ROBERT MUSIL

I TURBAMENTI DEL GIOVANE TÖRLESS III


[11]

Törless passò il resto della giornata in uno stato di agitazione.
Il fatto di avere avuto per le mani Kant, un fatto del tutto casuale a cui, sul momento non aveva dato molta importanza, provocò in lui una potente reazione. Il nome di Kant, certo, l'aveva già sentito, e ai suoi occhi rappresentava quel che rappresenta in genere per chi s'interessa solo da lontano di scienze morali, cioè il non plus ultra della filosofia. E tanta autorità era stata persino una delle ragioni per cui Törless, finora, s'era occupato così poco di libri seri. Gli adolescenti, si sa, una volta superato il periodo in cui vogliono diventare cocchieri, giardinieri o pasticcieri, di solito assegnano con la fantasia alla loro attività futura il campo in cui la loro ambizione sembra avere la maggior possibilità di compiere imprese straordinarie. Quando dicono di voler fare il medico, di sicuro una volta hanno visto da qualche parte una bella sala d'aspetto piena di gente o una vetrina con strani ferri chirurgici o qualcosa di simile; se parlano della carriera diplomatica pensano al fasto e alla signorilità dei salotti internazionali: insomma, scelgono la loro professione in base all'ambiente in cui si vedrebbero più volentieri e alla posa di cui più si compiacciono.
Ora, il nome di Kant non era mai stato pronunciato in presenza di Törless che occasionalmente e nel tono in cui si parla di un mostro sacro. E Törless poteva solo pensare che da Kant i problemi della filosofia fossero stati risolti una volta per tutte, e che dopo di lui questa fosse un'occupazione priva di senso, così come pensava che dopo Schiller e Goethe non valesse più la pena di scrivere poesie.
A casa quei libri stavano dentro l'armadio dai vetri verdi nello studio di papà, e Törless sapeva che quell'armadio non veniva mai aperto se non per mostrarlo a qualche visitatore. Era come il santuario di una divinità a cui non ci si accosta volentieri e che si venera soltanto perché si è contenti che la sua esistenza dispensi dall'occuparsi di certe cose.
Questo atteggiamento distorto verso la filosofia e la letteratura aveva avuto in seguito sull'evoluzione di Törless la malaugurata influenza cui egli era debitore di parecchie ore infelici. La sua ambizione infatti fu distolta dal proprio oggetto naturale e subì mentre lui, privato del suo scopo, ne cercava un altro - il brutale ed energico influsso dei compagni. Le sue inclinazioni riaffioravano solo di rado e timidamente, lasciandogli ogni volta la consapevolezza di aver fatto una cosa oziosa e ridicola. E tuttavia erano così forti che lui non riusciva a liberarsene del tutto, ed era questa continua lotta a privare la sua personalità di una fisionomia decisa e di un tratto sicuro.
Da oggi tuttavia quell'atteggiamento sembrava essere entrato in una fase nuova. I pensieri che oggi l'avevano indotto a cercare invano dei lumi non erano più le associazioni oziose di una fantasia sbrigliata ma anzi lo sconvolgevano, l'assillavano, e con tutte le fibre del suo corpo lui sentiva che dietro di loro pulsava una parte della sua vita. Per Törless era una grande novità. Nel suo intimo c'era una risolutezza che lui non si conosceva. Una disposizione quasi trasognata, misteriosa: doveva, certo, esser maturata segretamente per effetto dei recenti stimoli e adesso, di colpo, bussava con nocche imperiose. Gli pareva di essere come una madre che per la prima volta senta in grembo il prepotente agitarsi della sua creatura.
Seguì un pomeriggio meraviglioso denso di piaceri. Törless prese dal cassetto tutti i saggi poetici che vi aveva riposto, sedette con questi accanto alla stufa e restò tutto solo e inosservato dietro quel possente riparo. Sfogliò ad uno ad uno i quaderni, poi li strappò con molta lentezza in pezzetti piccolissimi che gettò uno dopo l'altro nel fuoco, assaporando ogni volta la sottile commozione del distacco.
Voleva in questo modo gettarsi dietro le spalle tutto il precedente bagaglio, quasi si trattasse, ora, di rivolgere senz'altri impedimenti tutta l'attenzione ai nuovi passi che andavano compiuti.
Alla fine s'alzò e raggiunse gli altri. Si sentiva libero da tutte le occhiate che prima lanciava attorno con aria timorosa. Quel che aveva fatto, per la verità, era avvenuto d'istinto; niente gli dava la certezza che d'ora in avanti avrebbe potuto essere una persona nuova se non la semplice presenza di quell'impulso. "Domani," si disse, "domani riesaminerò tutto con cura e ci vedrò chiaro."
Si aggirava per l'aula, tra i banchi, guardava i quaderni aperti, le dita che in quel biancore abbagliante andavano avanti e indietro, tutte prese dallo scrivere, e si tiravano dietro ognuna la sua piccola ombra scura... guardava tutto questo come uno che s'è svegliato all'improvviso, con occhi cui tutto sembrava avere un significato più serio.


[12]

Ma già l'indomani recò una cocente delusione. Törless s'era comprato ancora in mattinata l'edizione economica di quel volume che aveva visto dal suo professore, e approfittò del primo intervallo per cominciare la lettura. Ma erano tante le parentesi e le note a piè di pagina che non capì una parola: quando seguiva coscienziosamente con gli occhi le frasi gli pareva che una vecchia mano ossuta gli rigirasse il cervello estraendoglielo dal cranio.
Quando, dopo circa mezz'ora, esausto, smise di leggere era arrivato solo alla seconda pagina, e la sua fronte era imperlata di sudore.
Ma poi strinse i denti e lesse ancora una pagina, fino alla fine dell'intervallo.
Alla sera però non aveva già più voglia di toccare il libro. Paura? Nausea?... non sapeva bene. Solo una cosa gli bruciava: che il professore, quel tizio dall'aria così dappoco, tenesse nella sua stanza quel libro ben aperto, quasi che per lui rappresentasse uno svago quotidiano.
Beineberg lo trovò in questo stato d'animo.
"E allora, Törless, com'è andata ieri dal professore?" Sedevano da soli nel vano di una finestra e s'erano spinti davanti il largo attaccapanni carico di cappotti, così che della classe giungeva fino a loro solo un brusio ineguale e il riflesso delle lampade appese al soffitto. Törless giocherellava distrattamente con un cappotto che aveva davanti.
"Ma dormi? Ti avrà pur risposto qualcosa! Del resto posso immaginarmelo: si sarà trovato in un bell'imbarazzo, eh?"
"Perché?"
"Be', a una domanda così stupida non sarà certo stato preparato."
"La domanda non era affatto stupida. Non ne sono ancora venuto a capo."
"Non intendevo dir questo: stupida lo sarà stata solo per lui. Quelli lì s'imparano la loro lezioncina a memoria come fa il prete col suo catechismo, e quando gli si chiede qualcosa che esce un po' dal seminato si trovano sempre in imbarazzo."
"Ah, quello non l'ha certo messo in imbarazzo la risposta. Non m'ha neanche lasciato finire, tanto l'aveva pronta!"
"E come ha spiegato la faccenda?"
"Per la verità non l'ha spiegata affatto. Ha detto che io non posso ancora capire, che si tratta di elementi necessari al ragionamento, comprensibili solo dopo che uno s'è occupato a fondo di queste cose."
"Ecco dove sta l'imbroglio! A chi è semplicemente una persona di buon senso non riescono a raccontarla. Solo dopo che uno te l'hanno infrollito ben bene per una decina d'anni la cosa funziona. Perché a quel punto, ormai, lui ha fatto per migliaia di volte i suoi calcoli su quelle basi, ha costruito grandi edifici dove i conti tornavano sempre al millesimo, e allora alla faccenda ci crede e basta, come il cattolico crede alla rivelazione che ha sempre funzionato tanto bene... Che ci vuole a cacciare in testa la prova a uno così? Al contrario, nessuno riuscirebbe a convincerlo che il suo edificio sta sì in piedi, ma che i singoli mattoni, a toccarli, si trasformano in aria."
Törless si senti urtato dalle esagerazioni di Beineberg.
"Non sarà così nera come la metti tu. Io non ho mai dubitato che la matematica abbia ragione: dopotutto lo confermano i suoi risultati; piuttosto ho trovato singolare che a momenti la cosa vada tanto contro la logica, e comunque può sempre darsi che sia così solo in apparenza."
"Be', aspetta pure che passino quei tali dieci anni, e allora forse il tuo cervello sarà al punto giusto... Però ho riflettuto anch'io su questo fatto da quando ne abbiamo discorso ultimamente, e sono arciconvinto che la faccenda zoppica. Del resto, anche tu allora parlavi in modo molto diverso da oggi."
"Oh no! Anche oggi la cosa mi lascia perplesso, solo che non voglio subito eccedere come fai tu: e infatti tutto questo io lo trovo singolare. L'idea dell'irrazionale, dell'immaginario, delle linee che sono parallele ma che all'infinito - e dunque pur sempre da qualche parte - s'intersecano, mi emoziona. Se ci penso rimango stordito, come se avessi preso un colpo in testa." Törless si piegò in avanti immergendosi nell'ombra, e nel parlare la sua voce si velò un poco. "Prima nella mia testa era tutto chiaro, tutto al suo posto, e adesso mi par quasi che i miei pensieri siano come nuvole, e quando arrivo ai punti ben definiti c'è tra loro come uno spazio vuoto da cui si guarda in una lontananza infinita e indefinibile. La matematica avrà certo ragione, ma che ne è della mia testa, e di tutte le altre? Gli altri non lo sentono questo? A loro che effetto fa? Proprio nessuno?"
"Direi che hai potuto vederlo nel tuo professore. Tu... se tu ti trovi di fronte a una cosa del genere ti guardi subito attorno e chiedi: come si concilia questa cosa qui con tutto il resto dentro di me? Quelli invece si sono scavati nel cervello un labirinto pieno di svolte, e girandosi vedono solo se all'ultimo gomito il filo che si srotolano dietro tiene ancora. Per questo li inetti in imbarazzo col tuo genere di domande. Di loro, nessuno trova la strada per tornare indietro. Del resto come fai a sostenere che io eccedo? Questi adulti tanto in gamba si sono tessuti attorno una rete: una maglia sostiene l'altra e così l'insieme pare, chissà come, perfettamente naturale. Ma dove sia la prima maglia che tiene su tutto, nessuno lo sa.
"Noi due finora non ne abbiamo mai parlato così seriamente; di queste cose, in fin dei conti, non si discorre volentieri; però adesso tu puoi vedere quanto sia fragile l'idea del mondo di cui questa gente si contenta. Illusione, è; imbroglio, è, imbecillità! Anemia! Perché la loro intelligenza basta giusto a fargli tirar fuori dalla testa la loro spiegazione scientifica, che poi quand'è fuori si congela, capisci? Ah ah! Tutte quelle guglie, quelle punte finissime, talmente sottili - ci dicono i professori - che noi adesso non siamo ancora in grado di sfiorarle... Sono morte, stecchite dal gelo, capisci? Si protendono in tutte le direzioni, quelle ammiratissime guglie di ghiaccio, e nessuno sa che farsene tanto son prive di vita!"
Törless era tornato da un pezzo ad appoggiarsi all'indietro. Il fiato caldo di Beineberg penetrava nei cappotti surriscaldando il vano. Come sempre quand'era eccitato Beineberg faceva a Törless un effetto sgradevole. E più che mai ora che si protendeva verso di lui, così vicino che i suoi occhi stavano immobili davanti a Törless come due pietre verdognole mentre le mani guizzavano nella penombra con una loro caratteristica, ripugnante agilità.
"È tutto incerto quel che loro affermano. Tutto procede naturalmente, dicono... se cade un sasso è la forza di gravità, ma perché non dovrebbe essere la volontà di Dio, e perché l'uomo che gli è gradito non dovrebbe essere esentato per una volta dal condividere la sorte del sasso? Ma perché ti racconto queste cose? Tu, già, resterai sempre a mezza strada! Un po' scoprire qualcosa di singolare, un po' scrollare la testa, un po' rabbrividire... questo fa per te; ma più in là non ti arrischi ad andare. Del resto, io non ci rimetto niente."
"E io sì, forse? Neanche le tue affermazioni sono poi tanto sicure!"
"Come puoi dir questo? Se sono l'unica cosa sicura! Ma poi, a che scopo accapigliarmi con te su quest'argomento? Lo vedrai tu stesso, mio caro Törless; vorrei persino scommettere che presto sarai maledettamente interessato a capire come stanno queste cose. Per esempio, se la faccenda di Basini va come io..."
"Lascia perdere, per favore," l'interruppe Törless, "non mi va di far entrare quella storia in questi problemi. Non ora."
"Ah! E perché no?"
"Così. Non voglio. Mi dà fastidio. Basini e quest'altra faccenda per me son due cose diverse. E io non ho l'abitudine di mettere due cose diverse nello stesso calderone."
Di fronte a questa inconsueta fermezza, anzi sgarberia del compagno più giovane Beineberg torse la bocca per il dispetto. Ma Törless sentiva che il semplice accenno a Basini aveva minato tutta la sua sicurezza, e per nascondere ciò disse, sempre più adirato man mano che parlava: "E poi tu affermi le cose con una sicumera da esaltato. Non credi che le tue teorie possano essere costruite sulla sabbia né più né meno che le altre? I tuoi sono labirinti ancora più contorti, e presuppongono una dose molto maggiore di buona volontà."
Stranamente Beineberg non s'arrabbiò; si limitò a sorridere, benché un po' a forza e con negli occhi un luccichio ancor più irrequieto, e ripeté varie volte: "Vedrai, vedrai..."
"Vedrò che cosa? E per conto mio, d'accordo: vedrò! Ma non m'interessa niente, Beineberg! Tu non mi capisci. Non hai nemmeno idea di quel che m'interessa. Se mi tormenta la matematica e se mi..." ma (qui rifletté in fretta e non disse nulla di Basini, "se mi tormenta la matematica è perché dietro ci cerco qualcosa che è molto diverso da quel che cerchi tu: niente di soprannaturale, proprio il naturale cerco, io... hai capito? Niente di esterno a me... in me cerco qualcosa, in me! Qualcosa di naturale! Che però non capisco. Ma tu queste cose non le senti più di quell'altro che c'insegna la matematica... ah, lasciami un po' in pace con le tue fisime!"
Törless tremava d'eccitazione quando s'alzò in piedi.
E Beineberg continuava a ripetere: "Va bene, staremo a vedere, staremo a vedere..."


[13]

