conoscenze...
Silente - Eh, cugino, li seguiremo tutti,

Zucca - Certo, certo, sicuro, sicurissimo!
La morte, come recita il Salmista,
è certa; tutti debbono morire...
A quanto sta una coppia di torelli
alla fiera di Stanford?
Silente - In verità, non ci sono passato.
Zucca - (Tornando al suo pensiero di prima)
Eh, sì, la morte è certa...
E il vecchio Double, quel tuo conterraneo,
è ancora vivo?
Silente - Morto, mio signore.
Zucca - Ah, sì?... Gesù, Gesù!
Sapeva così bene tirar d’arco!
Morto! Un arciere in gamba! Un tiratore!
Giovanni Gaunt l’aveva molto a cuore
e scommetteva forte su di lui.
Morto sicché, eh?... Quello era capace
di centrarti un bersaglio a ottanta passi,
e lanciarti un quadrello a centottanta,
centonovanta, che solo a vederlo
ti s’allargava il cuore, veramente!
Una ventina di pecore buone
quanto credi che possano costare?
Silente - Dipende... una ventina, delle buone,
faranno il prezzo di dieci sterline.
Zucca - E sicché anche il vecchio Double è morto...

Entrano Bardolfo e un altro (che non parla)
Silente - Ecco due uomini di Sir John Falstaff,
come penso.
Zucca - Buongiorno, brava gente!
Bardolfo - Di grazia, il giudice Zucca, chi è?
Zucca - Roberto Zucca sono io, signore,
modestamente, un umile scudiero
della contea e giudice di pace .
In che posso servirvi?
Bardolfo - Il nostro capo
vi manda i suoi omaggi, monsignore...
dico il mio capitano, Sir John Falstaff,
un gentiluomo d’alta levatura,
perdio, e un valoroso condottiero.
Zucca - Il vostro capitano è ben gentile
con me, signore; io l’ho conosciuto
come buon tiratore di bastone .
Come sta quell’egregio cavaliere?
E m’è lecito chiedervi altresì
come sta la sua nobile consorte?
Bardolfo - Un soldato, signore, chiedo scusa,
è meglio accomodato che con moglie.
Zucca - Ben detto, in fede mia, molto ben detto!
“È meglio accomodato... ”. Bene, bene!
Sì, infatti, certo: le belle espressioni
son certamente, e sono state sempre,
assai lodevoli... “Accomodato”...
già, deriva da “accommodo ”. Benissimo!
Bella frase.
Bardolfo - Scusatemi, signore,
questa parola io l’ho già sentita...
“frase” voi la chiamate?... In fede mia,
non so cosa voglia dire “frase”,
ma manterrò con la mia spada il punto
che la parola è degna d’un soldato,
una bella parola soldatesca,
eh, si, perdio, straordinariamente!
“Accomodato”, cioè quando un uomo
è, come si suol dire, accomodato;
o quando viene a trovarsi in tal modo
che lo si può stimare accomodato;
il che è cosa eccellente.
Zucca - Molto giusto.
Ma toh, chi arriva, l’ottimo Sir John!
(Gli va incontro)
Qua la mano, la vostra brava mano
di vostra riverita signoria!
In fede mia, vi vedo in bella forma
e vi portate gli anni a meraviglia!
Benvenuto tra noi, caro Sir John!
Falstaff - Sono felice di vedervi bene,
mio caro Mastro Zucca, ben felice!
(Verso Silente)
Mastro Cartasicura , se non erro?
Zucca - No, Sir John, è Silente, mio cugino,
e giudice di pace come me.
Falstaff - Caro Mastro Silente,
ben vi si addice l’essere “di pace”.
Silente - Troppo gentile, Vostra Signoria!
Falstaff - Però che caldo, auff, signori miei!
M’avete provveduto qui da voi
mezza dozzina d’uomini efficienti?
Zucca - Per la Vergine, se l’abbiamo fatto,
signore.
(Offrendogli da sedere)
Non volete accomodarvi?
Falstaff - (Sedendosi)
Me li fate vedere, per favore?
Zucca - Il ruolino... dov’è dunque il ruolino?
Dov’è il ruolino?... Vediamo, vediamo...
Ah, ecco, sì, perbacco: Raffo Muffa.
(A Silente)
Si presentino come io li chiamo,
uno alla volta, come vien chiamato...
Vediamo...
(Chiamando)
Dov’è Muffa?

