PAUL VERLAINE

POESIE II


LA BUONA CANZONE

Alla mia adorata MATHILDE MAUTÉ DE FLEURVILLE

È dunque destino che questo libretto
in cui pieno di speranza canta l'Amore
ti trovi sofferente in questo giorno,
te, l'unica per cui io voglia vivere?

È destino che in questo momento benedetto
un male orribile ti abbia contesa
alla mia spaventata tenerezza
e mi abbia bandito dal tuo capezzale?

- Ma poiché torna a sorridere,
finito l'uragano,
l'avvenire, con la fronte incoronata
di fiori indorati da un gioioso sole,

speriamo, amica mia, speriamo!
Vedrai! quanti sono felici in questa vita
presto ci invidieranno,
talmente ci ameremo!

P.V.
5 luglio 1870.

I


Il dolce sole del mattino intiepidisce e indora
la segale e le messi ancora tutte umide
e l'azzurro mantiene la freschezza notturna.
Si esce soltanto per uscire: si segue,
lungo il fiume dalle vaghe erbe gialle,
un erboso sentiero costeggiato da vecchi ontani.
L'aria è pungente. A tratti vola un uccello,
nel becco qualche frutto di siepe o una pagliuzza,
e il suo riflesso nell'acqua sopravvive al passaggio.
È tutto.
Ma il sognatore ama questo paesaggio
la cui chiara dolcezza d'un tratto ha accarezzato
il suo sogno di adorabile gioia, e cullato
il ricordo incantevole di quella fanciulla,
bianca apparizione che canta e scintilla,
di cui sogna il poeta e che l'uomo ama,
evocando nei suoi forse ridicoli desideri
la Compagna finalmente incontrata, e l'anima
che da sempre l'anima sua piange e reclama.

II


Tutta grazia e sfumature
nel dolce splendore dei suoi sedici anni,
dell'infanzia ha il candore
e gli intrighi innocenti.

Eppure gli occhi suoi, occhi d'angelo,
sanno, senza pensarvi,
svegliare il desiderio strano
di un bacio immateriale.

E la sua mano, così piccola
da non contenere un uccello-mosca,
cattura, senza speranza di fuga,
il cuore preso da lei segretamente.

L'intelligenza in lei soccorre
l'anima nobile;
ed è pura quanto spiritosa:
ciò che ha detto, era da dire!

E se la diverte la stupidità
e la fa ridere impietosa,
lei, come musa, sarebbe
clemente fino all'amicizia,

fino all'amore - chi sa? forse,
verso un poeta innamorato
che mendicasse sotto la sua finestra,
l'audace! un degno premio

per la sua canzone, buona o cattiva,
ma che dicesse con sincerità,
senza una nota falsa, senza sciocchezze,
il dolce male che si soffre amando.

III


In veste grigia e verde con falpalà
in un giorno di giugno d'inquietudine
apparve sorridente agli occhi miei
che l'ammiravano senza temere insidie;

andò, venne, tornò, sedette, parlò,
leggera e grave, ironica, e intenerita:
ed io sentivo nella mia cupa anima
come un riflesso gioioso di tutto ciò;

la sua voce, musica fine,
deliziosamente accompagnava
lo spirito senza fiele di un cinguettio incantevole
in cui s'indovinava l'allegria di un buon cuore.

Così, d'un tratto, dopo la parvenza
di una rivolta presto soffocata
fui alla mercé della piccola Fata
che io da allora supplico tremando.

IV


Poiché l'alba si accende, ed ecco l'aurora,
poiché, dopo avermi a lungo fuggito, la speranza consente
a ritornare a me che la chiamo e l'imploro,
poiché questa felicità consente ad esser mia,

facciamola finita coi pensieri funesti,
basta con i cattivi sogni, ah! soprattutto
basta con l'ironia e le labbra strette
e parole in cui uno spirito senz'anima trionfava.

E basta con quei pugni serrati e la collera
per i malvagi e gli sciocchi che s'incontrano;
basta con l'abominevole rancore! basta
con l'oblìo ricercato in esecrate bevande!

Perché io voglio, ora che un Essere di luce
nella mia notte fonda ha portato il chiarore
di un amore immortale che è anche il primo
per la grazia, il sorriso e la bontà,

io voglio, da voi guidato, begli occhi dalle dolci fiamme,
da voi condotto, o mano nella quale tremerà la mia,
camminare diritto, sia per sentieri di muschio
sia che ciottoli e pietre ingombrino il cammino;

sì, voglio incedere dritto e calmo nella Vita
verso la meta a cui mi spingerà il destino,
senza violenza, né rimorsi, né invidia:
sarà questo il felice dovere in gaie lotte.