Quando, la sera, fu a letto, Törless non riuscì a prender sonno. Le mezz'ore scivolavano via dal suo capezzale come infermiere, aveva i piedi gelati, le coperte gli pesavano addosso invece di scaldarlo.
Nel dormitorio si sentiva soltanto il respiro placido e regolare dei cadetti che dopo la fatica dello studio, della ginnastica e delle corse all'aperto erano sprofondati nel loro sano riposo animale.
Törless tese l'orecchio al respiro dei dormienti. Ecco il respiro di Beineberg, quello di Reiting, quello di Basini. Quale? Non lo sapeva, però uno dei tanti, tutti ugualmente regolari, placidi, sicuri, che si sollevavano e s'abbassavano come un congegno meccanico.
Una delle tendine avvolgibili di lino non era voluta scendere oltre la metà della finestra; sotto, la notte chiara mandava luce nella stanza disegnando un quadrato pallido e immobile sul pavimento. La cordicella s'era impigliata in alto o forse era uscita dal rullo, e penzolava in un brutto groviglio, mentre per terra la sua ombra strisciava come un verme attraverso il quadrato chiaro.
Tutto ciò era di una bruttezza angosciosa, grottesca.
Törless cercò di pensare a qualcosa di piacevole. Gli venne in mente Beineberg. Non aveva avuto la meglio su di lui, oggi? Non aveva inferto un bel colpo alla sua superiorità? Non era riuscito, oggi per la prima volta, a salvare di fronte all'altro la propria personalità, a darle un rilievo tale che quello potesse sentire l'infinita differenza, quanto a finezza interiore, che correva tra i loro modi di vedere? Era forse riuscito, l'altro, a replicare qualcosa? Sì o no?...
Ma questo sì o no gli si gonfiava nella testa come tante bolle che volassero in alto, e scoppiava, e: sì o no?... sì o no? si gonfiava una bolla dopo l'altra, incessantemente, con un ritmo scandito che pareva lo sferragliare di un treno, un dondolio di fiori su steli troppo lunghi, un martellio al di là di molte pareti sottili in una casa silenziosa... Quell'insistente, vanitoso sì o no disgustava Törless. La sua gioia non era genuina, erano troppo ridicoli quei sobbalzi.
E infine, quando lui si riscosse, sembrò che fosse la sua testa a dondolare, a sferragliare tra una spalla e l'altra o a batter colpi alzandosi e abbassandosi ritmicamente...
Alla fine tutto tacque in lui. Davanti ai suoi occhi c'era solo una vasta distesa nera che si dilatava a cerchio in tutte le direzioni.
Ed ecco, dall'orlo lontano del cerchio, attraverso il piano del tavolo, venire avanti traballando due figurine. Erano, chiaramente, i suoi genitori: ma così piccoli che non riusciva a provare niente per loro.
Poi scomparvero dall'altra parte.
Ora ne spuntavano altri due... ma, un momento: c'era uno che sopraggiungendo da dietro li oltrepassava con certi passi lunghi il doppio del suo corpo, e già era sparito al di là dello spigolo... Non era Beineberg?... E adesso i due: uno di loro... ma sì, era il professore di matematica! Törless lo riconobbe dal fazzoletto che gli spuntava vezzoso dal taschino. Ma l'altro? Quello che aveva sotto il braccio un grosso, grossissimo libro alto la metà di lui, e quasi non riusciva a trascinarselo dietro?... Ogni tre passi si fermavano e posavano il libro per terra. E Törless sentiva la voce pigolante del suo professore dire: se così dev'essere, troveremo la risposta giusta a pagina dodici, pagina dodici ci rimanda a pagina cinquantadue, ma poi valgono anche le considerazioni di pagina trentuno, e in base a questi presupposti... E intanto se ne stavano curvi sul libro scartabellandolo con tal fervore che le pagine volavano da tutte le parti. Dopo un po' si risollevarono e l'altro carezzò cinque o sei volte le guance del professore. Poi fecero ancora un paio di passi e Törless sentì di nuovo la voce, ed era come se questa, durante una lezione di matematica, facesse scorrere tra le dita il verme solitario di una dimostrazione. Continuò così finché l'altro non carezzò di nuovo il professore.
Ma quest'altro... ? Törless aggrottò le sopracciglia per vederci meglio. Non portava il codino? E delle vesti piuttosto all'antica: addirittura dei calzoni di seta al ginocchio! Non era ... ? Oh! E Törless si svegliò di soprassalto con un grido: Kant!
Un attimo dopo sorrise; intorno c'era un gran silenzio, il respiro dei dormienti s'era fatto leggero. Anche lui aveva dormito. E il letto frattanto s'era scaldato. S'allungò beatamente sotto le coperte.
"Così ho sognato Kant," pensò. "Ma perché non più a lungo? Forse mi avrebbe detto qualcosa." Si ricordava infatti di una volta che, mal preparato in storia, aveva sognato per tutta la notte così intensamente i personaggi e gli avvenimenti della lezione che il giorno dopo era riuscito a parlarne come se avesse vissuto anche lui quell'epoca, e aveva superato con lode la prova. Poi gli tornò in mente anche Beineberg... Beineberg e Kant, la conversazione di ieri.
Pian piano il sogno si ritrasse da Törless... piano come una coperta di seta che scivoli giù sfiorando per un tempo infinitamente lungo la pelle di un corpo nudo.
E tuttavia il suo sorriso cedette presto a una singolare inquietudine. Era forse riuscito a fare un solo passo avanti coi suoi pensieri? Era in grado di ricavare un qualsiasi risultato da quel libro che pareva contenere la soluzione di tutti gli enigmi? E la sua vittoria? Certo era stato soltanto il suo impeto inatteso a far tacere Beineberg...
Di nuovo s'impossessò di lui un profondo scontento e un vero e proprio malessere fisico. Restò a giacere così per vari minuti, svuotato dal disgusto.
Ma poi gli riaffiorò alla coscienza la sensazione d'essere avvolto in ogni punto del suo corpo dalla tela morbida e tiepida del letto. Cautamente, molto adagio e cautamente Törless girò la testa. Giusto: là sul pavimento c'era ancora il pallido quadrato: ora i lati erano un po' sghembi, però quell'ombra contorta strisciava ancora sulla sua superficie. Gli pareva quasi che là vi fosse, in catene, un pericolo che lui dal suo letto, difeso come dalle sbarre di un'inferriata, poteva contemplare con la tranquillità di chi è al sicuro.
E sulla pelle, per tutto il corpo, gli si destò una sensazione che tutt'a un tratto divenne un'immagine della memoria. Quand'era molto piccolo - ecco, sì, proprio allora - quando portava le sottanine e non andava ancora a scuola aveva dei periodi in cui si sentiva dentro un ineffabile struggimento d'essere una bambina. E anche quello struggimento non l'aveva nella testa, oh no, e neppure nel cuore: gli formicolava per tutto il corpo e gli correva sotto la pelle. Anzi, c'erano dei momenti in cui si sentiva così intensamente una bimba da dirsi che le cose non potevano stare che così. Perché allora non sapeva l'importanza delle differenze anatomiche, e non capiva perché gli dicessero tutti che ormai sarebbe stato per sempre un maschietto. E quando gli chiedevano come mai gli piacesse di più essere una bambina lui sentiva che non c'erano parole per esprimere quel sentimento...
Oggi riprovava per la prima volta qualcosa di simile. E ancora solo così, sotto la pelle.
Qualcosa che sembrava essere corpo e anima insieme. Un formicolio, un frullio che, moltiplicato all'infinito, gli percuoteva il corpo come con le antenne vellutate di uno sciame di farfalle. E, insieme, la scontrosità con cui le bambine scappan via quando sentono che gli adulti, tanto, non le capiscono; la petulanza con cui poi ridacchiano alle spalle degli adulti, quella petulanza timorosa e come costantemente pronta alla fuga che sente di potersi ogni momento rimpiattare in qualche profondissimo recesso del minuscolo corpo...
Törless rise piano tra sé e di nuovo si stirò beatamente sotto le coperte.
Quell'omino sgambettante che aveva visto in sogno: con che avidità si faceva scorrere le pagine sotto le dita! E quel quadrato laggiù? Ah ah! Chissà se in vita loro degli omini tanto intelligenti hanno mai badato a cose del genere! Lui si sentiva infinitamente al riparo da quei mostri d'ingegno, e per la prima volta si rendeva conto di avere nella propria sensualità - perché oramai sapeva da tempo che di questa si trattava - qualcosa che nessuno poteva togliergli e che nessuno poteva nemmeno contraffare, qualcosa che lo proteggeva come un altissimo, segretissimo muro da tutto l'ingegno altrui.
Chissà se in vita loro degli omini tanto intelligenti, continuò sul filo di quel pensiero, si sono mai coricati ai piedi di un muro solitario, trasalendo a ogni fruscio che corre giù sotto l'intonaco come se qualcosa di morto cercasse le parole per comunicare con loro; se hanno mai colto la musica che il vento suscita tra le foglie autunnali, se l'hanno mai colta con tale intensità che a un tratto, dietro, c'era un sussulto... il quale poi, pian piano, si mutava in sensualità. Ma in una curiosa sensualità, simile piuttosto a una fuga e poi a una canzonatura. Oh, è facile essere intelligenti quando s'ignorano tutti questi interrogativi...
Intanto però l'omino sembrava crescere a dismisura, continuamente, e aveva un cipiglio inflessibile, e ogni volta dal cervello di Törless partiva come una scarica elettrica che gli traversava dolorosamente il corpo. Allora tutto il dolore di trovarsi pur sempre davanti a una porta chiusa - proprio la sensazione che ancora un attimo prima il caldo pulsare del suo sangue aveva scacciato - si ridestò, e un lamento senza parole gli sgorgò dall'anima come l'ululato di un cane che tremoli di notte per l'aperta campagna.
S'addormentò così. Ormai tra il sonno e la veglia, guardò ancora un paio di volte la chiazza presso la finestra, come ci si afferra meccanicamente a una fune di sostegno per sentire se è ancora tesa. Poi affiorò il confuso proposito di riflettere ancora, l'indomani, su se stesso, meglio se armato di carta e penna... e poi, proprio da ultimo, non vi fu che il gradevole, lieve tepore - come un bagno e un'eccitazione dei sensi - che però non gli giunse più come tale ma come una sensazione legata, in modo misterioso eppure intensissimo, a Basini.
Poi dormì profondamente e senza sogni.


[14]

E tuttavia fu quello il primo pensiero che ebbe svegliandosi il giorno dopo. Gli sarebbe davvero piaciuto sapere cos'era precisamente quel che alla fine aveva per metà pensato e per metà sognato di Basini, ma non era più capace di ricordarsene.
Così non gliene restò che un senso di dolcezza, lo stesso che regna a Natale in una casa dove i bambini sanno che i regali sono già là, ma ancora nascosti dietro quella tale porta misteriosa dalle cui commessure si vede filtrare ogni tanto, della gran luce, appena un filo.
La sera Törless restò in classe; Beineberg e Reiting erano spariti da qualche parte, probabilmente nello stanzino su in solaio; Basini sedeva davanti, al suo posto, e si reggeva con tutt'e due le mani la testa china su un libro.
Törless s'era comprato un quaderno, e mise accuratamente a posto penna e inchiostro. Poi sulla prima pagina scrisse, dopo qualche esitazione: De natura hominum. Gli pareva che l'argomento filosofico meritasse il titolo latino. Poi tracciò un grande svolazzo di bell'effetto intorno alle parole e s'appoggiò allo schienale per aspettare che s'asciugasse.
Ma ciò era già avvenuto da un pezzo e lui ancora non aveva ripreso in mano la penna. Qualcosa l'immobilizzava. Era l'atmosfera ipnotica creata dalle grandi lampade che ardevano, dal calore animale emanante da quella massa di persone. Era sempre stato sensibile a quella situazione, che in lui poteva accentuarsi fino a dargli un senso di febbre fisica, sempre accompagnato da una straordinaria reattività dello spirito. Così accadeva anche oggi. Da un pezzo, nel corso della giornata, s'era fatto un'idea di quel che intendeva precisamente fissare sulla carta: tutta la serie di quelle sue esperienze, dalla sera passata da Bo_ena fino all'indefinita sensualità che le ultime volte s'era manifestata in lui. Una volta che tutto questo fosse stato annotato ordinatamente, un fatto dopo l'altro, ne sarebbe anche uscito per proprio conto, egli sperava, il contorno preciso e razionale, come dall'arruffata immagine di cento curve che s'intersecano esce la forma di una linea che le racchiude. E di più lui non voleva. Ma finora gli era successo come a un pescatore che dagli strattoni della rete sente sì di aver catturato una grossa preda, ma che malgrado tutti i suoi sforzi non riesce a portarla alla luce.
E qui Törless riprese comunque a scrivere: ma di furia e senza più badare alla forma. "Sento," annotò, "qualcosa dentro di me e non so bene cosa sia." Ma poi cancellò questa riga con un rapido tratto di penna e scrisse al suo posto: "Devo essere malato... folle!" Qui ebbe un brivido, perché questa parola suona in modo piacevolmente patetico. "Folle: che altro può spiegare il mio sconcerto di fronte a cose che gli altri trovano del tutto normali? E il fatto che questo sconcerto provochi in me sensazioni impure ?" Scelse di proposito quest'aggettivo pieno di unzione biblica perché gli pareva più oscuro e pregnante. "In passato mi comportavo di fronte a tutto questo come ogni altro giovane, come tutti i miei compagni..." Ma qui s'interruppe. "È poi vero?" si disse; "dalla Bo_ena per esempio era già tutto diverso: e dunque quand'è veramente cominciato?... Non importa," pensò, "una volta c'è pure stata." Ma lasciò la frase a metà.
"Quali sono le cose che mi sconcertano? Le meno appariscenti. Per lo più esseri inanimati. Cos'è che mi sconcerta in questi? Un qualcosa che io non conosco. Ma qui sta il punto! Donde mi viene questo "qualcosa"? Io avverto la sua esistenza, agisce su di me come se volesse parlarmi. Ho dentro l'agitazione di uno che deve indovinare le parole di un paralitico dai contorcimenti della sua bocca, e non ci riesce. Come se io avessi un senso in più rispetto all'altra gente, però non del tutto sviluppato: un senso che c'è, che si manifesta ma non funziona. Il mondo, per me, è pieno di voci senza suono: sono dunque un veggente o un allucinato?
"Ma non solo le cose inanimate agiscono così su di me: no, anche le persone, il che mi precipita ancor più nel dubbio. Prima di un determinato momento vedevo tutti come si vedono loro stessi. Beineberg e Reiting per esempio: hanno il loro stanzino segreto, un normalissimo ripostiglio sotto il tetto, perché li diverte possedere un rifugio come quello. Una cosa la fanno perché sono adirati con questo, un'altra perché vogliono impedire a quest'altro di avere un ascendente sui compagni. Tutti motivi chiari e comprensibili. Ma oggi, a volte, li vedo come se stessi sognando e loro fossero due figure del sogno. Non solo le loro parole, non solo le loro azioni: tutto in loro, unito alla vicinanza fisica, a volte ha su di me lo stesso effetto delle cose inanimate. E tuttavia ogni volta torno a sentirli parlare, qui accanto, esattamente come prima, e vedo che le loro azioni e le loro parole si susseguono secondo le forme di sempre... e ciò vorrebbe insistentemente dimostrarmi che non sta succedendo nulla di straordinario, e tuttavia altrettanto insistentemente qualcosa dentro di me si rifiuta di crederlo. Questo cambiamento, se ben ricordo, è cominciato quando Basini..."
Qui Törless alzò senza volerlo lo sguardo su quest'ultimo.
Basini era ancora curvo sul suo libro e aveva l'aria di studiare. Al vederlo seduto così, i pensieri di Törless tacquero e lui poté sentire nuovamente all'opera gli squisiti tormenti che stava descrivendo. Giacché non appena ebbe coscienza di quanto se ne stesse là tranquillo e innocente Basini, in nulla diverso dagli altri che sedevano alla sua destra e alla sua sinistra, gli si ripresentarono alla mente le umiliazioni che quello aveva subito. Gli si ripresentarono alla mente: nel senso che non pensò affatto a dirsi, con la bonarietà derivante dalla riflessione morale, che dopo aver patito delle umiliazioni ogni persona si studia di riacquistare il più in fretta possibile, almeno esteriormente, un contegno disinvolto; bensì nel senso che in lui subito prese a vorticare una specie di folle mulinello che distorse all'istante l'immagine di Basini nelle forme più incredibili, quindi la smembrò in deformazioni mai viste, al punto che lui stesso ne ebbe il capogiro. Queste comunque erano soltanto similitudini che gli vennero in mente dopo; in quel momento aveva solo la sensazione che qualcosa, dentro, come una trottola impazzita gli montasse dal petto oppresso alla testa: la sensazione della sua vertigine. E nella ridda entravano, come una danza di punti colorati, le sensazioni che nei diversi momenti gli erano venute da Basini.
A ben guardare era stata sempre un'unica sensazione. E anzi non una sensazione ma piuttosto un terremoto profondo, che non produceva vibrazioni sensibili e in presenza del quale, pure, tutta la sua anima tremava con tale repressa violenza che al confronto persino le onde dei sentimenti più tempestosi sembravano innocue increspature della superficie.
Se tuttavia quest'unica sensazione gli era giunta alla coscienza in modo diverso nei diversi periodi, ciò era dovuto al fatto che lui, per spiegarsi l'ondata che sommergeva tutto il suo organismo, disponeva solo delle immagini che di quella cadevano sotto i suoi sensi, come se di un'onda morta che si stende all'infinito nell'oscurità solo alcune creste isolate schizzassero in alto, contro gli scogli di una riva illuminata, per ricadere giù smarrite subito dopo, uscendo dal cerchio di luce.
Queste impressioni perciò erano incostanti, mutevoli, accompagnate dalla consapevolezza della loro casualità. Mai Törless riusciva a trattenerle, poiché, non appena le considerava più da vicino, sentiva che queste proiezioni in superficie non erano affatto proporzionate alla potenza della massa oscura, acquattata sul fondo, che pretendevano di rappresentare.
Mai egli "vedeva" Basini, come che fosse, nella vivezza e plasticità corporea di una posa qualsiasi, mai ne aveva una visione reale ma sempre e solo l'illusione di questa, in certo modo solo la visione delle sue visioni. Perché dentro di lui era sempre come se un'immagine fosse passata un attimo prima sulla superficie misteriosa, senza che a lui riuscisse mai di afferrarla nell'istante in cui ciò accadeva. Per questo c'era costantemente in lui un'inquietudine febbrile, quale si prova davanti a uno schermo cinematografico quando accanto all'illusione dell'insieme persiste la vaga sensazione, di cui uno non riesce a liberarsi, che dietro l'immagine percepita scivolino via centinaia di altre immagini, del tutto diverse se considerate per se stesse.
Ma dove andasse propriamente ricercata nel suo spirito questa forza illusiva, cui pure mancava sempre un infinitesimo per essere tale fino in fondo, lui non lo sapeva. Intuiva soltanto, oscuramente, che era legata alla misteriosa prerogativa della sua anima d'essere talvolta assalita anche dalle cose inanimate, dai semplici oggetti, come da cento occhi pieni di mute domande.
Törless sedeva dunque rigido e immobile tenendo lo sguardo fisso su Basini, ed era completamente risucchiato nel turbine frenetico del suo animo da cui emergeva di continuo un'unica domanda: che singolare prerogativa è questa che io possiedo? A poco a poco non vide più né Basini né le lampade incandescenti, né sentì più intorno a sé il calore animale né il brusio e il fermento che salgono da una folla di persone anche quando si limitano a bisbigliare. Come un magma scuro e rovente tutte queste cose fuse insieme ruotavano intorno a lui. Solo negli orecchi sentiva un bruciore, e sulle punte delle dita un freddo gelido. Si trovava in quello stato di febbre, più spirituale che fisica, che amava molto. E questa disposizione d'animo cui si mescolava anche un senso di dolcezza cresceva sempre più. Prima, in un simile stato, si abbandonava volentieri ai ricordi che la donna si lascia dietro quando il suo fiato caldo sfiora per la prima volta un'anima giovane come la sua. E anche oggi si destò in lui quel calore torpido. Ecco: un ricordo... Durante un viaggio, in una piccola città italiana... Alloggiava con i suoi genitori in un albergo poco lontano dal teatro. Qui davano tutte le sere la stessa opera, e tutte le sere giungeva fino a lui ogni parola, ogni nota. Ma lui non capiva la lingua. Eppure ogni sera sedeva alla finestra aperta e stava in ascolto. In questo modo s'era innamorato di una delle attrici, pur senza averla mai vista. Non era mai stato preso dal teatro come allora; sentiva la passione delle melodie come un batter d'ali di grandi uccelli scuri, quasi gli fosse possibile cogliere le linee che il loro volo disegnava nella sua anima. Non erano più passioni umane quelle che provava: no, erano passioni che se ne fuggivano dal cuore degli uomini come da gabbie troppo anguste e banali. Mai, in quell'eccitazione, aveva potuto pensare alle persone che dall'altra parte, invisibili, davano corpo a quelle passioni; se provava a figurarsele, immediatamente davanti ai suoi occhi si levavano fiamme scure o dimensioni inaudite, come, nel buio, i corpi umani ingigantiscono e gli occhi degli uomini luccicano, simili agli specchi d'acqua di pozzi profondi. E quella fiammata scura, quegli occhi nel buio, quel nero batter d'ali, allora, li aveva amati sotto il nome di quell'attrice sconosciuta.
E chi aveva creato l'opera? Non lo sapeva. Forse il testo era una svenevole storia d'amore. Che l'artista avesse sentito che le sue note lo trasformavano in qualcosa di diverso?
Un pensiero oppresse Törless in tutto il corpo. Sono così anche gli adulti? Il mondo è così? È una legge universale che in noi ci sia qualcosa che è più forte, grande, bello, appassionato e oscuro di noi stessi? Qualcosa su cui noi abbiamo tanto poco potere che possiamo solo spargere a caso migliaia di semi, finché da uno improvvisamente germoglia una pianta come una fiamma scura che cresce ben oltre la nostra testa?... E ogni fibra del suo corpo rispose tremando con un impaziente sì.
Törless si guardò attorno con occhi luccicanti. Le lampade, il calore, la luce, i compagni indaffarati erano sempre là. Ma in mezzo a tutto ciò lui si sentiva come un eletto. Come un santo che abbia visioni celesti: non sapeva niente, infatti, dell'intuizione dei grandi artisti.
Di scatto, con la precipitazione della paura, impugnò la penna e scrisse alcune righe sulla sua scoperta; ancora una volta dentro di lui sembrò sfavillare come una luce... poi una pioggia color della cenere gli scese sugli occhi, e il variopinto splendore del suo spirito si spense.