Entra Muffa
Muffa - Qui presente,
se così piace a Vostra signoria.
Zucca - Che ne dite, Sir John? È ben piantato,
giovane, valido, di buona tacca.
Falstaff - Muffa è il tuo nome?
Muffa - Se così vi piaccia.
Falstaff - È più che tempo di metterti in uso .
Zucca - (Ridendo)
Ah, ah, questa è davvero formidabile!
Le cose con la muffa vanno usate!
Che battuta stupenda! Straordinaria!
In coscienza, Sir John, azzeccatissima!
Falstaff - Spuntatelo.
Muffa - Spuntato, in verità,
lo sono stato già abbastanza prima ,
e avreste ben potuto, questa volta,
farmi restare in pace a casa mia.
La mia vecchia dovrà dannarsi l’anima
per trovare qualcuno al posto mio
che le coltivi il campo e tutto il resto.
Potevate evitare di spuntarmi;
ce ne son altri migliori di me
da mandare alla guerra.
Falstaff - Taci, Muffa!
È tempo che tu sia messo a consumo.
Muffa - A consumo!...
Zucca - Sta’ calmo, giovanotto.
Sta’ calmo e fatti in là. Sai dove sei?
Passiamo all’altro, Sir John. Ecco qua:
(Legge sul ruolino)
Ombra Simone.
Falstaff - Eh, questo lo prendo.
Mi starà bene per sedermi al fresco.
Zucca - Ombra dov’è?

Entra Ombra
Ombra - Presente, qui, signore.
Falstaff - Ombra, di chi sei figlio?
Ombra - Di mia madre, signore.
Falstaff - Di tua madre?
È probabile; ed ombra di tuo padre.
Succede spesso: figlio della femmina
e del maschio ombra... lui però dal padre
ombra parecchia ma sostanza poca.
Zucca - Vi piace allora, Sir John?
Falstaff - Sì, spuntatelo.
L’ombra d’estate farà sempre comodo;
(Tra sé)
e quanto ad ombre poi ne abbiamo tante
da ricolmarne un intero ruolino .

(Ombra si fa da parte, in piedi, con Muffa)
Zucca - (Chiamando)
Tommaso Bubbolo.
Falstaff - Dov’è?

Entra Bubbolo
Bubbolo - Presente!
Falstaff - Ti chiami Bubbolo?
Bubbolo - Sì, per servirvi.
Falstaff - Sei un bitorzolo assai trasandato.
Zucca - Devo spuntarlo?
Falstaff - No, non c’è bisogno:
ha già appuntato il vestito di dietro
e tutto quello che si porta addosso
si regge con gli spilli. Non spuntatelo.
Zucca - (Ridendo)
Ah, ah, ah, ah! Complimenti, Sir John!
Le dite bene assai! Ma bene assai!
(Chiama)
Avanti un altro: Francesco Cannuccia.

Entra Cannuccia
Cannuccia - Presente!
Zucca - Che mestiere fai, Cannuccia?
Cannuccia - Sarto da donna.
Zucca - (A Falstaff)
Lo devo spuntare?
Falstaff - Fatelo, sì... perché se di mestiere
fosse stato costui sarto da uomo,
avrebbe ben potuto spuntar voi .
(A Cannuccia)
Saprai fare, Cannuccia, tanti buchi
nelle linee nemiche quanti buchi
hai fatti nei corpetti per signore?
Cannuccia - Farò tutto il possibile, signore;
ma più di questo non potete attendervi.
Falstaff - Ben detto, bravo il mio sarto da donna!
Ben detto, bravo! Sarai valoroso
come la tortorella incollerita
o come il più coraggioso dei sorci.
Bene, appuntatelo il sarto da donna,
Mastro Zucca, appuntatelo profondo.
Cannuccia - Avrei desiderato, monsignore,
che aveste reclutato insieme a me,
anche Bubbolo.
Falstaff - Ed io avrei voluto
che tu, invece che sarto da donna,
fossi stato da uomo,
così avresti potuto rappezzarlo
e metterlo in assetto di partire.
Eppoi non posso prendere con me
con il grado di semplice soldato
uno che ne comanda addosso a sé
tante migliaia . No, basta così,
basta, scannacciatissima Cannuccia .
Cannuccia - E basti pure.
Falstaff - Ti sono obbligato,
reverendo Cannuccia.