E poiché, per cullare le lentezze della via,
canterò arie ingenue, io mi dico
che lei certo mi ascolterà senza fastidio;
e non chiedo, davvero, altro Paradiso.

V


Prima che te ne vada,
pallida stella del mattino
- mille quaglie
cantano, cantano nel timo. -

Volgi verso il poeta,
che ha gli occhi pieni d'amore,
- l'allodola
sale in cielo col giorno. -

Volgi il tuo sguardo che annega
l'aurora nel suo azzurro;
- che gioia
tra i campi di grano maturo!

Poi fai splendere il mio pensiero
laggiù, - tanto lontano, quanto lontano!
- La rugiada
brilla allegra sul fieno. -

Nel dolce sogno in cui si agita
l'amica mia ancora addormentata...
- Presto, presto,
perché ecco il sole d'oro.

VI


La luna bianca
splende nei boschi;
da ogni ramo
parte una voce
sotto il fogliame...

Mia adorata!

Lo stagno riflette,
specchio profondo,
il profilo
del salice nero
dove il vento piange...

Sogniamo, è l'ora.

Un vasto e tenero
acquietamento
sembra discendere
dal firmamento
che l'astro ìrida...

È l'ora squisita.

VII


Il paesaggio nella cornice dei finestrini
corre furiosamente, e pianure intere
con acqua, e grano, alberi, e cielo,
s'inabissano nel vortice crudele
dove cadono gli esili pali del telegrafo
i cui fili hanno uno strano movimento di svolazzo.

Un odore di carbone che brucia e d'acqua che bolle,
il frastuono di mille catene, in cima alle quali
urlino mille giganti presi a frustate;
e all'improvviso gridi prolungati di civetta.
- Che m'importa di tutto questo, se ho negli occhi
la bianca visione che fa felice il mio cuore,
se la dolce voce per me mormora ancora,
se il Nome così bello, e nobile, e sonoro,
si mischia, puro cardine di questo turbinìo,
al ritmo del vagone brutale, soavemente?

VIII


Una Santa nella sua aureola,
una Castellana nella sua torre,
tutto ciò che l'umana parola
ha di grazia e d'amore;

la nota d'oro che fa udire
un corno dai boschi lontani,
sposata alla tenera fierezza
delle nobili Dame di un tempo;

e insieme l'incanto insigne
di un fresco sorriso trionfante
sbocciato tra candori di cigno
e rossori di donna-bambina;

sembianze di madreperla, bianche e rosa,
un dolce accordo patrizio;
io vedo, io sento tutto questo
nel suo nome Carolingio.

IX


Il braccio destro, con amabile gesto di dolcezza,
riposa intorno al collo della sorellina,
ed il sinistro segue il ritmo della gonna.
Ha certo in mente un'idea gradevole
se quei suoi occhi veri, e la bocca ridente,
attestano vivaci un'intima gioia.
Oh! qual è il suo pensiero, squisito e fine?
Tutta minuta, e adorabile, e bella,
per questo ritratto il suo gusto infallibile ha scelto
la posa più semplice, ma certo la migliore:
in piedi, sguardo diritto, capelli sciolti; e la sua veste
è lunga quanto basta per nascondere appena
a metà sotto pieghe gelose l'incantevole punta
di un piede malizioso impercettibilmente.

X


Ancora quindici lunghi giorni, e più di sei settimane
ormai! Certo, tra le angosce umane
l'angoscia più dolente è l'essere lontani.

Ci si scrive, ci si dice di amarsi; si ha cura
d'evocare ogni giorno la voce, gli occhi, il gesto
dell'essere in cui si ripone la gioia, e si rimane
per ore a conversare da soli con l'assente.
Ma tutto ciò che si pensa e si sente
e di cui si parla con l'assente, persiste
a rimanere scialbo e fedelmente triste.

Oh, l'assenza! il meno clemente di tutti i mali!
Consolarsi con frasi e con parole,
attingere nell'infinito tetro dei pensieri
di che rinfrescarvi, speranze esauste,
solo per trarne l'insipido e l'amaro!
Poi ecco, penetrante e freddo come il ferro,
più rapido degli uccelli e dei proiettili
e del vento del sud in mare, con le sue raffiche,
recando un sottile veleno sulla sua punta aguzza,
ecco venire, come una freccia, il sospetto
scoccato dal Dubbio impuro e penoso.