[15]

... Ma l'episodio dell'incontro con Kant era quasi completamente superato. Di giorno Törless non vi pensava più: la convinzione di esser prossimo a sua volta alla soluzione dei propri enigmi era troppo viva in lui perché potesse curarsi ancora delle vie seguite da un altro. Dalla sera prima aveva l'impressione d'essersi già sentito sotto le dita la maniglia della porta che conduceva dall'altra parte, solo che poi gli era sfuggita di mano. Ma siccome s'era reso conto di dover rinunciare all'aiuto dei libri di filosofia, e in questi non nutriva neppure gran fiducia, era alquanto perplesso sul modo di ritrovare quella maniglia. Tentò varie volte di continuare i suoi appunti, ma le parole scritte restavano morte, una serie di punti interrogativi stizzosi e risaputi, senza che mai tornasse quel momento in cui aveva spinto lo sguardo tra loro come scrutando l'interno di una sala a volta illuminata da ceri tremolanti.
Perciò decise di ricercare assiduamente, tutte le volte che gli fosse possibile, quelle situazioni il cui contenuto appariva ai suoi occhi tanto singolare, e con particolare frequenza il suo sguardo indugiava su Basini quando costui, credendosi inosservato, si muoveva innocentemente tra gli altri. "Una volta o l'altra," si diceva Törless, "tutto tornerà, e forse anche più vivo e chiaro di quanto non sia stato finora." E si sentì rassicurato dal pensiero che di fronte a cose simili ci si trova semplicemente in una stanza buia, e a uno non resta, quando le sue dita hanno perso il contatto col punto giusto, che tastare a caso, più e più volte, le pareti oscure.
Di notte tuttavia questo pensiero impallidiva un po'. Lo prendeva allora una certa vergogna d'aver lasciato cadere a quel modo il suo primitivo proposito di cercare nel libro mostratogli dal suo insegnante la spiegazione che forse vi era contenuta. Allora giaceva quieto nel letto e tendeva l'orecchio alla volta di Basini, il cui corpo oltraggiato respirava in pace come quelli di tutti gli altri. Giaceva quieto come un cacciatore alla posta, con la sensazione che il tempo così trascorso in attesa avrebbe alla fine recato il suo premio. Ma non appena affiorava il pensiero del libro quella quiete era intaccata con denti minuti da un dubbio, dal sospetto dell'inutilità delle sue azioni, dall'ammissione esitante d'aver subito una sconfitta.
Non appena questo sentimento nebuloso s'imponeva, la sua attenzione perdeva la placidità con cui uno assiste al decorso di un esperimento scientifico. Allora da Basini sembrava emanare un influsso fisico, uno stimolo, come quando si dorme vicino a una donna cui si possono strappar via in qualsiasi momento le coperte. Un formicolio nel cervello prodotto dalla consapevolezza che basta allungare una mano. La stessa cosa che spinge molte giovani coppie a eccessi sproporzionati alle necessità dei loro sensi.

A seconda della vivezza con cui gli si presentava il pensiero che forse la sua impresa gli sarebbe apparsa ridicola se avesse saputo tutto ciò che sanno Kant, il suo professore, tutti quelli che hanno concluso i loro studi; a seconda dell'intensità di questa emozione erano più o meno forti gli impulsi sensuali che malgrado il silenzio del dormitorio immerso nel sonno gli tenevano spalancati e brucianti gli occhi. A tratti anzi quegli impulsi divampavano con tale violenza in lui da soffocare ogni altro pensiero. Quando, in quei momenti, si abbandonava per metà docilmente e per metà con disperazione alle loro lusinghe, gli accadeva soltanto quel che accade a tutti, perché non si è mai tanto inclini a una sensualità folle, sfrenata, che dilania - dilania con voluttuosa determinazione - l'anima come quando si è subito un insuccesso che scuote l'equilibrio fondato sulla coscienza del proprio valore.
E quando poi, dopo la mezzanotte, sprofondava in un sonno inquieto aveva non di rado l'impressione che dalla zona di Reiting o di Beineberg qualcuno s'alzasse dal letto, prendesse il cappotto e s'avvicinasse a Basini. Poi lasciavano la camerata... Ma poteva anche essere una sua fantasia.


[16]

Vennero due giornate festive. Poiché cadevano di lunedì e martedì, il direttore lasciò liberi i cadetti sin dal sabato, e vi fu una vacanza di quattro giorni. A Törless tuttavia questa non bastava per il lungo viaggio fino a casa: per questo aveva sperato che almeno i suoi genitori venissero a trovarlo, ma suo padre era trattenuto al ministero da affari urgenti e la mamma, che non stava bene, non poteva sottoporsi da sola agli strapazzi del viaggio.
Solo quando ricevette la lettera col rifiuto dei genitori e l'aggiunta di molte affettuose parole di consolazione sentì che in realtà gli stava bene così. Si sarebbe sentito quasi infastidito, o per lo meno fortemente turbato, se in quel momento avesse dovuto comparire davanti ai suoi genitori.
Molti dei cadetti furono invitati in varie proprietà dei dintorni. Anche Dschjusch, i cui genitori possedevano a un giorno di carrozza dalla cittadina una bella tenuta, partì in vacanza, e Beineberg, Reiting e Hofmeier l'accompagnarono. Anche Basini era stato invitato da Dschjusch, ma Reiting gli aveva ordinato di rifiutare. Törless accampò il pretesto di non sapere se i suoi genitori avrebbero finito per venire; non si sentiva assolutamente in vena di prender parte a feste e svaghi.
Il sabato pomeriggio il grande edificio era già silenzioso e quasi abbandonato.
Quando Törless percorreva i corridoi i suo passi vi echeggiavano da un capo all'altro; nessuno si curava di lui, perché anche gli insegnanti erano partiti per la caccia o per altre destinazioni. Solo ai pasti, che ora venivano serviti in una saletta attigua al refettorio deserto, i pochi allievi rimasti s'incontravano; dopo pranzo i loro passi tornavano a disperdersi nella fuga di stanze e corridoi, il silenzio della casa li inghottiva, per così dire, e loro conducevano nelle ore tra un pasto e l'altro un'esistenza non meno indisturbata di quella dei ragni e dei millepiedi acquattati in cantina e in solaio.
Della classe di Törless erano rimasti solo lui e Basini, ad eccezione di alcuni altri ricoverati in infermeria. Alla partenza Törless aveva scambiato, a proposito di Basini, poche parole in segreto con Reiting. Questi infatti temeva che Basini sfruttasse la circostanza per cercare protezione presso qualche insegnante, e raccomandò a Törless di sorvegliarlo con cura.
Ma non c'era bisogno di questo per richiamare l'attenzione di Törless su Basini.
Era appena cessato il trambusto delle carrozze in partenza, del via vai degli inservienti carichi di bagagli, dei cadetti che si congedavano con frasi scherzose, e già la consapevolezza di trovarsi a tu per tu con Basini s'era prepotentemente impossessata di Törless.
Fu dopo il primo pasto di mezzogiorno. Basini sedeva al suo posto e scriveva una lettera; Törless s'era seduto dietro, nell'angolo più remoto della stanza, e tentava di leggere.
Era ancora, per la prima volta, quel tal libro, e Törless s'era figurato la situazione proprio così: davanti Basini, e dietro lui che lo teneva d'occhio, lo trapassava con lo sguardo. E appunto così voleva leggere. Calandosi dopo ogni pagina sempre più in Basini. Così doveva essere; così lui doveva trovare la verità, senza che la vita, la viva, complessa, problematica vita gli sfuggisse di mano...
Ma la cosa non funzionava: come sempre quando lui si prefigurava con troppa cura una situazione. Non c'era abbastanza spontaneità, e la sua vena cedette presto il posto a una noia tenace, vischiosa, che s'appiccicava disgustosamente a ognuno dei suoi rinnovati e troppo intenzionali tentativi.
Scagliò infuriato il libro per terra. Basini si girò con un sobbalzo ma subito riprese frettolosamente a scrivere.
Così le ore scivolavano verso il crepuscolo. Törless se ne stava là intontito. L'unica cosa che gli affiorava alla coscienza da una massa uniforme di sensazioni sorde, ronzanti, rintronanti era il ticchettio del suo orologio da taschino, un tic-tac oscillante come una piccola coda dietro il pigro corpo delle ore. Nell'aula i contorni delle cose si fecero confusi... da un pezzo, certo, Basini non era più in grado di scrivere. "Ah, probabilmente non osa accendere la luce," si disse Törless. Ma era poi ancora al suo posto? Törless aveva fissato, fuori, il paesaggio spoglio e in penombra, e dovette adattare l'occhio al buio della stanza. Ma sì. Là, quell'ombra immobile. Dev'essere lui. Ah, e sospira pure... una, due volte... o che abbia finito per addormentarsi?
Venne un inserviente ad accendere le lampade. Basini ebbe un soprassalto e si stropicciò gli occhi. Poi prese un libro da sotto il banco e parve intenzionato a studiare. Törless bruciava dalla voglia di rivolgergli la parola, e per non farlo lasciò in fretta la stanza. Durante la notte per poco non gli saltò addosso, tanta era la micidiale sensualità che s'era destata in lui dopo il tormento di quella giornata torpida e senza pensieri. Per fortuna il sonno lo salvò in tempo.
Anche il giorno dopo passò. Non aveva portato altro che la stessa infeconda bonaccia. Il silenzio, l'attesa esasperavano Törless, l'attenzione costante gli consumava tutte le energie intellettuali rendendolo incapace di qualsiasi pensiero.
Disfatto, deluso, scontento di sé al punto di cadere in preda ai dubbi peggiori, si coricò di buon'ora.
Giaceva da un pezzo in un dormiveglia inquieto e febbrile quando sentì entrare Basini.
Senza muoversi seguì con gli occhi la sagoma scura che passava davanti al suo letto; udì il rumore degli abiti sfilati, poi il fruscio delle coperte tirate su.
Törless trattenne il respiro, ma non riuscì a sentir altro. E tuttavia non l'abbandonava la sensazione che Basini non dormisse ma tendesse l'orecchio nel buio con uguale intensità. Trascorsero così interi quarti d'ora... ore. Interrotte di tanto in tanto solo dal lieve fruscio dei corpi che si rigiravano nel letto.
Törless si trovava in un singolare stato d'animo, che lo teneva desto. Ieri erano state immagini sensuali della fantasia a dargli la febbre. E solo alla fine s'erano dirette alla volta di Basini, quasi impennandosi un'ultima volta sotto la mano inesorabile del sonno che le spegneva, e proprio di questo lui conservava appena un vago ricordo. Ma oggi, sin dall'inizio, non era stato altro che un impulso di alzarsi e di andare da Basini. Finché aveva avuto la sensazione che Basini fosse sveglio e tendesse l'orecchio verso di lui quell'impulso era stato quasi irresistibile, e adesso che l'altro probabilmente dormiva c'era in esso più che mai una voglia crudele di aggredire il dormiente come una preda.
Törless sentiva già guizzare in tutti i muscoli i movimenti che si compiono sollevandosi e scendendo dal letto. Tuttavia non riusciva ancora a scuotersi dalla sua immobilità.
"E che ci vado a fare da lui?" si chiese quasi ad alta voce nella sua ansia. E dovette confessare a se stesso che la crudeltà e la sensualità che aveva dentro non avevano affatto un oggetto preciso. Si sarebbe sentito in imbarazzo se si fosse davvero gettato su Basini. Voleva forse picchiarlo? Mai più! E in che modo dunque l'eccitazione dei suoi sensi poteva soddisfarsi su di lui? Ebbe un moto involontario di disgusto pensando ai vari piccoli vizi degli adolescenti. Compromettersi così di fronte a un altro? Mai!...
Ma nella misura in cui cresceva quel disgusto diventava più forte anche l'impulso ad andare da Basini. Alla fine Törless era pienamente persuaso dell'insensatezza di un simile atto, ma una vera e propria costrizione fisica sembrava trascinarlo fuori dal letto, quasi fosse legato a una fune. Tutte le immagini lasciavano il suo pensiero, lui non faceva che ripetersi che a quel punto la cosa migliore era cercare di prender sonno, e intanto, meccanicamente, si alzava dal suo giaciglio. Con grande lentezza - sentiva proprio come quella costrizione psicologica guadagnasse terreno solo a palmo a palmo contro le sue resistenze - s'alzò a sedere. Prima un braccio... poi puntellò il busto, poi tolse un ginocchio da sotto le coperte... poi... e di colpo corse scalzo, in punta di piedi, da Basini e sedette sulla sponda del suo letto.
Basini dormiva.
Aveva tutta l'aria di fare un bel sogno.
Törless continuava a non essere padrone delle sue azioni. Per un momento sedette là immobile fissando in faccia l'altro che dormiva. Gli balenavano nel cervello quei pensieri brevi, sconnessi, quasi semplici constatazioni, che si hanno quando si perde l'equilibrio, quando si cade o ci si vede strappare di mano un oggetto. E senza riflettere afferrò Basini per le spalle e lo scosse finché si svegliò.
Il dormiente si stirò più volte con gesti pigri, poi ebbe un soprassalto e guardò Törless con occhi imbambolati.
Törless trasalì; era al colmo della confusione: per la prima volta era cosciente del suo gesto, e a quel punto non sapeva che altro fare. Si vergognava tremendamente. Il cuore gli batteva tanto forte che lo si sentiva. Parole di spiegazione, pretesti gli si affollarono alle labbra. Pensò di chiedere a Basini se aveva dei fiammiferi, se poteva dirgli l'ora...
Basini continuava a guardarlo senza capire.
Già Törless stava per ritirare il braccio senza aver pronunciato una parola, già scivolava giù dal letto per tornare a infilarsi in silenzio nel suo, quando Basini sembrò aver afferrato la situazione e si sollevò di scatto.
Törless indugiò perplesso a capo del letto. Basini lo guardò di nuovo con un'occhiata interrogativa e indagatrice, poi uscì del tutto dal letto, s'infilò cappotto e pantofole e lo precedette strascicando i piedi.
A Törless fu di colpo chiaro che ciò non accadeva per la prima volta.
Passando prese con sé la chiave dello stanzino, che aveva nascosto sotto il guanciale.
Basini tirò dritto davanti a lui fino al nascondiglio. In quel frattempo aveva imparato bene la strada, che l'altra volta gli era stata tenuta nascosta. Tenne ferma la cassa quando Törless vi salì sopra, scostò cautamente le quinte, con gesti discreti, come un lacchè ben addestrato.
Törless girò la chiave nella serratura ed entrarono. Dando le spalle a Basini accese il piccolo lume.
Quando si voltò, Basini gli stava davanti nudo.
Lui, senza volerlo, arretrò di un passo. La vista improvvisa di quel corpo nudo, bianchissimo, alle cui spalle il rosso delle pareti diventava di sangue, l'abbagliò e lo sbigottì. Basini era ben fatto; gli mancava quasi ogni traccia di forme virili, era di una magrezza casta e slanciata che pareva quella di una giovinetta. E Törless sentì l'immagine di quella nudità divampargli nei nervi come una fiammata incandescente. Non riusciva a sottrarsi al potere di quella bellezza. Cosa fosse la bellezza, prima, non l'aveva mai saputo: giacché cosa significava per lui, alla sua età, l'arte, e poi cosa ne conosceva? Fino a una certa età, agli occhi di chi è cresciuto all'aria aperta, essa è incomprensibile e uggiosa.
Ma qui era venuta a lui seguendo le vie della sensualità. Di nascosto, aggredendolo. Un alito caldo, ammaliatore, emanava dalla pelle nuda, una lusinga molle e lasciva. Ma c'era anche qualcosa di solenne, che soggiogava e costringeva a giungere le mani.
Dopo la prima sorpresa, però, Törless ebbe vergogna di entrambe le cose. "Ma è un maschio!" Quel pensiero l'indignava; eppure aveva come la sensazione che una ragazza non potesse esser diversa.
Nella sua confusione investì Basini con impeto: "Ma che ti salta in mente? Rimettiti subito ... !!"
Ora fu l'altro ad apparire sbigottito; con gesti esitanti e senza staccare gli occhi da Törless raccolse da terra il cappotto.
"Là, siediti!" gli ingiunse Törless. Quello obbedì. Törless stava appoggiato al muro con le mani incrociate dietro la schiena.
"Perché ti sei spogliato? Cosa volevi da me?"
"Be', pensavo..."
Silenzio.
"Cosa pensavi?"
"Gli altri..."
"Cosa gli altri?"
"Beineberg e Reiting..."
"Cosa Beineberg e Reiting? Che facevano? Devi dirmi tutto! Lo voglio, hai capito? Anche se l'ho sentito dagli altri." Törless arrossì nel dire questa goffa bugia. Basini si mordeva le labbra.
"Allora, ti decidi?"
"No, non chiedermi di raccontare! Ti prego, non chiedermelo! Sono pronto a fare tutto quel che vuoi. Ma non farmi raccontare... Oh, hai una maniera così particolare, tu, di tormentarmi... !" Odio, paura e un'implorazione accorata lottavano negli occhi di Basini. Törless cambiò tono senza volerlo.
"Non voglio affatto tormentarti. Voglio solo costringerti a dire da solo tutta la verità. Forse nel tuo stesso interesse."
"Ma io non ho fatto proprio niente che valga la pena di raccontare."
"Ah no? E allora perché ti sei spogliato?"
"Loro volevano così."
"E tu perché hai fatto quello che volevano loro? Dunque sei un vigliacco! Un miserabile vigliacco!"
"No, non sono un vigliacco. Non dire questo!"
"Vuoi star zitto? Se hai paura delle loro battiture, anche le mie non sono mica male!"
"Ma io non ho paura delle loro battiture."
"Ah no? E di cosa allora?"
Törless aveva ripreso a parlare in tono pacato. Era già dispiaciuto d'aver fatto quella brutale minaccia. Ma gli era sfuggita involontariamente, solo perché gli pareva che con lui Basini fosse meno sottomesso che con gli altri.
"Se, come dici, non hai paura, cos'hai allora?"
"Loro dicono che se mi piego ai loro voleri presto mi sarà perdonato tutto."
"Da loro due?"
"No, in assoluto."
"Come possono farti simili promesse? Anch'io ho da dire la mia!"
"A questo ci penseranno loro, dicono!"
Per Törless fu un colpo. Gli tornarono in mente le parole di Beineberg, che all'occasione Reiting si sarebbe comportato con lui esattamente come con Basini. E se ne fosse davvero nato un complotto ai suoi danni come avrebbe reagito lui? In queste cose non era all'altezza degli altri due: fino a che punto sarebbero arrivati? A trattarlo come Basini ... ? Tutto in lui si ribellò a questo pensiero maligno.
Tra lui e Basini passarono dei minuti. Sapeva di non avere sufficiente ardire e costanza per simili intrighi: ma solo perché provava per essi troppo poco interesse, perché non vi sentiva mai in gioco tutta la sua personalità. In queste cose aveva sempre avuto più da perdere che da guadagnare. Ma se la situazione fosse cambiata sentiva che in lui vi sarebbero state una tenacia, una combattività ben diverse. Solo che bisognava sapere quando sarebbe stato il momento di metter tutto in gioco.
"T'han detto qualcosa di più preciso?... Sui loro propositi ?... Riguardo a me, voglio dire."
"Di più preciso? No. Hanno detto soltanto che ci penseranno loro."
Eppure... a questo punto esisteva un pericolo, nascosto da qualche parte, in agguato contro di lui... ogni passo poteva portare su una tagliola, ogni notte poteva essere l'ultima prima della battaglia. C'era un'enorme insicurezza in questi pensieri. Non si trattava più di andare pigramente alla deriva, di giocare con visioni enigmatiche: qui c'erano spigoli vivi e una realtà palpabile.
La conversazione riprese.
"E a te cosa fanno?"
Basini tacque.
"Se ci tieni davvero a correggerti devi dirmi tutto." "Mi fanno spogliare."
"Sì, sì, questo l'ho visto... e poi?"
Passò un po' di tempo e a un tratto Basini disse: "Diverse cose."
Lo disse in un tono insinuante, femmineo. "Dunque sei la... la loro bella?"
"Oh no, sono il loro amico!"
"Come osi dir questo!"
"Lo dicono loro."
"Cosa... ?"
"Sì, Reiting."
"Ah, Reiting?"
"Sì. È molto gentile con me. Per lo più devo spogliarmi e leggergli qualcosa da certi libri di storia: di Roma e dei suoi imperatori, dei Borgia, di Timur Khan... sai, tutti quei fatti di sangue, di grandezze. Allora diventa persino affettuoso con me."