(Cannuccia si fa da parte cogli altri)

(A Zucca)
Chi c’è dopo?
Zucca - (Chiamando)
Piero Torello della prateria!
Torello - Presente!
Falstaff - Questo, quanto è vero Dio,
somiglia veramente ad un torello!
Spuntatemi, spuntatemi il Torello
fino a farlo muggire un’altra volta.
Torello - Oh, Signore, mio buon lord capitano!
Falstaff - Che! Ti metti a muggire
prima ancora d’aver sentito il pungolo .
Torello - Oh Dio, signore, io sono malato.
Falstaff - Di che?
Torello - D’un maledetto raffreddore,
con tosse, monsignore: li ho buscati
a suonar le campane per il re
alla festa dell’incoronazione.
Falstaff - Beh, vorrà dire che andrai alla guerra
in una calda vestaglia da camera.
Ti faremo passare il raffreddore
e darò ordine ai tuoi compagni
di suonarle per te .
(Torello si mette da parte cogli altri)
Non ce n’è altri?
Zucca - Ne avevamo chiamati due in più
di quanti ve ne dovevamo qui,
cioè non più di quattro, monsignore.
Vogliate favorire a casa mia,
ora, vi prego, per il pranzo.
Falstaff - E sia,
ma ci verrò soltanto a bere un goccio;
a pranzo, no, non posso. Mi dispiace.
Eh, perbacco, m’ha fatto assai piacere
di rivedervi, caro Mastro Zucca!
Zucca - Oh, Sir John, ricordate quella volta
che trascorremmo insieme una nottata
nel campo di San Giorgio?
Falstaff - E come no!
Ah, non me ne parlate, Mastro Zucca,
acqua passata...
Zucca - Che nottata, quella!
E Gianna Notturnina è ancora viva?
Falstaff - Ancora, sì.
Zucca - Non poteva soffrirmi.
Falstaff - Infatti, infatti, lo diceva sempre
che Mastro Zucca non le andava a genio.
Zucca - Eh, per la Messa, la mandavo in bestia.
Era, a quel tempo, un’assai bona-roba !
E si mantiene bene?
Falstaff - Vecchia, vecchia,
Mastro Zucca.
Zucca - Eh sì, dev’esser vecchia,
non può non esserlo. Certo che è vecchia;
aveva avuto già quel figlio, Robin,
dal vecchio Notturnino
prima ancora ch’io fossi entrato allievo
presso la “Clement Inn”.
Silente - E son passati cinquantacinque anni.
Zucca - Eh, cugino Silente, avessi visto
quello che questo cavaliere ed io
abbiam visto. Sir John, ho detto bene?
Falstaff - Abbiamo udito suonar le campane
a notte alta, vero, Mastro Zucca?
Zucca - Eccome, eccome, in fede; e quante volte,
Sir John le abbiam sentite...
E la parola d’ordine per noi
era: “Prosit, ragazzi, su il bicchiere !”
Ma andiamo, su, venite, andiamo a pranzo.
Gesù, che giorni abbiamo visti insieme,
noi due!... Andiamo, andiamo!...