È proprio vero? E mentre con i gomiti sul tavolo
leggo la sua lettera con le lacrime agli occhi,
la lettera in cui si svolge una confessione deliziosa,
dunque non è distratta in altre cose?
Chi sa? Mentre per me, qui, lenti e cupi
scorrono i giorni, come fiume dalla riva inaridita,
forse ha sorriso il suo labbro innocente?
O forse è molto allegra e non ricorda niente?

E io rileggo la lettera con malinconia.

XI


La dura prova sta per terminare:
mio cuore, sorridi all'avvenire.

Sono passati i giorni d'allarme
quando ero triste fino alle lacrime.

Più non contare gli istanti,
anima mia, ancora un po' di tempo.

Ho letto le parole amare
e ho bandito le tetre chimere.

I miei occhi esiliati dal vederla
a causa di un dovere doloroso,

il mio orecchio avido di udire
le note d'oro della sua voce tenera,

tutto il mio essere e tutto il mio amore
acclamano il giorno felice

quando, unico sogno e unico pensiero,
la fidanzata a me ritornerà!

XII


Va', canzone, vola
davanti a lei, e dille
che nel mio cuore fedele
s'è acceso un raggio di gioia,

dissipando, luce santa,
quelle tenebre dell'amore:
sfiducia, dubbio, timore,
ed eccolo il gran giorno!

A lungo timorosa e muta,
udite? l'allegria,
come vivace allodola,
ha cantato nel cielo chiaro.

Va' dunque, ingenua canzone,
e senza alcun vano rimpianto
sia la benvenuta
colei che finalmente ritorna.

XIII


Parlavamo, ieri, di tante cose,
e i miei occhi cercavano i vostri;

e il vostro sguardo cercava il mio,
mentre il colloquio proseguiva.

Sotto il senso banale delle frasi misurate
il mio amore errava dietro i vostri pensieri;

e quando parlavate, distratto di proposito,
rimanevo in ascolto del vostro segreto:

perché la voce, come gli occhi di Colei
che ti rende felice e triste, rivela,

malgrado ogni artificio tetro e gaio,
e mette in piena luce l'essere interiore.

Così, ieri, sono partito totalmente ebbro:
è una speranza vana che il mio cuore carezza,

una vana speranza, falsa e dolce compagna?
Oh! no! non è vero? non è vero che no?

XIV


Il focolare, lo stretto bagliore della lampada;
fantasticare col dito sulla tempia
e gli occhi che si perdono negli occhi amati;
l'ora del tè fumante e dei libri chiusi;
la dolcezza di sentire la fine della sera;
la stanchezza incantevole e l'adorata attesa
dell'ombra nuziale e della dolce notte,
oh! tutto ciò il mio sogno intenerito persegue
senza sosta, attraverso ogni vana dilazione,
impaziente per i mesi, furioso per le settimane.

XV


A dire il vero, quasi ho paura
tanto sento allacciata la mia vita
al radioso pensiero
che la scorsa estate mi ha preso l'anima,

tanto la vostra immagine, sempre cara,
abita in questo cuore tutto vostro,
il cuore mio cui soltanto preme
di amarvi e di piacervi;

e tremo, perdonatemi
se ve lo dico con tanta franchezza,
al pensiero che una vostra parola,
un sorriso, sono ormai la mia legge,

e che vi basterebbe un gesto,
una parola o un battito di ciglia
per immergere il mio essere nel lutto
della sua illusione celeste.

Ma preferisco vedervi,
l'avvenire dovesse essermi tetro
e fecondo di pene innumerevoli,
soltanto attraverso un'immensa speranza,

immerso in questa suprema felicità
di dirmi ancora e sempre,
a dispetto dei lugubri ritorni,
che vi amo, che ti amo!

XVI


Il frastuono delle bettole, il fango dei marciapiedi,
i platani malridotti che si spogliano nell'aria nera,
l'omnibus, uragano di ferraglia e melma,
che cigola sconquassato sulle quattro ruote,
e rotea gli occhi verdi e rossi lentamente,
gli operai che vanno al circolo fumando
la pipa sotto il naso dei poliziotti,
tetti che gocciano, muri fradici, lastrico viscido,
asfalto sfondato, rivoli che riempiono la fogna,
è questa la mia strada - col paradiso in fondo.