"E dopo, il più delle volte mi picchia..." "Dopo che cosa?... Ah, ho capito!"
"Sì. Dice che se non mi picchiasse dovrebbe credere che io sia un uomo, e allora non potrebbe essere così tenero e affettuoso con me. Così invece per lui sono una cosa, dice, e allora non si sente a disagio."
"E Beineberg?"
"Oh, Beineberg è brutto. Non trovi anche tu che gli puzza l'alito?"
"Taci! Quel che trovo io non ti riguarda! Raccontami cosa fa Beineberg con te!"
"Be', la stessa cosa di Reiting, solo che... Però non insultarmi ancora ..."
"Avanti."
"Solo che... ci arriva per un'altra via. Prima mi tiene dei lunghi discorsi sulla mia anima. Dice che l'ho sporcata: ma, per così dire, solo la sua soglia. E, in confronto alla parte più intima, si tratta di una cosa da niente, superficiale. Solo che bisogna estirparla: è così, dice, che molti peccatori sono diventati dei santi. Quindi, da un punto di vista più alto, il peccato non è poi un gran male: però bisogna spingerlo all'estremo perché si spezzi. Mi fa sedere e fissare un vetro sfaccettato..."
"Ti ipnotizza?"
"No, dice che devo soltanto addormentare e rendere inattive tutte le cose che galleggiano alla superficie della mia anima. E che solo dopo lui può entrare in contatto con lei."
"E questo contatto come avviene?"
"È un esperimento che non gli è ancora riuscito. Lui sta seduto e io devo stendermi per terra in modo che lui possa mettermi i piedi sopra. intanto il vetro deve avermi ben intontito e addormentato. E allora lui tutt'a un tratto mi ordina di abbaiare. Mi dice esattamente come: piano, o guaiolando, o come un cane che abbaia nel sonno..."
"E a che scopo?"
"Non si sa a cosa serva. Mi fa anche grugnire come un maiale e intanto mi ripete che in me c'è qualcosa di questa bestia. Ma non con l'aria di insultarmi: me lo ripete molto sottovoce e con gentilezza, per farmelo ben penetrare nei nervi, come dice lui. Perché sostiene che una delle mie precedenti esistenze probabilmente è stata così, e che bisogna stanarla per renderla inoffensiva."
"E tu gli credi?"
"Figurati! Secondo me non ci crede neanche lui. E poi, dopo tutto questo, anche lui è sempre molto diverso. Come potrei credere a cose simili? Chi ci crede oggi all'anima?
Alla sua trasmigrazione, poi! Lo so bene che ho sbagliato; però ho sempre sperato di poter rimediare: e per questo mica c'è bisogno di tanti abracadabra. E neppure mi scervello, io, per capire come ho potuto commettere quel fallo: queste cose succedono così alla svelta, per conto loro: ci si rende conto soltanto dopo di aver combinato una sciocchezza. Comunque, se lui ci trova gusto a cercarci dietro qualcosa di soprannaturale faccia pure, per conto mio. Tanto, per ora devo piegarmi. Se solo la smettesse di pungermi..."
"Cosa?"
"Sì, con un ago... be', non molto forte, solo per vedere come reagisco... se in qualche punto del mio corpo non vien fuori qualcosa. Però fa male lo stesso. Lui dice che i medici, di queste cose, non capiscono niente. Non ricordo più come intenda dimostrarlo: so solo che fa un gran parlare di fachiri che quando contemplano la propria anima pare siano insensibili al dolore fisico."
"Sì,, sì, le conosco queste idee. Però tu stesso hai detto che non è tutto qui."
"Certo che no; ma ho detto pure che secondo me questa è solo una via per arrivare al resto. Dopo, ci sono ogni volta dei quarti d'ora in cui tace e io non so cosa gli passi per la testa. Ma poi tutt'a un tratto si scatena e pretende da me certi servizi... come un ossesso... molto peggio di Reiting."
"E tu fai tutto quello che si pretende da te?"
"Che altro posso fare? Voglio tornare ad essere una persona per bene e avere un po' di pace."
"Ma di quel che sarà successo nel frattempo non t'importerà niente?"
"Se non posso evitarlo ...!"
"Ora stammi bene a sentire e rispondi alle mie domande: come hai potuto rubare?"
"Come? Guarda: quei soldi mi servivano urgentemente, avevo un debito col trattore che non voleva più aspettare. E poi pensavo davvero che in quei giorni mi arrivasse qualcosa. Dei compagni, nessuno voleva più farmi prestiti: alcuni non avevano niente neppure loro, e i tirchi son giusto contenti se uno che non lo è si trova in difficoltà verso la fine del mese. Certo non volevo imbrogliare nessuno: volevo solo prendermi dei soldi in prestito di nascosto..."
"Non intendo questo," si spazientì Törless interrompendo quel racconto che a Basini procurava un evidente sollievo. "Ti chiedo come... come hai potuto farlo, come ti sentivi. Che cosa avveniva in quel momento dentro di te?"
"Be'... proprio niente. S'è trattato appunto di un momento, io non ho sentito niente, non ho pensato a niente, e a un tratto era successo, ecco."
"Ma la prima volta con Reiting? Quando lui ha preteso per la prima volta quelle cose da te? Capisci... ?"
"Oh, per me è stato spiacevole, certo. Perché dovevo farlo così, a comando. Sennò... pensa quanti fanno queste cose spontaneamente, per divertirsi, senza che gli altri lo sappiano. Non è poi così male."
"Tu però l'hai fatto a comando. Ti sei umiliato. Come se strisciassi nello sterco perché un altro lo vuole."
"Sì, lo ammetto. Però dovevo."
"No che non dovevi."
"Loro mi avrebbero picchiato, denunciato; mi sarei coperto di vergogna."
"Be', lasciamo pure perdere, per conto mio. Da te voglio sapere altre cose. Senti, io so che hai lasciato molti soldi dalla Bo_ena. Ti sei dato delle arie con lei, hai fatto lo smargiasso, hai vantato la tua virilità. Dunque vuoi essere un uomo, no? Non solo con la bocca e col... ma con tutta l'anima. Be', guarda: viene uno e pretende da te un servizio così umiliante, e nello stesso momento tu senti di essere troppo vigliacco per dire di no: non hai sentito schiantarsi qualcosa dentro di te, in tutto il tuo essere? Uno sgomento... una sensazione indefinita, come se in te, appunto, fosse avvenuto qualcosa d'indicibile?"
"O Dio, non ti capisco; non so cosa vuoi; non posso dirti niente, niente!"
"Allora sta' attento; adesso ti ordinerò di spogliarti un'altra volta."
Basini sorrise.
"Di stenderti per terra davanti a me. Non ridere! Te lo ordino sul serio! Hai sentito? Se non obbedisci subito vedrai cosa ti succede quando torna Reiting!... Ecco. Vedi, adesso te ne stai nudo per terra davanti a me. Tremi, persino. Hai freddo? Adesso, se volessi, potrei sputare sul tuo corpo nudo. Tieni la testa ben premuta per terra! Non è curiosa la polvere che copre il pavimento? Non somiglia a un paesaggio pieno di nuvole e di rocce grandi come case? Potrei pungerti con degli aghi. Qui nella nicchia, vicino alla lampada, ce n'è ancora qualcuno. Te li senti già sulla pelle?... Ma io non voglio. Potrei farti abbaiare come vuole Beineberg, farti leccare la polvere come un maiale, potrei farti fare certe mosse - mi capisci, no? - e tu intanto dovresti sospirare : oh, mia cara mam..." Ma Törless interruppe bruscamente questa frase sacrilega. "E invece io non voglio, non voglio, capisci?"
Basini piangeva. "Tu mi tormenti..."
"Sì, ti tormento. Ma non di questo m'importa; voglio sapere solo una cosa: quando ti pianto dentro tutto questo come tanti coltelli, tu cosa provi? Cosa avviene in te? Ti si spezza qualcosa dentro? Dimmelo! Di schianto, come un vetro che vada in mille pezzi prima che sia comparsa una sola incrinatura? L'immagine che ti sei fatto di te stesso non svanisce in un soffio, non ne balza un'altra al suo posto come balzano dal buio le figure della lanterna magica? Ma proprio non mi capisci? Io non posso spiegartelo meglio, devi dirmi tu... !"
Basini piangeva a dirotto. Le sue spalle di fanciulla sussultavano; non faceva che ripetere le stesse parole: "Non so cosa vuoi; non posso spiegarti niente; succede al momento... e allora non può andare che così; anche tu ti comporteresti come me."
Törless tacque. Rimase appoggiato al muro, immobile, esausto, e fissò il vuoto davanti a sé.
"Se tu ti trovassi nella mia situazione ti comporteresti anche tu così," aveva detto Basini. E l'accaduto, come semplice necessità, era tranquillo e senza stravolgimenti.
Il concetto che Törless aveva di sé si ribellò in un impeto di disprezzo al solo balenare di quella supposizione. E tuttavia una simile rivolta di tutto il suo essere pareva non offrirgli nessuna garanzia. "... Sì, io avrei più carattere di lui, non sopporterei simili imposizioni... ma questo ha forse importanza? Ha importanza il fatto che io - per fermezza, per dignità, per ragioni del tutto secondarie in questo momento - mi comporterei in modo diverso? No, quel che conta non è come mi comporterei io ma che, se un giorno mi comportassi come Basini, non ci troverei a mia volta niente di straordinario. Questo è il punto: il mio sentimento di me stesso sarebbe semplice e privo di ogni ambiguità esattamente come il suo..."
Questo pensiero, formulato in frasi sconnesse, accavallate e ogni volta riprese da capo, univa al disprezzo per Basini un'afflizione sottile e segreta, e questa scuoteva il suo equilibrio interiore assai più profondamente di una riflessione morale; essa gli veniva dal ricordo di un sentimento che aveva provato poco prima e da cui non riusciva a liberarsi. Quando, infatti, aveva saputo grazie a Basini del pericolo che gli poteva venire da Reiting e da Beineberg aveva avuto soltanto paura. Soltanto paura, come per un'aggressione improvvisa: e senza tanto pensare aveva fulmineamente studiato il modo di coprirsi e di parare i colpi. Ora, ciò era accaduto in un istante di pericolo reale, e il sentimento che aveva provato l'irritava. Quegli impulsi precipitosi, irriflessi. Tentò invano di suscitarli nuovamente in sé. Però sapeva che avevano tolto di colpo al pericolo tutto quel che aveva di singolare e di ambiguo.
Eppure era stato lo stesso pericolo che aveva presagito alcune settimane prima in quello stesso luogo, quella volta che aveva avuto una così strana paura di fronte a quella stanza, lontana come un medioevo dimenticato dalla chiara, calda vita delle sale di studio, e di fronte a Beineberg e a Reiting perché, da quelli che erano laggiù, sembravano essersi di colpo tramutati in esseri tenebrosi, sanguinari, in figure di un'altra vita. Quella volta era stata una metamorfosi, un salto per Törless, come se l'immagine dell'ambiente in cui viveva fosse caduta a un tratto sotto altri occhi, ridestatisi da un sonno secolare.
Eppure era stato lo stesso pericolo... Se lo ripeteva di continuo. E ripetutamente cercava di mettere a confronto il ricordo di quelle due diverse sensazioni...
Basini intanto s'era rialzato. Notò lo sguardo fisso e assente del compagno, raccolse senza rumore i suoi vestiti e filò via. Törless, come attraverso una nebbia, vide tutto, ma lasciò fare senza una parola.
Tutta la sua attenzione era assorbita dallo sforzo di rintracciare dentro di sé il punto in cui era improvvisamente avvenuto quel mutamento della sua prospettiva interiore.
Ma ogni volta che gli si avvicinava gli accadeva come a uno che voglia confrontare una cosa vicina con una lontana: non afferrava mai insieme il ricordo di entrambi i sentimenti ma avvertiva tutte le volte come una sottile incrinatura, una sensazione corrispondente pressappoco, sul piano fisico, alle quasi impercettibili contrazioni muscolari che accompagnano la messa a fuoco dello sguardo. E ogni volta, proprio nel momento decisivo, ciò reclamava per sé tutta l'attenzione e l'atto del confrontare si sovrapponeva all'oggetto del confronto, c'era un sussulto quasi inavvertibile... e tutto si fermava.
E ogni volta Törless ricominciava daccapo.
Questo processo, con la sua meccanica regolarità, lo calò in un sonno a occhi aperti fisso, gelido, che lo teneva inchiodato al suo posto. Per un tempo indefinito.
Solo un pensiero riscosse Törless come il tocco leggero di una mano calda. Un pensiero apparentemente così ovvio che Törless si meravigliò di non esservi arrivato molto prima.
Un pensiero che non faceva che prender atto dell'esperienza testé fatta: si presenta sempre semplice, non stravolto, naturale e normale nelle sue proporzioni ciò che da lontano appare tanto grande e misterioso. Come se attorno all'uomo fosse tracciato un confine invisibile. Quel che si prepara al di là di esso e viene avanti da lontano è come un mare nebbioso pieno di forme mutevoli e gigantesche, quel che s'accosta all'uomo diventando azione, scontrandosi con la sua vita, è piccolo e chiaro, e ha dimensioni umane, contorni umani. E tra la vita che si vive e quella che si sente, si presagisce, si vede da lontano il confine invisibile sta là come una porta stretta a cui si affollano, per entrare nell'uomo, le immagini degli eventi.

E tuttavia, per quanto ciò corrispondesse alla sua esperienza, Törless chinò la testa pensieroso.
"Uno strano pensiero..." sentiva in cuor suo.


[17]

Finalmente fu di nuovo a letto. Non pensava più a niente, perché il pensare gli riusciva tanto difficile ed era tanto infruttuoso. Certo quel che aveva saputo delle trame dei suoi amici gli teneva occupata la mente, ma gli appariva indifferente e scolorito come una notizia che si legga su un giornale straniero.
Da Basini non c'era più da sperar niente. Ma no: il suo problema!... Ma questo era così dubbio, e lui era tanto stanco e abbattuto. Un abbaglio, forse: tutto quanto.
Solo la visione di Basini, della sua pelle nuda e splendente, penetrava come una fragranza di lillà nell'intorpidimento dei sensi che precede il sonno. Svanì persino ogni repulsione morale. Infine Törless s'addormentò.

Nessun sogno attraversò il suo riposo. Però un tepore infinitamente gradevole stese soffici tappeti sotto il suo corpo. Alla fine Törless ne fu destato. E per poco non lanciò un grido. Sulla sponda del suo letto sedeva Basini! E un attimo dopo, di furia, costui si sfilava la camicia, scivolava sotto le coperte e premeva il suo corpo nudo e tremante contro quello di Törless.
Non appena si fu riavuto da quell'aggressione Törless lo respinse.
"Che ti salta in mente?..."
Ma Basini lo supplicava. "Oh, non essere di nuovo cosi! Nessuno è come te. Loro non mi disprezzano come mi disprezzi tu, fan solo finta per poter essere tanto più diversi dopo. Ma tu? Proprio tu...?! Sei persino più giovane di me, anche se sei più forte... Noi siamo tutt'e due più giovani degli altri... tu non sei rozzo e gradasso come loro... tu sei gentile... io ti voglio bene...!"
"Cosa... cosa dici? Che vorresti da me? Va'... insomma, vattene via!" E Törless, angosciato, puntò il braccio contro la spalla di Basini. Ma l'ardente vicinanza di quella pelle morbida lo perseguitava e lo stringeva e lo soffocava. E intanto Basini sussurrava senza interruzione: "Sì... sì... ti prego... oh, sarei così contento di servirti."

Törless non trovò risposta. Mentre Basini parlava, durante quei secondi di dubbio e di riflessione, era di nuovo sceso come un mare verde cupo sui suoi sensi. Solo le parole concitate di Basini balenavano in esso come un luccichio di pesciolini d'argento.
Teneva ancora le braccia puntate contro il corpo di Basini. Ma un calore umido e greve gliele appesantiva; i muscoli s'afflosciavano... le dimenticava... Solo quando tra quelle parole convulse ne cadeva una nuova lui si riscuoteva dal torpore perché d'improvviso sentiva, come qualcosa di paurosamente incomprensibile, che proprio in quel momento - come in sogno - le sue mani avevano attratto Basini.
Allora avrebbe voluto scuotersi, gridare a se stesso: Basini t'inganna, vuol solo trascinarti in basso con te perché tu non possa più disprezzarlo. Ma il grido gli moriva in gola; non un suono nel vasto edificio, in tutti i corridoi sembravano dormire, immobili, le onde scure del silenzio.
Avrebbe voluto ritrovare se stesso: ma quelle stavano accovacciate come neri guardiani davanti a tutte le porte.
Allora Törless non cercò più parole. La sensualità che stillando da ognuno dei suoi momenti di disperazione era pian piano filtrata in lui, ora s'era destata in tutta la sua grandezza. Giaceva nuda al suo fianco e gli copriva il capo col suo morbido manto nero. E gli mormorava all'orecchio dolci parole di rassegnazione, e con le sue calde dita allontanava come cose vane problemi e doveri. E sussurrava: nella solitudine tutto è permesso.
Solo nell'attimo in cui stava per esser trascinato via si riscosse per qualche secondo e s'aggrappò disperatamente a un unico pensiero: questo non sono io! ... non sono io!... Solo domani lo sarò di nuovo!... Domani ...


[18]

Il martedì sera tornarono i primi cadetti. Un altro gruppo rientrò soltanto coi treni della notte. Nel collegio regnava un incessante trambusto.
Törless accolse i suoi amici con fare brusco e risentito: non aveva dimenticato. E poi quelli si portavano dietro da fuori una fresca disinvoltura da gente di mondo. Lui, che ora amava l'aria opprimente delle stanze anguste, ne provò un senso di vergogna.
Del resto, ora, si vergognava spesso. Ma non proprio per ciò a cui s'era lasciato trascinare - una cosa, quella, tutt'altro che rara nei collegi - quanto perché ora non riusciva a impedirsi di provare una specie di affetto per Basini, e d'altra parte sentiva più intensamente che mai quanto costui fosse calpestato e umiliato.
Aveva di frequente incontri segreti con lui. Lo portava in tutti i nascondigli che conosceva grazie a Beineberg, e siccome lui non era abile nel percorrere quegli itinerari tortuosi, ben presto Basini ci si raccapezzò meglio e prese a fargli da guida. Di notte, però, una certa gelosia con cui spiava Beineberg e Reiting non lo lasciava dormire.
Ma i due evitavano i contatti con Basini. Forse costui li annoiava già, e comunque in loro sembrava essersi prodotto un mutamento. Beineberg era cupo e taciturno, se parlava era per alludere con fare misterioso a qualcosa d'imminente. Reiting, almeno in apparenza, era tornato a rivolgere il suo interesse ad altre cose, tesseva con la consueta abilità la rete di un qualche intrigo e cercava di accattivarsi gli uni con piccoli favori e di spaventare gli altri procurandosi con l'astuzia la conoscenza dei loro segreti.
Quand'erano insieme tutt'e tre, i due insistevano perché Basini venisse quanto prima fatto salire di nuovo nello stanzino o nel solaio.
Törless cercava di rimandare la cosa con ogni genere di pretesti, ma nel farlo soffriva incessantemente di questa sua segreta trepidazione per l'altro.
Solo poche settimane prima non avrebbe certo capito un simile stato d'animo, giacché la sua natura, quale gli era stata trasmessa dai suoi genitori, era robusta, sana e schietta.
Del resto non bisogna pensare sul serio che Basini suscitasse in Törless un vero desiderio, sia pure fuggevole e confuso. Certo in Törless s'era destato un sentimento vicino alla passione, ma sicuramente la parola "amore" non era che un termine casuale e approssimativo per definirlo, e la persona di Basini niente più che l'oggetto provvisorio e occasionale di quello struggimento. Perché, quantunque Törless s'abbassasse fino a lui, il suo desiderio non si saziava in Basini ma cresceva oltre costui diventando una fame nuova e priva di oggetto.