(Escono Falstaff, Zucca e Silente)
Torello - Buon caporal Bardolfo, signoria,
siatemi amico; qui sono quattro Enrichi ,
quattro monete da dieci scellini
in corone francesi: son per voi.
In coscienza, credetemi, signore,
preferirei morire sulla forca
piuttosto che partire per la guerra.
Per parte mia, non è che me ne importi;
ma è piuttosto che non me la sento
e voglio rimanere con i miei;
altrimenti, per parte mia, signore,
non me ne importerebbe proprio niente.
Bardolfo - Bene, fatti da parte.
(Prende le monete)
Muffa - (Venendo avanti)
Anche per me,
buon mastro caporale capitano,
fatelo per amor della mia vecchia,
siatemi amico; non ha più nessuno
che le badi a sbrigare le faccende
s’io me ne vado; è molto in là cogli anni
e da sola non potrà far più nulla.
(Mostrandogli una moneta da uno scellino)
Ve ne darò quaranta, monsignore.
Bardolfo - Bene, fatti da parte.
Cannuccia - Io, per me,
parola mia, non me ne importa niente.
Uno non può morire che una volta.
La morte è un debito che abbiamo tutti
con Dio, non sarò mai d’animo vile.
Se dev’esser destino, sia così;
se non dev’essere, sia pur così.
Quando si tratta di servire il Principe
nessuno è troppo buono;
e vada come vuole:
vorrà dire che chi muore quest’anno
si trova sistemato per il prossimo.
Bardolfo - Ben detto; sei davvero un uomo in gamba.
Cannuccia - Eh, sì, non sarò mai d’animo vile.

Rientrano Falstaff, Zucca e Silente
Falstaff - Signore, allora quali debbo prendere?
Zucca - Quattro di vostra scelta, monsignore.
Bardolfo - (A parte a Falstaff)
Signore, una parola...
avrei, per tre sterline, combinato
di lasciar liberi Muffa e Torello.
Falstaff - (A parte a Bardolfo)
Bene, procedi.
Zucca - Allora chi prendete,
Sir John?
Falstaff - I quattro sceglieteli voi.
Zucca - Bene, allora ecco qua: Muffa, Torello,
Cannuccia e Ombra.
Falstaff - (Rivolto a Muffa e Torello)
Qua, Muffa e Torello:
tu, Muffa, te ne resterai a casa
fino a quando non avrai più l’età
pel servizio di guerra; e tu, Torello,
fino a tanto che non l’avrai raggiunta.
Di voi due, nessuno fa per me.
Zucca - Sir John, Sir John, adesso v’ingannate:
sono i due uomini più adatti a voi,
ed io vorrei vedervi, francamente,
servito dai migliori.
Falstaff - Mastro Zucca, pretendereste forse
d’insegnarmi come si sceglie un uomo?
Che m’importa dei muscoli, dei nervi,
della taglia, della corporatura?
Lo spirito io cerco, Mastro Zucca!
Ecco, ad esempio, Bubbolo:
vedete come è tutto sbrindellato?
Eppure questo è uno
che vi sa caricare e scaricare
con la rapidità del ticchettio
del martelletto in mano a un lattoniere;
e v’andrà avanti e indietro
più veloce di uno che manovra
il secchio del birraio.
E quest’altro, quest’Ombra faccia-smunta
fa proprio al caso mio: smilzo com’è,
non presenta al nemico alcun bersaglio;
mirare a lui sarà come mirare
di precisione al filo d’un trincetto.
E, in caso d’una nostra ritirata,
con che velocità saprà scappare
questo Cannuccia, il sarto per signora!
Datemi insomma uomini sparuti,
e risparmiatemi i corpacciuti.
Bardolfo, dagli in mano un archibugio,
a Bubbolo.
Bardolfo - (Consegnando a Bubbolo l’arma)
Toh, impugnalo, ragazzo.
Avanti, muoviti... così, così.
Falstaff - Suvvia, maneggiami quell’archibugio.
Così, benissimo! Va là, vai bene!
Avanti, molto bene, ottimamente!
Oh, sì, datemi sempre fucilieri
come lui, piccolino, smilzo, vizzo,
pelato! Bravo, Bubbolo, ben fatto!
Quel nome Bubbolo ti sta a pennello,
sei una buona schiappa, in fede mia.
(Gli dà una moneta)
Toh, prendi; qui c’è un testone per te .
Zucca - Non è ancora padrone del mestiere;
non lo sa fare come si dovrebbe.
Ricordo che sul prato di Mile-end
quand’ero allievo della “Clement Inn”
- recitavo a quell’epoca la parte
di Messer Dragonet nel “Re Artù” -
c’era un ometto svelto, tutto pepe,
che maneggiava il pezzo così bene,
e dietro-front e via, e dietro-front,
e avanti, e indietro, su, giù, “ra-ta-ta”
faceva; e “za”, uno scatto e via di corsa,
e subito rientrava e caricava.
Uno così non lo vedrò mai più.
Falstaff - Questi mi stanno bene, Mastro Zucca.
Mastro Silente, che Dio vi conservi;
con voi non spenderò troppe parole.
Addio, signori, vi ringrazio entrambi.
Questa notte ho da far dodici miglia.
Bardolfo, da’ le divise ai soldati.
Zucca - State bene, Sir John, Dio vi protegga
e faccia prosperare i vostri affari.
Dio ci mandi la pace! Ed al ritorno
passate a visitar la nostra casa:
rinfrescheremo l’antica amicizia.
E chissà ch’io con voi non torni a corte.
Falstaff - Ah, com’è vero Dio, lo vorrei bene,
che ci veniste!
Zucca - Statene pur certo,
ormai l’ho detto. Che Dio vi conservi!
Falstaff - Statemi bene, degni gentiluomini!