XVII


Non è vero? a dispetto degli sciocchi e dei cattivi
che certo invidieranno la nostra gioia,
saremo talvolta fieri e sempre indulgenti.

Non è vero? andremo, gai e lenti, per la via
modesta che la Speranza ci mostra sorridente,
poco curando d'essere ignorati oppure visti.

Isolati nell'amore come in un nero bosco,
i nostri cuori, esalando una serena tenerezza,
saranno due usignoli che cantano nella sera.

Quanto al Mondo, che sia irascibile con noi
oppure dolce, che ce ne importerà? Certo che può,
se vuole, accarezzarci o prenderci a bersaglio.

Uniti dal più forte e caro dei legami,
e protetti da un'armatura adamantina,
sorrideremo a tutti senza temere niente.

Senza preoccuparci di quanto ci destina
la Sorte, cammineremo con lo stesso passo,
la mano nella mano, con l'anima infantile

di chi si ama, vero?, alla luce del sole.

XVIII


Viviamo in tempi infami
dove il matrimonio delle anime
deve suggellare l'unione dei cuori;
in quest'ora di orribili tempeste
non è troppo aver coraggio in due
per vivere sotto tali vincitori.

Di fronte a quanto si osa
dovremo innalzarci,
sopra ogni cosa, coppia rapita
nell'estasi austera del giusto,
e proclamare con un gesto augusto
il nostro amore fiero, come una sfida.

Ma che bisogno c'è di dirtelo.
Tu la bontà, tu il sorriso,
non sei tu anche il consiglio,
il buon consiglio leale e fiero,
bambina ridente dal pensiero grave
a cui tutto il mio cuore dice: grazie!

XIX


Dunque sarà in un giorno chiaro d'estate:
il grande sole, complice della mia gioia,
farà più bella ancora, tra il raso
e la seta, la vostra cara bellezza;

il cielo tutto blu, come un'alta tenda,
fremerà sontuoso in lunghe pieghe
sulle nostre due fronti liete e pallide,
emozionate per l'attesa e per la gioia;

e quando la sera verrà, sarà dolce l'aria
che scherzerà, carezzevole, nei vostri veli,
e gli sguardi tranquilli delle stelle
sorrideranno benevoli agli sposi.

XX


Andavo per perfidi sentieri
incerto dolorosamente.
Le vostre mani mi fecero da guida.

Così pallida sull'orizzonte lontano
riluceva una tenue speranza d'aurora:
il vostro sguardo fu il mattino.

Nessun rumore, tranne il suo passo sonoro,
dava coraggio al viaggiatore.
La vostra voce mi disse: "Vai avanti!".

Il mio cuore impaurito, il mio tetro cuore
piangeva, solo, sulla triste via;
l'amore, delizioso vincitore,

ci ha riuniti nella gioia.

XXI


L'inverno è finito: la luce è tiepida
e danza, dal suolo al firmamento chiaro.
Bisogna che il più triste dei cuori ceda
all'immensa gioia sparsa nell'aria.

Perfino questa Parigi noiosa e malata
sembra fare accoglienza al primo sole,
e come in un abbraccio immenso
tende le mille braccia dei suoi tetti vermigli.

Da un anno ho nell'anima la primavera
e il verde ritorno del dolce fiorile,
come una fiamma che avvolga una fiamma,
al mio ideale aggiunge ideale.

Il cielo blu prolunga, innalza e incorona
l'immutabile azzurro dove ride il mio amore.
La stagione è bella e la mia sorte è buona
e tutte le mie speranze finalmente si compiono.

Venga l'estate! vengano ancora
l'autunno e l'inverno! E ogni stagione
sarà per me incantevole, o Tu che adorna
questa fantasia e questa ragione!

ROMANZE SENZA PAROLE




ARIETTE DIMENTICATE



I


Il vento nella pianura
sospende il suo respiro.
(FAVART.)

È l'estasi languida,
è la stanchezza d'amore,
è tutti i brividi dei boschi
nella morsa delle brezze,
è, verso le fronde grigie,
il coro delle piccole voci.

O fragile e fresco mormorìo!
Cinguetta e sussurra,
somiglia al dolce grido
che l'erba mossa esala...
diresti, sotto l'acqua che vira,
il sordo rotolìo dei sassi.

Quest'anima che si lamenta
in un gemito sonnolento
è la nostra, vero?
la mia, dimmi, e la tua
da cui sale sommessa l'antifona
umile in questa tiepida sera?