In principio era stata solo la nudità di quello slanciato corpo di adolescente ad abbagliarlo.
L'impressione non sarebbe stata diversa se lui si fosse trovato davanti le forme semplicemente belle, ancora lontane da ogni suggestione sessuale, di una bambina. Uno stordimento. Uno stupore. E proprio l'involontaria purezza che caratterizzava quella situazione aveva conferito al suo rapporto con Basini l'apparenza di una simpatia, appunto quella nuova sensazione meravigliosamente trepida. Ma tutto il resto aveva poco a che fare con ciò. Il desiderio fisico c'era già da molto tempo, già quando lui andava con Bo_ena e prima ancora. Era la nascosta sensualità melanconica, senza meta né oggetto dell'adolescente, simile all'umida, nera terra primaverile ricca di germi o a un'oscura fiumana sotterranea cui basta una occasione qualsiasi per rompere le pareti che la rinserrano.
La scena che Törless aveva vissuto era stata quest'occasione. Una sorpresa, un equivoco, un fraintendimento dell'impressione ricevuta avevano scoperchiato le sacche in cui s'era accumulato tutto quel che c'era di segreto, proibito, greve, confuso e solitario nell'anima di Törless, e aveva convogliato verso Basini quegli impulsi oscuri. Perché qui essi s'imbattevano di colpo in qualcosa che era caldo e fragrante, che respirava, era carne; e quei sogni vagabondi in esso prendevano forma, divenivano parte della sua bellezza invece dell'acre bruttezza con cui nella solitudine li aveva percossi Bo_ena. E ciò aveva spalancato loro all'improvviso una porta sulla vita, e in quel chiarore aurorale si mescolava tutto, realtà e desideri, fantasie lascive e impressioni ancora calde del tocco della vita, sensazioni che irrompevano da fuori e fiamme che le investivano da dentro e le avvolgevano fino a renderle irriconoscibili.
Ma nemmeno a Törless era più possibile distinguere tutto questo: gli si presentava fuso in un solo sentimento vago e inarticolato che nel primo momento di sorpresa lui poteva ben prendere per amore.

Ma presto imparò a valutarlo meglio. Da allora un'incessante inquietudine s'impadronì di lui. Subito posava ogni cosa che prendeva in mano. Non riusciva a fare una conversazione coi compagni senza ammutolire inspiegabilmente o, distratto, cambiar discorso più volte. Succedeva pure che mentre parlava l'investisse un'ondata di vergogna, per cui arrossiva, cominciava a balbettare, doveva voltarsi dall'altra parte...
Durante il giorno evitava Basini. Se proprio non poteva fare a meno di guardarlo, ne restava quasi sempre disingannato. Ogni movenza di Basini lo riempiva di disgusto, le ombre incerte delle sue illusioni cedevano il posto a una chiarità fredda e opaca, la sua anima sembrava raggrinzirsi, finché restava appena il ricordo di un passato desiderio che gli appariva indicibilmente insensato e ripugnante. Batteva il piede per terra e si piegava su se stesso solo per svincolarsi da quella vergogna dolorosa.
Si chiedeva cosa avrebbero detto di lui gli altri se avessero saputo il suo segreto: i suoi genitori, i suoi insegnanti.
Ma puntualmente, con quest'ultima ferita, i suoi tormenti cessavano. Una stanchezza fredda s'impadroniva di lui, la pelle bruciante e afflosciata del suo corpo tornava a tendersi in un brivido benefico. Allora, restandosene quieto, lasciava che tutti gli sfilassero davanti. Ma per tutti provava un certo disprezzo. Sospettava segretamente, di ognuno con cui parlava, le cose peggiori.
E poi gli pareva di cogliere in loro un'assenza di vergogna. Non credeva che soffrissero come sapeva di soffrire lui. La corona di spine dei suoi rimorsi a loro sembrava mancare.
Lui invece si sentiva come uno che si risvegli da una profonda agonia. Come uno toccato dalle mani silenziose del disfacimento. Uno che non riesca a dimenticare la quieta saggezza di una lunga malattia.
In quello stato d'animo si sentiva felice, e i momenti in cui lo desiderava tornavano di continuo.
Il primo segno della loro presenza era che poteva nuovamente guardare Basini con occhi indifferenti e sopportare sorridendo quel che aveva di volgare e disgustoso. Sapeva, allora, che si sarebbe abbassato, ma a ciò attribuiva un senso nuovo. Quanto più odioso e indegno era ciò che Basini gli offriva, tanto maggiore era il contrasto col sentimento di dolente delicatezza che soleva manifestarsi poi.
Törless si rifugiava in qualche angolo da cui poter osservare non visto. Se chiudeva gli occhi si gonfiava dentro un impeto vago, e quando li riapriva non trovava niente che fosse paragonabile a quello. Allora il pensiero di Basini ingigantiva all'improvviso, dominando su tutto. E presto perdeva ogni precisione. Non sembrava più appartenere a Törless né sembrava riguardare più Basini. Era circondato da una ridda di sensazioni come da donne lascive mascherate in volto e chiuse in abiti accollati.
Törless non ne conosceva nessuna per nome, non sapeva di nessuna cosa celasse: ma proprio in ciò stava il loro inebriante allettamento. Non conosceva più se stesso: e proprio da ciò nasceva la sua voglia di sfrenatezze furiose e sprezzanti, come quando a un festino galante si spengono di colpo le luci e nessuno sa più chi abbia trascinato per terra e coperto di baci.

Più tardi, quando ebbe superato le vicende della sua adolescenza, Törless divenne un giovane d'animo assai fine e sensibile. E allora andò annoverato tra quelle nature estetico-intellettuali che nell'osservanza delle leggi e in parte, certo, anche della morale comune trovano un fattore di tranquillità perché ciò le esime dal bisogno di riflettere su cose volgari e lontane dai ben più sottili fenomeni della psiche, ma che a questa grande e un po' ironica correttezza esteriore uniscono, non appena si richieda loro un interesse più personale per gli oggetti di essa, un'indifferenza annoiata. Perché, in loro, un interesse che davvero li scuota, è volto soltanto all'incremento dell'anima, dello spirito o come altrimenti si voglia chiamare ciò che viene di tanto in tanto accresciuto in noi da un pensiero nato tra le parole di un libro o davanti alle labbra chiuse di un ritratto; ciò che - se a volte si ridesta quando una melodia solitaria e bizzarra si stacca da noi e, allontanandosi, si tira dietro con moti a noi estranei il sottile filo rosso, il filo del nostro sangue - scompare però sempre quando scriviamo documenti, fabbrichiamo macchine, andiamo al circo o ci dedichiamo alle cento altre nostre occupazioni.
A persone siffatte, dunque, gli oggetti che sollecitano soltanto la loro correttezza morale sono quanto mai indifferenti. E quindi Törless non si pentì mai, nemmeno negli anni della maturità, di ciò che era accaduto allora. Le sue necessità si rivolgevano in modo così esclusivo alla sfera intellettuale che se gli avessero raccontato una storia analoga sugli eccessi di un libertino lui sarebbe certo stato ben lontano dal rivolgere contro quei fatti la sua indignazione morale. In certo senso avrebbe disprezzato un simile individuo non perché era un dissoluto ma perché non era niente di meglio: non per i suoi eccessi ma per la disposizione interiore che glieli faceva commettere, perché era sciocco o perché al suo intelletto mancavano i contrappesi dell'anima... insomma, sempre e soltanto per la vista spoglia, triste e infiacchita che costui offriva. E l'avrebbe disprezzato allo stesso modo se il suo vizio fosse consistito anziché in eccessi sensuali nella passione invincibile per il fumo o per l'alcool.
E, come per tutte le persone tese all'esclusivo potenziamento del loro spirito, anche per lui la semplice presenza di impulsi smodati e lascivi significava ben poco. Amava calcolare che la disposizione al godimento, il talento artistico, tutta la rarefatta vita dell'anima sono ornamenti con cui è facile ferirsi. Considerava inevitabile che un uomo dalla vita interiore ricca e vivace avesse dei momenti di cui gli altri non dovevano essere al corrente e dei ricordi custoditi in cassetti segreti. E non gli chiedeva che di sapersene servire, in seguito, con finezza.
Sicché, quando un giorno gli venne chiesto da qualcuno a cui aveva raccontato la storia della sua adolescenza se quel ricordo, malgrado tutto, non lo facesse talvolta arrossire, lui diede sorridendo questa risposta: "Certo non nego che si sia trattato di un episodio mortificante. E perché no poi? Tanto, è passato. Qualcosa di esso però mi è rimasto per sempre: quella piccola dose di veleno che è necessaria per privare l'anima di una salute troppo sicura e appagata dandogliene in cambio un'altra più sottile, penetrante e perspicace.
"D'altra parte, lei vorrebbe forse contare le ore di mortificazione di cui ogni grande passione imprime il segno nell'anima? Pensi solo alle ore di umiliazione intenzionale nell'amore! Quelle ore estatiche in cui gli amanti si sporgono a guardare in certi pozzi profondi o si posano a vicenda l'orecchio sul cuore nell'intento di sentir grattare, impazienti, sulle pareti della prigione gli artigli dei grandi gatti irrequieti. Solo per sentirsi palpitare! Solo per sgomentarsi della loro solitudine lassù, sopra quelle oscure profondità che li marchiano a fuoco! Solo per cercare precipitosamente rifugio l'uno nell'altra, spinti dalla paura di trovarsi a tu per tu con quelle forze tenebrose!
"Guardi un po' negli occhi qualche coppia di giovani sposi. Tu credi... ? - vi si legge dentro - ma non t'immagini neppure a quali profondità potremmo scendere! In quegli occhi c'è un gaio dileggio rivolto a chi non sa niente di tutte queste cose, e il tenero orgoglio di coloro che hanno attraversato insieme tutti gli inferni.
"E come questi amanti insieme, così io allora sono passato solo con me stesso attraverso tutto ciò."

Ma se più tardi Törless giudicava a questo modo, allora, in mezzo a quella tempesta di sentimenti solitari e voluttuosi, certo non nutriva sempre una simile fiducia nel buon esito di tutto. Gli enigmi che l'avevano torturato solo poco tempo prima gli avevano lasciato dei postumi vaghi che risuonavano come una nota cupa e lontana sullo sfondo delle sue attuali esperienze. Proprio a questo, ora, non aveva voglia di pensare.
Ma di tanto in tanto doveva farlo. E allora l'assaliva il più profondo sconforto, e in presenza di quei ricordi poteva afferrarlo una vergogna assai diversa, stanca e senza futuro.
Tuttavia non era in grado di spiegarsi neppure questa.
Ciò era dovuto alle particolari condizioni di vita del collegio. Le esuberanti energie giovanili, che in esso venivano costrette al di là di grigie mura, gremivano alla rinfusa la fantasia di suggestioni lascive che facevano perdere la testa a più d'uno. Un certo grado di licenziosità era persino considerato virile, temerario, un'ardita presa di possesso dei piaceri di cui si veniva defraudati. Tanto più se uno si confrontava con l'aspetto rispettabilmente intristito della maggior parte degli insegnanti: perché allora la solenne parola "morale" s'associava ridicolmente a un'idea di spalle strette, di ventri sporgenti in cima a gambette sottili e di occhi che dietro le loro lenti pascolavano mansueti come pecorelle, quasi che la vita non fosse altro che un campo in cui spuntano i fioretti di una seria edificazione.
Nel collegio infine non si aveva ancora nessuna esperienza della vita né la minima idea di tutte quelle gradazioni di volgarità e di sregolatezza, fino alla malattia e al ridicolo, che riempiono in primo luogo di ripugnanza l'adulto quando sente parlare di simili cose.
Tutti quei freni di cui noi non siamo minimamente in grado di valutare l'efficacia, a lui mancavano. Era incappato in quei trascorsi in tutta ingenuità.
Perché allora gli mancava pure la resistenza etica, quella sensibile antenna dello spirito che più tardi avrebbe tanto apprezzato. Già cominciava a farsi sentire, però. Törless si sbagliava: vedeva, al momento, solo le ombre proiettate sulla sua coscienza da qualcosa che aveva dentro e ancora non conosceva, e le prendeva per realtà; ma, benché non ne fosse ancora all'altezza, aveva un compito da assolvere su se stesso, un compito dell'anima.
Sapeva soltanto d'aver seguito, lungo una via che scendeva nel profondo del suo animo, qualcosa di ancora informe, e ciò l'aveva stremato. Aveva preso l'abitudine di sperare in scoperte straordinarie e nascoste e così era finito nelle stanze anguste e tortuose della sensualità. Non per un suo istinto perverso ma per effetto di una situazione spirituale momentaneamente priva di meta.
E proprio questa infedeltà a qualcosa di serio e vagheggiato che era in lui lo riempiva di un confuso senso di colpa; un vago e segreto disgusto non l'abbandonava mai del tutto, e una paura indefinita lo perseguitava come capita a uno che nell'oscurità non sa più se stia ancora percorrendo la sua strada o se l'abbia persa, e dove.
Allora si sforzava di non pensare a niente. Muto e stordito, dimentico di tutti i precedenti interrogativi, viveva alla giornata. Il sottile piacere che traeva dalle sue umiliazioni si faceva sempre più raro.
Ancora non s'era staccato da lui: però, alla fine di quel periodo, Törless non oppose più resistenza quando vennero prese nuove decisioni sulla sorte di Basini.


[19]