(Escono Zucca e Silente)

Bardolfo, avanti, conduci via gli uomini.

(Esce Bardolfo con le quattro reclute, a passo di marcia)
Falstaff - Come torno, questi due bravi giudici
me li voglio pelare bene bene.
Dio, Dio, come noi uomini, da vecchi,
siamo soggetti al vizio di mentire!
Codesto allampanato leguleio
non ha saputo fare altro con me
che cianciare, menandone gran vanto,
della sua scapigliata giovinezza
e delle sue magnifiche prodezze
compiute un tempo attorno a Turnbull Street;
e ad ogni tre parole, una bugia:
una taglia, su chi stava a sentirlo,
d’un buon trenta per cento più costante
d’un tributo alle casse del Gran Turco .
Lo ricordo alla “Clement Inn” com’era;
sembrava uno di quei pupazzetti
che si ritagliano distrattamente
da una crosta di cacio dopo cena.
Quand’era nudo, poi, parola mia,
sembrava una radice biforcuta
sopra la quale era stata intagliata
col coltello una testa surreale:
era così patito, evanescente,
che la sua dimensione era invisibile
anche all’occhio più acuto e penetrante;
era il genio incarnato della fame,
eppur lascivo, simile a una scimmia;
le troie lo chiamavano “Mandragola ”.
Era sempre in ritardo con la moda,
e cantava alle fruste sue bagasce
canzonacce e lascivi motivetti
uditi fischiettar dai carrettieri,
giurando ch’erano suoi madrigali,
serenate prodotte dal suo estro.
Ed ora questa spatola del Vizio
eccolo diventato uno scudiero ,
e parlare con tanta confidenza
di Giovanni di Gaunt,
come se fosse suo compagno d’armi;
e giurerei che non l’ha visto mai,
tranne una volta, quando, in un torneo,
s’ebbe proprio da lui la testa rotta
per essersi intromesso impunemente
tra i delegati del Lord Maresciallo .
Ed io che c’ero e vidi l’episodio,
dissi scherzosamente a John di Gaunt
che aveva bastonato il proprio nome;
perché quello lo avreste fatto entrare
vestito nella pelle di un’anguilla;
per lui anche l’astuccio d’un clarino
sarebbe stato un palazzo, una corte.
E adesso lo ritrovo possidente
con terre e buoi. Ma se torno vivo
da questa guerra, voglio, com’ei dice,
rinfrescarla davvero l’amicizia;
e dovrà andarmi proprio per traverso
se non farò di lui, a mio vantaggio,
una pietra filosofale in doppio .
Se la giovane carpa è buon boccone
pel vecchio luccio, non vedo ragione
perché, secondo legge di natura,
io non debba papparmi questo Zucca.
Lasciamo pur maturare gli eventi,
ma così certamente andrà a finire.

(Esce)