II


Percepisco attraverso un mormorìo
il sottile profilo delle voci antiche
e nei bagliori musicali,
pallido amore, una futura aurora!

E l'anima e il cuore in delirio
non sono più che un duplice sguardo
dove trema in una luce ambigua
l'arietta, ahimè!, d'ogni lira!

Oh, morire di questa morte solitaria,
cullata, caro amore intimorito,
da giovani e vecchie ore!
Oh, morire di quest'altalena!

III


Piove dolcemente sulla città.
(ARTHUR RIMBAUD.)

Piange nel mio cuore
come piove sulla città;
cos'è questo languore
che mi penetra il cuore?

Dolce rumore della pioggia
a terra e sui tetti!
Oh, il canto della pioggia
per un cuore annoiato!

Piove senza ragione
in questo cuore sgomento.
Come! nessun tradimento?...
È un lutto senza ragione.

È la pena peggiore
non sapere perché
senza amore e senza odio
il mio cuore è tanto in pena!

IV


Dolcezza, dolcezza, dolcezza.
(IGNOTO.)

Bisogna, vedete, saperci perdonare:
così saremo tanto contente
e se la nostra vita ha dei momenti tristi,
almeno, non è vero?, saremo due piagnone.

Oh, uniamo - noi anime sorelle -
ai desideri confusi la puerile dolcezza
di camminare lontani da uomini e donne,
nel fresco oblìo di ciò che ci esilia!

Siamo due fanciulle, siamo due giovinette
invaghite di niente e di tutto stupite
che vanno a impallidire sotto i casti càrpini
e non sanno neppure che sono perdonate.

V


Suono allegro, importuno, d'un clavicembalo sonoro.
(PETRUS BOREL.)

Il pianoforte baciato da una fragile mano
vagamente riluce nella sera rosa e grigia,
mentre con un lievissimo frèmito d'ala
un'aria molto antica, flebile, incantevole,
si aggira discreta, quasi spaurita,
nel boudoir che conserva il Suo profumo.

Cos'è questa nenia improvvisa
che lenta dondola il mio povero essere?
Che vorresti da me, dolce Canto scherzoso?
Cos'hai voluto, ritornello fine ed incerto
che morirai ben presto alla finestra
semiaperta sul piccolo giardino?

VI


È il cane di Jean de Nivelle
che morde sotto gli occhi della Ronda
il gatto di mamma Michel.
Se la ride François-calze-blu.

La Luna al pubblico scrivano
dispensa la sua luce oscura
in cui Medoro e Angelica
verdeggiano sul povero muro.

Ed ecco venire La Ramée
bestemmiando da buon soldato del Re.
Sotto la malfamata giubba bianca
scoppia il suo cuore di felicità:

infatti la Fornaia... - Lei? - Ma certo!
Bernard il furbastro, il suo antico amore,
poco fa ha incoronato la sua fiamma...
Ragazzi, Dominus vobiscum!

Largo! Nella sua lunga veste azzurra
tutta di raso che fa fru-fru,
è un'impura, perbacco!
nella sua sedia che bisogna ammirare,

si foss'anche filosofi o spilorci;
tanto è l'oro raccolto nella gobba
che questo lusso insolente schernisce
tutta la carta di messer Los!

Indietro avvocaticchio inzaccherato! largo,
piccolo burocrate, abatino,
poetino mai stanco
della rima non acciuffata!...

Ecco che giunge la notte vera...
E intanto, mai stanco
d'esser distratto e ingenuo,
François-calze-blu se la ride.

VII


Oh, triste, triste era la mia anima
a causa, a causa d'una donna.

Io non mi sono consolato
benché il mio cuore se ne sia andato,

benché il mio cuore, benché l'anima mia
fossero fuggiti via da quella donna.

Io non mi sono consolato
benché il mio cuore se ne sia andato.

E il mio cuore, il mio troppo sensibile cuore
dice all'anima mia: È mai possibile,

è mai possibile, - lo fosse! -
questo fiero esilio, questo esilio triste?

L'anima dice al cuore: Lo so io,
io stessa, cosa sia questa trappola

d'esser presenti benché esiliati,
benché tanto lontani?

VIII


Nell'interminabile
noia della pianura
la neve incerta
riluce come sabbia.

Il cielo è di rame
senza luce alcuna.
Pare di veder vivere
e morire la luna.

Come nuvole
fluttuano grigie le querce
delle vicine foreste
nella foschia.