Ciò avvenne alcuni giorni più tardi, allorché si ritrovarono insieme tutt'e tre nello stanzino. Beineberg era molto serio.
Cominciò Reiting: "Beineberg ed io pensiamo che con Basini non si possa più andare avanti come s'è fatto finora. Lui s'è adattato all'obbedienza che ci deve e non ne soffre più: è di una familiarità sfacciata, come un domestico. Quindi è ora di fare un passo avanti. Sei d'accordo?"
"Be', non so ancora cosa volete fargli."
"Non è mica facile decidere. Dobbiamo calpestarlo e umiliarlo ancora di più. Mi piacerebbe vedere fino a che punto si può arrivare. Il come, però, è un'altra faccenda. Per quanto, anche su questo ho le mie brave idee. Per esempio potremo frustarlo a sangue e intanto fargli cantare salmi di ringraziamento: sentire come suona un canto del genere non sarebbe male, ogni nota come coperta di pelle d'oca. Potremmo comandargli di portarci con la bocca le cose più sporche. Potremmo tirarcelo dietro quando andiamo dalla Bo_ena e là fargli leggere le lettere di sua madre, e a completare lo spasso ci penserebbe poi la Bo_ena. Ma per questo c'è tempo. Potremmo pensarci con calma, perfezionare le cose e aggiungere nuove idee. Per adesso, senza i relativi particolari, la faccenda è soltanto noiosa. Magari finiremo per consegnarlo alla classe. Sarebbe la cosa migliore. Sono così tanti che se ognuno contribuisce anche solo con poco ce n'è già abbastanza per ridurlo in pezzi. E poi questi movimenti di massa mi piacciono sempre: nessuno vuol far niente di particolare, eppure le onde s'ingrossano, s'ingrossano e alla fine arrivano a coprire le teste! Vedrete, nessuno si muoverà eppure avremo lo stesso un uragano coi fiocchi. Per me, inscenare uno spettacolo del genere è un divertimento straordinario."
"Ma intanto che volete fare?"
"Come dicevo, questo me lo riserverei per dopo; al momento mi basterebbe portarlo, con le minacce o con le botte, a dire ancora di sì a tutto quanto."
"A cosa?" scappò detto a Törless. Si fissarono negli occhi.
"Va', non far finta di cascare dalle nuvole. So benissimo che sai già tutto." Törless tacque. Che Reiting avesse saputo qualcosa?... O faceva solo un assaggio?
"Ma sì, fin da allora: Beineberg te l'ha pur detto a cosa si presta Basini."
Törless respirò sollevato.
"E via, non sgranar gli occhi a quel modo. Hai fatto gran meraviglie anche allora, e invece non c'è proprio niente di grave. Tra l'altro Beineberg mi ha confessato che lui con Basini fa la stessa cosa." Così dicendo Reiting guardò Beineberg con una smorfia ironica. Era proprio da lui dare pubblicamente lo sgambetto a uno senza tanti riguardi.
Ma Beineberg non replicò; rimase seduto nel suo atteggiamento pensieroso e alzò appena gli occhi.
"Di', non vorresti tirar fuori la tua idea? Riguardo a Basini, sai, ha una pensata pazzesca e vuole a tutti i costi metterla in pratica prima che noi facciamo dell'altro. È molto divertente, però."
Beineberg rimase serio. Lanciò a Törless un'occhiata penetrante e disse: "Ti ricordi di quel che abbiamo detto quella volta dietro i cappotti?"
"Sì."
"Io non ne ho più riparlato perché non ha senso discorrere e basta. Però ci ho riflettuto, puoi ben credermi, e spesso. Anche quello che Reiting t'ha appena detto è vero. Io ho fatto con Basini le stesse cose che fa lui. Forse qualcosa di più. E per questa ragione: perché, come dicevo già allora, ero dell'idea che la sensualità potrebbe essere la porta giusta. S'è trattato di un esperimento, ecco. Non conoscevo altre vie per arrivare a quel che cercavo. Ma non ha senso andare avanti così, senza un piano. E allora ho riflettuto - riflettuto per notti intere - sul modo di cominciare, invece, un'azione sistematica.
"Ora credo d'averlo trovato, e noi faremo la prova. Adesso vedrai anche tu quant'eri in torto allora. È tutto incerto quel che si dice del mondo, tutto funziona diversamente. Noi, allora, questo l'abbiamo imparato per così dire solo dal rovescio, cercando dei punti dove tutta questa spiegazione naturale si dà lo sgambetto da sé, ma adesso spero di poter mostrare la faccia positiva: l'altra faccia!"
Reiting distribuì le tazze per il tè, e intanto diede di gomito a Törless con aria compiaciuta: "Sta' bene attento. È grande quel che ha escogitato."
Ma Beineberg, con una mossa rapida, spense la lampada. Nel buio solo la fiamma del fornello a spirito illuminava di barbagli azzurrognoli le tre teste.
"Spengo la lampada, Törless, perché di queste cose si parla meglio così. E tu, Reiting, per conto mio puoi anche dormire se sei troppo stupido per capire discorsi di una certa profondità."
Reiting rise divertito.
"Dunque ti ricordi ancora della nostra conversazione. Tu stesso, allora, avevi rilevato quella piccola stranezza della matematica: un esempio di come il nostro pensiero non posi su un terreno piano e solido ma proceda saltando buche... Chiude gli occhi, per un momento non c'è più, e invece vien portato sano e salvo dall'altra parte. A ben guardare dovremmo essere disperati da un pezzo, perché in tutti i campi il nostro sapere è traversato da voragini come questa, non è altro che una manciata di schegge alla deriva su un oceano senza fondo.
"E invece non abbiamo ceduto alla disperazione, e nonostante tutto ci sentiamo sicuri come sulla terraferma. Se non avessimo questa sensazione di sicurezza, di certezza, ci uccideremmo, disperati al vedere che povera cosa sia il nostro intelletto. Questa sensazione ci accompagna di continuo, ci tiene insieme, si prende ogni istante tra le braccia il nostro intelletto come un bambino piccolo. E una volta che siamo divenuti coscienti di questo non possiamo più negare che esista un'anima. Ne abbiamo la chiara sensazione non appena analizziamo la nostra vita spirituale e riconosciamo l'insufficienza dell'intelletto. La sensazione, capisci? Perché, se non ci fosse quella, ci afflosceremmo come sacchi vuoti.
"Noi abbiamo soltanto disimparato a badare a questa sensazione, ma è una delle più antiche. La conoscevano, migliaia di anni fa, popoli distanti mille miglia gli uni dagli altri. Non appena uno si occupa di queste cose non può negarle. Ma io non voglio persuaderti a forza di parole: ti dirò solo il minimo indispensabile perché tu non sia del tutto impreparato. La prova la daranno i fatti.
"Supponi dunque che l'anima esista, e allora sarà del tutto naturale che la nostra più ardente aspirazione sia quella di ristabilire il perduto contatto e di riprendere confidenza con lei, di imparare nuovamente a utilizzare meglio le sue energie sovrasensibili, di assicurarci una parte di queste energie, che dormono al suo fondo.
"Perché tutto questo è possibile, è già riuscito più di una volta: i miracoli, i santoni, i mistici indiani sono altrettante conferme di questi eventi."
"Ma ascolta," obiettò Törless, "tu ora stai un po' convincendo te stesso a credere a queste cose, e infatti hai spento apposta la luce. Ma parleresti sempre così se fossimo giù da basso, tra gli altri che studiano storia e geografia e scrivono lettere a casa, e intanto le lampade fanno un bel chiaro e magari il prefetto gira tra i banchi? Le tue parole, allora, non ti sembrerebbero un po' stravaganti, un po' presuntuose, quasi che noi non fossimo come loro e vivessimo in un altro mondo, un mondo di ottocento anni fa?"
"No, caro Törless, sosterrei le stesse cose. Del resto è un tuo difetto di sbirciare sempre gli altri: tu sei troppo poco indipendente. Scriver lettere a casa! Di fronte a cose simili tu vai a pensare ai tuoi genitori! Chi ti dice, poi, che loro siano in grado di seguirci su questa strada? Noi siamo giovani, siamo della generazione dopo, a noi forse sono riservate cose che loro non hanno mai immaginato. Io almeno lo sento. Ma perché tanti discorsi? Ve ne darò la prova."
Dopo che furono rimasti per un po' in silenzio Törless disse: "Ma tu come pensi di arrivarci a impossessarti della tua anima?"
"Non voglio spiegartelo adesso, visto che dovrò farlo comunque davanti a Basini."
"Però intanto potresti almeno dirlo."
"E va bene. La storia insegna che per questo non c'è che un mezzo: calarsi in se stessi. Ma proprio qui sta il difficile. I santi antichi, per esempio, ai tempi in cui l'anima si manifestava ancora nei miracoli, riuscivano a raggiungere questa meta pregando fervidamente. Ma a quei tempi, appunto, l'anima era diversa, e infatti oggi questa via non dà risultati. Oggi noi non sappiamo cosa dobbiamo fare: l'anima è cambiata, e purtroppo ci sono state in mezzo delle epoche in cui non si è badato abbastanza al problema, e così la concatenazione si è irrimediabilmente perduta. Una nuova via possiamo trovarla solo grazie a un'intensa riflessione. È quello che io ho fatto con particolare impegno negli ultimi tempi. La riuscita migliore si dovrebbe avere con l'ipnosi, solo che finora questo tentativo non è mai stato fatto: in questo campo tutto s'è sempre limitato a delle banali prove d'abilità, per cui non si è ancora accertato se questi metodi possano anche portarci a qualcosa di più. L'ultima parola che dico sin d'ora al riguardo è che io non ipnotizzerò Basini nel solito modo ma con un procedimento mio che, se non sbaglio, assomiglia a uno già impiegato nel medioevo."
"Non è un fenomeno questo Beineberg?" osservò Reiting con una risata. "Avrebbe solo dovuto vivere al tempo delle profezie sulla fine del mondo, così avrebbe davvero finito col credere che fosse stato merito della sua magia dell'anima se il mondo era rimasto in piedi."
Quando Törless guardò Beineberg per vedere l'effetto di questa canzonatura si accorse che aveva la faccia irrigidita, come contratta da una spasmodica attenzione. Un attimo dopo si sentì afferrare da dita gelide. Törless sbigottì di fronte a un'eccitazione così intensa; poi la stretta della mano che lo teneva si allentò. "Oh, non era niente. Solo un'idea. Mi è parso che mi stesse venendo in mente qualcosa di particolare, un cenno che mi mostrava come fare..."
"Di', ma tu sei davvero un po' tocco," disse Reiting in tono gioviale, "prima eri un tipo tutto d'un pezzo e queste cose le facevi solo per sport, ma adesso sei come una femminuccia."
"Ma va'... Il fatto è che tu neanche t'immagini cosa voglia dire sapersi ormai vicini a cose come queste, essere ogni giorno sul punto di entrarne in possesso!"
"Non litigate," disse Törless - nel giro di quelle poche settimane era diventato assai più deciso ed energico -, "per conto mio ognuno può fare quel che vuole; io non credo a niente: né alle tue astute crudeltà, Reiting, né alle speranze di Beineberg. E quanto a me non vi so dire niente. Aspetto di vedere cosa escogiterete."
"Quando, allora?"
Si decise per due notti dopo.


[20]

Törless lasciò che il momento si avvicinasse senza opporre resistenza. Nella nuova situazione anche il suo sentimento per Basini s'era completamente raffreddato. Si trattava persino di una soluzione felice perché, almeno, lo liberava di colpo da quel continuo oscillare tra voglia e vergogna a cui Törless non sapeva sottrarsi con le proprie forze. Ora almeno nutriva per Basini una chiara e franca avversione, come se le umiliazioni destinate a quello potessero insudiciare anche lui.
Per il resto era svagato e non se la sentiva di pensare seriamente a nulla: men che meno a ciò che prima lo faceva tanto riflettere.
Solo quando salì assieme a Reiting la scala del solaio, mentre Beineberg li aveva preceduti lassù con Basini, il ricordo di quel che una volta c'era stato in lui divenne più vivo. Non volevano uscirgli di mente le parole sicure con cui aveva replicato a Beineberg in quell'occasione, e anelava a ritrovare quella fiducia in se stesso. Pieno di esitazione, tratteneva il piede ad ogni scalino. Ma la passata certezza non tornava. Aveva presenti, è vero, tutti i pensieri avuti allora, ma questi sembravano sfilargli davanti a grande distanza, quasi fossero solo le ombre di quel che aveva pensato un tempo.
Alla fine, siccome dentro di sé non trovava niente, la sua curiosità tornò a volgersi agli avvenimenti che dovevano giungere da fuori, e lo spinse avanti. S'affrettò a salire a passi rapidi gli ultimi scalini dietro a Reiting.
Mentre la porta di ferro si chiudeva cigolando alle loro spalle sentì con un sospiro che il progetto di Beineberg, pur essendo soltanto un ridicolo gioco di prestigio, era almeno qualcosa di concreto e di ponderato, mentre in lui tutto era aggrovigliato e impenetrabile.
Su una trave trasversale sedettero pieni d'aspettativa, come in un teatro.
Beineberg era già là con Basini.
La situazione sembrava favorevole al suo progetto. Il buio, l'aria viziata, l'odore marcio e dolciastro che esalava dai serbatoi dell'acqua creavano un senso di sonnolenza, di risveglio impossibile, un'inerzia fiacca e greve.
Beineberg ordinò a Basini di spogliarsi. Ora la nudità, nel buio, mandava un riflesso azzurrognolo e marcio e non aveva proprio nulla di eccitante.
A un tratto Beineberg trasse di tasca la rivoltella e la puntò contro Basini.
Qui persino Reiting si protese in avanti, per poter esser pronto a balzare tra i due.
Ma Beineberg sorrise. Con una smorfia tutta particolare, come se non fosse affatto sua intenzione e solo l'affollarsi di chissà quali parole fanatiche gli avesse storto le labbra.
Basini era caduto in ginocchio come paralizzato e fissava l'arma con gli occhi dilatati dal terrore.
"Alzati," disse Beineberg. "Se esegui esattamente tutto quel che ti dico non ti succederà niente di male; ma come m'infastidisci opponendomi la benché minima resistenza, ti sparo. Ricordatelo!
"Veramente ti ucciderò lo stesso, ma poi tornerai a vivere. La morte non ci è così estranea come tu credi: noi, nel sonno profondo e senza sogni, moriamo ogni giorno."
Di nuovo quel sorriso demente contorse la bocca di Beineberg.
"Adesso inginocchiati quassù," a mezza altezza correva una larga trave orizzontale, "ecco... ben eretto... sta' perfettamente eretto: devi tenere in dentro le reni. E adesso guarda fisso qui... ma senza sbattere gli occhi: devi tenerli più spalancati che puoi!"
Beineberg gli mise davanti una fiammella a spirito in modo che, per guardarla bene, l'altro dovesse arrovesciare un po' la testa.
Non si riusciva a vedere molto, ma dopo un certo tempo il corpo di Basini parve ondeggiare avanti e indietro come un pendolo. I riflessi azzurrognoli gli correvano qua e là sulla pelle. Ogni tanto a Törless pareva di distinguere la faccia di Basini, contratta in un'espressione di paura.
Di lì a un po' Beineberg gli chiese: "Sei stanco?"
La domanda era fatta nella solita maniera degli ipnotizzatori.
Poi, con voce bassa e velata, cominciò a spiegare:
"La morte è solo una conseguenza del nostro modo di vivere. Noi viviamo passando da un pensiero all'altro, da una sensazione all'altra. Perché i nostri pensieri e le nostre sensazioni non scorrono placidamente come un fiume ma ci "saltano in mente", cascano dentro di noi come sassi. Se ti osservi bene, sentirai che l'anima non è qualcosa che cambia i suoi colori in passaggi graduali, ma che i pensieri saltan fuori come cifre da un buco nero. Adesso hai un pensiero o una sensazione e tutt'a un tratto te ne ritrovi un altro che pare balzato fuori dal nulla. Se ci fai caso, puoi persino cogliere tra due pensieri l'attimo in cui tutto è nero. Quell'attimo, una volta afferrato, per noi è senz'altro la morte.
"Perché la nostra vita non è altro che un posare pietre miliari e un balzare dall'una all'altra superando ogni giorno mille secondi di morte. Noi, per così dire, viviamo solo quando siamo sui punti d'appoggio. Per questo abbiamo anche una così ridicola paura di morire irrevocabilmente, perché si tratta di qualcosa che semplicemente manca di pietre miliari, del baratro senza fondo in cui precipitiamo. Per questo modo di vivere, è davvero la negazione totale.
"Però è così solo dal punto di vista di questa vita, solo per chi non ha imparato a sentire se stesso che da un istante all'altro.
"Io, questo, lo chiamo il male balzellante, e il segreto consiste nel superarlo. Bisogna risvegliare dentro di sé la sensazione della propria vita come qualcosa che fluisce placidamente. Nell'attimo in cui ci si riesce, si è altrettanto vicini alla morte che alla vita. Non si è più vivi - secondo il nostro concetto terreno - ma non si può più nemmeno morire perché con la vita si è eliminata anche la morte. È il momento dell'immortalità, il momento in cui l'anima passa dal nostro cervello angusto nei meravigliosi giardini della vita sua propria.
"Dunque ora seguimi scrupolosamente.
"Addormenta tutti i pensieri, fissa questa fiammella... non saltare da un pensiero all'altro... guarda con la massima concentrazione dentro di te... fissa la fiamma... ora il tuo pensiero somiglia a una macchina che va sempre più lenta... che va... sempre... più lenta... guarda dentro di te... ancora, finché non trovi il punto dove senti te stesso senza sentire né pensieri né sensazioni...
"Il tuo silenzio mi servirà di risposta. Non distogliere lo sguardo dal tuo intimo..." Passarono dei minuti...
"Lo senti il punto... ?"
Nessuna risposta.
"Ascolta, Basini: ci sei riuscito?"
Silenzio.
Beineberg si alzò, e la sua ombra allampanata si allungò accanto alla trave. In alto il corpo di Basini, ubriaco di buio, oscillava visibilmente.
"Girati di fianco," ordinò Beineberg. "Quel che obbedisce adesso, ormai, è soltanto il cervello," barbugliò, "che funziona meccanicamente ancora un poco, finché non sono scomparse le ultime tracce che l'anima gli ha lasciate impresse. Lei, invece, è altrove... nella sua esistenza futura. Non è più imprigionata dalle leggi naturali..." e qui si rivolse a Törless, "non è più condannata al castigo di far da zavorra a un corpo e di tenerlo insieme. Piegati in avanti, Basini... così... piano... sporgiti sempre di più... Non appena l'ultima impronta rimasta nel cervello si sarà cancellata i muscoli si rilasseranno e il corpo vuoto si affloscerà. O resterà sospeso, non so. L'anima ha lasciato il corpo di sua iniziativa, non è la solita morte, forse il corpo resta sospeso a mezz'aria perché niente ormai, nessuna forza di vita e nemmeno di morte, si prende più cura di lui... Piegati in avanti... di più."

In quel momento il corpo di Basini, che aveva obbedito a tutti gli ordini per paura, piombò fragorosamente ai piedi di Beineberg.
Dal dolore Basini lanciò un grido. Reiting si mise a ridere forte. Ma Beineberg, che era indietreggiato di un passo, quando si rese conto dell'inganno uscì in un urlo strozzato di rabbia. Con mossa fulminea si sfilò la cintura di cuoio, acciuffò Basini per i capelli e cominciò a frustarlo come un pazzo. L'enorme tensione che l'aveva dominato si scaricava in quelle percosse furibonde. E sotto la gragnuola Basini lanciava tali urli di dolore che tutti gli angoli ne vibravano come del lamento di un cane.

Per tutta la scena Törless se n'era rimasto quieto. Aveva segretamente sperato che nonostante tutto succedesse qualcosa che lo riportasse nell'ambito delle sue perdute sensazioni. Era una sciocca speranza, di questo era sempre stato consapevole, eppure l'aveva trattenuto là. Ma ora gli parve che tutto fosse sfumato Quella scena lo disgustava. Non gli suggeriva pensieri, solo un disgusto muto, inerte.
Si alzò in silenzio e andò via senza una parola, come un automa.
Beineberg, stremato, ancora non cessava d'infierire su Basini.


[21]

Quando fu a letto, Törless ebbe chiara una sensazione: un capitolo si chiudeva. Qualcosa era finito.
Nei giorni che seguirono attese tranquillamente ai suoi doveri scolastici; non si curò di nulla. Era probabile che intanto Beineberg e Reiting dessero corso punto per punto al loro programma. Törless li evitava.
Il quarto giorno, un momento che non c'era nessuno, l'avvicinò Basini. Era in uno stato pietoso, la faccia pallida e scavata, negli occhi gli guizzava la febbre di una continua paura. Guardandosi attorno timorosamente, parlando a precipizio, disse: "Devi aiutarmi! Solo tu lo puoi! Non ce la faccio più a subire i loro tormenti. Le cose di prima le ho sopportate tutte... ma ora finisce che mi ammazzano!"
Era fastidioso, per Törless, rispondere a queste parole. Alla fine disse:
"Io non posso aiutarti; è tua la colpa di tutto quello che ti sta succedendo."
"Tu però solo poco tempo fa eri così gentile con me."
"Mai stato."
"Ma..."
"Non ne parlare. Non ero io... un sogno... un estro... Sono persino contento che le nuove vergogne che subisci ti abbiano trascinato lontano da me... Mi va bene così..."
Basini crollò il capo. Sentiva che un mare di grigia, arida delusione s'era frapposto tra lui e Törless... Törless era freddo, era un altro.
Allora gli si buttò in ginocchio davanti, e battendo la testa per terra gridò: "Aiutami! Aiutami!... Per l'amor di Dio, aiutami!"
Törless ebbe un attimo di esitazione. In lui non c'era né il desiderio di aiutare Basini né abbastanza indignazione per cacciarlo via. Così diede ascolto al primo pensiero che gli passò per la mente: "Vieni su in solaio stanotte, ne parleremo ancora." Ma un attimo dopo già s'era pentito.
"A che scopo rimestare ancora questa storia?" si disse, e ripensandoci osservò: "Ma loro ti vedrebbero. Non va bene."
"Oh no, la notte scorsa sono rimasti in piedi con me fino a mattina... oggi dormiranno."
"Per me, d'accordo. Però non aspettarti che io ti aiuti."