Il cielo è di rame
senza luce alcuna.
Pare di veder vivere
e morire la luna.

Cornacchia sfiatata
e voi, magri lupi,
con queste brezze acri
che vi succede?

Nell'interminabile
noia della pianura
la neve incerta
riluce come sabbia.

IX


L'usignolo che dall'alto di un ramo
si specchia nell'acqua, crede di
essere caduto nel fiume. È in cima a
una quercia e tuttavia ha paura
di annegare.
(CYRANO DE BERGERAC.)

L'ombra degli alberi nel fiume nebbioso
muore come fumo
mentre nell'aria, tra i rami veri,
gemono le tortorelle.

Come, o viaggiatore, questo paesaggio pallido
pallido ha visto anche te,
e come tristi piangevano tra le alte foglie
le tue speranze annegate!

Maggio, giugno 72.

PAESAGGI BELGI



"Conquiste del Re."
(VECCHIE STAMPE.)


Walcourt


Mattoni e tegole,
oh, incantevoli
piccoli rifugi
per gli amanti!

Luppolo e vigne,
foglie e fiori,
insigni padiglioni
dei franchi bevitori!

Bettole chiare,
birre, clamori,
servette care
ai fumatori!

Stazioni vicine,
strade grandi e allegre...
che pacchia,
buoni ebrei erranti!

Luglio 72.

Charleroi


Nell'erba nera
i Coboldi vanno.
Il vento profondo
piange, si direbbe.

Che mai si sente?
L'avena sibila.
Un cespuglio frusta
l'occhio al passante.

Più catapecchie
che case.
Quali orizzonti
di rosse fucine!

Che mai si sente?
Stazioni tuonano,
gli occhi stupiscono,
dov'è Charleroi?

Odori sinistri!
Ma che cos'è?
Cosa strideva
come dei sistri?

Siti brutali!
Oh, il vostro fiato,
sudore umano,
gridi di metalli!

Nell'erba nera
i Coboldi vanno.
Il vento profondo
piange, si direbbe.

Bruxelles
Semplici affreschi


I

È verdastra e rosa la fuga
delle colline e delle rampe
in una mezzaluce di lampade
che confonde ogni cosa.

L'oro, sugli umili abissi,
dolcemente s'insanguina.
Piccoli alberi senza cima
dove flebile canta qualche uccello.

Triste appena, tanto svaniscono
queste parvenze d'autunno,
tutti i miei languori trasognano
cullati dall'aria monotona.

II

Il viale è senza fine
sotto il cielo, divino
nel suo pallore:
sai che si starebbe
bene sotto il segreto
di questi alberi?

Signori ben vestiti,
senza dubbio amici
dei Royers-Collards,
vanno verso il castello:
penso sarebbe bello
essere quei vecchi.

Il castello, tutto bianco
con al suo fianco
il sole tramontato,
i campi intorno:
oh! perché il nostro amore
lì non s'è fatto il nido?

Osteria del "Jeune Renard" agosto, 72.

Bruxelles
Cavalli di legno


Per sant'Egidio,
vola, vola,
mio agile
sauro!
(V. HUGO.)

Girate, girate, bravi cavalli di legno,
girate cento volte, girate mille volte,
girate spesso e girate sempre,
girate, girate al suono degli oboe.

Il grosso soldato, la serva più grossa
si sentono a casa loro in groppa a voi,
perché oggi nel parco della Cambre
sono entrambi i padroni in persona.

Girate, girate, cavalli del loro cuore,
mentre intorno a tutti i vostri tornei
ammicca l'occhio del mariuolo sornione,
girate al suono del pistone trionfante.

È sorprendente come ubriachi
andare in questo modo in una giostra idiota:
bene nel ventre e male nella testa,
male in quantità e bene a volontà.

Girate, girate senza alcun bisogno
di usare uno sperone per guidare
le vostre galoppate circolari,
girate, girate, senza sperare fieno

e fate in fretta, cavalli dell'anima loro:
la notte, ecco, già cade
e riunirà piccione e colomba
lontano dalla fiera e da madame.

Girate, girate! il cielo di velluto
si veste lentamente d'astri d'oro.
Ecco che se ne vanno l'amata e l'amante.
Girate al suono gioioso dei tamburi!

Fiera di Saint-Gilles, agosto 72.

Malines


Verso i prati il vento attacca briga
con le banderuole, fine dettaglio
del castello di qualche scabino,
rosso mattone e blu ardesia,
verso i prati chiari, i prati senza fine...