Törless aveva fissato l'appuntamento a Basini contro la propria vera convinzione. Questa gli diceva infatti che tutto, intimamente, era finito e che non c'era più da ricavarne nulla. Solo una sorta di pedanteria, una coscienziosità cocciuta e priva già in partenza di prospettive gli aveva suggerito di tornare a occuparsi di quella storia.
Sentiva il bisogno di tagliar corto.
Basini non sapeva come comportarsi. Era talmente pesto che quasi non s'azzardava a muoversi. Pareva che ogni traccia di personalità l'avesse abbandonato; solo negli occhi ne era rimasto un briciolo, e questo sembrava aggrapparsi timoroso e supplichevole a Törless.
Aspettò la prima mossa dell'altro.
Alla fine Törless ruppe il silenzio. Parlava in fretta, con voce annoiata, come capita quando si deve riprendere in mano per pura formalità una questione liquidata da tempo.
"Non ti aiuterò. È vero che per un certo tempo ho avuto dell'interesse per te, ma ormai è acqua passata. Tu davvero non sei che un individuo spregevole e vile. Certo niente di più. Cosa mi dovrebbe tenere ancora legato a te? Prima credevo sempre di dover trovare una parola, un sentimento che ti definisse in modo diverso, ma niente davvero è più esatto che definirti spregevole e vile. È molto semplice, molto insignificante, eppure è tutto quanto si può dire. Quel che volevo da te prima, l'ho dimenticato da quando ti sei fatto avanti con le tue insistenze lascive. Volevo trovare un punto, un punto distante da te, e di là osservarti... ecco qual era il mio interesse per te. E tu stesso l'hai distrutto... Ma basta, non ti devo proprio nessuna spiegazione. Solo una cosa ancora: qual è adesso il tuo stato d'animo?"
"Quale vuoi che sia? Non ce la faccio più."
"Ora te ne fanno passare di brutte, eh? E tu ne soffri."
"Sì."
"Ma ne soffri e basta? Senti che patisci e vuoi che questo finisca: tutto qui, senza problemi?"
Basini non seppe trovare una risposta.
"E va bene, ti sto facendo delle domande tanto per farle, non abbastanza precise. Ma già, poco importa. Io non ho più niente da spartire con te, te l'ho detto. In tua compagnia non riesco più a provar niente. Fa' quel che vuoi..."
Törless fece per andarsene.
Allora Basini si strappò di dosso gli abiti e gli venne incontro. Aveva il corpo striato di lividi, una vista ributtante. Le movenze laide come quelle di una sgualdrina maldestra. Törless gli voltò le spalle nauseato.
Ma aveva appena mosso i primi passi nel buio che si scontrò con Reiting.
"Che succede, hai degli incontri segreti con Basini?"
Törless seguì lo sguardo di Reiting e si voltò indietro, verso Basini. Proprio nel punto in cui questi se ne stava in piedi pioveva da un abbaino un largo fascio di luce lunare. In quel chiarore la pelle dai riflessi azzurrognoli, cosparsa di lividi, pareva quella di un lebbroso. Involontariamente, Törless cercò di scusarsi per quello spettacolo.
"Me l'ha chiesto lui."
"Cosa vuole?"
"Che io lo protegga."
"Toh, proprio quello giusto ha trovato."
"Eppure forse lo farei, ma questa storia ormai mi annoia."
Reiting alzò gli occhi, sgradevolmente sorpreso, poi investì Basini con voce irosa.
"T'insegneremo noi a brigare alle nostre spalle! Il tuo angelo custode Törless assisterà anche lui allo spettacolo e ci avrà la sua parte di gusto."
Törless s'era già voltato per andarsene ma questa cattiveria, chiaramente destinata a lui, l'indusse a fermarsi senza esitazione.
"Senti, Reiting, io questo non lo farò. Non voglio più entrarci, tutta questa storia mi dà la nausea."
"Così di punto in bianco?"
"Sì, di punto in bianco. Perché prima dietro a tutto questo io cercavo qualcosa..." Ma come mai, ora, quel pensiero tornava insistentemente a importunarlo?
"Ah già, la seconda vista."
"Proprio così. Ma adesso vedo soltanto che tu e Beineberg siete di un'insulsa brutalità."
"Eh, lo vedrai Basini, come mangia la merda," scherzò Reiting.
"Non m'interessa più."
"Finora però..."
"Te l'ho già detto: solo finché per me era un enigma lo stato d'animo di Basini in questa situazione."
"E adesso?"
"Adesso non vedo nessun enigma. Le cose succedono: ecco tutta quanta la sapienza." Törless si meravigliò che tutt'a un tratto gli venissero ancora in mente delle similitudini che s'avvicinavano a quella sua perduta sfera di percezioni. Così, quando Reiting ribatté beffardamente con un "be', una sapienza del genere non c'è mica bisogno d'andarla a cercare tanto lontano", in lui scattò un iroso senso di superiorità che gli mise in bocca parole dure. Per un attimo disprezzò talmente Reiting da provare il desiderio di pestarselo sotto i piedi.
"Canzona pure; però quello che state facendo voi non è altro che un'irresponsabile, insulsa e schifosa persecuzione!"
Reiting lanciò con la coda dell'occhio uno sguardo a Basini, che aveva drizzato le orecchie.
"Moderati, Törless!"
"Schifosa, sporca... Sono stato chiaro?"
A questo punto, anche Reiting si scaldò.
"Ti proibisco d'insultarci qui, davanti a Basini!"
"Ma va'. Cosa vuoi mai proibire! È passato quel tempo. Una volta avevo della considerazione per te e per Beineberg, ma ora vedo cosa siete, in confronto a me. Degli stupidi, disgustosi e bestiali buffoni!"
"Chiudi la bocca, o..." Reiting sembrò intenzionato ad aggredire Törless. Questi arretrò di un passo e gli gridò: "Credi che io accetti di azzuffarmi con te? Per me Basini non vale tanto. Di lui fa' quel che ti pare ma a me, adesso, lascia via libera!"
Reiting sembrò ripensarci e scartare l'idea di venire alle mani. Si fece da parte, e non toccò nemmeno Basini. Ma Törless, che lo conosceva, ebbe la certezza che ora alle sue spalle stava in agguato un pericolo.


[22]

Già il secondo giorno, nel pomeriggio, Reiting e Beineberg avvicinarono Törless.
Lui notò l'espressione cattiva dei loro occhi. Ora, a quanto pareva, Beineberg imputava a lui il ridicolo fallimento delle sue profezie, ed era probabile che Reiting l'avesse sobillato in questo senso.
"Ho sentito che ci hai insultati. E per giunta davanti a Basini. Come mai?"
Törless non rispose.
"Lo sai che noi non tolleriamo cose del genere. Ma poiché si tratta di te, e noi siamo abituati a non far molto caso ai tuoi ghiribizzi, lasceremo perdere. C'è solo una cosa che devi fare." Nonostante queste parole amichevoli, negli occhi di Beineberg c'era un'attesa cattiva.
"Stanotte Basini viene nello stanzino; lo puniremo per averti montato contro di noi. Quando ci vedi uscire, seguici."
Ma Törless disse di no. "Voialtri potete fare quel che volete: me, però, lasciatemi fuori da questa storia."
"Stanotte ci godremo ancora Basini, e domani lo consegneremo alla classe, perché comincia a ribellarsi."
"Fate quel che volete."
"Tu però ci sarai."
"No."
"Proprio davanti a te Basini deve vedere che niente lo può aiutare contro di noi. Già ieri s'è rifiutato di eseguire i nostri ordini: l'abbiamo mezzo ammazzato di botte, ma lui niente. Dobbiamo ricorrere di nuovo a dei rimedi morali, umiliarlo prima davanti a te e poi davanti alla classe."
"Ma io non ci sarò!"
"E perché?"
"No."
Beineberg respirò a fondo; pareva che si volesse raccogliere il veleno sulle labbra. Poi venne molto vicino a Törless.
"Credi proprio che non lo sappiamo il perché? Pensi che non sappiamo fin dove ti sei spinto con Basini?"
"Non più in là di voi."
"Ma guarda. E lui avrebbe scelto proprio te come santo protettore? Eh? Proprio per te avrebbe concepito tanta fiducia? Non ci crederai così stupidi!"
Törless s'irritò. "Potete sapere quel che volete, ma ora lasciatemi in pace con le vostre porcherie."
"Ricominci con gli insulti?"
"Mi fate schifo! La vostra bassezza è priva di senso. È questo che vi rende ributtanti."
"Allora sta' a sentire. Dovresti esserci grato per parecchie cose. Ma se adesso, nonostante questo, credi di poterti mettere al di sopra di noi che siamo stati i tuoi maestri, ti sbagli di grosso. Vieni sì o no stasera?"
"No."
"Mio caro Törless, se ti ribelli a noi e non vieni ti succederà esattamente quello che succederà a Basini. Sai bene in che situazione ti ha sorpreso Reiting. Basta questo. Che noi si sia fatto di più o di meno, ti servirà a poco. Devieremo tutto verso di te. In queste cose tu sei troppo stupido e indeciso per riuscire a far valere le tue ragioni. Perciò, se non cambi idea in tempo, ti denunciamo alla classe come complice di Basini. E allora ci pensi lui a difenderti. Capito?"
Era scrosciato su Törless come un uragano, quel profluvio di minacce proferite ora da Beineberg, ora da Reiting, ora da entrambi. Quando i due se ne furono andati si stropicciò gli occhi come se avesse sognato. Ma sapeva chi era Reiting: in preda all'ira, quello era capace delle peggiori bassezze, e gli insulti e la ribellione di Törless sembravano averlo urtato profondamente. E Beineberg? A vederlo, era parso che tremasse di un odio represso per anni... e questo solo perché s'era reso ridicolo di fronte a Törless.
Eppure, quanto più tragicamente gli eventi si addensavano sopra la sua testa, tanto più meccanici e insignificanti essi apparivano a Törless. Aveva paura delle minacce, questo sì, ma niente di più. Il pericolo l'aveva immerso nel vortice della realtà.
Andò a dormire. Vide uscire Beineberg e Reiting, e il passo stanco di Basini strascicargli davanti al letto. Ma non andò con loro.
E tuttavia lo tormentavano fantasie terrificanti. Per la prima volta pensò di nuovo con un certo intenerimento ai suoi genitori. Sentiva d'aver bisogno di quel terreno fermo e sicuro per consolidare e maturare ciò che finora non gli aveva procurato che angustie.
Ma cos'era questo? Non aveva tempo di pensarci e di almanaccare sugli avvenimenti. Solo un'ansia struggente di uscire da quella situazione intricata e tumultuosa, sentiva; un'ansia di quiete, di libri. Come se la sua anima fosse una terra nera nel cui grembo già si schiudono i germogli senza che ancora si sappia quale forma prenderanno. Gli si presentava, insistente, l'immagine di un giardiniere che ogni mattina annaffia le sue aiuole con pazienza amorosa e costante. Quell'immagine non lo lasciava, la sua amorosa certezza pareva assorbire tutto lo struggimento che era in lui. Solo così dev'essere! Solo così!, sentiva Törless in cuor suo, e tutte le sue paure e i suoi dubbi furono superati dalla persuasione che lui avrebbe fatto di tutto per giungere a quella condizione interiore.
Solo quel che andava fatto nell'immediato futuro non gli era ancora chiaro. Perché quell'ansia di tranquillo raccoglimento non faceva, intanto, che accrescere il suo disgusto per gli intrighi imminenti. E poi aveva davvero paura della vendetta che l'insidiava. Se quei due avessero sul serio tentato di denigrarlo di fronte alla classe, le contromisure che lui avrebbe dovuto prendere gli sarebbero costate un enorme dispendio d'energie, che proprio ora gli rincresceva sprecare. E poi, solo a pensare a quel garbuglio, a quel volgare scontro con intenti e volontà altrui, si sentiva percorrere da un brivido di disgusto.
Gli venne in mente a questo punto una lettera che aveva ricevuto molto tempo prima da casa. Era la risposta a un suo scritto in cui aveva dato notizia come meglio aveva potuto dei suoi singolari stati d'animo, ancor prima che subentrasse quel tale momento di sensualità. Era stata ancora una volta una risposta abbastanza insulsa, farcita di onesti e noiosi principi morali, che gli consigliava di spingere Basini ad autodenunciarsi perché avesse fine quel suo indegno e pericoloso stato di soggezione.
Questa lettera Törless l'aveva riletta più tardi, mentre Basini giaceva nudo al suo fianco sulle morbide coperte dello stanzino. E aveva provato un piacere tutto particolare a lasciarsi sciogliere in bocca quelle goffe, semplici e piatte parole dicendosi che certo i suoi genitori, per l'eccessivo chiarore diurno della loro esistenza, non avevano occhi per l'oscurità in cui al momento la sua anima se ne stava acquattata come un agile felino.
Ma oggi, allorché gli tornò in mente, si volse con tutt'altro spirito a quel passo epistolare.
Una gradevole serenità si diffuse in lui, come se avesse sentito il contatto di una mano ferma e benevola. Prese in quel momento la sua decisione. Gli era balenata un'idea, e lui l'aveva afferrata senza perplessità, auspici, per così dire, i suoi genitori.
Restò sveglio a letto fino al ritorno dei tre. Poi attese finché, dal loro respiro regolare, non sentì che dormivano. Allora strappò in fretta un foglio dal suo taccuino e alla luce incerta del lume da notte vi scrisse sopra, in lettere grandi e traballanti:
"Domani ti consegneranno alla classe e ne passerai di ogni colore. L'unica via di scampo è che vada tu stesso ad accusarti dal direttore: verrebbe a saperlo comunque ma loro, prima, ti avrebbero mezzo ammazzato di botte. Da' tutta la colpa a R. e a B. e non parlare di me. Lo vedi che voglio salvarti."
Mise questo biglietto in mano all'altro che dormiva. Poi anche lui, sfinito dall'emozione, s'addormentò.


[23]

Pareva che Beineberg e Reiting volessero concedere a Törless, a mo' di proroga, anche il giorno seguente.
Per Basini invece le cose si stavano mettendo male.
Törless vide Beineberg e Reiting andare da vari compagni e radunare intorno a sé dei gruppetti in cui si faceva un gran parlottare. Non sapeva invece se Basini avesse trovato il suo biglietto: sentendosi osservato, non aveva avuto occasione di parlargli.
Sulle prime, anzi, ebbe paura che la cosa riguardasse già anche lui: ma ormai, al cospetto del pericolo, era così paralizzato dalla sua odiosità che avrebbe subito passivamente qualunque cosa. Solo più tardi, con titubanza, rassegnato a vedere tutti quanti rivoltarglisi istantaneamente contro, si mescolò a uno dei gruppetti.
Invece nessuno gli badò. Per il momento toccava solo a Basini.
L'agitazione cresceva. Törless lo vedeva chiaramente. Era probabile che Reiting e Beineberg avessero aggiunto ai fatti delle bugie...
Sulle prime vi furono dei sorrisetti, poi alcuni si fecero seri, e sguardi accigliati sfiorarono Basini; infine sulla classe calò come un silenzio cupo, rovente, gonfio di voglie tenebrose.
Il caso voleva che fosse un pomeriggio di vacanza.
Si radunarono tutti in fondo alla classe, vicino agli armadietti; poi fu chiamato Basini.
Beineberg e Reiting gli stavano ai lati come due domatori.
Il rito del denudamento, di sperimentata efficacia, provocò, dopo che furono chiuse le porte e messi dei piantoni, lo spasso generale.
Reiting teneva in mano un pacchetto di lettere scritte dalla madre di Basini al figlio, e cominciò a leggerle ad alta voce.
"Mio caro piccolo..."
Uragano di risate.
"Tu sai che il poco denaro di cui dispongo nella mia condizione di vedova..."
Risa sguaiate, lazzi scatenati si levano dalla massa. Reiting fa per riprendere la lettura. A un tratto uno dà una spinta a Basini. Un altro, contro cui questi va a sbattere, lo ributta indietro, un po' per scherzo e un po' per spregio. Un altro lo spinge oltre. E di colpo Basini, nudo, la bocca spalancata dalla paura, vola da un capo all'altro della classe roteando come una palla tra le risa, gli schiamazzi, le manate di tutti, si ferisce contro gli spigoli vivi dei banchi, cade sulle ginocchia che gli si scorticano, e alla fine stramazza sanguinante; coperto di polvere, gli occhi vitrei e sbarrati come quelli di una bestia, mentre in un attimo si fa silenzio e tutti vengono avanti per vederlo steso a terra.
Törless rabbrividì. Aveva visto il potere della tremenda minaccia.
E ancora non sapeva cos'avrebbe fatto Basini.
La notte seguente l'avrebbero legato a un letto; s'era deciso di frustarlo con le lame dei fioretti.

Ma tra la generale sorpresa, già nella prima mattinata comparve in aula il direttore, accompagnato dal professore di classe e da due insegnanti. Basini fu allontanato dall'aula e condotto in una stanza isolata.
Quanto al direttore, fece una sdegnata ramanzina per le violenze che erano venute alla luce e ordinò una severa inchiesta.
Basini era andato lui stesso a denunciarsi.
Qualcuno doveva averlo avvertito di quel che l'aspettava.


[24]

Nessuno sospettò di Törless. Lui sedeva tranquillo e assorto, come se l'intera questione non lo riguardasse minimamente.
Neanche a Reiting e a Beineberg venne l'idea di cercare in lui il traditore. Loro stessi non avevano preso sul serio le proprie minacce: gliele avevano fatte per intimidirlo, per fargli sentire la loro superiorità, forse anche per rabbia; ma ora che la loro collera era sbollita non ci pensavano quasi più. Già gli obblighi di cortesia verso i suoi genitori li avrebbero trattenuti dall'attaccare Törless. Questo per loro era talmente ovvio che non s'aspettavano la minima iniziativa neanche da parte sua.
Törless non si sentiva pentito del proprio passo. Quel tanto di subdolo e di vile che c'era in esso non riusciva ad averla vinta sull'altro suo sentimento di una totale liberazione. Dopo tante ansie il suo animo era divenuto meravigliosamente chiaro e sgombro.
Non partecipò agli eccitati discorsi che si facevano da ogni parte sui possibili sviluppi della cosa; per tutta la giornata se ne stette tranquillo e appartato.
Quando venne sera e furono accese le lampade sedette al suo posto. Davanti a sé aveva posato il quaderno in cui erano annotate quelle sue frettolose considerazioni.
Ma per un pezzo non lo lesse. Passava la mano sulle pagine e gli pareva che da quelle salisse un profumo delicato, come la fragranza di lavanda che emana dalle vecchie lettere. Era la tenerezza impastata di malinconia che dedichiamo a un passato ormai concluso quando, nell'ombra esile e pallida che se ne leva stringendo fra le mani fiori di camposanto, riscopriamo dimenticate somiglianze con noi stessi.
E quell'ombra delicata e malinconica, quel pallido profumo pareva perdersi in una fiumana larga, gonfia, calda: la vita, che ora gli si apriva davanti.
Un ciclo s'era concluso, l'anima, come un giovane albero, aveva messo un nuovo anello annuale... Questo sentimento impetuoso e ancora inarticolato scusava tutto ciò che era successo.
E qui Törless cominciò a sfogliare i suoi ricordi. Le frasi in cui aveva goffamente constatato l'accaduto - quel multiforme stupore e smarrimento di fronte alla vita - si rianimarono, parvero riscuotersi, si saldarono tra loro. Gli stavano davanti come una strada chiara in cui si fossero impresse le orme dei suoi passi esitanti. E tuttavia sembravano mancare pur sempre di qualcosa; non di una nuova idea, no, eppure non lo colpivano con piena vivezza.
Si sentiva incerto. E allora lo prese la paura di trovarsi l'indomani di fronte ai suoi insegnanti e di doversi giustificare. E in che modo? Come poteva spiegar loro tutto quanto, la strada buia e misteriosa che aveva percorso? Se gli avessero chiesto: perché hai maltrattato Basini?, certo non avrebbe potuto rispondere: perché m'interessava un particolare processo che aveva luogo nel mio cervello e al cui confronto tutto quel che ne penso mi appare privo d'importanza.
Quel piccolo passo che ancora lo separava dalla conclusione del cammino interiore che doveva compiere l'atterriva come un'immensa voragine.
E ancor prima che scendesse la notte Törless si ritrovò in uno stato di febbrile e angosciosa agitazione.