Come gli alberi delle favole,
frassini, vaghi fogliami,
disegnano mille orizzonti
in questo Sahara di praterie,
trifoglio, erba medica e bianche radure.

I vagoni filano in silenzio
tra questi luoghi di pace.
Dormite, vacche! Riposate,
dolci tori della pianura immensa,
sotto i cieli lievemente iridati!

Scivola il treno senza rumore,
ogni vagone è un salotto
dove si parla sottovoce e dove
si ama a piacere questa natura
fatta su misura per Fénelon.

Agosto 72.

Birds in the night


Non avete avuto molta pazienza:
ciò si comprende, purtroppo; del resto
siete così giovane! E la noncuranza
è il dono amaro dell'età celeste!

Non avete avuto tutta la dolcezza.
Ciò purtroppo, del resto, si comprende;
siete così giovane, mia fredda sorella,
che il vostro cuore dev'essere indifferente!

Così, eccomi pieno di perdoni casti,
non certo allegro, comunque molto calmo,
anche se deploro, in questi mesi nefasti
d'essere, grazie a voi, il meno felice degli uomini.


Vi rendete conto che avevo ragione
quando vi dicevo, nei miei momenti neri,
che i vostri occhi, focolai delle mie antiche
speranze, non covavano più che il tradimento.

Allora giuravate che era una menzogna
e il vostro sguardo, che a sua volta mentiva,
ardeva come un fuoco morente e prolungato,
e con la vostra voce dicevate "Ti amo!"

Ahimè! Sempre ci si lega al desiderio
di essere felici malgrado la stagione...
Ma fu pieno di piacere amaro il giorno
in cui mi accorsi che avevo ragione!


Perché dunque mettermi a gemere?
Non mi amavate, la questione è chiusa,
e non volendo essere compianto
io soffrirò con animo deciso.

Sì! soffrirò perché vi amavo,
ma soffrirò come un buon soldato
ferito, che per sempre dormirà,
pieno d'amore per un paese ingrato.

Voi che foste la mia Bella, la mia Cara,
benché da voi provenga il mio dolore,
non siete forse sempre la mia Patria,
giovane e folle come lo è la Francia?


Ora, non voglio - lo potrei, del resto? -
in questo pensiero immergere il mio umido sguardo.
Eppure l'amor mio che voi credete morto
ha forse finalmente aperto gli occhi.

Il mio amore che è ormai solo rimembranza
sebbene sanguini sotto i vostri colpi e pianga
ancora e debba, a quanto credo,
soffrire a lungo prima di morirne,

forse a ragione pensa d'intuire
in voi un rimorso (che non è banale)
e di udire la vostra memoria che dice
disperata a se stessa: "Ah! fu male!".


Vi rivedo. Socchiusi la porta;
eravate a letto, come stanca.
Ma, corpo lieve che l'amore trascina,
balzaste nuda, in lacrime e lieta.

E quali baci, quali folli amplessi!
Ne ridevo io stesso, nel mio pianto.
Quei momenti, certo, rimarranno
i più tristi tra tutti, ma anche i più felici.

Non voglio rivedere del vostro sorriso
e dei vostri occhi buoni in quell'occasione
e di voi infine, che dovrei maledire,
e del tranello squisito, altro che l'apparenza.


Vi rivedo! In un abito estivo
bianco e giallo con fiori da tenda.
Ma più non avevate l'umida allegria
del più delirante dei nostri pomeriggi.

La piccola sposa, e la figlia maggiore,
era riapparsa con la toeletta
e il nostro destino già mi guardava
sotto la vostra veletta.

Siate perdonata! Ed è per questo
che custodisco, ahimè!, con qualche orgoglio,
nel mio ricordo, che vi carezzò,
il lampo furtivo del vostro sguardo.


Talvolta sono il Povero Naviglio
che senz'albero corre nella tempesta
e non vedendo la luce della Vergine
pregando si prepara a inabissarsi.

Talvolta muoio come muore il Peccatore
che si sa dannato se non si confessa,
e perdendo la speranza di un confessore
si torce nell'Inferno che ha precorso.

Ma altre volte ho l'estasi rossa
del primo cristiano sotto il dente rapace,
che ride a Gesù testimone, senza che gli si muova
un pelo della carne, un nervo della faccia!

Bruxelles-Londra, settembre-ottobre 72.