[25]

Il giorno dopo, quando i cadetti vennero chiamati a uno a uno per essere interrogati, Törless era scomparso.
Era stato visto l'ultima volta la sera prima, seduto davanti a un quaderno e apparentemente intento a leggere.
Lo cercarono in tutto il collegio; Beineberg, di nascosto, andò a vedere nello stanzino, ma Törless non si trovava.
Allora fu chiaro che era scappato. Si avvertirono dunque le autorità della zona, cui fu chiesto di trattarlo con un certo riguardo.
Frattanto ebbe inizio l'inchiesta.
Reiting e Beineberg, convinti che Törless fosse scappato per paura delle loro minacce, si sentirono tenuti a stornare da lui ogni sospetto, e lo difesero energicamente.
Addossarono la colpa di tutto a Basini, e l'intera classe, un allievo dopo l'altro, descrisse costui come un individuo indegno, un ladro, che ai loro benintenzionati tentativi di correggerlo rispondeva con continue recidive. Reiting assicurò che loro si rendevano ben conto d'aver sbagliato, ma che l'avevano fatto solo perché la pietà gli diceva che non si deve esporre un compagno al castigo prima d'aver tentato tutte le vie di un benevolo ammaestramento, e di nuovo l'intera classe giurò che i maltrattamenti inflitti a Basini erano stati solo una spontanea reazione al fatto che quello avesse risposto con lo scherno più volgare a chi, spinto dai più nobili sentimenti, cercava di aiutarlo.
Insomma, fu una commedia ben concertata, brillantemente messa in scena da Reiting; alla ricerca di una giustificazione, si toccarono tutte le corde morali al cui suono è sensibile l'orecchio dei pedagoghi.
Basini, inebetito, rispose col silenzio a tutte le accuse. Era ancora mortalmente spaventato per i fatti di due giorni prima, e la solitudine della stanza in cui lo si teneva rinchiuso, il tranquillo e burocratico procedere dell'inchiesta, per lui erano già una liberazione. Non desiderava che la rapida fine di tutto. E poi Reiting e Beineberg non avevano trascurato di minacciargli la più spaventosa vendetta se avesse deposto contro di loro.
A questo punto fu riportato in collegio Törless. L'avevano preso, stanco morto e affamato, nella città vicina.
La sua fuga pareva essere ormai l'unico punto oscuro di tutta la vicenda. Ma le circostanze gli erano favorevoli. Beineberg e Reiting avevano preparato bene il terreno parlando del nervosismo che secondo loro aveva manifestato negli ultimi tempi, della sua acuta sensibilità morale che si rimproverava già come una colpa il fatto di non aver subito denunciato la cosa pur sapendo tutto sin dall'inizio, e d'essere divenuto in tal modo corresponsabile della catastrofe.
Così Törless venne accolto con una certa commossa benevolenza, e i compagni lo prepararono per tempo a questo stato di cose.
Lui, tuttavia, era enormemente agitato, e la paura di non riuscire a spiegarsi lo sfiniva.
Per discrezione, dato che si paventavano possibili rivelazioni, l'interrogatorio venne tenuto nell'appartamento del direttore. Oltre a costui erano presenti il professore di classe, l'insegnante di religione e quello di matematica, che come membro più giovane del corpo insegnante aveva ricevuto l'incarico di stendere i verbali.
Interrogato sui motivi della sua fuga, Törless tacque.
Comprensivi cenni del capo da parte di tutti.
"D'accordo," disse il direttore, "di questo siamo già informati. Però ci dica cosa l'ha indotto a tenere nascosto il fallo del Basini."
Qui Törless avrebbe potuto mentire. Ma non sentiva più soggezione. Aveva una gran voglia di parlare di sé, di saggiare su quelle menti i propri pensieri.
"Non lo so bene, signor direttore. Quando ne ho sentito parlare la prima volta, m'è parso che si trattasse di una cosa mostruosa... al di là di ogni immaginazione..."
Il professore di religione, compiaciuto, gli fece un cenno d'incoraggiamento.
"Io... io pensavo all'anima di Basini..."
Il professore di religione era raggiante, il matematico si pulì il pince-nez, se lo rimise, aguzzò gli occhi...
"Non riuscivo a figurarmi il momento in cui una simile vergogna s'era abbattuta su Basini, e per questo mi sentivo continuamente spinto ad avvicinarlo..."
"Cioè... Lei vuol dire che provava una naturale ripugnanza per il fallo del suo compagno e che la vista del vizio, in certo senso, l'affascinava: lo stesso effetto che ha sulle vittime, a quanto si dice, lo sguardo dei serpenti."
Il professore di classe e il matematico s'affrettarono a esternare con gesti vivaci il loro plauso per questa similitudine.
Ma Törless disse: "No, non era propriamente ripugnanza. Era così: a volte mi dicevo che aveva sbagliato e che bisognava consegnarlo a chi aveva il compito di punirlo..."
"Ed è quello che lei avrebbe dovuto fare."
"... ma poi mi appariva in una luce così singolare che non pensavo affatto alla punizione e mi ponevo di fronte a lui da una prospettiva del tutto diversa. Dentro di me ogni volta che pensavo a lui in questo modo, si produceva un'incrinatura..."
"Deve esprimersi più chiaramente, mio caro Törless."
"È una cosa che non si può dire in altro modo, signor direttore."
"Ma sì, invece, sì! Lei è agitato, lo vediamo bene, è confuso... quel che ha detto ora è molto oscuro."
"Be', certo mi sento confuso; una volta avevo parole molto migliori per esprimere queste cose. Però il risultato è sempre lo stesso: mi sentivo dentro uno strano sentimento..."
"Bene... ma è anche naturale, di fronte a una faccenda del genere."
Törless rifletté un attimo.
"Forse si può dire così: ci sono cose destinate, in certo senso, a entrare nella nostra vita in due forme diverse. L'ho osservato a proposito di certe persone, di certi fatti: angoli bui pieni di polvere, un muro alto, freddo e muto che di colpo si animava..."
"Per l'amor del cielo, Törless, dove va mai a perdersi?" Ma Törless ci aveva preso gusto e voleva dire tutto.
"... numeri immaginari..."
Tutti guardarono ora Törless, ora i colleghi. Il matematico tossicchiò :
"Per rendere più comprensibili queste oscure dichiarazioni, devo dire che una volta l'allievo Törless è venuto da me a farsi spiegare certi concetti fondamentali della matematica, come appunto il concetto di immaginario, che invero possono presentare qualche difficoltà a una mente inesperta. Devo anzi ammettere che al riguardo ha dato prova di innegabile acume: e tuttavia era andato a scovare con un'insistenza maniaca solo quelle cose che in certo qual modo sembravano rivelare, almeno per lui, un salto nella concatenazione causale del nostro pensiero. Ricorda ancora, Törless, cos'ha detto allora?"
"Sì. Ho detto che in quei punti ho l'impressione che noi non si possa arrivare dall'altra parte servendoci solo del nostro pensiero ma che ci sia necessaria una certezza diversa, interiore, che per così dire ci trasporti di là. E che non ci sia possibile uscirne servendoci soltanto del nostro pensiero l'ho sentito anche nel caso di Basini."
Di fronte alla piega filosofica che l'inchiesta andava prendendo il direttore dava già segni d'insofferenza; ma il catechista era assai soddisfatto della risposta di Törless.
"Lei dunque," osservò, "si sente attratto da una visione religiosa più che scientifica delle cose! Evidentemente è avvenuto qualcosa di simile anche nei confronti di Basini," disse rivolgendosi agli altri. "Il ragazzo sembra avere un animo sensibile alla natura eletta, vorrei dire divina e trascendente, della morale."
E qui il direttore si sentì tenuto a proseguire in questa direzione. "Senta, Törless: le cose stanno come dice il reverendo? Lei si sente portato a cercare al di là dei fatti, o delle cose - per usare le sue parole in verità alquanto generiche - un fondo religioso?"
Sarebbe stato contento anche lui se Törless avesse finalmente detto di sì, offrendo al suo giudizio una base sicura. Ma Törless disse: "No, non era neanche questo."
"E allora ci dica chiaro e tondo, una buona volta," sbottò a questo punto il direttore, "che cos'era. Noi qui non possiamo intavolare con lei una disputa filosofica."
Ma ormai Törless s'era ostinato. Sentiva anche lui d'essersi espresso malamente, ma tanto la contraddizione quanto l'assenso, frutto di malinteso, che aveva suscitato gli davano la sensazione di un'orgogliosa superiorità nei confronti di quelle persone mature che avevan l'aria di sapere tanto poco dei casi dell'animo umano.
"Non è colpa mia se non è niente di quel che loro credono. Io stesso non so descrivere esattamente quel che ho provato di volta in volta; ma se dico cosa ne penso adesso, forse anche loro capiranno come mai per tanto tempo non sono riuscito a liberarmene."
S'era raddrizzato, fiero come se il giudice fosse lui; i suoi occhi guardavano al di là delle persone: non aveva voglia di fissare quelle ridicole figure.
Fuori dalla finestra c'era una cornacchia appollaiata su un albero, e intorno nient'altro che l'immensa distesa bianca.
Törless sentì che era venuto il momento in cui avrebbe parlato in modo chiaro, comprensibile, trionfante delle cose che, prima vaghe e tormentose, poi senza vita né forza, aveva avuto dentro.
Non che un pensiero nuovo gli avesse recato quella sicurezza e quella lucidità: lui tutto intero, mentre stava là eretto come se intorno avesse solo uno spazio vuoto, lui in tutta la sua persona lo sentiva, come l'aveva sentito quella volta che aveva lasciato vagare lo sguardo stupito sui compagni indaffarati, intenti a studiare, a scrivere.
Perché i pensieri sono una strana cosa. Spesso sono soltanto dei fatti accidentali che sfumano senza lasciar traccia, e poi hanno i loro periodi morti e ne hanno di vivi. Si può avere un'intuizione geniale ed ecco che, lentamente, ci appassisce tra le mani come un fiore. La forma resta ma i colori, il profumo mancano. Cioè, noi la ricordiamo parola per parola, il valore logico della proposizione scoperta si conserva intatto, ma questa rimane alla superficie del nostro animo e qui va alla deriva, senza farci sentire più ricchi. Finché, magari dopo anni, torna all'improvviso un istante in cui vediamo che di essa, nel frattempo, non avevamo saputo niente pur sapendo, sul piano logico, tutto.
Sì, ci sono pensieri morti e pensieri vivi. La riflessione che procede in superficie, alla luce del sole, e può essere verificata in qualsiasi momento sul filo della causalità, non è detto che sia viva. Un pensiero in cui c'imbattiamo lungo questa via ci resta indifferente come uno dei tanti soldati di una colonna in marcia. Un pensiero, passato sia pure molto tempo prima per il nostro cervello, diventa vivo solo nel momento in cui gli si aggiunge qualcosa che non è più riflessione, che non fa più parte della logica, così che noi sentiamo la sua verità, al di là di ogni giustificazione, come un'àncora che calata da esso morde nella nostra carne viva irrorata di sangue... Una grande intuizione matura solo per metà entro il cerchio di luce del cervello: per l'altra metà, invece, negli oscuri recessi della nostra più segreta individualità, ed è soprattutto uno stato d'animo sulla cui cima sta, niente più che un fiore, il pensiero.
Per Törless, ormai, era bastata una scossa psicologica a far spuntare quell'ultimo germoglio.
Senza curarsi dei volti sconcertati che aveva intorno, come parlando a se stesso, partì da qui e andò avanti fino alla fine senza interrompersi, gli occhi fissi davanti a sé:
"... Io forse ho studiato ancora troppo poco per trovare le parole giuste, ma questo voglio descriverlo. Proprio ora l'ho risentito dentro di me. Non posso esprimerlo se non dicendo che io vedo le cose in due forme diverse. Tutte le cose, anche i pensieri. Oggi sono gli stessi di ieri se mi sforzo di trovare una differenza, e come chiudo gli occhi rivivono in un'altra luce. Forse riguardo ai numeri irrazionali mi sono sbagliato. Se li penso, per così dire, lungo la via della matematica mi riescono naturali, e se li guardo di fronte, nello loro singolarità, mi sembrano impossibili: però qui posso benissimo sbagliarmi, ne so troppo poco. Invece non mi sono sbagliato riguardo a Basini, non mi sono sbagliato quando non ho potuto distogliere l'orecchio dal lieve fruscio che serpeggiava nel muro e l'occhio dalla vita silenziosa della polvere illuminata di colpo da una lampada. No, non mi sbagliavo parlando di una seconda vita delle cose, segreta e ignorata! Io... io non l'intendo alla lettera, non sono queste cose a vivere, non era Basini ad avere due volti... però in me c'era una seconda vista, e questa vedeva tutto con occhi che non erano quelli dell'intelletto. Come sento che dentro di me si forma un pensiero, così sento pure che, alla vista degli oggetti, qualcosa vive in me quando i pensieri tacciono. È qualcosa di oscuro che ho dentro, che sta sotto tutti i pensieri e che io non posso misurare coi pensieri, una vita che non si esprime a parole e che pure è la mia vita...
"Questa vita silenziosa mi ha oppresso, assillato, mi sentivo sempre spinto a fissarla. Soffrivo per la paura che tutta la nostra esistenza fosse così e che a me toccasse scoprirlo solo di tanto in tanto, a intervalli... oh, che paura avevo... ero come stordito..."
Sull'onda della sua immensa eccitazione, in un momento di ispirazione quasi poetica, queste parole e similitudini tanto più grandi dei suoi anni gli venivano alle labbra naturalmente, con facilità. Qui abbassò la voce e soggiunse, come compreso della sua sofferenza:
"... Ora è passato. So che in realtà mi sbagliavo. Non ho più paura. Le cose, lo so, sono le cose e tali resteranno, e io le vedrò ora in un modo ora in un altro. Ora con gli occhi dell'intelletto ora con gli altri ... E non tenterò più di mettere a confronto questo e quello ..."
Tacque. Gli parve ovvio, ormai, andarsene, e nessuno lo trattenne.

Quando fu fuori gli altri, rimasti nella stanza, si guardarono stupefatti.
Il direttore scrollò la testa perplesso. Il professore di classe ritrovò per primo la parola. "Ehi, questo profeta in miniatura ha voluto tenerci una lezione, mi pare. Ma chi ci capisce qualcosa è bravo. Tutta quell'eccitazione! E quell'arruffare le cose più semplici!"
"Ricettività e spontaneità del pensiero," assentì il matematico. "Si direbbe che abbia annesso eccessiva importanza al fattore soggettivo di tutte le nostre esperienze e che ciò l'abbia confuso ispirandogli quelle oscure metafore."
Solo l'insegnante di religione tacque. Nei discorsi di Törless aveva colto così spesso la parola "anima", e si sarebbe volentieri occupato del ragazzo. Però non sapeva in che senso quella parola fosse stata intesa.
Il direttore, tuttavia, chiuse la discussione. "Io non so cosa questo Törless abbia per la testa; ad ogni modo si trova in uno stato di tale sovreccitazione che certo la sua permanenza in un collegio non è più opportuna. Il suo nutrimento spirituale richiede una sorveglianza più attenta di quella che possiamo fornire qui. Non credo che noi ci si possa assumere oltre questa responsabilità. Törless va educato privatamente: scriverò a suo padre in questo senso."
Tutti si affrettarono ad aderire alla saggia proposta dell'eccellente direttore.
"Era davvero così strano da farmi quasi sospettare che abbia una predisposizione all'isteria," disse il matematico al suo vicino.

Contemporaneamente alla lettera del direttore i genitori ne ricevettero una da Törless, che li pregava di toglierlo dal collegio perché non vi si sentiva più a proprio agio.


[26]

Basini, nel frattempo, era stato espulso per punizione. Nella scuola tutto seguiva il solito corso.
Era stabilito che Törless sarebbe stato prelevato da sua madre. Lui si congedò dai compagni con indifferenza. Cominciava quasi a dimenticarsene i nomi.
Nello stanzino rosso non era più salito. Ormai tutto ciò sembrava lontano, lontanissimo da lui.
Da quando se n'era andato Basini era tutto morto: come se costui, che aveva legato alla sua persona tutte quelle relazioni, le avesse anche portate via con sé.
Su Törless era scesa una calma dubbiosa, ma la disperazione era passata. "Saranno state quelle cose fatte di nascosto con Basini a ingigantirla così," diceva a se stesso. Non gli pareva che vi potessero essere altri motivi.
Però si vergognava. Come ci si vergogna al mattino dopo che di notte, tormentati dalla febre, si son viste torreggiare in ogni angolo della stanza buia terribili minacce.
E il suo contegno davanti alla commissione? Tremendamente ridicolo, gli pareva. Quante storie! Non avevano ragione loro? Per una simile inezia! Eppure in lui c'era qualcosa che rendeva meno pungente la mortificazione. "È vero che mi sono comportato in modo poco ragionevole," pensava, "però tutta questa storia sembra aver avuto ben poco a che fare con la mia ragione." Era questa infatti la nuova sensazione che provava ora. Aveva il ricordo di una tempesta paurosa passata sul suo animo, e le ragioni che ancora riusciva a trovare dentro di sé non riuscivano a spiegarla neanche lontanamente. "Dunque dev'essere stato qualcosa di assai più profondo e necessario," concluse, "di quanto si possa giudicare con la ragione e coi concetti..."
E quel che esisteva già prima della passione sensuale e che questa aveva solo coperto col suo rigoglio, l'essenziale, il problema, tutto ciò era rimasto: quella prospettiva interiore che aveva sperimentato, mutevole a seconda della maggiore o minor vicinanza, quel nesso sfuggente che a seconda del nostro punto d'osservazione assegna a cose ed eventi valori improvvisi, tra loro incommensurabili ed estranei...
Questo, e tutto il resto, gli appariva curiosamente chiaro e limpido. E piccolo. Come appunto lo si vede al mattino, non appena i primi limpidi raggi del sole hanno asciugato i sudori della paura e tavolo, armadio, nemico e destino tornano alle loro dimensioni naturali.
Ma come allora resta addosso una lieve, assorta spossatezza, così era accaduto a Törless. Ora sapeva distinguere il giorno dalla notte; e, a dire il vero, l'aveva sempre saputo, e solo le ondate di un sogno angoscioso avevano cancellato quei confini, e lui si vergognava di quel suo smarrimento. Però il ricordo che può anche non essere così, che intorno all'uomo ci sono confini fragili e facili a cancellarsi, che sogni febbrili insidiano l'anima intaccando mura robuste e aprendo squarci inquietanti: anche questo ricordo s'era impresso profondamente in lui, e mandava pallide ombre.
Non riusciva a spiegare gran che di tutto questo. Ma una simile povertà di parole gli dava una sensazione deliziosa, pari alla certezza del seno fecondato che già sente nel sangue gli impercettibili strappi del futuro. E in Törless si mescolavano fiducia e stanchezza.
Fu così che attese quieto e pensoso il momento della partenza...
Sua madre, che aveva creduto di trovare un ragazzo sconvolto e smarrito, stupì della sua calma distaccata.
Mentre si recavano alla stazione comparve alla loro destra il boschetto con la casa di Bo_ena. Che aspetto inoffensivo e insignificante aveva: un intrico polveroso di salici e di ontani.
Qui Törless si ricordò di quanto allora fosse inimmaginabile per lui la vita dei suoi genitori. E lanciò un'occhiata furtiva, di lato, a sua madre.
"Che c'è, caro?"
"Niente, mamma, stavo solo pensando a una cosa."
E aspirò l'odore, misto a una punta di profumo, che saliva dal corsetto di sua madre.