ACQUERELLI



Green


Ecco dei frutti, dei fiori, foglie e rami
e poi il mio cuore che batte solo per voi.
Non straziatelo con le vostre bianche mani
e ai vostri occhi belli sia dolce l'umile dono.

Giungo ancora coperto di rugiada
che il vento del mattino mi gela sulla fronte.
Lasciate che la mia stanchezza, quietata ai vostri piedi,
sogni i dolci momenti che la ritempreranno.

Sul vostro giovane seno lasciate che vaghi la mia testa
che ancora risuona tutta dei vostri ultimi baci;
lasciate che si calmi dopo la buona tempesta,
e che io dorma un po', mentre voi riposate.

Spleen


Le rose erano tutte rosse
e l'edera tutta nera.

Cara, per poco che tu ti muova,
rinascono le mie disperazioni.

Il cielo era troppo blu, troppo tenero,
il mare troppo verde e l'aria troppo dolce.

Sempre temo - c'è da aspettarselo -
qualche vostra fuga atroce.

Dell'agrifoglio con la foglia laccata
e del bosso lucente sono stanco.

E della campagna infinita
e di tutto, ahimè! fuorché di voi.

Streets


I

Danziamo la giga!

Amavo più di tutto i suoi occhi graziosi
più chiari delle stelle in cielo,
amavo i suoi occhi deliziosi.

Danziamo la giga!

Aveva modi tali
di scoraggiare un povero amante,
che la cosa era davvero seducente!

Danziamo la giga!

Ma trovo ancora migliore
il bacio della sua bocca in fiore
da quando è morta al mio cuore.

Danziamo la giga!

E mi ricordo, e mi ricordo
delle ore e degli incontri,
ed è il migliore dei miei beni.

Danziamo la giga!

Soho.

II

Oh, il fiume nella strada!
Apparso come in sogno
dietro un muretto di cinque piedi,
svolge senza un sussurro
l'onda opaca ma pura
per i quieti sobborghi.

La strada è molto larga,
e così l'acqua gialla come una morta
scorre ampia e senza speranza
di riflettere altro che la bruma
anche quando l'aurora accende
i cottages gialli e neri.

Paddington.

Child wife


Nulla avete capito della mia semplicità,
nulla, mia povera bambina!
E con fronte sventata e indispettita
ve ne fuggite via.

Gli occhi che dovevano solo riflettere dolcezza,
povero caro specchio blu,
hanno preso un tono di fiele, lamentevole sorella,
che fa male a vedersi.

E con le piccole braccia gesticolate
come un eroe cattivo,
lanciando stridule grida da tisica,
voi che solo canto eravate!

Avete avuto paura della tempesta e del cuore
che tuonava e soffiava,
e avete belato verso la mamma - che dolore! -
come un triste agnellino.

E non avrete saputo la luce e l'onore
di un amore coraggioso e forte,
lieto nella sventura, grave nella letizia,
giovane fino alla morte!

Londra, 2 aprile 1873.

A poor young shepherd


Ho paura d'un bacio
come di un'ape.
Soffro e veglio
senza trovare pace:
ho paura d'un bacio!

Eppure amo Kate
e i suoi occhi leggiadri.
È delicata,
affilata e pallida.
Oh! come amo Kate!

È San Valentino!
Devo e non oso
dirle al mattino...
che cosa terribile
San Valentino!

Mi è promessa,
per mia grande fortuna!
Ma quale impresa
essere un amante
accanto a una promessa!

Ho paura d'un bacio
come di un'ape.
Soffro e veglio
senza trovare pace,
ho paura d'un bacio!

Beams


Lei volle andare sui flutti del mare,
e poiché un vento benigno riportava il sereno,
tutti ci prestammo alla sua bella follia,
ed eccoci in viaggio per il cammino amaro.

Il sole splendeva alto nel cielo calmo e liscio,
nei suoi capelli biondi v'erano raggi d'oro,
e seguivamo il suo passo più calmo ancora
dello srotolarsi delle onde, oh delizia!

Uccelli bianchi volavano intorno mollemente
e in lontananza s'inchinavano vele candide.
Talvolta grandi alghe filavano in lunghi rami,
scivolavano i nostri piedi con puro e largo movimento.

Lei si volse, dolcemente inquieta
di non saperci rassicurati pienamente,
ma vedendoci felici d'essere i suoi prediletti,
riprese la sua strada, a testa alta.

Dover-Ostenda, a bordo della "Comtesse-de-Flandre", 4 aprile 1873.